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INTRODUZIONE
Il termine che ha da sempre accompagnato l’Africa, in particolare la
regione subsahariana, è stato quello di “sottosviluppo”. Un continente, per
alcuni, condannato in maniera irreversibile alla povertà, alle guerre, alle
malattie che da lungo tempo affliggono questo territorio, tanto da spingere
il settimanale “The Economist”, nel 2000, a definirlo un “continente senza
speranza”. In realtà, gli ultimi dati raccolti, relativamente alle variazioni
annue del Pil e del Pil pro capite, mostrano un’Africa diversa, nuova,
“emergente”, la cui ripresa e accelerazione economica appare confermata
da una crescita annua che supera il 5% medio a partire dal 2000 fino quasi a
toccare il 6% nei cinque anni immediatamente precedenti la crisi economica
globale. Si aggiunga, poi, che ben sei dei dieci paesi che, a livello mondiale,
hanno ottenuto i maggiori tassi di crescita nel decennio passato sono paesi
subsahariani (Angola, Nigeria, Etiopia, Ciad, Mozambico, Rwanda) e che si
sono attestati attorno o al di sopra dell’8% . I progressi hanno investito non
soltanto i settori agricolo, minerario e petrolifero, ma anche quelli relativi
alle infrastrutture, alle telecomunicazioni e servizi bancari.
I dati relativi alla crescita africana, che hanno cominciato a circolare intorno
al 2005 ma che si sono consolidati solo negli anni più recenti, hanno
generato un diffuso stupore e ottimismo tanto che lo stesso “The
Economist”, tornando sui propri passi, ha dedicato al continente la
copertina della sua rivista, nel 2008, con il titolo “There is Hope”, proprio a
conferma di considerazioni generali sul continente di segno opposto a
6
quelle tradizionalmente espresse
1
. La stessa sociologia dello sviluppo ha,
nel corso del tempo, visto un’articolata evoluzione delle riflessioni e delle
analisi incentrate sul tema del sottosviluppo, che ha condotto alla nota
Teoria dei Sistemi Mondo elaborata per la prima volta da I. Wallerstein e
oggetto specifico del presente lavoro.
Ripercorrerò, brevemente, nel primo capitolo, le idee alla base dei due
principali paradigmi teorici della sociologia dello sviluppo che
rappresentano un’importante novità nella trattazione della questione
“sviluppo”, nonché i precedenti storici della prospettiva teorica di
Wallerstein: la teoria della modernizzazione e la teoria della dipendenza.
Nel secondo capitolo esaminerò i punti fondamentali del pensiero di
Wallerstein e gli elementi di novità rispetto ai due precedenti paradigmi
della ricerca sociale cercando, altresì, di valutare l’effettiva portata di
questo nuovo approccio con particolare attenzione all’Africa Subsahariana.
Nel terzo capitolo mi occuperò dei contributi specifici apportati a questo
approccio da Samir Amin e Giovanni Arrighi, sulla base delle loro opere
principali e dell’evoluzione che il loro pensiero ha mostrato nel corso del
tempo in considerazione dei grandi cambiamenti del sistema economico
mondiale contemporaneo.
Infine, nel quarto e ultimo capitolo, analizzerò l’esperienza africana allo
scopo di fornire una chiave di lettura per comprendere le attuali dinamiche
strutturali economiche e politiche della regione e valutare l’effettiva portata
dell’approccio del sistema mondo relativamente ad essa.
1
Carbone, G., L’Africa, 3 ed., Il Mulino, Bologna, 2012, pp. 219 e ss.
7
1. WORLD SYSTEM APPROACH. ORIGINI
La Teoria dei Sistemi Mondo, elaborata per la prima volta da Immanuel
Wallerstein a partire dalla metà degli anni Settanta, è il risultato di
un’evoluzione teorica nell’ambito della sociologia dello sviluppo all’interno
della quale, nel corso del tempo, si è assistito ad un’articolata produzione di
riflessioni e analisi incentrate sul tema del sottosviluppo. Affinché si possa
cogliere pienamente la portata di questo nuovo approccio e l’impatto che
esso ha avuto nella ricerca sociale, è necessario ripercorrere le idee alla base
dei due principali paradigmi dottrinali della sociologia dello sviluppo che
possono essere considerati gli antecedenti teorici della prospettiva di
Wallerstein: la teoria della modernizzazione e la teoria della dipendenza.
Questo primo capitolo sarà dedicato proprio alla definizione di queste due
prospettive che rappresentano, tra le altre cose, un’importante novità nella
trattazione della questione “sviluppo”, con particolare riferimento al caso
africano.
