5
Fulcro dell’affidamento è la tutela dell'infanzia
2
, tema che trova una sua
proiezione nella carta costituzionale, fonte primaria dell'ordinamento italiano; ciò
in virtù del fatto che lo strumento d'intervento per l'effettività dei diritti dei minori
consta nella produzione normativa, la quale non può prescindere certo dalle linee
guida e dai principi fondamentali dell'ordinamento
3
.
La carta costituzionale presenta punti di forte pertinenza con la tematica dei
diritti e della tutela del minore sin dai principi fondamentali: sarebbe infatti
inevitabile non menzionare gli art. 3 e 2.
In riferimento all'art. 3 viene stabilito il principio di uguaglianza formale e
sostanziale, prevedendo che tutti i cittadini abbiano pari dignità sociale e siano
uguali davanti alla legge senza distinzione di alcun genere e che sia compito dello
stato rimuovere gli ostacoli che impediscano il pieno sviluppo della persona
umana.
Un'interpretazione prevalente di quanto suddetto vuole l'art. 3, suscettibile di
riferimento alla condizione del minore, inteso quale soggetto debole ed indifeso
4
.
Inoltre vengono riconosciuti e garantiti dall'art. 2, i diritti inviolabili dell'uomo e
2
AREZZO di TRIFILETTI, La tutela del minore nella Costituzione e nella normativa
sull’affidamento familiare, in L’amm. it., 2005, 1319.
3
MARTINES, Diritto Costituzionale, Giuffrè, 2003.
4
Cfr. BESSONE-MARTINELLI-SANSA, Per una ricerca sul diritto minorile: rilievi di
metodo, in Giur. mer., 1975, 249, 251.
6
quindi anche del minore, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si
svolge la propria personalità.
Pertanto se è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli che impediscano il
pieno sviluppo della persona umana, sviluppo inteso anche quale libera e
massima espressione della personalità del soggetto nelle formazioni sociali, sarà
compito dello stesso tutelare lo sviluppo del minore all'interno del contesto
familiare. Infatti nella nostra carta costituzionale il nucleo familiare viene
considerato come una fattispecie di formazione sociale e pertanto la famiglia si
presenta come naturalis societas, alla quale vengono riconosciuti i propri diritti
secondo quanto menzionato nell'art. 29 Cost. Quest'ultima definizione postula
l'esistenza di qualcosa che preesiste al diritto e allo Stato, derivante dalla natura
stessa delle cose e non dal diritto.
Il riconoscimento che gli interessi realizzati all'interno della famiglia sono
interessi essenziali della persona, segna un'interpretazione della norma come
impegno a rispettarne l'autonomia e l'autogoverno, in termini di pretese
essenzialmente "negative" di non-intromissione da parte dello Stato e di privati,
7
salva la necessità di intervenire a difesa dei figli "nei casi di incapacità dei
genitori"
5
.
L'intervento pubblico in materia di infanzia "abbandonata"
6
è previsto
nell'art. 30 Cost. (inserito nella parte sui "rapporti etico - sociali"-) che ne precisa
la ratio: tale disposizione stabilisce che il compito di mantenere, istruire ed
educare i figli incombe prioritariamente sui genitori, e solo nei casi di incapacità
di costoro "la legge provvede al che siano assolti i loro compiti"
7
.
La famiglia è dunque una delle organizzazioni in cui l'uomo vive e vengono
riconosciuti i diritti fondamentali; i più' deboli all'interno di essa sono i figli
minorenni e, a loro favore viene garantito il diritto imprescindibile di crescere,
essere educati e istruiti all'interno del nucleo familiare d'origine. Se questo non
risulta idoneo, dovrà intervenire lo Stato: la famiglia è in posizione di precedenza
rispetto allo Stato, che però dovrà intervenire per regolare ciò che concerne i
rapporti genitori-figli e regole educative, e predisporre solo in via sussidiaria,
strumenti idonei a surrogare i compiti dei genitori.
5
DOGLIOTTI, Luci (ed ombre) nella nuova legge sull’adozione, in Giur. mer., 1983, 1351;
BARENGHI, Tipi e modalità di affidamento dei minori e relative problematiche (art. 333 c.c. e
4 l. 184/83), in Dfam., 1990, 240.
6
MAZZA GALANTI, I diritti dei minori e la costituzione, in Dfam.,1978, 677.
7
Nello stesso senso vedi anche, ICHINO - ZEVOLA, I tuoi diritti: affido familiare e adozione,
HOEPLI, 1993, 4.
