3
Per raggiungere tale scopo l’analisi è stata organizzata nel seguente
modo: la trattazione si apre con un capitolo generale sulla
cooperazione governativa allo sviluppo, in cui si vuole inquadrare la
materia in esame partendo dalla sua evoluzione storica durante gli
ultimi sessant’anni, in relazione al contesto socio politico e alla
definizione delle varie motivazioni che possono sottendere alla
cooperazione.
L’analisi dei due modelli statali si articola in due capitoli, a loro volta
suddivisi in tre paragrafi uguali per entrambe le nazioni (per l’Italia vi
è un paragrafo aggiuntivo).
Il primo paragrafo è dedicato alla storia delle politiche di cooperazione
del paese in analisi: tale approfondimento è essenziale per
comprendere la tradizione nazionale in questo settore, le motivazioni
che hanno contribuito all’affermarsi dell’ APS e la scelta del modello
organizzativo e gestionale. Questa trattazione ci permette quindi di
comprendere il quadro generale in cui l’APS di un paese è nato, si è
sviluppato e tuttora opera. Il secondo paragrafo, il più importante, è
dedicato alle priorità geografiche nell’ allocazione delle risorse: tale
argomento è di vitale importanza per capire le motivazioni che
spingono uno stato ad operare nel campo dell’ assistenza allo sviluppo
e per valutare se l’attenzione è posta sugli interessi nazionali del
paese donor o sulle reali esigenze delle popolazioni beneficiarie degli
aiuti.
Il terzo paragrafo si occupa invece dell’analisi del modello
amministrativo - gestionale del settore dell’ APS: molte anomalie,
imperfezioni ed inefficienze, infatti, possono derivare da problemi
insiti negli enti che gestiscono la cooperazione governativa, come è il
caso delle lungaggini burocratiche, della lentezza nell’approvazione dei
progetti e della dispersione delle risorse. A questo proposito,
nell’analisi del modello italiano, si è ritenuto necessario, oltre ai tre
paragrafi descritti in precedenza, scriverne un quarto, più breve, sui
rapporti tra gli enti statali e le ONG, sia per l’importanza intrinseca di
questo argomento sia per fornire al lettore un esempio di come
realmente funzionano gli enti preposti alla gestione dell’APS.
Infine, nell’ultimo capitolo, si è cercato di trarre le conclusioni
derivanti dall’ analisi dei due modelli in relazione all’evoluzione della
cooperazione governativa: in questo paragrafo verranno confrontati gli
approcci all’ APS di Italia e Svezia, secondo i punti principali
individuati durante la trattazione.
4
La Cooperazione Governativa allo sviluppo
L’ aiuto pubblico allo sviluppo (APS) è di formazione assai recente: la
cooperazione allo sviluppo, infatti, prende forma definitivamente a
partire dal secondo dopoguerra. Possiamo definirla come “ogni forma
di intervento volto ad incidere nella sostanza non solo dei rapporti a
livello internazionale tra nord e sud, ma anche delle strutture
economico sociali delle aree arretrate”. La cooperazione allo sviluppo,
quindi, nasce riferendosi essenzialmente a quattro dimensioni che
identificano la modernità: industrialismo, capitalismo, controllo del
potere militare e sorveglianza ( controllo dell’informazione e della
supervisione sociale)
1
. L’idea di aiuto pubblico allo sviluppo, pur
essendo presente fin dai primi anni del 900, si consolida
definitivamente durante e dopo la seconda guerra mondiale,
avvenimento che segna, con l’esplosione della bomba atomica, un
bivio per la coscienza mondiale. La cooperazione governativa è quindi
“quel sistema di interventi intrapresi dal governo sulla base delle sue
priorità politiche volte a contribuire allo sviluppo di uno o più paesi
beneficiari”
2
. Alcuni suoi principi fondamentali vengono espressi
nella Carta Atlantica, siglata da Roosvelt e Churchill nel 1941 quando
ancora gli Stati Uniti non erano entrati in guerra: libertà di
autogoverno, condizioni paritarie di accesso al mercato,
collaborazione in campo economico , ricerca della pace. Questo ‘patto’,
oltre che ispirare anche la Carta delle Nazioni Unite, fu il sigillo dell’
alleanza tra Stati Uniti ed Europa.
