anche se, a più riprese, mi sono state ricordate le numerose differenze tra questi due eventi storici
e la vastità e la complessità dei problemi. Nonostante ciò, anche le differenze sono significative ed
istruttive, visto che molte di esse derivano dal fatto che l’unificazione tedesca era inattesa
soprattutto all’est e l’allargamento UE invece, è stato preceduto da iniziative dei governi e dei
privati intraprese in previsioni degli eventi.
E’ noto che sia la Repubblica Democratica Tedesca1sia gli altri Paesi dell’Est hanno avuto per
moltissimi anni la proprietà statale di quasi tutti i mezzi di produzione, l’esperienza comune della
pianificazione economica centralizzata e un background ideologico che persiste tutt’oggi,
influenzando le scelte di politica economica. Tuttavia, a differenza del caso tedesco, in questi
Paesi l’impatto dell’allargamento verrebbe in parte attutito da una migliore situazione
economica derivata solo in questi ultimi anni, grazie alle riforme finora attuate o in via
d’attuazione, tra cui la liberalizzazione commerciale e la miglior conoscenza dell’occidente da
parte dei loro cittadini.
La caduta del Muro fu invece così inaspettata, per l’incalzare degli eventi , che fu quasi
impossibile prevedere per la Germania Est un periodo graduale di transizione economica;
l’impatto delle soluzioni improvvisate che furono adottate continuano a farsi sentire sull’intera
Germania e costituiscono ancora oggi un problema addizionale per l’economia tedesca.
L’unificazione è stata un nuovo esperimento per la Storia. L’unificazione di due parti di una
nazione dalle radici comuni.
Come cancellare dalla vita di 17 milioni di tedeschi, quarant’anni di vita? Come ignorare che per
quarant’anni, per 2/3 della popolazione (quella più giovane) la RDT era stata la Heimat (la Patria)?2
Uno studio attento di quest’esperienza, guardando alla problematica comune potrebbe indicarci
quali siano stati gli errori commessi e quali quelli da non ripetere in un’Europa allargata.
A tredici anni dall’unificazione, il modo in cui è stato affrontato il processo d’integrazione
economica in Germania ha portato alla dipendenza dell’economia dei Laender orientali ai
trasferimenti finanziari dei Laender occidentali. L’area dei nuovi cinque laender gode tutt’oggi di
un sistema pensionistico e previdenziale più oneroso di quello dell’ovest e ha determinato grossi
debiti degli enti locali.
Questa dipendenza dell’economia tedesca orientale da quella occidentale è un fenomeno che non
andrà esaurendosi nel breve periodo ed è lecito supporre che nelle previsioni economiche future se
ne debba tener conto.
Sono questi alcuni degli spunti d'analisi utili allo studio del processo d'allargamento dell’Unione
Europea.
A prima vista, volgendo lo sguardo ai Paesi appena entrati nell’ UE sembra di intravedere
orizzonti più rosei di quelli che si aprivano all’unificazione tedesca, quattordici anni fa. Non tutti i
candidati però hanno lo stesso livello di prosperità. Alcuni paesi come Ungheria, Repubblica Ceca e
Slovenia hanno conosciuto una maggiore crescita economica rispetto agli altri e hanno raggiunto
un PIL pro-capite relativamente elevato. Riguardo al processo d’integrazione, quasi tutti i Paesi
sono riusciti a rispettare i criteri d'adesione, anche se il completo recepimento dell’acquis
commnautaire è ancor lontano dall’essersi concluso. Molti sono stati i compromessi scaturiti nel
corso delle trattative ed è stato impossibile mantenere l’ago della bilancia in equilibrio data la
molteplicità degli interessi in gioco. Inevitabile quindi che qualche paese possa essere svantaggiato
in futuro da quest'allargamento. Pensiamo agli aiuti europei e in particolar modo ai Fondi Strutturali
e di Coesione di cui ha sempre goduto il mezzogiorno europeo e di cui esso dovrà, in vista
dell’allargamento, fare gradualmente a meno, per consentire all’UE di favorire altre regioni meno
sviluppate.
1
RDT, (Repubblica Democratica Tedesca); RFT, (Repubblica Federale Tedesca)
2
Cfr. R. , Heinrich, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 6 giugno 1991
6
Quale sarà l’impatto dell’allargamento sul welfare nei quindici paesi UE? I nostri lavoratori godono
di una protezione sociale di cui non godono i loro omologhi all’est.