8
La ormai superata concezione "astensionistica" di non interferenza
dell'ordinamento nella vita della famiglia, lascia il posto al riconoscimento di
appoggi esterni, con misure che non si limitano a prendere atto delle sue
insufficienze, ma applicano in concreto quegli istituti che realizzano in pieno il
diritto del minore alla famiglia e all'educazione che in essa devono ricevere, ossia
l'adozione e l'affidamento. La stessa Corte Costituzionale
8
ha ritenuto che la
previsione dell'articolo 30 secondo comma "non impone una disciplina unica e
unitaria" e che di conseguenza "è ben possibile che coesistano istituti distinti…
quali l'affidamento e l'adozione…", oltre alle norme sull'assistenza pubblica, con
interventi su diversi livelli, sia pure rivolti a finalità concorrenti o comuni.
E' soprattutto l'affidamento familiare la soluzione migliore per soddisfare
entrambe le esigenze: mantenere i rapporti con la famiglia di origine e sopperire
alle difficoltà temporanee di questa. Esso offre al minore un ambiente educativo
idoneo, senza interrompere i rapporti con i genitori naturali e realizza un
intervento di sostegno da parte della collettività alla famiglia di origine,
aiutandola a superare le cause di "abbandono".
Attraverso l’istituto dell’affidamento familiare si assiste all’attuazione dei diritti
che l’ordinamento riconosce a favore del minore, anche in situazione di grave, ma
temporanea carenza della famiglia biologica; si conserva vivo il suo legame con
8
Cfr. Corte Cost. 6 luglio 1971 n. 158, in Foro it., I, 2119.
9
essa, favorendone il reinserimento quando, superate le difficoltà, i genitori
possano svolgere con effettività i loro compiti
9
.
L’art. 31 Cost., in coerenza ai principi di cui all'3, comma 2, prevede che, la
Repubblica agevola la formazione della famiglia, l'adempimento dei relativi
compiti e che tuteli in generale l'infanzia
10
, verso la quale è assicurata ogni tutela
giuridica e sociale, indipendentemente dallo status filiationis (art. 30 commi 1 e
3)
11
.
Da queste norme emerge che, anche l’affidamento, al pari dell’adozione, è un
istituto considerato di extrema ratio
12
: garantire la crescita in una famiglia diversa
dalla propria, comporta un allontanamento, che può avvenire soltanto in seguito
al tentativo di recupero della famiglia d’origine (ammesso che ne esista una).
9
Cfr. MURGO, Adozione nazionale, in Commentario a cura di C. M. BIANCA e L. ROSSI
CARLEO, in Le nuove leggi civili commentate, 2002, 929 e 931: il termine “inserito” di cui
all’art. 2 l. 149/2001, che sostituisce il termine “ricovero”, rivela l’importanza di una soluzione
che non assicuri al minore solo il vitto e l’alloggio, ma sia fonte per lui di effettiva crescita e
costituisca in concreto un valido luogo di sviluppo della sua personalità (art. 2 Cost.).
10
Cfr. GIORGIANNI, Affidamento extra genitoriale e potestà genitoria, in Riv. trim. dir. e
proc. civ., 1982, 794.
11
Sul tema si veda ampiamente BIANCA, La filiazione: bilanci e prospettive a trent’anni dalla
riforma del diritto di famiglia, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2006, 1, 207.
12
L’inserimento del minore in altra famiglia è attuato nell’interesse del minore ma in ogni caso
comporta una situazione di menomazione, per cui dovrà trovare applicazione eccezionale, anche
in virtù della realizzazione dell’uguaglianza sostanziale ex art. 3 comma 2 cost., cfr. Cass. 1
febbraio 2000, n. 1095, in Giust. civ., 2000, I, 988 ss.; ROSSI CARLEO, L’affidamento e
l’adozione, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 4 Utet 1996, 295.
10
Un importante sostegno, sia pure indiretto, alla famiglia d’origine, in linea con
il disposto dell’art. 31 Cost., è stato apprestato proprio mediante la
regolamentazione dell’affidamento familiare. Questo istituto, per sua natura
temporaneo, ha infatti la conseguenza di allentare, ma non di sciogliere i legami
con la famiglia d’origine, preparando il reinserimento del minore.
