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competenza comunicativa interculturale. Gli addetti ai servizi a cui gli
immigrati accedono sono i primi che devono possedere non solo tale nuova
coscienza ma anche le competenze di base linguistiche e metalinguistiche
per poter comunicare nel modo più efficace possibile.
Dall’osservazione diretta di come si svolgono questi particolari
colloqui ho cercato di analizzare le dinamiche e i fattori più importanti che
ne stabiliscono la specificità rispetto alle conversazioni standard della nostra
lingua. La pragmatica, gli aspetti culturali, le strategie linguistiche e gli
atteggiamenti emotivi che sono presenti nel corso di uno scambio
interculturale sono qui posti in successione a formare una fotografia,
sicuramente imprecisa e incompleta, di questo contesto situazionale.
Come suggerisce il titolo, il quadro teorico on cui mi muovo è quello
della teoria dell’azione linguistica, per cui l’atto linguistico si pone come
elemento cruciale cui è legato lo sviluppo dialogico. La particolarità del
contesto linguistico mi ha costretto qui e là ad uscire dai normali binari della
pragmatica che generalmente si osserva nell’analisi degli atti linguistici per
poter così inglobare altri aspetti di tale dinamica che altrimenti non
sarebbero stati affrontati. In questa ottica mi sono soffermato ad analizzare
la questione del pregiudizio e delle sue origini linguistiche, ampliando
quindi la mia ricerca a problematiche più latamente culturali.
1. Perché la teoria degli atti linguistici
1.1. Perché la pragmatica
Tralasciando le varie definizioni che si possono dare della
pragmatica, per le quali rimando a Levinson (1983), si può dire che questa
disciplina è passata dall’essere una sorta di “pattumiera” di ciò che non
rientrava pienamente nell’ottica della sintassi e della semantica, a campo di
studio principe per quanto riguarda l’azione linguistica. È infatti la
disciplina che si occupa dell’uso del linguaggio, che si riferisce a ciò che il
parlante comunica e non a ciò che dice, che si occupa della distanza fisica e
sociale tra gli interlocutori, che analizza insomma la reale attuazione di
regole e strutture linguistiche in un contesto, prendendo in considerazione
quella necessaria componente non linguistica che circonda le conversazioni.
Volendo in questo lavoro occuparmi della comunicazione
interculturale, ho scelto l’approccio pragmatico perché questo tipo di
scambio dialogico, al di là della sua specificità, è in primo luogo una
conversazione e come tale non si può prescindere dall’osservarne tutte le
componenti pragmatiche. Inoltre utilizzare la teoria dell’azione linguistica
come quadro interpretativo di riferimento permette di prendere in
considerazione la dimensione intenzionale e la struttura convenzionale che
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fanno parte del mondo metapragmatico che circonda le conversazioni, e
all’interno delle quali bisogna ricercare gli elementi da analizzare per il
raggiungimento della felicità comunicativa.
1.1.1. Introduzione
Comunicare è ciò che più facciamo in ogni momento della nostra
giornata, non è una capacità naturale che possediamo fin da quando
iniziamo a muovere i primi passi e a utilizzare le prime parole, la
acquisiamo solo dopo il periodo di socializzazione dei nostri primi anni di
vita all’interno di una determinata lingua, che poi si configurerà come la
nostra lingua nativa, e all’interno di una determinata rete culturale propria
del gruppo sociale in cui nasciamo. In questo periodo si sviluppa la nostra
soggettività all’interno di una struttura sociale ben definita attraverso
elementi formatori come figure familiari, scolarizzazione, contrasti culturali,
ecc; ma è soprattutto la lingua l’elemento che regola ogni relazione e che
condiziona la nostra posizione relativa all’interno del gruppo in questione.
Acquisiamo familiarità con certi modi di esprimerci, con certe strutture
linguistiche proprie dell’ambiente in cui cresciamo, con un universo comune
di significati condivisi. All’interno di una struttura sociale dove forme d’uso
e enciclopedie risultano molto simili tra loro, la lingua e le modalità con cui
comunichiamo si radicano in noi a un punto tale da diventare parte
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integrante non solo del nostro modo di relazionarci, ma della totalità del
nostro modo di agire.
Acquisiamo quindi una solida sicurezza nell’uso di certe costruzioni
linguistiche, ci rendiamo automaticamente conto dei segnali metadiscorsivi
che circondano i nostri dialoghi, identifichiamo immediatamente
l’atteggiamento con cui si riferiscono a noi gli altri interlocutori e facciamo
ampio uso di presupposizioni e implicazioni logiche, sicuri che gli altri
abbiano le conoscenze di base per risolvere le prime e siano sempre in grado
di dar vita alla catene di inferenze necessarie per completare il significato
espresso dalle seconde.
