6
Dal 2001 la situazione è cambiata. Gli Stati Uniti sono stati costretti ad intervenire
militarmente in Afghanistan e, nello stesso tempo, hanno dovuto iniziare per la prima volta
in maniera seria a porsi dei quesiti pratici sulla ricostruzione del Paese. Così come ha
dovuto fare la comunità internazionale in generale, colpevole di aver dimenticato per anni
l’Afghanistan, lasciandolo in uno stato di abbandono, dove padroni assoluti erano i signori
della guerra che hanno avuto mano libera nel distruggere l’Afghanistan senza che
nessuno intervenisse.
Analizzare i cambiamenti occorsi nell’Afghanistan dopo i Talebani vuol dire capire se le
sfide globali degli Stati Uniti per portare la democrazia e la libertà nel mondo possono
avere più o meno successo; vuol dire capire se anche un Paese da sempre teatro di
guerre e di scontri anche tra gruppi di Afghani stessi può finalmente trovare la pace; vuol
dire anche analizzare i profondi cambiamenti geopolitici che si stanno verificando
velocemente nella regione dell’Asia Centrale, considerata dagli analisti vitale per il futuro
delle risorse energetiche mondiali.
Ma uno studio geopolitico dell’Afghanistan (che comunque spazia anche su alcune
discipline tipiche degli insegnamenti della facoltà di Scienze Politiche) vuol dire anche
studiare la storia di questa terra antica.
Una terra affascinante l’Afghanistan, influenzata dal Buddismo, dallo Zoroastrismo e punto
di fusione tra le civiltà greca, indiana, turca ed araba. L’Afghanistan ha sempre avuto un
ruolo privilegiato nella storia, sia per i grandi conquistatori che l’hanno attraversato ,quali
Alessandro Magno, Gengis Khan e Tamerlano, sia per la sua antica storia, dove
emergono lo splendore e la grandezza degli imperi che furono, sia per la storia più vicina a
noi, dove l’Afghanistan è stato protagonista: mi riferisco in particolare al tempo
dell’invasione sovietica del 1979 e durante il duro periodo dei Talebani dal 1994 al 2001.
7
Questo mio lavoro sull’Afghanistan è nato e si è sviluppato anche grazie ad internet: vi ho
trovato libri altrimenti impossibili da reperire nelle biblioteche e nelle librerie romane, e,
soprattutto, grazie all’uso di internet ho potuto colmare le lacune che il solo uso di libri
disponibili in Italia avrebbe comportato: di fatti, la larga maggioranza dei libri che trattano
sull’Afghanistan ne trattano per lo più la storia meno recente. Alcuni libri hanno analizzato
anche il regime talebano ma non si sono spinti oltre. Altri libri hanno iniziato a parlare
dell’Afghanistan post talebano ma in maniera incompleta, in quanto usciti e stampati nel
2002. Ho potuto amaramente constatare come, sventata la minaccia di Al Qaida in
Afghanistan, nessun autore occidentale si sia finora occupato dettagliatamente di ciò che
è successo dopo i Talebani. Grazie all’uso della rete telematica, ho avuto accesso a
numerosi articoli giornalistici, interviste, dossier, siti internet di informazione quotidiana
sull’Afghanistan, siti internet di organizzazioni internazionali, siti istituzionali del nuovo
Afghanistan.
Così è nata la mia tesi di laurea: dall’unione di quanto scritto sui con il materiale reperito
sul web e su alcuni giornali e riviste che ho acquistato non appena sapevo che vi era
qualcosa di inerente l’Afghanistan.
Va detto che nessun libro, articolo o dossier mi ha fornito una documentazione completa
sulla storia dell’Afghanistan e sull’Afghanistan attuale. Ma ogni documento si basava su
uno o più “topic”, ovvero temi centrali, che, uniti agli altri “topics”, mi hanno dato una
visione abbastanza completa sui mutamenti avvenuti in Afghanistan dopo il 2001. Come
una specie di “puzzle”, che, tassello dopo tassello, ha completato il quadro.
Questa tesi mi ha portato a leggere numerosi libri e articoli di giornale in lingua inglese e
francese, mentre un paio di documenti, le biografie, peraltro complete, di Hamid Karzai e
di Burhanuddin Rabbani, da me lette erano in lingua spagnola.