Raccordandosi alla disposizione che esclude lo stato di abbandono nelle
situazioni caratterizzate da ostacoli di natura temporanei, il ricorso
all’affidamento evita che si proceda all’adozione in casi in cui la famiglia può
essere recuperata. Questa funzione si coglie anche dalla disposizione che pone
l’affidamento ad una famiglia o a comunità di tipo familiare come sostitutivo alla
istituzionalizzazione
13
.
Le disposizioni di cui sopra, dunque, seguono tutte una medesima linea: è
dovere della Repubblica, nonché dell'intera comunità, far sì che il libero sviluppo
della persona umana non rimanga un "dato" scritto, ma un compito da realizzare
in concreto
14
, intervenendo a favore della condizione minorile, con forme che
13
Cfr. CASTELLINI, La nuova disciplina dell’adozione e dell’affidamento di minori, in Jus,
1983, 1 – 2, 252.
14
Cfr. BARBERA, La genesi dell’art.2. Le due culture costituenti, in Commentario alla Cost. a
cura di G. Branca, Principi fondamentali, Bologna-Roma, 1975, 90.
11
assicurano ogni tutela giuridica e sociale, compatibilmente con la posizione
istituzionale di privilegio della famiglia
15
.
15
Ancora MAZZA GALANTI, op. cit., 681.
12
Cap. 1°: Art. 1 l. 184/83: Il diritto del minore alla propria famiglia.
1. Il diritto di vivere, crescere ed essere educato nella propria famiglia
16
.
Pur non sconosciuto in precedenza al nostro ordinamento
17
, l’affidamento
familiare è stato disciplinato per la prima volta in modo organico con
l’introduzione della disciplina legislativa 184/83.
In quell’occasione i lavori parlamentari, oltre a modificare l’adozione e
introdurre per la prima volta nell’ordinamento l’affidamento familiare, furono
volti ad altri interventi, diretti a realizzare i valori costituzionali del diritto del
minore ad avere una famiglia e principalmente ad essere allevato in essa. Così il
testo allora approvato, affermava all’art. 1 il diritto del minore ad essere educato
16
La specificazione terminologica e contenutistica affonda le sue radici oltre che negli articoli
della Costituzione di cui si è detto (che sanciscono il diritto del minore a sviluppare pienamente
la sua personalità in primo luogo nella famiglia originaria), anche nella Convenzione di
Strasburgo del 1967, nella Convenzione O.N.U. sui diritti del fanciullo; sembra richiamare gli
artt. 3 e 4 della Dichiarazione O.N.U. del 1986 sui principi di sicurezza e protezione del bambino
con riferimento all’affidamento e adozione nazionale e internazionale, e l’art. 147 c.c. che
contempla gli obblighi educativi dei genitori, cfr. UCCELLA, Diritto del minore a vivere e
crescere ed essere educato nella propria famiglia: un nuovo principio fondamentale in tema di
filiazione, in Vita Notarile, 2, I, 663, 664.
17
Soltanto con la legge 184/83 l’affidamento familiare riceve una disciplina organica e
autonoma. L’art. 318 c.c., non vietando al genitore il collocamento del figlio presso terzi o
presso istituti di educazione, legittimava alcune forme di affidamento familiare o extrafamiliare,
effettuato dal genitore stesso a scopo educativo o di protezione; l’art. 404 c.c. riconosceva
all’Istituto di pubblica assistenza la facoltà di affidare il minore a persone di fiducia, vedi
BARENGHI, op. cit., 244.
13
nell’ambito della propria famiglia d’origine, prevedendo solo in via sussidiaria
interventi sostitutivi al ruolo dei genitori.
Nella fase delle ricerche che hanno preceduto e preparato i primi disegni di
legge sull’affidamento familiare, erano stati esaminati alcuni istituti, che si
proponevano di dare attuazione al diritto del minore sia alla educazione che alla
famiglia. Queste misure consistevano nell’affiancare ai genitori operatori sociali,
figure incaricate di aiutarli nell’educazione dei figli e, per quanto possibile, di
svolgere i compiti dei genitori senza che i minori lasciassero il proprio nido
familiare; successivamente questi ultimi sarebbero stati inseriti in un’idonea
famiglia o in un istituto, ma solo dopo avere esaurito con esito negativo gli altri
tentativi. Istituti simili, tuttavia, non trovarono spazio nel nostro ordinamento, che
non prevede un sistema di interventi da parte dello Stato nello svolgimento del
compito di educare i figli
18
.