Anche nel caso in cui siamo noi i riceventi di testi, possediamo i
mezzi necessari per poterne capire il contenuto anche alla presenza di
enunciati dubbi o aperti a più interpretazioni. La struttura sociale e le
abitudini culturali che abbiamo appreso ci danno una mano in questo senso,
maggiormente se a comunicare con noi è una persona che appartiene al
nostro gruppo sociale o che per lo meno ne possiede la stessa base di
conoscenze e di convenzioni. È meno frequente in questo caso che ci siano
dei fraintendimenti tali da impedire la continuazione di una conversazione,
proprio per via del simile sviluppo della competenza comunicativa
all’interno di strutture simili. Per osservare ciò vorrei partire dal caso
contrario, ovvero dall’assenza di questo tipo di competenza comunicativa, o
forse meglio, dall’analisi degli elementi di base che tutti possediamo scevri
da implicazioni culturali, per poi arrivare a vedere come il nostro
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comportamento comunicativo sia in realtà caratterizzato da rituali e
abitudini.
1.1.2. Oltre il contesto linguistico: un contesto
pragmatico
La lingua ci mette a disposizione strumenti da utilizzare per risolvere
la maggior parte dei casi ambigui all’interno dei testi che affrontiamo. Mi
riferisco a casi di non diretta decifrabilità di un enunciato, casi a volte
semplici, costituiti ad esempio dalla presenza di termini polisemici o
omonimici, oppure da palesi errori o violazioni delle regole linguistiche. Il
co-testo, cioè l’ambito linguistico che circonda un elemento, è utilizzabile
per risolvere felicemente l’imprecisione semantica espressa da un enunciato.
Dal semplice riferimento a ciò che precede l’elemento contraddittorio o a
ciò che lo segue, dall’osservazione e dalla percezione delle sfumature date
da verbi e avverbi, come pure attraverso le costruzioni e i modi utilizzati,
possediamo numerosi elementi che specificano meglio la direzione
dell’enunciato e risolvono questi momenti di empasse. Perciò la lingua ci
offre la possibilità di uscire dalle difficoltà legate alla sua intrinseca
polisemica complessità, ci permette di discernere i significati delle frasi che
occasionalmente si sovrappongono semanticamente o sintatticamente.
Il discorso si fa complesso con la presenza della dimensione
pragmatica. Come ho detto in precedenza, l’uso del linguaggio non
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concerne solo la dimensione morfosintattica della lingua, ma consiste in
concreto nel saper inserire le regole apprese all’interno di nuove costruzioni
e nuove situazioni. Il contesto pragmatico si affianca a quello linguistico. Le
parole devono ricevere una giusta e corretta collocazione spaziale e
temporale, sia all’interno della situazione comunicativa e quindi in relazione
con tutti i parlanti, sia in riferimento diretto al mondo.
Il riferimento diretto alla realtà esterna e alla situazione
comunicativa nella lingua viene fatto attraverso gli elementi deittici. La
deissi viene generalmente divisa in deissi personale, temporale e spaziale. In
termini di persona si richiama il parlante stesso e i partecipanti alla
conversazione direttamente e appropriatamente attraverso l’uso dei pronomi
o tramite la flessione verbale, ma tenendo in considerazione anche le
conoscenze comuni degli interlocutori. A livello di collocazione spaziale e
temporale si definisce il momento della comunicazione e vi si relazionano
tutti gli eventi e tutte le situazioni descritte.
Il significato degli elementi dell’enunciato non è quindi risolto da
una qualche costruzione sintattica, ma solamente dal confronto diretto tra
parole ed espressioni utilizzate, e la situazione concreta; il cotesto già in
questo primo esempio esaurisce la sua forza chiarificatrice, introducendo
l’importanza crescente della presa in considerazione del contesto che si
trova al di là delle parole.
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1.1.3. Complessità della disambiguazione in un contesto
pragmatico
La deissi è solo uno dei collegamenti diretti che durante la
conversazione si fanno con la realtà esterna e con la situazione di
proferimento delle parole. In effetti se il significato di un’enunciazione
risiede direttamente negli elementi presenti e nel loro ordine, a livello
conversativo il significato non si esaurisce solo nelle parole dei singoli, ma
nasce dal gioco di comprensione reciproca che viene messo in atto dalle
parti. Proprio per questo è essenziale alla buona riuscita di una
conversazione che tutti i partecipanti siano in grado di disambinguare
quanto è oscuro e di agire secondo le mosse consentite e adatte alla
situazione comunicativa.