Con la guerra fredda, in seguito alle divisioni tra i paesi vincitori del
conflitto, i principi di questo documento furono in gran parte
disattesi. Ciò non impedisce di individuare i primi grandi esempi di
cooperazione governativa allo sviluppo: l’ European Recovery
Programme (Piano Marshall) e l’inizio dei processi di integrazione
Europea. Il primo, con uno stanziamento complessivo da parte degli
Stati Uniti di più di 13 miliardi di dollari, contribuì sia alla rapida
ricostruzione europea sia alla crescita economica degli Stati Uniti, che
uscirono così dalla crisi che li attanagliava da quasi vent’anni. Il
processo di integrazione Europea, invece, ha avuto un significato sia
politico che economico: innanzitutto già con la nascita di
CECA(Comunità europea del carbone e dell’acciaio), CEE(Comunità
economica europea) ed EURATOM(Comunità Europea per l’energia
atomica) si iniziarono ad avere progetti di cooperazione economica tra
alcuni governi, ma tale intento derivava da un proposito di
cambiamento nell’assetto politico dell’ Europa, con il superamento
delle barriere statali ( obiettivo derivante dalla volontà di non vivere
più conflitti devastanti come in precedenza ).
Furono quindi la fine della seconda guerra mondiale e il proposito di
costruire un nuovo ordine internazionale che portarono alle prime
1
Antonelli e Raimondi, Manuale di cooperazione allo sviluppo; Sei, Torino 2001
2
Antonelli e Raimondi, Manuale di cooperazione allo sviluppo; Sei, Torino 2001
5
forme di cooperazione all’interno dell’occidente e del mondo
comunista
3
.
Il sud del mondo, invece, entrò a far parte delle preoccupazioni del
mondo industrializzato con l’inizio dei processi di decolonizzazione
che, oltre ad avvenire in un lasso di tempo molto breve stravolgendo
così il quadro geopolitico, portarono alla luce tutti i problemi e le
distruzioni provocate dal dominio coloniale occidentale, in particolare
in Africa. Tali processi fecero emergere i problemi del ‘sottosviluppo’ ,
della ‘fame nel mondo’ , della ‘povertà’ con estrema prepotenza: fu
quindi durante gli anni cinquanta e sessanta che incominciarono i
primi progetti di cooperazione con i paesi più poveri ed, in particolare,
i primi programmi di cooperazione governativa allo sviluppo. Non va
dimenticata, inoltre, l’influenza che ebbe la guerra fredda sulle
politiche di assistenza allo sviluppo di USA e URSS: in una logica di
sfere di influenza, infatti, anche la maggior parte dei PVS (paesi in via
di sviluppo) si schierò con uno dei due blocchi, fungendo spesso da
strumento per gli interessi di una delle due superpotenze. Molte
guerre in zone ‘periferiche’ del mondo sono state combattute a causa
delle diatribe tra questi due stati.
La cooperazione governativa si identificherebbe, sviluppando la
definizione data all’inizio, in qualsiasi forma di aiuto (economico,
tecnico, finanziario etc..) unilaterale caratterizzato dalla gratuità, cioè
dal fatto di non pretendere alcun rimborso da parte degli stati
beneficiari. Analizzando la situazione a fondo, tuttavia, è raro che
l’aiuto pubblico allo sviluppo non porti vantaggi al paese donatore, sia
perché alcuni fondi non sono concessi gratuitamente, sia perché
l’assistenza di questo tipo porta comunque ad avere vantaggi che
possono essere rappresentati anche dal solo fatto di avere relazioni
privilegiate con i paesi beneficiari. Altre forme di aiuto meno
rispettabili sono, ad esempio, la donazione ai PVS delle nostre
eccedenze alimentari e gli investimenti all’estero di imprese nazionali
in difficoltà. Una definizione teorica rigorosa di cosa sia esattamente
l’aiuto pubblico allo sviluppo non è facile, anche perché se pur
definiamo gli APS
4
come intervento volto esclusivamente ad
incrementare lo sviluppo del ‘partner’ ci scontriamo con la concezione
dello stesso che ha lo stato ‘donor’, la quale può variare dalle teorie e
dagli orientamenti più seguiti (teorie della modernizzazione, teorie
della dipendenza, teoria dei basic needs etc..).