1.1 LA TEORIA DELLA MODERNIZZAZIONE
La teoria della modernizzazione integra e approfondisce, nel quadro
analitico, l’osservazione che lo “sviluppo” non possa essere ricondotto alla
sola dimensione economica, ma che, al contrario, debba tendere a ricalcare
il percorso socio-politico, ancorché economico, intrapreso dai paesi
occidentali che, per questa ragione, assurgono ad emblema della modernità.
8
Così come riportato nel testo di Gianfranco Bottazzi, «il termine
modernizzazione fu certamente introdotto per ragioni diplomatiche, dal
momento che il termine più corretto sarebbe stato “occidentalizzazione”
2
».
Un percorso obbligato, dunque, l’unico in grado di avviare un processo
unilineare e positivo tale da sollecitare il cambiamento necessario alle
società arretrate nella sfera della tecnologia, dell’economia, della politica e
della società. È utile a questo punto ricordare che, come più volte ribadito
dai sociologi dello sviluppo, non esiste una teoria della modernizzazione,
in quanto si tratta piuttosto di «una varietà di prospettive applicate dagli
studiosi non marxisti al Terzo Mondo
3
».
Le teorie della modernizzazione hanno dominato, negli anni Cinquanta e
Sessanta, il panorama degli approcci sociologici, fungendo da riferimento
teorico nel cosiddetto “primo decennio” dello sviluppo. In base alla
definizione proposta dall’Enciclopedia delle Scienze Sociali,
[…] gli aspetti più significativi della modernità vengono individuati a livello
economico nello sviluppo industriale, a livello politico nell'affermarsi delle
istituzioni democratiche e a livello culturale nella crescente secolarizzazione, che
si accompagna a un ampliamento della libertà di scelta degli individui nelle
relazioni sociali. Questi fenomeni riflettono, nel loro insieme, l'esperienza storica
che ha segnato le società occidentali in seguito alle due grandi rivoluzioni
settecentesche: quella industriale, iniziata nel corso del secolo in Inghilterra, e
quella politica, avviatasi in Francia sul finire degli anni Ottanta
4
.
Ciò comporta rinvenire la causa del mancato sviluppo di un paese nel
sistema istituzionale e culturale e in una serie di valori, norme e
consuetudini che scoraggiano gli atteggiamenti acquisitivi orientati alla
trasformazione delle condizioni economiche e sociali, tipici della
“modernità”. Per cui, quanto più ci si allontana dal modello originale di
2
Cit. Bottazzi, G., “Sociologia dello sviluppo”, Edizioni Laterza, Bari, 2009, pp. 63.
3
Ibidem.
4
Cfr. Trigilia, C., Modernizzazione , 2009 in Enciclopedia delle Scienze Sociali consultabile al
seguente link
http://www.treccani.it/enciclopedia/modernizzazione_%28Enciclopedia_delle_scienze_sociali%29
/
9
riferimento, quello occidentale, tanto più cresce il distacco tra paesi ricchi e
poveri e tanto più si indebolisce la spinta propulsiva alla grande
trasformazione delle società arretrate. La dicotomia modernità/tradizione
diventa, così, la colonna portante delle suddette teorie. Da un lato vi sono
le società moderne, sviluppate, dall’altro le società tradizionali,
sottosviluppate.
Tra le assunzioni di queste teorie c’è sicuramente quella di ritenere che le
società tradizionali presentino le stesse caratteristiche delle società
occidentali prima del loro sviluppo e della loro modernizzazione. Come ci
spiega Bottazzi, «sul piano pratico, (infatti) la questione diventa soprattutto
quella di comprendere le caratteristiche delle società tradizionali, la loro
collocazione nel percorso verso la modernità e quella di suggerire come
agevolare e accelerare il processo nei paesi sviluppati
5
».
1.1.1 Origini: l’approccio struttural-funzionalista
A dare un forte impulso all’approccio della modernizzazione contribuirono
soprattutto gli esponenti dello struttural-funzionalismo e, in particolar
modo, il lavoro svolto da Talcott Parsons, considerato uno dei padri della
sociologia. Questa scuola di pensiero ebbe origine dagli studi antropologici
di Malinowski, il quale sosteneva che, in ogni tipo di civiltà, ogni costume,
ogni oggetto materiale, idea o opinione adempisse una qualche funzione
vitale utile al mantenimento dell’intera cultura.
Sulla base di questa considerazione, poi ripresa e ampliata, il metodo dello
struttural-funzionalismo si proponeva di spiegare qualsiasi istituzione
sociale particolare mediante il ruolo, da essa svolto, al fine di mantenere la
società più ampia possibile.
Similmente, poiché ogni essere umano e ogni sistema o sub-sistema sociale
era caratterizzato da un analogo insieme di necessità funzionali che le
5
Cit. Bottazzi, G., “Sociologia dello sviluppo”, Edizioni Laterza, Bari, 2009, p.64.