La precedente formulazione dell’art. 1, che prevedeva il solo diritto
all’educazione, veniva interpretato anche come diritto di crescere nella propria
18
CASTELLINI, op. cit., 251. Per la situazione anteriore alla riforma del 1983: CATTANEO,
Aspetti giuridici dell’affidamento familiare. La posizione giuridica degli “affidatari”, in
Affidamenti familiari, Padova, 1973, 73 ss.; MAZZA GALANTI, Il minore e l’affidamento
familiare, in Dfam., 1982, 663 ss.; SALME’, Problemi dell’affidamento familiare, in Foro it.,
1981, I, 73 – 74, considera le situazioni di convivenza di un minore con persona o nucleo diverso
dai genitori o dalla famiglia d’origine, di durata temporanea, allo scopo di fargli trascorrere in
ambiente educativo idoneo il tempo che occorre per ovviare alla difficoltà della sua famiglia o
per fare maturare soluzioni di vita più stabili. I rapporti con la famiglia d’origine sono mantenuti
e migliorati.
14
famiglia. La modifica intervenuta con l. 149/2001, delinea i principi generali volti
a tutelare il diritto del minore ad un coerente sviluppo psico-fisico all’interno
della sua stessa famiglia d’origine
19
.
Il diritto del minore alla “famiglia” è proclamato già nel titolo della legge
n. 149/01: non più “disciplina dell’adozione e dell’affidamento di minori”, ma
“diritto del minore ad una famiglia” appunto, dove è esplicitamente indicato al
comma 1°, il diritto di “crescere ed essere educato” in essa
20
. Il “nuovo diritto” ha
introdotto un principio di carattere dinamico, che sottolinea non solo il momento
educativo, ma anche quello della crescita individuale, ed è stato considerato come
il leit motiv nei casi in cui si presentavano conflitti fra gli interessi del minore e
gli interessi di altri soggetti.
Il comma 5° rafforza l’interesse del minore mediante il riconoscimento del
diritto di “vivere” nella sua famiglia. Questa enunciazione non è né
contraddittoria, né superflua, ma consequenziale: non vi può essere crescita
19
La lente attraverso cui intendere la riforma della disciplina dell’adozione e dell’affidamento è
rappresentata dal rafforzato riconoscimento del diritto del minore alla famiglia, così GORGONI,
in Adozione nazionale cit., 935.
I valori che emergono dall’art. 1 l. 149/2001 sono: il diritto del minore a crescere ed essere
educato nella propria famiglia; un programma di interventi a favore dei nuclei familiari a rischio;
il coinvolgimento delle regioni nella determinazione dei programmi di aiuto alle famiglie e nella
verifica dell’operato svolto dagli enti che accolgono i minori.
20
Cfr. BIANCA, La revisione normativa dell’adozione, in Familia 2001, 3, 525; VALENTINO,
Brevi note in tema di affido dei minori,in Dfam., fasc. 3, II, 1401.
15
biologica ed educativa se il minore non vive fisicamente nel nucleo familiare di
appartenenza.
Il legame tra il minore e la famiglia d’origine ha assunto una dignità giuridica
senza precedenti: si è attuata, da parte del diritto, “l’auto comprensione del
fenomeno esperenziale”, per cui lo sradicamento e/o l’allontanamento dalla
comunità familiare sono visti come residuali.
La giurisprudenza aveva statuito che il principio dell’art. 1 fosse quello di
accentuare l’esigenza di assicurare, in difetto di specifiche ragioni ostative, la
crescita e lo sviluppo del minore nella famiglia d’origine, considerata ambiente
naturale di vita dello stesso, non solo per la crescita ma anche per l’aspetto psico
– pedagogico.
Il legislatore ha ritenuto che il diritto di crescere ha una sua autonomia e non si
deve confondere col diritto all’educazione, ma si deve configurare come diritto ad
essere allevato. Ha anche specificato, anteponendoli agli altri due, che vi è un
diritto a vivere nella propria famiglia, nel senso di abitare e tessere relazioni
interpersonali
21
.
21
UCCELLA, op. cit., 668; BIANCA, Sub art. 1, in Adozione Nazionale, cit., 2002, 909, cit.,
ritiene che la formula del nuovo testo non deve essere intesa come attributiva di più diritti ma
come espressione dell’unico interesse di crescere nella propria famiglia a cui si aggiungono i
tradizionali diritti di mantenimento, educazione e istruzione (art. 147 c.c.); cfr. BIANCA, La
filiazione, cit., 207 ss.