Le ambiguità che possono nascere a questo livello sono molto più
complesse di quelle semplicemente linguistiche, per via della
multidimensionalità della comunicazione. Possiamo sí avere casi di
ambiguità linguistica, ma sono più numerosi i momenti in cui bisogna
attuare uno sforzo cognitivo maggiore, pescando da tutte le esperienze di cui
disponiamo riguardo al mondo, riguardo all’altro, riguardo alle regole
conversazionali, riguardo alle intenzioni espresse. Ad esempio può risultare
dubbio il riferimento diretto di un deittico di qualunque tipo all’interno della
situazione, o per non conoscenza del termine stesso usato o per non
conoscenza del riferimento diretto. Anche lo sterminato uso che si fa,
all’interno delle nostre quotidiane conversazioni, di implicature e di
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sovrapposizioni pone ancor di più l’accento sulla necessità di un contesto
allargato di riferimento; solo la possibilità di ricorrere alle nostre
enciclopedie, ovvero a conoscenze diverse rispetto alle sole propriamente
linguistiche, ci permette di risolvere con regolare naturalezza questi
particolari momenti in cui qualcosa è omesso o sottinteso, e ci consente di
inferire in modo più o meno concorde alle intenzioni dell’interlocutore.
L’azione linguistica si muove quindi all’interno del contesto pragmatico che
circonda la comunicazione con un universo di riferimenti al mondo esterno
e alla situazione comunicativa, ma è anche parte della costruzione stessa del
significato, perché rappresenta la base su cui poggiano tutte le strutture
linguistiche che utilizziamo. Per forza di cose queste strutture ricevono
quindi una influenza diretta dall’esterno e i parlanti devono sviluppare una
competenza nella quale siano in grado di conoscere le regole che
sottostanno le conversazioni e abbiano la capacità di relazionarle
differentemente di volta in volta, da persona a persona e all’interno di
svariate situazioni in cui bisogna conoscere rituali e convenzioni ben precisi.
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1.1.4. Uso del contesto
Il contesto quindi interviene per stabilire il contenuto degli enunciati
e la sua funzione assume valenze diverse a seconda dei casi. Le due
dimensioni, quella semantica e quella pragmatica abbiamo detto, si
intersecano durante lo svolgersi della comunicazione, e le nostre inferenze,
per stabilire i significati, si muovono all’interno dell’una o dell’altra
alternativamente. Per portare un esempio, vorrei richiamare la distinzione
che viene fatta tra usi del contesto pre-semantici, semantici e post-semantici
(Bianchi 2003).
Con questa distinzione si individuano, nel caso di un uso pre-
semantico, i casi in cui il processo di disambiguazione di un enunciato si
sviluppa prima che la teoria semantica si metta in moto per assegnare a tutti
gli elementi i propri significati. È un processo propriamente cognitivo che
assegna il corretto significato ad un elemento ambiguo, prima ancora di
stabilire il contenuto dell’enunciato attraverso le regole composizionali.
Si distingue dai casi in cui il contesto è necessario per le condizioni
di certi elementi, come i deittici in cui il riferimento diretto al mondo
esterno è necessario per completare il contenuto dell’enunciato. In questi usi
semantici il contesto viene sfruttato pienamente per delineare certi tratti
della situazione, quali ad esempio le persone prese in considerazione o le
coordinate spazio-temporali.
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Quando invece ci troviamo a stabilire non tanto il significato della
frase e delle espressioni contenute, ma quello che viene definito il
significato del parlante, un livello di senso diverso da quello propriamente
letterale, come ad esempio nel linguaggio figurato o di fronte a delle
implicature, l’uso che viene fatto del contesto è post-semantico, ovvero
prima stabiliamo l’esatto contenuto dell’enunciato e poi attraverso
informazioni contestuali arriviamo a comprendere quello che è il vero
significato enunciativo. In questa situazione mettiamo in moto le nostre
conoscenze enciclopediche e soprattutto quelle che condividiamo con il
nostro interlocutore per stabilire attraverso un criterio di plausibilità con la
situazione ciò che viene realmente inferito o presupposto.
1.1.5. Competenza comunicativa
In modo lineare in questa introduzione pragmatica ci avviciniamo
sempre di più all’azione linguistica e all’osservazione della sua attuazione in
contesti situazionali differenti. Il prossimo passo è quindi osservare cosa
significhi concretamente saper parlare in un contesto sociale, che sia a noi
comune o meno. La conoscenza che si ha delle regole sintattiche e
semantiche della lingua non è abbastanza per poter essere in grado di dare
vita ad una comunicazione felice con altri individui che sanno invece agire
come attori ratificati all’interno di un contesto. Bisogna possedere appunto
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una competenza delle procedure comunicative, che permetta di stabilire il
“come” e il “quando” utilizzare certe forme e preferirle ad altre da usare
invece in contesti differenti o in un momento diverso della conversazione.