Ciò significa che all’apertura delle frontiere i Paesi limitrofi ai nuovi Stati membri dell’UE
potrebbero risentire maggiormente di un flusso crescente di lavoratori immigrati alla ricerca di un
più alto salario e di una maggiore garanzia previdenziale con effetti destabilizzanti sugli attuali
(alti) livelli salariali occidentali. Il fenomeno potrebbe essere in parte controbilanciato da una
decentramento delle industrie, già esistente nelle regioni di confine, a causa del basso livello
salariale.
Nella Germania orientale, nel 1990, non vi erano imprese occidentali e per la RFT si pose più
urgentemente il problema dell’immigrazione dall’Est per l’appeal degli alti salari all’ovest. Questa
prospettiva indusse la Germania di Kohl ad adottare una politica di cambio a prima vista generosa
nei confronti dell’est, per quanto riguardava i debiti della DDR espressi in Ostmark, ma a ben
vedere non coerente con l’obiettivo di massimizzare lo sviluppo coi minimi costi. Difatti Kohl ha
praticamente imposto un tasso di conversione di 1 a 1 tra marco dell’est e dell’ovest laddove sul
mercato parallelo (praticato soprattutto per transazioni non legali su movimenti di capitali) il marco
dell’est era molto svalutato. Furono i sindacati dell’ovest a spingere verso questa soluzione perché
allarmati dai bassi livelli salariali dell’est.
Quest'esempio apre prospettive preoccupanti per le politiche di cambi dei nuovi aderenti. Il tema è
molto dibattuto, specie in Polonia che annovera il maggior numero di euro-scettici.
Comunque, l’adesione di questi paesi all’UE offre, oggi, agli investitori stranieri migliori garanzie
di solvibilità di prima ed incentiva l’afflusso di capitali privati a vantaggio di una modernizzazione
dei loro sistemi economici. Se ci sarà un coordinamento delle loro politiche di cambio con la
collaborazione della Banca Centrale Europea (BCE) si potrà gradualmente realizzare un
abbassamento dei loro tassi d’interesse a medio/lungo termine, ciò che ridurrà i costi dei nuovi
investimenti ed attirerà ancor più capitali esteri per investimenti diretti, riducendo il ricorso
all’indebitamento. Il processo d’integrazione economica nei mercati interni e le misure atte a
stimolare la concorrenza accelereranno la ristrutturazione delle loro economie.
Quanto più rapido sarà il passaggio dei nuovi stati membri da economie ad alto fattore lavoro a
economie ad alto fattore capitale tanto meno grave diverrà il problema migratorio verso i vecchi
Stati membri dell’UE. La soluzione adottata all’indomani dell’unificazione tedesca scongiurò
questo pericolo, ma a un costo troppo alto e con conseguenze negative per l’economia del paese.
Nonostante le limitazioni transitorie (7 anni) imposte dai vecchi Stati membri all’apertura delle
frontiere ed alla libertà di stabilimento all’ovest dei lavoratori dell’est, sono attesi consistenti
movimenti di mano d’opera attirata dagli alti salari praticati in occidente, in particolar modo in
Germania.
In luogo delle restrizioni dei movimenti di mano d’opera, si potrebbe porre in atto un correttivo
suggerito, per analogia, dal regime delle capitolazioni nell’Impero Ottomano, assicurando ai
lavoratori immigrati lo stesso grado di previdenza e protezione sociale di cui godono nei paesi
d’origine. Così, i contributi sociali a carico dei lavoratori immigrati sarebbero pagati non già allo
Stato che li ospita, ma allo Stato d'origine che poi provvederà a rimborsare lo Stato, dove essi sono
emigrati, le spese di assistenza sanitaria, ma null’altro. Il sistema è stato praticato con successo in
alcuni cantoni svizzeri. In Germania dove con l’unificazione si erano avuti problemi simili, il prof.
Hans Werner Sinn direttore dell’IFO ha prospettato la possibilità che ai lavoratori dell’Est si
applichi l’Home Country Principle anziché il principio di residenza per l’assistenza sociale.3 Il
problema tecnicamente più difficile sarà quello del regolamento della differenza di costo
dell’assistenza che il lavoratore godrà nel paese ospitante, ma è certo che le decisioni di scelta dei
3
Cfr. H.W. Sinn, EU Enlargement: Migration and Lessons from German Unification, Discussion Paper, in Centre for
Economic Policy Research, London, 1999.
