2
è evidente nell’esiguità dei testi più significativi a riguardo e che abbiamo evidenziato
sotto la categoria prospettive teologiche. Vi trovano posto riflessioni teologiche desunte
dall’opera di uno storico come Alberigo (dunque non propriamente un teologo) e due
riferimenti autorevoli (Congar e Lonergan) il cui specifico è però, in realtà, altro. Il
lavoro più importante e significativo è quello di O’Malley, un tentativo datato ma
l’unico trovato che intenda dare una consistenza teologica al termine aggiornamento. Il
contributo di Butler è più sul lato della testimonianza, quello di D’Ambrosio si pone su
un versante di storia della teologia, tratteggiando con efficacia l’avventura speculativa
della cosiddetta nouvelle théologie che egli, giustamente, propone di chiamare
ressourcement theology e, infine, quello di Giardini, che, però ha un chiaro taglio
soprattutto pastorale.
Con O’Malley dobbiamo concludere che “fino ad oggi poca letteratura scientifica ha
trattato esplicitamente l’idea di aggiornamento”
7
L’impressione netta è che
aggiornamento sia stato piuttosto uno slogan, una bandiera, un contenitore dove veniva
(e viene) catalogato – quasi acriticamente – tutto quello che riguardava il tema del
rinnovamento ecclesiale. La cosa è evidente nella letteratura di provenienza belga,
olandese o canadese. Il termine indica comunemente un cambiamento generalizzato
della prassi ecclesiale o della teologia. E, in realtà, ciò che mancava alla base – e che
manca ancora – è un’adeguata riflessione teologica sul tema della riforma della Chiesa,
e, a monte, la tematizzazione del rapporto presente/passato come di nuovo osserva
acutamente O’Malley
8
.
Più significativi, allora, sembrano essere altri filoni.
Quello storico anzitutto, con un percorso che tende a mettere in luce la provenienza
di questo tema e il suo legame con il millenario problema della reformatio ecclesiae. In
modo particolare sembrano molto preziosi i lavori di Alberigo e di Melloni nello studio
storico critico di alcuni testi fondamentali e nel cercare di ricostruire come e perché il
cardinal Roncalli cominciò ad utilizzare un termine che poi divenne così
7
“Even today little serious literature explicitly treats the idea of aggiornamento”. JOHN W.
O'MALLEY, Reform, historical consciousness, and Vatican II's aggiornamento, in Theological
Studies 32 (1971) p.573, n.1.
8
“Despite the incalculably great impact of the idea of reform has had on the thought and practice
of the Western Church, theological reflection upon it has been minimal and his history has never
been fully written”. Ibidem, p.573. Lo studio più significativo a riguardo, oltre alla celebre opera di
YVES M.-J. CONGAR, Vraie et fausse réforme dans l’Église, Cerf, Paris 1950, sembra ancora
essere G. B. LANDER, The Idea of Reform. Its Impact on Christian Thought and Action in the Age
of the Fathers, Cambridge Massachusset 1959.
3
esemplificativo.
Meno importanti sono tutta le serie di testi legati alla vita religiosa
9
. Sia perché
afferiscono ad un particolare settore della vita ecclesiale, sia perché sono come confinati
in un periodo storico molto delimitato e, infine, perché spesso trattano questioni di
carattere giuridico o di tipo ascetico e pratico.
La domanda, quindi, emerge forte: che cos’è l’aggiornamento per un ecclesiologo?
Possono rintracciarsi delle coordinate di interpretazione teologica di questo termine? È
possibile pensare ad una ecclesiologia che consideri il tema dell’aggiornamento come
rilevante?
L’importanza di dare una risposta a questi interrogativi sembre giungere da due
direzioni. La prima è l’autorevolezza con cui i Papi del Concilio Vaticano II hanno
utilizzato questa categoria
10
. La seconda dalla questione sull’ermeneutica conciliare che
in tempi recenti ha interessato il dibattito teologico e il magistero
11
.