8
Come detto, ogni singolo documento ha dato il suo contributo. Ma, tra tutto ciò che ho letto
spiccano gli scritti (libri, articoli e dossier) firmati da Barnett R. Rubin, probabilmente il più
grande esperto vivente in questioni di Afghanistan, e, forse, l’unico autore ad essere
riuscito a capire e ad analizzare in maniera completa la complessità e la disgregazione
dell’Afghanistan (non è un caso che la sua opera più completa in tema di Afghanistan si
intitoli “The Fragmentation of Afghanistan”). Un altro autore che è riuscito a darmi un
contributo più completo è il giornalista pakistano Ahmed Rashid, il quale è citato, in
bibliografia, sia nella sezione dei libri che in quella degli articoli. Ahmed Rashid è l’autore
che ha studiato più da vicino ed accuratamente il fenomeno dei Talebani, ed ha continuato
ad interessarsi dell’Afghanistan anche dopo l’insediamento di Karzai a capo del governo
afghano.
La mia tesi di laurea si divide in tre parti, due fondamentali ed una, breve, dedicata alle
conclusioni. Le prime due parti riguardano la situazione attuale dell’Afghanistan (prima
parte della tesi, quasi due terzi del lavoro complessivo) e la storia dell’Afghanistan dalle
sue origini ad oggi (seconda parte della tesi, circa un terzo del lavoro complessivo).
La prima parte, che riguarda l’attuale Afghanistan, è stata volutamente divisa in tre capitoli:
il primo riguardante l’attuale situazione dell’Afghanistan, che ha occupato all’incirca la
metà della prima parte di questa tesi; il secondo riguardante il ruolo degli Stati Uniti, la cui
presenza in Afghanistan è di primaria importanza; il terzo riguardante un’analisi sintetica
sugli Stati intorno all’Afghanistan e sugli interessi che hanno riguardo ad esso.
Anche la seconda parte della tesi, la parte storica, è stata divisa in tre capitoli in base alla
cronologia, con una particolare attenzione agli eventi che si sono susseguiti dal 1973
(ovvero l’anno in cui l’Afghanistan è diventato una repubblica) al 2001 (anno che segna la
fine del regime talebano).
9
La mia personale speranza è che questa mia tesi non sia soltanto una formalità per
accedere al titolo di laurea, ma che possa risultare un lavoro gradevole nel suo insieme e
possibilmente non noioso. Spero altresì che possa essere un lavoro utile a far conoscere
la realtà sconosciuta, ai più, del nuovo Afghanistan.
Mentana, 30 Gennaio 2005
10
Prima parte
L’Afghanistan oggi
11
Capitolo 1: L’Afghanistan visto da dentro
1.1.1 L’Afghanistan attuale; dati generali sul territorio, sulla
popolazione, e sull’economia
L’Afghanistan ha una superficie di 652.100 chilometri quadrati, una superficie grande oltre
due volte l’Italia
1
.
Esso ha da sempre avuto una importantissima posizione strategica, in quanto incastonato
tra il Medio Oriente, l’Asia Centrale e il subcontinente indiano. L’Afghanistan confina a
nord col Tagikistan (1206 km di frontiera), col Turkmenistan (744 km di frontiera), con
l’Uzbekistan (137 km di confine) e con la Cina (appena 76 km di confine); a est e a sud
invece condivide ben 2430 chilometri di frontiera con il Pakistan; infine a est l’Afghanistan
confina con l’Iran (936 km di frontiera). Il territorio è prevalentemente montagnoso, con
eccezioni nel sud e nell’ovest dove il terreno è prevalentemente desertico e nel nord, dove
vi si trovano la maggior parte delle pianure afgane.
Nel complesso il terreno afghano, caratterizzato dalle sue alte catene montuose, è sempre
stato ostile nei confronti dei suoi abitanti, i quali si sono adattati alle dure condizioni
imposte dalla natura, ma soprattutto nei confronti dei suoi invasori. In passato la posizione
strategica dell’Afghanistan ha sempre fatto gola agli invasori stranieri (va ricordato che
l’Afghanistan faceva parte della cosiddetta”Via della seta”, una tappa obbligata per
raggiungere, dal Medio Oriente, il sub continente indiano), e nel XIX° secolo proprio
1
Dati sul territorio reperiti su U.S. Department of State, Bureau of South Asian Affairs “Background note:
Afghanistan”, www.state.gov/r/pa/ei/bgn/5380.htm, Gennaio 2004
12
l’Afghanistan è stato al centro del c.d. “Grande Gioco”, nel quale sia la corona inglese, sia
la Russia zarista cercavano di contendersi l’influenza sul territorio afgano
1
.