7
lavoratori sarebbero più libere ed equanimi. Un giorno tutto finirà per essere risolto da
un'armonizzazione dei sistemi di welfare dei vari Paesi europei. Sarà un riavvicinamento ed una
compenetrazione graduale ed irreversibile che, nella logica, dovrebbe persino precedere quello
dell’armonizzazione fiscale. Quest’ultima si porrà anche per i nuovi Paesi aderenti dell’est dove la
finanza pubblica è in condizioni di difficoltà ben più gravi che nella vecchia Europa.
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PARTE I L’ UNIFICAZIONE TEDESCA
I Capitolo: Dalla divisione alla riunificazione
L’economia di mercato ad Ovest, l’economia di pianificazione ad Est
Gli incontri di Teheran (1943) e di Yalta (1945) decisero le sorti della Germania del dopoguerra. La
Germania del 1945 era la Germania dell’anno 0. Il periodo successivo al 1945 vide gli orrori di una
guerra che aveva fatto 500000 morti civili e tre milioni di soldati uccisi al fronte (soprattutto in
Russia) La maggior parte delle città erano state distrutte o ridotte a un cumulo di macerie. La
paralisi dei trasporti pose i problemi più gravi a causa della distruzione delle linee ferroviarie e di
molti ponti. Mancavano i beni di prima necessità come l’acqua e la luce. La Conferenza di
Potsdam (luglio-agosto 1945) definì il programma post bellico: smilitarizzazione, denazificazione,
decartellizzazione ( smantellamento dei grossi cartelli produttivi in campo militare),
democratizzazione (ripristino delle libertà fondamentali e della giustizia nella sua gerarchia e nelle
sue diramazioni, il ritorno ai partiti, ai sindacati e a tutte le esplicazioni della società civile).
Con la capitolazione dell’8 maggio 1945 lo Stato tedesco cessò d’esistere e la sovranità fu
esercitata dalle quattro potenze occupanti attraverso un comando quadripartito. Il Consiglio di
Controllo formato da dirigenti delle parti occupanti aveva il potere di controllo su tutto il territorio
ad ovest della linea Oder-Neisse. La parte sud-ovest (Baviera, Baden-Wurttemberg) era sotto
controllo americano; la parte ovest, (Palatinato, Nord-Reno Westfalia) era controllata dagli inglesi.
Si avvio un processo di riconversione produttiva verso il settore civile e i grandi agglomerati
industriali tedeschi i Konzern (come la IG-Farben) a cui venne imputata una parte della
responsabilità nella politica aggressiva della Germania hitleriana, vennero smantellati e con essi la
concentrazione monopolistica. La legge 72 del 16 aprile 1950 prevedeva a tale proposito la
liquidazione dei grandi konzern siderurgici e minerari e la loro suddivisione in unità più piccole.
Morivano così la Krupp e la Mannesmann. Il settore che registrò un minor smantellamento
industriale fu quello anglo-americano che corrispondeva all’area più industrializzata di tutta la
Germania. Le grandi industrie della RUHR e nella zona francese quelle della BASF a
Ludwigshafen ne furono addirittura escluse. L’onere delle riparazioni di guerra decise a Yalta e
riconfermate a Potsdam fu più leggero del famoso precedente di Versailles e questo facilitò la
ripresa economica. La Germania godette nei primi anni del dopoguerra degli aiuti alimentari delle
Nazioni Unite (UNRRA), l’ufficio per i rifugiati e del piano d’aiuti americani del GARIOA,
(Governement Appropiation and Relief in Occupied Areas). Nel 1948 a questi ultimi si aggiunsero
quelli del Piano Marshall (1,5 milioni di dollari in quattro anni) che comprendevano beni alimentari
di prima necessità, materie prime industriali e prodotti semilavorati. Grazie ad una nuova legge sul
credito fu creato un sistema di credito per facilitare il prestito alle imprese. L’adozione dei metodi
industriali e dei materiali americani rese rapido il processo di modernizzazione.
In totale, gli aiuti americani finanziarono il 7,5% degli investimenti tedeschi per il triennio 1948-
1951 di cui 4/5 sotto forma di doni senza contropartita.
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Questi anni di ripresa conobbero una manodopera laboriosa e poco costosa e nel 1950 la Germania
poteva felicemente dichiararsi il paese che lavorava di più rispetto ai suoi partner europei. La
settimana di lavoro raggiungeva le 49 ore settimanali.