Quello di questo studio è il tentativo piccolo, ma chiaro di cominciare a delineare una
possibile risposta a partire da un quesito semplice nella sua formulazione, ma complesso
nella sua soluzione: cosa dice “il Concilio” a proposito?
La strada scelta si pone su di un versante più propriamente teologico. E, in modo
specifico, ecclesiologico. Lo scopo ultimo è comprendere che cosa intendeva il Concilio
con l’idea di aggiornamento in riferimento alla Chiesa e al suo rinnovamento. E
l’ambito che si vuole indagare è quello, in parte inesplorato, del testo conciliare proprio
come testo complessivo.
Due premesse sono necessarie. Premesse che affrontano anche due ostacoli da
superare per dare senso e valore alla ricerca da compiere.
La prima è che il Concilio non utilizza mai la parola aggiornamento.
La ragione principale è che i documenti sono scritti in latino e non c’è un termine che
9
Tuttavia si notano le interessanti considerazioni iniziali di C. PEIFER, Monastic renewal revised:
ressourcement and aggiornamento, in Abstract 51/1 (2000) 24-43 sulla natura del processo di
rinnovamento.
10
Vedi più sotto: p.4.
11
In tal senso vedi la critica – non sempre serena e giustificata – di Marchetto alla monumentale
Storia del Concilio Vaticano II curata da Giuseppe Alberigo (AGOSTINO MARCHETTO, Il Concilio
Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2005), come anche gli interventi del card. Camillo Ruini al Consiglio Permanente della
C.E.I. del 23 gennaio 2006 (http://www.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2006-01/24-
26/ProlusioneRuini.rtf) e l’importante discorso alla Curia di Benedetto XVI del 25 dicembre 2005
(http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2005/december/documents/hf_ben_xvi_
spe_20051222_roman-curia_it.html).
4
traduca la parola italiana. D’altra parte, però, i testi conciliari non usano in maniera
univoca qualche terminologia precisa al riguardo. L’unica eccezione è l’uso
dell’espressione accommodata renovatio in Perfectae caritatis
12
. Ma proprio l’uso
limitato in quel particolare contesto e la sua unicità rivelano che non c’è l’intenzione da
parte del Concilio di “codificare” una specifica espressione per aggiornamento. Come
se i testi volessero quasi intenzionalmente conservare una pluralità di lemmi per
esprimere le diverse sfumature di un termine complesso e poco utilizzato nel campo
teologico ed ecclesiale, che, in effetti, si presenta come una novità non solo
terminologica, ma anche concettuale
13
.
E tuttavia sia Giovanni XXIII
14
che Paolo VI
15
hanno indicato con questa parola il
proprium dei lavori conciliari e la coscienza diffusa ai tempi del Concilio era proprio
che si stesse operando un vero e proprio aggiornamento della Chiesa
16
. L’uso di tanta
letteratura dell’epoca, che in parte si trova elencata in bibliografia, lo prova. Si può
concludere che aggiornamento sia una di quelle parole magiche che tutti usano, che tutti
pensano di capire, che offrono una sorta di base comune su cui tutti si ritrovano.
Inevitabile che i testi conciliari siano impregnati di questa idea.
Per rintracciarne le orme abbiamo scelto la via di individuare una serie di termini che
mediano il significato di “aggiornamento” e analizzare il significato che i testi del
Concilio gli offrono. Abbiamo volutamente escluso un’analisi storica dei testi,
analizzando, cioè, come dal dibattito conciliare si sia giunti a quelle formulazioni. Sia
12
Cfr. CHRISTOPHER BUTLER, L’aggiornamento del Concilio Vaticano II, in La teologia dopo il
Vaticano II (a cura di JOHN M. MILLER), Morcelliana, Brescia 1967, p. 13.
13
Si vada a proposito l’interessante analisi di O'MALLEY, Reform, pp.589-601.
