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INTRODUZIONE
Nel 1945 il record mondiale sul miglio (1609,3 m.) fu di 4’1”4°°. Gli allenatori, i
medici, i fisiologi, gli atleti e tutti coloro che si occupavano di sport sostenevano che il corpo
umano non fosse idoneo per scendere sotto i 4 minuti. Poi un giorno, un medico, Roger
Bannister, si mise in testa che tutto ciò fosse falso e, essendo un atleta di spessore, pensò
di confutare una credenza del genere. Si allenò di nascosto per evitare di essere
negativamente condizionato, ed il 6 maggio 1954, a Oxford, in una serata fredda e ventosa,
batté il record mondiale di 2”, portandolo a 3’59”4°°.
Qualcuno direbbe: “Beh, cosa c’è di strano. Dopo tutto i record sono fatti per essere
battuti!”. “Beh”, dico io, “la cosa strana è che in qualche settimana 37 atleti infransero la
barriera dei 4’ e, nell’arco di 2 anni erano più di 300”! "Tutto ciò, magicamente, dopo 9
anni”.
Vorrei ribadire il fatto che si allenò di nascosto e che, pochi giorni dopo di lui, decine
di atleti, come per incanto, scesero sotto i 4’ (potenza delle credenze!).
In un filmato che parla dei poteri della mente (in mio possesso) c’è la storia di una
ragazza che si trovava in un furgone ribaltatosi a seguito di un incidente. Lei è rimasta
paralizzata dalla testa in giù. La ragazza, tetraplegica è rimasta per 6 anni distesa in un
letto di ospedale, poiché se provava a mettere in verticale le gambe, dai piedi alle
ginocchia, sveniva. Poi, grazie al biofeedback, ha imparato a gestire la situazione, tanto da
poter andare seduta, spinta su una carrozzina, al supermercato. Intervistata, spiegava che
tutto ciò adesso era facile, giacché ora ridava tono vasale al suo apparato circolatorio
pensando al suo cervello come ad una spugna che mentalmente strizzava per mandare il
sangue ovunque.
Enzo Dal Forno, ex primatista italiano di salto in alto, ebbe un incidente in cui si
ruppe la gamba sinistra e, quando tornò a saltare (allora si saltava ventralmente), pur
superando l’asticella di un buon palmo, non riusciva a richiamare la gamba sinistra che
faceva cadere l’asticella. Grazie ad una psicologa imparò delle tecniche di visualizzazione
che gli permisero di richiamare adeguatamente la gamba menomata.
Milton Erickson, medico e psichiatra, considerato oggi come il più grande esperto
mai esistito d’ipnosi, ebbe all’età di 17 anni una poliomelite che lo paralizzò dalla testa in
giù. Grazie alla rievocazione mentale delle sensazioni che aveva sperimentato prima della
malattia e, al fatto che poté osservare la sorellina che imparava a camminare, riuscì a
riacquisire la capacità di muoversi con un’andatura appena claudicante. Il suo amico e
curatore, dr. Ernest Rossi, pioniere della ricerca psicobiologia ¹ , colpito a sua volta da un
ictus, impostò la sua riabilitazione sulla base delle conoscenze che aveva della vita di
Milton, affrontando in seguito una ricerca (ha già scritto dei libri in merito e ne sta scrivendo
altri) che mette in relazione il modo di pensare, le convinzioni, con le modificazioni del
nostro patrimonio genetico (Rossi, 2004).
Nel 2002 gli scienziati dimostrarono che il potere della convinzione influenza il
sistema immunitario, somministrando a dei volontari una bevanda aromatizzata contenente
ciclosporina A, nota per il suo potere d’inibire il sistema immunitario. Successivamente,
anche quando fu loro data una bevanda placebo, si notò un ulteriore indebolimento del
sistema immunitario (Hamilton, 2009).
Nel 2004, l’italiano Fabrizio Benedetti, della Facoltà di Medicina dell’Università di
Torino, in Nature Neuroscience, pubblicò un articolo che mostra i risultati di cambiamenti
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cerebrali in pazienti affetti dal morbo di Parkinson che ritenevano di aver avuto le giuste
cure. Sempre per il Parkinson, nell’Ospedale Universitario di Denver, in Colorado, dal 1995
si fanno finte operazioni al cervello che producono reali miglioramenti (Hamilton, 2009;
McRae, 2005).
Nel 2005 Jon-Kar Zubieta, dell’Università del Michigan, è riuscito ad ottenere per
mezzo della tomografia PET la dimostrazione che l’effetto placebo provoca un vero
cambiamento fisico nel cervello. La sua ricerca, pubblicata sul Journal of Neuroscience,
coinvolse 14 persone con dolore alla mandibola che furono trattati con iniezioni di acqua
salata al posto dell’analgesico (Hamilton, 2009).
Queste brevi citazioni dimostrano che, come recita il titolo di un libro, “è il pensiero
che conta”, o per dirla con lo psicologo americano Albert Bandura, “ciò che riteniamo di
essere capaci di fare determina quello che possiamo fare effettivamente” (Brugnoli, 2008,
pag. 24).
Se ciò è vero, come io credo, ecco la necessità di controllare i nostri pensieri … per
non essere da loro controllati. Per fare ciò psicologi, medici, allenatori ed altri hanno creato
una corrente di pensiero che ha esordito ufficialmente nel primo congresso mondiale di
psicologia dello sport, nel 1965 a Roma, grazie al prof. Ferruccio Antonelli. In seguito tale
pensiero (e le relative metodiche) si è sviluppato in America e, soprattutto nei Paesi
dell’Europa dell’Est. (Vercelli, 2006; Brugnoli, 2008).