Essenzialmente all’interno dell’ APS abbiamo flussi di capitali che
possono essere di tre tipi: doni in senso stretto per cui non è richiesto
nessun rimborso, assistenza tecnica, crediti di aiuto che vanno
rimborsati al paese donatore nella sua valuta e che abbiano una
componente dono non inferiore al 25% ad un tasso di sconto inferiore
al 10%. Quest’ ultima componente ha pesato moltissimo sul debito
estero dei PVS e sulla crisi del debito avutasi durante gli anni 80 a
causa dell’esagerato uso di questa soluzione senza un coerente piano
3
Ricordiamo, a tale proposito, il piano molotov per la ricostruzione delle aree dell’Europa dell’est, il
Comecon (1949) , programma di pianificazione economica per i paesi dell’est ed il Patto di
Varsavia(1951) ai fini di una mutua assistenza politico-militare
4
Aiuto Pubblico allo Sviluppo
6
d’azione: i fondi, oltre ad essere impegnati in attività vantaggiose
soprattutto per i paesi donatori , venivano usati dai governi riceventi
in politiche che con lo sviluppo spesso avevano poco a che fare
5
.
La componente dono dell’ APS spesso si trasforma in aiuto ‘legato’
(tied aid) : ciò significa che i fondi vengono concessi a particolari
condizioni, spesso atte a favorire il paese donatore. Questo accade, ad
esempio, quando un paese concede fondi per la costruzione di
infrastrutture o impianti produttivi essenziali, a condizione che i
lavori siano appaltati ad aziende dello stato donatore (sé stesso) , non
favorendo quindi la crescita di imprese locali. Questo tipo di
trasferimenti, pur essendo più controllabile da parte del donatore, è
però indicatore del grado di dipendenza dell’azione cooperativa di uno
stato da gruppi di pressione e lobbies interne.
I dati indicano sia che il volume totale di APS è in calo da una decina
d’anni, perlomeno all’interno dei paesi appartenenti al DAC
(Development Assistance committee)
6
, sia un continuo disattendere gli
impegni presi in seno all’ONU( il minimo di aiuti pari allo 0,7 del Pil)
ed in altre conferenze intergovernative (un esempio è la iniziativa
20/20 e gli impegni presi in Shaping the 21st century)
7
. Sta
cambiando inoltre il profilo della distribuzione degli aiuti, con una
diminuzione di quelli destinati alle nazione cosiddette LDCs (Least
Developed Countries) dell’ Africa e dell’ Asia meridionale.
Queste tendenze possono essere in parte imputate alla congiuntura
economica e geopolitica che si presenta durante gli anni novanta:
abbiamo innanzitutto il collasso dei regimi socialisti dovuto alla crisi
dell’URSS (parte degli Aiuti pubblici allo sviluppo sono stati destinati
a questi paesi) e poi la guerra del Golfo. L’assetto mondiale subisce
quindi un forte cambiamento di cui stentiamo ancor oggi a capire la
definitiva collocazione. Inoltre i processi di integrazione monetaria
europea sono una variabile assai importante per capire l’andamento
del volume di APS: le politiche di austerithy implementate da questi
paesi sia per arrivare all’integrazione monetaria sia a causa del
modello prevalente in questi anni, hanno portato ad una diminuzione
dell’ APS
8
. Infine l’assetto internazionale presenta un crescente divario
tra quei paesi dell’ Africa subsahariana che sono in una posizione del
tutto marginale al sistema mondiale ed alcuni paesi, come le famose
Tigri Asiatiche, che sono riuscite a portarsi su standard si sviluppo
invidiabili.
5
Su questo argomento vedasi Giulio Marcon, Le ambiguità degli aiuti umanitari, Feltrinelli 2002
6
Dipartimento nato all’interno dell’ OECD, Organization for economic cooperation and development,
di cui fanno parte ad oggi 22 stati (tra cui I più importanti donors) e la Commissione Europea. Nato nel
1961, tra i membri fondatori figura anche l’Italia.