La popolazione, secondo una vaga stima, varia dai 22 ai 28.7 milioni
2
(una stima dell’ONU
del 2003 calcola la popolazione residente in Afghanistan intorno ai 24 milioni
3
), mentre
circa 4 milioni di Afghani hanno trovato rifugio all’estero, in particolare in Iran e in Pakistan.
Circa l’80% degli abitanti vive prevalentemente nella campagna
4
, mentre il restante 20%
vive nelle città. Di queste, la più popolosa è la capitale Kabul, che secondo una stima ONU
del 2000 ha 1.780.000 abitanti, seguita da Kandahar (226.000), Herat (177.000), Mazar-
e-Sharif (131.000), Jalalabad (58.000) e Kunduz (57.000)
5
, anche se i dati di tutte queste
altre città risalgono ad una stima ONU del 1988 e, pertanto, essi, non ci offrono alcuna
certezza.
Il tasso di crescita della popolazione, nel 2002, è stato stimato al 2,6%
6
, mentre
l’aspettativa di vita media sia degli uomini che delle donne è di appena 43 anni
7
.
Le due lingue più parlate sono il Dari (lingua di ceppo persiano) e il Pashto
8
, lingua della
numerosa etnia Pashtun. Altre lingue di minore importanza vengono parlate dalle
minoranze del paese. Etnicamente l’Afghanistan è un paese molto frammentato: l’etnia
1
Senza autore , “Country Profile: Afghanistan”,
http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/south_asia/country_profiles/1162668.stm, 4 Marzo 2004
2
dati forniti da U.S. Department of State, Bureau of South Asian Affairs in “Background note: Afghanistan”,
www.state.gov/r/pa/ei/bgn/5380.htm, Gennaio 2004
3
Senza autore , “Country Profile: Afghanistan”,
http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/south_asia/country_profiles/1162668.stm, 4 Marzo 2004
4
William T. Loris, Andrea De Maio, “La ricostruzione dello stato di diritto in Afghanistan”, Itinerari d’impresa,
Estate - Autunno 2003; articolo anche contenuto in Servizio Studi della Camera dei Deputati, “Afghanistan”,pag. 73,
Camera dei Deputati, 15 Marzo 2004
5
U.S. Department of State, Bureau of South Asian Affairs “Background note: Afghanistan”,
www.state.gov/r/pa/ei/bgn/5380.htm, Gennaio 2004
6
U.S. Department of State, Bureau of South Asian Affairs “Background note: Afghanistan”,
www.state.gov/r/pa/ei/bgn/5380.htm, Gennaio 2004
7
Senza autore , “Country Profile: Afghanistan”,
http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/south_asia/country_profiles/1162668.stm, 4 Marzo 2004
8
U.S. Department of State, Bureau of South Asian Affairs “Background note: Afghanistan”,
www.state.gov/r/pa/ei/bgn/5380.htm, Gennaio 2004
13
maggioritaria è quella Pashtun (38% della popolazione); seguono Tagichi (25%), Hazara
(19%), Uzbechi (6%), Aimaq, Turkmeni, Baluchi e altre piccole minoranze etniche
1
.