Questa è quella che viene definita competenza comunicativa e, nonostante
sia estremamente difficile darne una definizione precisa, quella che segue è
una panoramica utile almeno per comprenderla.
1.1.5.1. Uso dei contesti attraverso livelli di
significato di un enunciato
La semantica permette quindi di avere un ventaglio di soluzioni
possibili, le convenzioni linguistiche fanno si che tutti i significati attribuiti
alle singole unità confluiscano in un contenuto, che relazionato al mondo
può essere soggetto a più soluzioni. Secondo quanto precedentemente detto
riguardo agli usi del contesto, il procedimento pragmatico è il processo che
definitivamente interviene per stabilire il corretto contenuto. Il criterio
retrostante questo passaggio non è ben definibile, è legato alla giusta
capacità che si deve possedere per sapere correlare la lingua con i contesti
d’uso, all’attribuzione di una certa plausibilità dettata dalle conoscenze
proprie e condivise che si hanno e che fanno da termine di paragone.
Ma il processo di codificazione non si ferma qui. Il contenuto è il
primo passaggio che affrontiamo durante uno scambio comunicativo ed è
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strettamente legato alla capacità linguistica che si arricchisce di
procedimenti pragmatici e diventa mezzo necessario per i passaggi
successivi di attribuzione dei significati. Dopo aver stabilito il contenuto è
necessario affrontare quella dimensione di significato che viene veicolata
dalle parole ma che non si trova direttamente in esse, ma nelle intenzioni
che le muovono. Questo è un salto da un livello di senso co-testuale,
risultato delle convenzioni linguistiche, ad una dimensione che si slega dalle
parole per andare a inserirsi nell’universo cognitivo degli individui,
poggiata sulle convenzioni sociali e sui rituali culturali.
Più concretamente, ogni enunciato visto in sé rappresenta un
significato astratto, potremmo dire acontestuale che nasce direttamente dalle
convenzioni semantiche. Un significato che visto da questa prospettiva
indica il medesimo contenuto in qualsiasi situazione lo si pronunci. È chiaro
che all’interno del contesto, una esclamazione che possiamo fare viene
invece ad assumere significati veicolanti ognuno una idea diversa e tendenti
a stimolare reazioni differenti. Questo non è più ciò che vuol dire la frase in
maniera acontestuale, ma rappresenta ciò che intende il parlante. Tra questi
due poli, il primo totalmente linguistico e il secondo pragmatico, v’è un
livello intermedio di significato che è l’attualizzazione del significato della
frase al momento preciso della comunicazione. Questo è il momento in cui
l’enunciato si svuota dalla sua universalità per caricarsi di una dimensione
contestuale che identifica precisamente una determinata situazione. Questo
completamento del significato frasale attraverso le informazioni contestuali
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viene definito da Grice (1969) “significato enunciativo” (Papi 2000: 174)
ed è il mezzo attraverso il quale identificare ciò che il parlante intende, cosa
che, in uno scambio dialogico, è necessario afferrare per continuare la
conversazione.
L’acquisizione di significati diversi dal senso letterale e dal
completamento deittico della frase trae inoltre origine da ulteriori coordinate
contestuali. Esse si legano a fenomeni totalmente cognitivi basati sulle
reciproche conoscenze e sulle intenzioni dei partecipanti e, variando
totalmente da situazione a situazione, possono allontanarsi notevolmente dal
semplice significato frasale. Riprendendo quanto detto nel paragrafo
precedente, tale capacità comunicativa, “è retta da abilità cognitive che
condividono molte caratteristiche con la competenza grammaticale. Si tratta
di processi di socializzazione e, una volta interiorizzati, essi sono di solito
impiegati automaticamente senza riflessione consapevole” (Gumperz 1984:
279, cit. in Papi 2000: 79).
È una competenza d’uso della lingua grazie alla quale si conoscono
le strutture che reggono la messa in atto degli eventi comunicativi. Tale
competenza fa quindi parte dello stesso sviluppo evolutivo della competenza
grammaticale, ma è influenzata notevolmente e alimentata dall’esperienza
sociale, dalle aspettative e dai bisogni, dai motivi che spingono all’azione e
dai risultati delle azioni stesse.