10
strutture sociali dovevano soddisfare, le diverse società potevano essere
comparate a prescindere dalle differenze di storia e di ambiente.
Secondo l’analisi di Parsons, inoltre, le società sviluppate e quelle arretrate
potevano essere individuate e distinte sulla base di cinque coppie di
variabili strutturali (da lui definite pattern variables
6
) attraverso cui
spiegare la sostanziale dinamicità della struttura sociale moderna rispetto
alla sostanziale rigidità della struttura sociale tradizionale. In particolare,
quello che Parsons cercava di mettere in luce era il fatto che,
mentre la struttura sociale tradizionale si presentava gerarchica e autoritaria,
poiché la sua organizzazione rispondeva alla logica dell’appartenenza in base ai
vincoli di sangue, che perciò rendevano preminenti i rapporti fondati sui gruppi
primari quali la famiglia e la parentela, nelle società moderne si registrava una
maggiore importanza dell’individuo e un riconoscimento del suo agire. Questo
significava che la società tradizionale limitava l’azione del soggetto, laddove
l’assetto sociale moderno era tutto rivolto ad agevolarlo
7
.
L’attenzione dei funzionalisti, dunque, era posta su quegli orientamenti
culturali che caratterizzavano le società tradizionali e che di fatto ne
ostacolavano lo sviluppo economico:
anzitutto, la prevalenza di norme che facevano dipendere le relazioni economiche
dall'ascrizione piuttosto che dal principio di prestazione. Ciò implicava che i ruoli
economici […] erano assegnati sulla base di criteri di appartenenza a un
determinato gruppo (gruppo d'età, famiglia, razza, casta, ecc.), piuttosto che sulla
base di criteri fondati sulle capacità. Al peso dell'ascrizione tendeva anche ad
6
Le coppie di variabili strutturali individuate da Parsons, che rappresentano le alternative di ruolo
che si presentano al soggetto agente nel corso della sua azione, sono: affettività / neutralità
affettiva, intendendo la necessità di scelta tra soddisfazione immediata secondo l’impulso affettivo
o la rinuncia; ego/ orientamento in vista della collettività, a seconda che prevalgano interessi
privatistici o collettivi; universalità/particolarismo, a seconda se il soggetto agente consideri
l’oggetto con cui entra in rapporto o nei tratti che lo rendono comune a un’intera categoria o nella
sua singolarità; realizzazione/attribuzione, a seconda se l’oggetto è considerato per ciò che produce
o per ciò che è di per se stesso, per le sue qualità intrinseche; specificità/diffusione, se il soggetto
prende in considerazione alcuni aspetti del suo oggetto o la sua totalità.
7
Cit. Bianco, A., “Introduzione alla Sociologia dello sviluppo”, Franco Angeli Ed., 2004, pp. 45-
46.
11
accompagnarsi, nelle società tradizionali, un atteggiamento particolaristico in
virtù del quale il processo di valutazione dei soggetti con cui si interagiva
nell'esercizio di determinati ruoli economici o politici non dipendeva da criteri
aventi validità generale, ma da criteri che mutavano con il mutare delle
caratteristiche dei soggetti stessi (per esempio a seconda che essi appartengano a
una determinata famiglia, razza o casta, ecc.). Infine, si notava come gli
orientamenti culturali prevalenti non incoraggiassero la specializzazione, il che
determinava una scarsa differenziazione dei ruoli dal punto di vista funzionale, e
quindi una limitata crescita della produttività. Perché si avviasse lo sviluppo era
necessario che i modelli culturali e le strutture sociali si modernizzassero
avvicinandosi alle caratteristiche, a loro volta strettamente interdipendenti, di
razionalità, universalismo, prestazione e specificità funzionale, tipiche delle
società moderne dell'Occidente
8
.
Modernizzare le strutture per avviare lo sviluppo: questa l’unica strada da
seguire. Allo stesso tempo, era necessario incentivare i contatti con
l’Occidente in modo da contribuire alla diffusione di valori e
comportamenti capaci di esercitare un ruolo positivo nell’indurre le
strutture tradizionali al cambiamento.
Riassumendo, ciò che accomunava i teorici funzionalisti, quindi, era la
convinzione che il passaggio alla modernità fosse un evento necessario,
frutto di un’evoluzione naturale che avrebbe condotto alla differenziazione
e alla specializzazione delle strutture e dei ruoli sociali e che la ‘modernità,
così come realizzatasi nei paesi occidentali, fosse la forma “finale”
dell’organizzazione civile ed economica e, in questo senso, la più
progredita.
8
Cfr. Trigilia, C., Modernizzazione , 2009 in Enciclopedia delle Scienze Sociali consultabile al
seguente link
http://www.treccani.it/enciclopedia/modernizzazione_%28Enciclopedia_delle_scienze_sociali%29
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