La religione ufficiale è l’Islam. Il sentimento religioso è particolarmente forte in
Afghanistan, in particolare nelle campagne dove la religione fornisce al contadino l’intero
“orizzonte culturale, il sistema di valori , il codice di comportamento
2
”. Più che il sentimento
nazionale, relativamente recente, a tenere unito l’Afghanistan
3
, secondo Olivier Roy
4
, è
l’insieme di valori e il sentimento comune condivisi grazie all’Islam. Circa l’84% degli
Afghani appartiene alla setta Sunnita Hanafita, sicuramente la più aperta delle quattro
scuole sunnite, in quanto aliena a particolari gerarchie e al centralismo. L’appartenenza
alla setta hanafita giustifica, almeno in parte, lo scarso senso dello Stato degli Afghani, in
quanto è proprio questo orientamento a sostenere che l’influenza dello stato sugli uomini
deve essere minima, se non impercettibile
5
. Il 15% della popolazione invece appartiene
alla setta sciita, dominante in Iran; la maggior parte dei seguaci dello sciismo appartiene
all’etnia hazara; un secondo gruppo, molto esiguo, è quello dei Kizilbash, discendenti dei
funzionari e dei soldati che l’impero persiano stanziò nel XVIII secolo e che oggi sono
raggruppati per lo più a Kabul; infine un terzo gruppo è costituito da piccoli gruppi di sciiti
pashtunofoni
6
. Il senso religioso è più diffuso nella campagna, vista tradizionalmente dagli
Afghani come luogo di religione e di tradizione, contrapposta alla città, luogo, invece, di
innovazione
7
.
1
U.S. Department of State, Bureau of South Asian Affairs “Background note: Afghanistan”,
www.state.gov/r/pa/ei/bgn/5380.htm, Gennaio 2004
2
Carlo Degli Abbati e Olivier Roy, Afghanistan, l’Islam afghano, pag.95 editore ECIG, Genova, II ed. 2002, prima
ed.1986, titolo originale Afghanistan, l’Islam et sa modernité politique, Editions du Seuil, 1985.
3
Vedi nota precedente
4
Olivier Roy, nato in Francia nel 1949, laureatosi in filosofia con una tesi su Stato e società nell’Afghanistan
contemporaneo, è uno dei più grandi esperti sull’Afghanistan e sulla sua popolazione. Numerosi gli scritti
sull’Afghanistan, in particolare sulla resistenza afgana nel periodo dell’invasione sovietica.
5
Ahmed Rashid, Talebani - Islam, petrolio e il Grande scontro in Asia Centrale, pag. 108 , trad. dall’Inglese di Bruno
Amato Giovanna Bettini, Stefano Viviani, editore Feltrinelli, ed. 2002, titolo originale Taliban: Islam, oil and the
Great New Game in Central Asia, I.B. Tauris & Co ltd
6
Carlo Degli Abbati e Roy Olivier Roy, Afghanistan, l’Islam afghano, pagg 114-115. Olivier Roy ci fornisce una
panoramica completa sulla difficile condizione della minoranza sciita in Afghanistan.
7
Carlo Degli Abbati e Olivier Roy, Afghanistan, l’Islam afghano, pag.73
14
Dal punto di vista economico, l’Afghanistan si presenta come uno dei più poveri paesi del
mondo, e, probabilmente, addirittura il più povero, anche se mancano stime precise a
causa della situazione di perenne instabilità del paese. Il Prodotto Interno Lordo, secondo
una stima ONU riferita al 2002-03, è approssimativamente di 4 miliardi di dollari e il
reddito pro-capite annuale, stimato su una popolazione di 22 milioni di abitanti, è di 180 –
190 $. Da ciò non deve sorprendere l’alto tasso di crescita dell’economia afgana, stimato,
sempre nel periodo 2002 – 03, al 28,6%
1
. Le risorse naturali del Paese sono gas naturale,
petrolio, carbone, rame, sale, piombo, zinco, ferro, pietre preziose e semi preziose.
Legalmente parlando, la principale risorsa dell’economia afghana attualmente, consiste
nella produzione di beni agricoli, di tappeti, venduti prevalentemente in Pakistan, e di lana.
I traffici illeciti di droga, la relativa produzione di oppio e il contrabbando costituiscono le
principali fonti di entrata dell’economia afghana. Il solo ricavo che deriva dalla produzione
e dal traffico dell’oppio supera il 50% del PIL afgano
2
. La moneta ufficiale è l’Afghani.
1
dati economici reperiti su U.S. Department of State, Bureau of South Asian Affairs “Background note: Afghanistan”,
www.state.gov/r/pa/ei/bgn/5380.htm, Gennaio 2004
2
Vedasi in merito Antonella Deledda, Paolo Sartori, “Le vie della droga non sono infinite”, Limes, numero 6 / 2003;
articolo anche contenuto in in Servizio Studi della Camera dei Deputati, “Afghanistan”, pag.127, Camera dei Deputati,
15 Marzo 2004; oltre a offrirci i dati economici sull’intero traffico commerciale dell’oppio afgano, ci viene fornita la
mappa completa delle vie che portano l’oppio afgano fino ai mercati occidentali.