14
Oltre ad alcuni passaggi dell’allocuzione del 25 gennaio 1959, con cui Giovanni XXIII “lanciò”
l’idea di un Concilio Ecumenico, la bolla di indizione del Concilio e il celebre discorso di apertura
del Concilio Gaudet Mater Ecclesia (Enchiridion Vaticanum 1. Documenti ufficiali del concilio
Vaticano II (1962-1965), EDB, Bologna, 1993, nn. 26*-69*. D’ora in poi abbreviato con la sigla
EV), ci sono diversi riferimenti nei discorsi degli anni 1962 – 1963. A questo riguardo vedi G.
ALBERIGO, L’amore alla Chiesa: dalla riforma all'aggiornamento, in Con tutte le forze. I Nodi
della fede cristiana oggi. Omaggio a G. Dossetti, Marietti, Genova 1993, pp. 173-175 e IDEM,
Transazione epocale?, in Storia del Concilio Vaticano II, vol. 5: Concilio di transizione (il quarto
periodo e la concusione del Concilio [1965]), Peeters / Il Mulino, Bologna 2001, pp. 580 – 582.
15
Importanti e significativi sono il discorso di apertura del secondo periodo (dove però non usa il
termine aggiornamento), o quello all’ottava sezione (EV 441*) e la seguente citazione dalla
Ecclesiam suam al n. 184: “La parola, resa ormai famosa, del nostro venerato predecessore
Giovanni XXIII di felice memoria, la parola "aggiornamento" sarà da noi sempre tenuta presente
come indirizzo programmatico; lo abbiamo confermato quale criterio direttivo del concilio
ecumenico, e lo verremo ricordando quasi uno stimolo alla sempre rinascente vitalità della
chiesa, alla sua sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi, e alla sua sempre giovane
agilità di "tutto provare e di far proprio ciò ch’è buono", sempre e dappertutto”.
16
Oltre ai diversi giornali o diari di molti Padri o teologi presenti al Concilio si può leggere il
saggio testimonianza di BUTLER, L’aggiornamento [orig. The aggiornamento of Vatican II, in
Vatican II: ad interfaith appraisal, University Press, Notre Dame (Indiana) 1966, pp. 3-13].
5
perché esulava dalla portata di questo lavoro, sia perché ciò con cui occorre confrontarsi
primariamente è proprio il testo conciliare così com’è, come è stato consegnato alla
tradizione ecclesiale. Ci interessa il Concilio anzitutto come il textus che è stato
consegnato alla vita della Chiesa e alla sua ricezione.
Un’altra premessa, allora, si impone. Che cosa intendiamo per “Concilio”?
Lo tratteremo come fosse l’autore di un testo che ha una finalità propria, un’idea da
comunicare a qualcuno.
Storicamente, lo sappiamo, non è vero. I testi conciliari sono il risultato di una
scrittura complessa sia nel momento della loro produzione, sia come risultato di una
delicata opera di equilibri tra le diverse anime della Chiesa.
Tuttavia un testo individua un autore. Necessariamente.
Ogni testo evidenzia qualcosa che qualcuno dice.
Il qualcosa è quello che cercheremo di scoprire. Il “qualcuno” lo considereremo
generalmente “il Concilio”, “i Padri conciliari”. In tal senso tralasciamo la questione
della corrispondenza tra l’autore che il testo mostra e quello reale. Già molta letteratura
teologica e storica si è occupata di questa analisi che ha generato diversi dibattiti e
condotto a risultati importanti
17
.
Quello che ci interessa è interrogare il testo conciliare preso in sé, come complesso
totale, come fosse un’opera unitaria. Come inserito, e in realtà lo è, in un processo
comunicativo per cui un emittente (il Concilio) vuole comunicare delle idee a qualcuno
(la Chiesa e il mondo) attraverso un testo scritto. E, in modo più specifico, ci interessa
conoscere, all’interno di questo complessa mole di “testo”, quale idea il soggetto
“Concilio” esprime sull’aggiornamento della Chiesa.
È questo l’obiettivo della nostra indagine.