Non diversamente dai suoi vicini europei la Germania registrò un alto tasso d’inflazione nel periodo
post bellico (9% nel 1946, 7% 1947, 14% nel 1948). Si pensò bene quindi di porre fine a questa
spirale inflazionistica con una drastica riforma monetaria nelle tre zone d’occupazione e con la
creazione di una banca centrale indipendente che potesse controllare l’appena nato sistema
bancario tedesco. Fu così creata la Bank Deutscher Laender con sede a Francoforte. Le furono
attribuiti tutti i poteri di banca centrale sul sistema interbancario, sull’ammontare delle riserve
obbligatorie e sulla determinazione del tasso di sconto e del tasso lombard. La Bundesbank le
succederà solamente nel 1957.
La riforma monetaria, seguita da Ludwig Erhard quando era ancora membro del direttorio
dipendente dal comando alleato della trizona e solo successivamente ministro dell’economia vide
la sostituzione del marco tedesco al marco dell’occupazione alleata. La creazione del marco
comportò una drastica riduzione della massa monetaria prendendo di mira inevitabilmente i
detentori di liquidità e di valori a reddito fisso.
I vecchi biglietti, Reichsmark e marchi d’occupazione furono cambiati a 1 DM per 10 RM e
il cambio con il dollaro fu fissato a 3,4 DM per un 1$. Alla riforma fece subito seguito la
liberalizzazione dei prezzi.4
Per almeno un quindicennio, la Germania fu considerata il motore economico dell’Europa, secondo
esportatore solo alla Gran Bretagna. La nazione tedesca registrò nel corso di questo periodo il più
basso tasso d’inflazione (indice medio dei prezzi al consumo fu dal 1950 al 1973 del 2,7% contro il
5% della Francia e il 4,6% della Gran Bretagna) arrivando anche quasi, ad un regime di piena
occupazione nel 1960. Il segreto della sua forza in questi anni va ricercato nella tecnologia
avanzata dei suoi prodotti, nell’ottima strategia di mercato e nella sua stabilità finanziaria. La
ripartizione geografica delle esportazioni tedesche era molto diversificata e questo la rendeva
competitiva sui mercati internazionali fino concederle il ruolo di price-maker. A differenza della
Francia e dell’Inghilterra che in questi anni conducono politiche keynesiane di stimolo alla
domanda interna, la Germania avrà sempre come priorità la stabilità monetaria. Non a caso
l’attuale Banca Centrale Europea si è ispirata al modello Bundesbank e risiede proprio a
Francoforte. Indubbiamente il ruolo che la RFT ha conosciuto nel dopoguerra è stato il frutto della
volontà americana ed europea occidentale di creare una zona di prosperità economica di fronte
all’Impero Sovietico. Dal 1950 al 1957 la produttività è raddoppiata e le riserve della Bundesbank
sono passate da 1,2 milioni di DM nel 1951 a 26,1 milioni nel 1957.5
Questa politica trova conferma nei così detti principi di Duesserdolf (Duesseldorf Leitsatze) ispirati
al liberismo economico e inseriti in un discorso che Erhard, ministro dell’economia e in seguito
cancelliere terrà nell’omonima città nel luglio del 1949.6
Se la CDU, il partito democristiano tedesco farà propria questa politica nel corso del suo mandato,
la SPD, il partito socialista e il suo delfino, professore di economia Karl Schiller daranno vita a un
nuovo corso dell’economia tedesca alla fine degli anni ‘60. Alla Soziale Marktwirtschaft verrà
4
Nel 1946, in un discorso a Fulton, negli USA, Churchill parla di cortina di ferro calata sull’Europa centro
orientale. Nello stesso anno il segretario di Stato Byrnes prospetta l’unificazione economica e amministrativa
della Germania Occidentale. Nel 1947 alla Dottrina Truman, segue l’European Recovery Program e il
Governatore militare americano in Germania, Generale Clay, predispone la riforma economica.
5
Cfr. D.Vernet, La Renaissance Allemande, Flammarion, Paris, 1992, pp.32-38.
6
Negli anni ‘30 nasce nell’ Università di Friburgo, la scuola liberale in opposizione all’impostazione
economica totalitarista e dirigista del tempo, una scuola di chiara impostazione liberista che elabora la dottrina
della così detta Economia Sociale di Mercato Soziale Marktwirtschaft impostata su principi dell’economia
neoclassica.
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