15
1.1.2 L’intervento Americano in Afghanistan dopo l’11
Settembre (11/09/2001 – 6/12/2001)
L’11 Settembre è una data che ha cambiato il destino degli Stati Uniti e del mondo. Subito
dopo gli attentati terroristici alle Twin Towers, al Pentagono, e in Pennsylvania,
l’attenzione globale è stata spostata proprio sull’Afghanistan, paese in genere dimenticato
dal mondo, assieme alla sue guerre civili. Eppure, nonostante il tradizionale oblio che i
mass media hanno sempre dedicato all’Afghanistan, questo Paese già tempo aveva
cominciato a far riparlare di sé, a causa delle assurde, almeno dinnanzi agli occhi di noi
occidentali, violazioni da parte dei Talebani dei diritti umani e della protezione che il
regime in capo a Kabul stava già da tempo dando a Osama Bin Laden e all’intero network
terroristico a lui legato.
Al momento degli attentati dell’11 Settembre 2001 i Talebani controllano circa il 95% del
territorio afgano e, nella parte residua, a resistergli sono solo un gruppo di Warlords senza
nulla in comune tra di loro, se non il loro odio e la loro guerra contro i Talebani: la
cosiddetta Alleanza del Nord. Proprio prima degli attentati dell’11 Settembre, il 9
Settembre, Massoud, generale tagiko di grande carisma a capo dell’Alleanza del Nord, e,
secondo molti, unico uomo capace di tenere unita questa alleanza così eterogenea, viene
assassinato da due kamikaze marocchini camuffati da giornalisti che avevano ottenuto il
lasciapassare per intervistare il famoso generale. Massoud, in seguito alle gravi ferite,
morirà appena 5 giorni dopo. Se non ci fossero stati gli attentati dell’11 Settembre,
probabilmente, sarebbe stato il colpo di grazia per l’Alleanza del Nord e la svolta per i
Talebani, che avrebbero potuto ottenere, a 7 anni dalla loro comparsa ufficiale, il potere
sull’intero territorio afghano.
16
Gli attentati negli Stati Uniti, invece, rimescolano le carte in gioco e, per l’ennesima volta, il
destino dell’Afghanistan viene deciso da forze esterne al paese stesso. Ci occuperemo più
avanti nel dettaglio della percezione americana della guerra e delle decisioni
dell’amministrazione Bush
1
. In questa sede occorre dire che da subito il Presidente
americano Bush afferma che gli Stati Uniti sono in guerra contro un nemico senza volto,
ma è chiaro il coinvolgimento negli attentati non tanto del regime talebano, ma
dell’organizzazione terroristica, Al Qaida, da esso ospitata. Già dal 13 Settembre 2001 il
Segretario di Stato americano, Colin Powell, in base a dei rapporti dei propri servizi
segreti, attribuisce ad Al Qaida la paternità degli attentati
2
e, da quel momento, non solo
l’Afghanistan, ma l’intera regione, entrano in conflitto. Il 15 Settembre il coinvolgimento di
Osama Bin Laden appare anche dalle parole del Presidente Bush. Il 19 Settembre,
cercando ancora uno spiraglio di trattativa, Bush chiede ai Talebani di consegnare senza
condizioni Osama Bin Laden. Ma di fatto, gli Stati Uniti sono già in guerra, e nello stesso
giorno, le prime truppe americane vengono dislocate in alcuni territori al confine con
l’Afghanistan
3
. E’questo l’inizio dell’operazione “Enduring Freedom”, anche se il nome
ufficiale verrà dato solo il 25 Settembre, dopo che, in un primo momento, l’operazione
viene chiamata “Infinite Justice”
4
. L’azione è coordinata dall’ USCENTCOM (Central
Command) americano in Florida, con l’ausilio del CCC (Coalition Coordination Centre), col
compito di coordinare le operazioni tra gli innumerevoli paesi che, da subito, hanno
formato la coalizione internazionale contro il terrorismo.