Poste queste premesse e delineato l’obiettivo finale del lavoro risulta chiaro il campo
di ricerca: i testi del concilio così come sono stati consegnati alla Chiesa.
Resta da stabilire come “recuperare” il tema dell’aggiornamento.
Il termine, abbiamo detto, non è usato. Occorre, allora, trovare dei termini che ne
medino il significato.
17
Per una rapida ed efficace sintesi vedi ANGEL ANTÓN, Ecclesiologia postconciliare: speranze,
risultati e prospettive, in LATOURELLE R. (a cura di), Vaticano II: Bilancio e prospettive.
Venticinque anni dopo (1962-1987), I vol., Assisi 1987, pp.374-375.
6
E, allora, si impone un’altra precisazione: che cosa intendiamo per aggiornamento.
Tra i tanti significati che la parola potrebbe avere, ci riferiamo al rinnovamento
ecclesiale in tal senso generico, senza volerlo già caricare di qualche significato
specifico
18
.
C’è tutta una serie di parole, con i relativi spettri sintattici e semantici, che mediano
questa idea. Sono, in ordine di significatività, accommodatio, renovatio, reformatio,
aptatio. L’uso di queste parole esprime l’idea che qualcosa cambi nella Chiesa: l’idea
principale, di base dell’aggiornamento. Non sempre, come vedremo, sono usati con
valenza teologica o con un senso forte. Spesso possono riferirsi anche alla vita
economica, sociale. Oppure a volte sono utilizzati perché presenti in citazioni bibliche
che si riferiscono ad altri temi. Altre volte esprimono delle idee teologiche (come la
restaurazione di ogni cosa in Cristo oppure la conversione cristiana) che interessano in
maniera indiretta la questione del rinnovamento ecclesiale. Tuttavia in alcuni luoghi
individuano delle visioni del rinnovamento ecclesiale molto approfondite e complesse.
Una possibile obiezione potrebbe essere che la categoria dell’aggiornamento
riguarda ogni testo del Concilio e che non può essere limitato ad una serie di testi dove
compaiono dei termini particolari
19
. Ed è chiaro che il Concilio – ma potremmo dire
ogni concilio – ha avuto come scopo generale il rinnovamento ecclesiale.
La nostra scelta è chiaramente strumentale alla ricerca da compiere e solo in questo
quadro ha senso e significato. E’ un modo di studiare i testi del Concilio come può
essere la lettura storica o filosofica. Il metodo che utilizziamo è quello dell’analisi del
testo. Intendendo per testo non solo lo scritto in quanto tale, ma lo scritto come
mediazione di un processo comunicativo in cui un emittente vuole comunicare qualcosa
a qualcuno che riceve, come già abbiamo evidenziato.
L’indagine è, in qualche modo semplice, lineare. Partire dal testo per giungere alla
teologia espressa del Concilio, mettendo volutamente da parte tutta la ricchezza dell’iter
18
Prescindiamo, dunque, anche dalle indicazioni della preziosa ricerca di O'MALLEY, Reform, che
evidenzia il sostrato della tradizione ecclesiale e della coscienza storica contemporanea dei Padri
conciliari. In qualche modo facciamo una lettura simile alla sua applicando ai testi del Concilio
non i risultati della filosofia ermeneutica di Gadamer e Ricoeur che utilizza O’ Malley, ma
riferendoci a tutta la ricca esperienza della semiotica, della filosofia del linguaggio e delle teorie
della comunicazione.
19
A questo riguardo si vedano le obiezioni esplicite di ALBERIGO, L’amore alla Chiesa, p. 186:
“Isolare i passi delle decisioni dedicati all’aggiornamento vulnerebbe il significato globale
dell’insegnamento conciliare”. E tuttavia anch’egli, poco prima, avverte l’esigenza di esplicitare
attraverso due citazioni tale significato globale.