7
L’impegno nell’ iniziativa 20/20 fu preso durante il vertice sullo sviluppo sociale di Copenaghen del
1995 rispettivamente dai governi donors e da quelli riceventi: essi si impegnavano rispettivamente a
destinare il 20% dell’aiuto ed 20% della spesa pubblica a servizi sociali di base come istruzione
primaria, assistenza sanitaria etc… In Shaping the 21st century furono invece ribaditi molti impegni
già presi in seno all’ ONU, obiettivi mai raggiunti dalla maggior parte degli stati donors.
8
Va ricordato che non tutti i paesi coinvolti nei progetti di integrazione europea hanno mancato i loro
impegni durante gli anni novanta: mi riferisco a quei paesi detti Like minded countries cioè il Canada,
i paesi scandinavi, la Danimarca e l’Olanda i quali, oltre a mantenere i livelli di APS al di sopra del
famoso 0,7% del Pil, hanno sempre dato vita a modelli di gestione dell’ APS assai innovativi
7
Per questi motivi le politiche di cooperazione governativa allo sviluppo
sono, nell’ultimo periodo, oggetto di profonde critiche ed analisi in
quanto, oltre ad avere portato a risultati poco soddisfacenti, esse
dovranno essere capaci di affrontare il problema contemporaneo più
difficile, la gestione della globalizzazione. Per capire il perché di tante
critiche basta citare qualche dato: l’ APS verso i paesi più bisognosi
negli anni novanta è diminuito continuamente passando dal 62% del
totale nel 1990 al 50% nel 1995. Inoltre i paesi del DAC appartenenti
al G7 hanno sempre versato una quota minore di aiuti in proporzione
al peso del loro PIL, contrariamente a quanto versato dai paesi DAC
più piccoli
9
.
La concentrazione dell’ APS, misurata solitamente dalla percentuale di
fondi percepiti dai primi venti beneficiari
10
, e la distribuzione
geografica dello stesso sono spesso indicatori dei criteri fondanti e
delle motivazioni che portano alla cooperazione governativa allo
sviluppo: cambiamenti di queste variabili possono dipendere sia da
fattori eccezionali (improvvise emergenze) che dagli interessi del paese
donatore. Per stabilire i motivi per cui una nazione applica certe
politiche di cooperazione vanno analizzati innanzitutto i criteri
generali di allocazione dell’ APS e, successivamente, i dati reali, per
verificare l’esistenza o meno di incongruenze con i criteri generali.
Possono esistere varie motivazioni che determinano la distribuzione
dei fondi:
• MOTIVAZIONE POST COLONIALE: cioè influenze di natura
storica verso una certa area, sono motivazioni ancora influenti
in Gran Bretagna ed in Francia;
• MOTIVAZIONE GEO-ECONOMICA: derivante dalla vicinanza
territoriale (Italia- Albania);
• MOTIVAZIONE POLITICO- ECONOMICA: pressione da parte di
uno stato sviluppato su un'altra nazione industrializzata per
avviare progetti in paesi con cui il primo non intende avere
rapporti per motivazioni politiche ideologiche (regia occulta USA
nella cooperazione giapponese con alcuni ‘stati canaglia ’);
• MOTIVAZIONE ECONOMICA concernente mercati di sbocco,
materie prime, investimenti di varia natura etc;
• MOTIVAZIONE POLITICO-INTERNAZIONALE, dettata dalla
rilevanza geopolitica di alcune aree all’interno di zone instabili o
comunque a rischio conflitto
Dall’analisi di queste motivazioni possiamo dedurre che spesso dietro
alle politiche di cooperazione vi sono propositi che hanno poco a che
fare con la solidarietà o la lotta alla povertà, ma che si collocano su
un piano più ‘egoistico’.
La presenza di criteri di questo tipo all’interno nella gestione della
cooperazione governativa è un dato di fatto, spesso però tali fattori si
combinano con altri di tipo solidaristico ed ‘ altruistico ’, sentimenti
9
I paesi G7 all’interno del DAC producono l’87% del PIL totale, ma la loro quota sul totale dell’ APS
è pari al 74%. I paesi minori pur producendo solo il 13% del PIL, versano il 26% degli aiuti.
10
La concentrazione dell’APS di una nazione è influenzata sia dal numero di paesi a cui i fondi sono
concessi sia dalla percentuale di fondi percepita dai maggiori stati riceventi. Una eccessiva dispersione
degli aiuti provoca una diminuzione dell’efficacia e dell’efficienza degli stessi.