1
Infra par. 1.2.1
2
Gioia Marotta, “Missione Nibbio in Afghanistan”, Rivista di Diritto Internazionale, numero 2/2003, pag. 451; articolo
anche contenuto in in Servizio Studi della Camera dei Deputati, “Afghanistan”, pag. 59, Camera dei Deputati, 15
Marzo 2004
3
Gioia Marotta, “Missione Nibbio in Afghanistan”, Rivista di Diritto Internazionale, numero 2/2003, pag. 451; articolo
anche contenuto in in Servizio Studi della Camera dei Deputati, “Afghanistan”, pag. 59, Camera dei Deputati, 15
Marzo 2004
4
Il cambio di denominazione è avvenuto in quanto il nome “Infinite Justice” era troppo pretenzioso e, soprattutto,
avrebbe urtato l’intera comunità musulmana visto che, secondo l’Islam, come in altre religioni del resto, è solo Dio che
può dare una giustizia infinita. E di certo non avrebbe giovato alla causa americana sostituirsi, dinnanzi agli occhi dei
musulmani, a Dio. Gioia Marotta, “Missione Nibbio in Afghanistan”, Rivista di Diritto Internazionale, numero 2/2003,
pag. 451; articolo anche contenuto in in Servizio Studi della Camera dei Deputati, “Afghanistan”, pag. 59, Camera dei
Deputati, 15 Marzo 2004
17
L’operazione “Enduring Freedom” si presenta con degli obiettivi chiari, e viene divisa in
quattro fasi distinte: la prima consiste in una “Pianificazione e schieramento delle forze
nell’area di responsabilità USCENTCOM”;con la seconda si dà inizio ad una “campagna
aerea in Afghanistan contro obiettivi di interesse, attività umanitarie, supporto all’Alleanza
del Nord e capitolazione del regime dei Talebani”; si passa alla terza fase, che prevede
“impiego di unità di terra, dichiarazione di ‘cessate il fuoco’ e avvio della pacificazione e
stabilizzazione del Paese, con eventuale passaggio delle responsabilità all’ONU”; infine la
quarta fase: “ definizione, d’intesa con gli altri Paesi della coalizione, degli strumenti
necessari a prevenire il riemergere del terrorismo nonché a supportare le operazioni
umanitarie”
1
. Per la prima volta vengono riconosciuti i presupposti per l’applicazione
dell’art. 5
2
dell’Alleanza Atlantica
3
, ma, per il forte effetto emotivo scatenato dagli attentati,
alla coalizione prenderanno parte anche molti paesi non facenti parte della NATO.
I Talebani, inizialmente, non sembrano prendere troppo sul serio la minaccia americana e,
il 27 Settembre, dichiarano che Bin Laden è stato invitato dal regime ad allontanarsi dal
Paese, per smentirsi da soli appena tre giorni dopo quando l’ambasciatore dei Talebani a
Islamabad, il mullah Abdul Salam Zaeef, affermerà che Bin Laden è stato portato in una
località segreta al fine di proteggerne l’incolumità
4
. Nel frattempo, Bin Laden, attraverso un
1
Gioia Marotta, “Missione Nibbio in Afghanistan”, Rivista di Diritto Internazionale, numero 2/2003, pagg. 449-450;
articolo anche contenuto in in Servizio Studi della Camera dei Deputati, “Afghanistan”, pagg. 57-58, Camera dei
Deputati, 15 Marzo 2004
2
Articolo che recita: “Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'America
settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale
attacco si producesse, ciascuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto
dall'art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente,
individualmente e di concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'uso della forza
armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell'Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo
genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di
Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire
e mantenere la pace e la sicurezza internazionali.”
3
Senza Autore, “Missione Enduring Freedom”, in Servizio Studi della Camera dei Deputati, “Afghanistan”, pag. 7
,Camera dei Deputati, 15 Marzo 2004
4
Gioia Marotta, “Missione Nibbio in Afghanistan”, Rivista di Diritto Internazionale, numero 2/2003, pag. 452; articolo
anche contenuto in in Servizio Studi della Camera dei Deputati, “Afghanistan”, pag. 60, Camera dei Deputati, 15
Marzo 2004
18
comunicato, invita i musulmani alla guerra santa “contro i nuovi ebrei e i crociati
americani”
1
. Questa prima fase della guerra, cominciata il 19 Settembre, è una guerra
nascosta, fatta di preparativi da parte dell’esercito statunitense e soprattutto dei loro
reparti di èlite e dell’intelligence, la quale prende i primi contatti e inizia a fornire mezzi e
soldi agli uomini dell’Alleanza del Nord.