7
della produzione dei testi. Non per pigrizia o per negare l’importanza di questo
momento di ricerca. Ma per ragioni che precisiamo con più attenzione:
Anzitutto una ragione di metodo teologico: ciò che viene prima è il testo così
come è consegnato. Il traditum è l’oggetto proprio della traditio e non tanto il
come si giunge al documento finale. L’indagine storico critica serve nella misura
in cui aiuta a comprendere con maggiore profondità il testo dato, ma può essere
di poca utilità se lo sostituisce. In questa prospettiva il dettato dei testi conciliari,
pur nella loro faticosità, a volte nella evidente stratificazione e giustapposizione
delle opinione delle diverse anime operanti al Concilio, evidenzia non soltanto
un limite, ma una ricchezza ampia. Come dire, ciò che per l’indagine storica o di
critica testuale è un limite, una situazione problematica, all’indagine testuale e
teologica rischia di essere una vera e propria miniera, un’autentica ricchezza.
La scienza semiotica, la filosofia del linguaggio, le teorie della comunicazione,
inoltre, ci avvertono sempre più dell’importanza del testo in quanto tale quale
fabula globale che racconta e trasmette pur nella sua frammentarietà e
limitatezza. Il testo in quanto tale, in quanto “dato”, sempre più acquista
importanza come oggetto di studio in sé al di la del processo della sua
produzione, che se è importante per la comprensione della sua genesi, tuttavia è,
in qualche modo, poco rilevante ai fini della comprensione del messaggio che il
testo emesso comunica a chi lo accosta.
In tale ottica ci interessa capire che cosa le “parole” consegnate alla tradizione
ecclesiale dicono. Ciò che ci interessa esplorare sono i luoghi in cui attraverso la
formulazione scritta il Concilio evidenzia una sua idea del rinnovamento del corpo
ecclesiale. Ci interessa interrogare i testi per comprendere quale “teologia” a riguardo
esprimono in maniera esplicita e diretta.
Un caso esemplificativo, in tal senso, è la Dei Verbum. Una Costituzione essenziale
del Concilio, fondamentale proprio per il suo ruolo chiave nell’aggiornamento della vita
della Chiesa. Ma in essa, per il tema e per la formulazione, non compare traccia del
tema del rinnovamento ecclesiale. Per cui la metteremo da parte, ne elencheremo
qualche piccolo brano, tra l’altro poco rilevante. Non, certo, perché non sia un
documento significativo del Concilio, né tanto meno perché sia stato irrilevante nella
8
Chiesa post conciliare. Ma, pur essendo uno dei cardini dell’opera di rinnovamento
della vita ecclesiale che il Vaticano Secondo ha prodotto, non dice nulla riguardo al
tema dell’aggiornamento della Chiesa e perciò non entra nel campo di indagine di
questo lavoro.
Quanto all’analisi dei testi procederemo in ordine di importanza iniziando dalle
Costituzioni, con l’esclusione della Dei Verbum, chiaramente (1° capitolo),
considerando poi tutti gli altri documenti che hanno qualche testo in cui si parla in
maniera significativa dell’idea dell’aggiornamento ecclesiale. Elencheremo, infine, i
testi meno significativi (2° capitolo).
In ultimo tenteremo di raccogliere le idee emerse in maniera sistematica per
evidenziare un possibile modo di presentare quella che possiamo a vero titolo chiamare
la teologia del Concilio Vaticano Secondo riguardo all’aggiornamento (3° capitolo).
Così si interrogano i testi prodotti dal Concilio Vaticano E si giunge ad una
ricchezza teologica non indifferente. Una ricchezza che non viene scalfita dai limiti
evidenti di una serie di testi composti da anime a volte perfino contrapposte. Neanche è
scalfita dal fatto che son testi datati.
La ricerca sembra che giunga a porre delle basi di partenza per cominciare a valutare
un’idea: la categoria di aggiornamento potrebbe costituire la chiave ermeneutica
complessiva del Concilio Vaticano Secondo? Quella che permette poi anche ad altre di
essere comprese e utilizzate?