Nasce quindi l’Allenamento Mentale o Mental Training. Ma perché l’Allenamento
Mentale? Perché la mente razionale e la mente emotiva devono essere in armonia, così da
procedere serenamente e con determinazione verso le mete prefissate.
Mente inconscia e mente conscia hanno caratteristiche diverse, vanno allenate
entrambe per raggiungere più facilmente gli obiettivi sportivi, lavorativi, di salute e di qualità
della vita.
L’Allenamento Mentale (AM) propone metodiche della cultura occidentale ed
orientale che favoriscono un adeguato rapporto con se stessi. Ogni persona può averne
grandi vantaggi. L’AM aiuta a ritrovare una condizione di generale benessere, contribuisce
al superamento delle difficoltà psicologiche e migliora l’autostima, che è uno dei fattori
fondamentali del nostro successo.
Queste metodiche sono efficaci perché agiscono sulla relazione mente-corpo. Basti
pensare che prima dell’avvento di Obama alla Casa Bianca, le Compagnie Assicuratrici
americane concedevano uno sconto a chi attuava tali prassi. E questi videro ridurre le loro
spese mediche dal 2,1 al 9,5% stabilmente per circa 18 mesi, mentre chi non eseguiva tali
pratiche vedeva aumentare del 15% le loro uscite (Wasmer Smith, 1998).
L’AM è consigliato agli atleti che vogliono conseguire i loro successi raggiungendo
una Peak Performance, agli imprenditori, ai professionisti, agli studenti ed a chi in generale
è molto impegnato mentalmente nel proprio lavoro e/o vuole migliorare la qualità della vita.
“Si può imparare a sciare in due modi: col maestro o da soli”.
Il nostro sistema culturale ci porta a dare grande importanza alla
nostra parte cosciente, dimenticando che è solo la punta dell’iceberg
della nostra mente. Generalmente sappiamo poco delle nostre
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emozioni, dei filtri mentali, del controllo delle abitudini e degli stati d’ansia e di stress.
Ma quanto influenzano la qualità della nostra vita? Moltissimo.
I problemi nascono dal fatto che la parte razionale e quella emotiva non sono in
armonia.
Spesso avviene che progettando e migliorando le auto sportive - e in genere la
tecnologia sportiva – alla fine si migliora la sicurezza e la prestazione delle auto comuni e,
quindi la qualità della vita. Allo stesso modo, studiando ed applicato queste tecniche sugli
sportivi, si migliora anche la conoscenza della mente umana e, di conseguenza l’abilità
d’intervenire anche in campo terapeutico. Come se non bastasse, tali metodiche
rappresentano una preventiva igiene mentale.
Ma cosa sono l’ansia e lo stress.
Brevemente i disturbi d’ansia sono i più comuni tra i cosiddetti disturbi mentali. Si
calcola che siano 25 milioni gli americani che soffrono di un disturbo d’ansia. Altre ricerche
sostengono che un 25% della popolazione mondiale sperimenta un disturbo d’ansia almeno
una volta nella vita. Il termine deriva dal latino angere, che significa soffocare, strangolare.
Infatti, uno dei sintomi è un senso di costrizione alla gola o al petto. Può essere
genericamente definita come apprensione, paura generalizzata, nervosismo. Per il disturbo
d’ansia generalizzato (DAG), occorre che la sintomatologia sia avvertita in modo persistente
per un periodo di almeno sei mesi (APA, 2000).
L’ansia che interessa gli sportivi è più che altro di tipo reattivo, più precisamente è
quella anticipatoria. Infatti, il pericolo maggiore per uno sportivo è la “paura di esibirsi” e
quindi di sbagliare. Tale emozione si ripercuote negativamente nella performance,
intralciando e spesso inibendo anche i movimenti più semplici.
L’atleta emotivo sotto il carico dello stress – sempre
più presente, anche nella quotidianità – tende a lasciarsi
sopraffare dall’ansia, ad avere un disturbato ritmo veglia-
sonno, se non addirittura qualche problema d'ordine
psicosomatico. È vero che un lieve grado di ansia può
favorire la prestazione, ma superato un certo livello di
ansia la prestazione subisce effetti devastanti (Sheehan,
2000).
Lo stress, al giorno d’oggi, è la malattia del secolo: sono stressati gli impiegati, gli
studenti, le mamme, i nonni e perfino i bambini.
Lo stress, se presente nella giusta quantità, è necessario alla nostra vita: infatti, se
immaginiamo di dover affrontare un esame, è lo stress che ci spinge a dare il meglio di noi
per ottenere una prestazione ottimale. E’ però necessario tenerlo sotto controllo perché non
diventi nocivo. Hans Selye (1907 – 1982), il padre del concetto di stress, ha scritto che “lo
stress è il sale della vita” (Farnè, Sebellico, 1986, pag. 690) e la sua totale assenza
conduce alla morte.
Una definizione più tecnica dello stress (in inglese significa pressione, sollecitazione,
sforzo) lo ritiene “una condizione aspecifica e sempre uguale in cui si trova l’organismo
quando deve adattarsi a qualsiasi novità” (Farnè, Sebellico, 1986, pag. 690). Molto spesso
si confonde lo stress con gli stressori (i fattori che costringono l’organismo all’adattamento).