La guerra vera e propria, per quanto poco convenzionale, inizia il 7 Ottobre 2001, a meno
di un mese dagli attentati che hanno sconvolto l’America. In questa prima fase della
guerra il ruolo degli Stati Uniti si limiterà al bombardamento aereo contro i principali
obiettivi militari talebani e contro tutti gli obiettivi legati alla rete di Al Qaida
2
. Per ora gli
Americani non intervengono sul fronte che divide i Talebani dall’Alleanza del Nord,
nonostante la pressione di quest’ultima. L’ultimo Presidente afghano riconosciuto
dall’ONU, Berhanuddin Rabbani, dal suo esilio di Dushambe, accoglie benevolmente
l’intervento americano e afferma che il futuro politico del suo Paese è strettamente legato
alla caduta del regime dei Talebani
3
. Rabbani stesso, il 22 Ottobre, in un incontro a
Dushambe con il Presidente tagico Rajmonov e soprattutto col Presidente della Russia
Vladimir Putin, ottiene dalla Russia armi e carrarmati per gli uomini dell’Alleanza del Nord.
I tre, inoltre, chiudono ogni possibilità di un inserimento dei Talebani moderati nel futuro
governo dell’Afghanistan
4
.
Il 27 Ottobre arriva la prima svolta della guerra: i bombardamenti americani si spostano sul
fronte nord che divide i Talebani dagli uomini dell’Alleanza del Nord
5
, che da questo
momento, comincia gradualmente e, nello stesso tempo velocemente, a riconquistare tutto
il Paese. L’esercito dei Talebani, così temuto all’inizio, si scioglie come neve al sole; la
1
Senza autore , “Un anno tra guerra e paura”, http://qn.quotidiano.net/chan/11_settembre:3651213:/2004/03/02, 3
Marzo 2002
2
Senza Autore, “Missione Enduring Freedom”, in Servizio Studi della Camera dei Deputati, “Afghanistan”, pag. 7
,Camera dei Deputati, 15 Marzo 2004
3
Senza autore, “Burhanuddin Rabbani”, Fundaciò CIDOB (www.cidob.org/bios/castellano/lideres/r-036.htm), 17
Gennaio 2002
4
Vd nota precedente
5
Vd nota 29
19
resistenza è poca e ovunque la loro tattica sarà quella di ritirarsi: il 9 Novembre cade
Mazar-i-Sharif.; il 12 è la volta di Herat e di Bamyan. Il 13 Novembre Kabul viene liberata
dagli uomini dell’Alleanza, nonostante la loro iniziale promessa di non entrare a Kabul fino
a che non si sarebbe formato un governo di transizione. Rabbani afferma che l’entrata a
Kabul è necessaria per evitare un vuoto di potere
1
. Nonostante il dissenso degli Stati Uniti
e dell’ONU, la presa di Kabul non è stata molto violenta, gli uomini dell’Alleanza non si
sono lasciati andare ad atti di saccheggio
2
e sono accolti dalla popolazione anche con una
certa gioia, nonostante molti di loro, anni prima, furono tra coloro che ridussero la città ad
un mucchio di macerie. Mentre Kabul viene liberata, la fuga dei Talebani continua. Il 14
cade la vicina Jalalabad, mentre il 24 Novembre anche Kunduz è liberata. I Talebani,
ormai, sono asserragliati sempre più nella loro roccaforte del sud che, comunque, cadrà il
6 Dicembre. L’ultima resistenza dei Talebani si spegne il 16 Dicembre, nelle montagne di
Tora Bora
3
, al confine col Pakistan. Gli Americani hanno vinto. Ma di Bin Laden e di molti
suoi uomini, nonché del Mullah Omar, il capo dei Talebani, non vi è, tuttora, nessuna
traccia.
1
Senza autore, “Burhanuddin Rabbani”, Fundaciò CIDOB (www.cidob.org/bios/castellano/lideres/r-036.htm), 17
Gennaio 2002
2
Vd nota 32
3
Senza autore , “Un anno tra guerra e paura”, http://qn.quotidiano.net/chan/11_settembre:3651213:/2004/03/02, 3
Marzo 2002