16
La riformulazione della novella si propone come nuovo principio fondamentale
del diritto di famiglia, in specie della filiazione, perché si erge a presidio delle
relazioni della famiglia con la comunità politica e degli stessi rapporti intra
familiari. Con l’art. 1, il legislatore ha proclamato che le radici non vanno recise,
in quanto “ogni persona umana ha una sua preistoria, una sua storia e una sua
cronaca, con cui tutti debbono confrontarsi e che tutti debbono rispettare”.
Il diritto alla famiglia è un diritto della personalità, soggettivo, assoluto e
perfetto, che non ammette ingerenze da parte di terzi; nei confronti dello Stato
questo comporta l’illegittimità di provvedimenti giudiziari intesi a privare il
minore dei suoi diritti al di fuori dei casi previsti dalla legge
22
.
22
Es. art. 2 comma 1, 10 comma 3, 22 comma 6. È costante l’affermazione in dottrina secondo
cui la legge di revisione ha riservato maggiore spazio alla tutela della personalità del minore che
trova occasione di realizzare nell’educazione e nella crescita nell’ambito della propria famiglia:
BIANCA, La revisione normativa dell’adozione, cit., 525.
17
2. Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere d’ostacolo al diritto
del minore alla propria famiglia (art. 1, commi 2 e 3 e art. 2, commi 1 e 3).
La giurisprudenza della Corte Suprema aveva già negato la legittimità della
dichiarazione dello stato di adottabilità di minori che ricevono un’adeguata cura
affettiva da parte di genitori indigenti
23
, ritenendo che la sola mancanza
dell’assistenza materiale non integrasse condizione di abbandono.
La legge 149/2001 ha fatto propria l’istanza che il minore non venga sottratto
alla famiglia, quando questa non sia nella possibilità di mantenerlo
adeguatamente
24
; ha previsto in modo esplicito che lo stato di povertà
25
della
stessa
26
, non è motivo sufficiente, ai fini della adottabilità o dell’inserimento del
minore in un diverso nucleo familiare.
23
Cfr. Cass. 23 aprile 1990, n. 3369: non sono sufficienti ai fini della dichiarazione di
adottabilità né una semplice povertà del tenore di vita, né il confronto con le migliori condizioni
di vita che il minore potrebbe trovare in un’eventuale famiglia adottiva.
24
BIANCA, Le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo
all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, in Gius. civ., 2001, 10, 429; ancora
BIANCA, La revisione normativa, cit. 525.
25
Di “condizioni di povertà” si parlava in una prima proposta di legge, successivamente il
testo è stato approvato secondo l’attuale terminologia di “condizioni di indigenza”, cfr.
UCCELLA, op. cit., 661.
26
Un principio del genere si ricavava in via di interpretazione sistematica dalla precedente
disciplina, ma ora è di immediata percezione, cfr. A. e M. FINOCCHIARO, Adozione e
affidamento di minori. Commento alla nuova disciplina, Milano, 2001, 15. A pag. 22 si rileva
che gli interventi di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 1, sono quelli giustificati non da carenze
temporanee della famiglia dovute alle più svariate ragioni, ad. es. detenzione, tossicodipendenza,
ma dalla “indigenza” della famiglia.
18
Occorre rilevare però che spesso le condizioni economiche precarie dei genitori,
possono sfociare nella necessità dell’affidamento familiare, in quanto la
situazione di disagio, anche nel solo caso di un reddito non sufficiente, non
consente di soddisfare adeguatamente le esigenze essenziali, lo sviluppo fisico,
mentale, morale, spirituale e sociale del figlio minore
27
. Famiglie che versano in
situazioni di deprivazione economico – sociale (dovute ad esempio a mancanza di
lavoro o di un’abitazione adeguata), presentano altre problematiche associate che
possono indurre la famiglia stessa o gli operatori sociali ad allontanare il minore,
al fine di garantire maggiore stabilità sia affettiva che economica
28
.
Tutto ciò in ogni caso comporta il distacco del minore dalla sua famiglia
29
.
Per cercare di prevenire tali situazioni, il comma 3 art. 11. adozione, ha previsto
l’obbligo
30
per lo Stato, le Regioni e gli enti locali, di adottare quegli interventi
idonei per sostenere le famiglie a rischio, consentendo al minore di vivere nella
propria famiglia, secondo le competenze, autonomia e nei limiti delle risorse
finanziarie disponibili dei vari enti.
27
Convenzione New York, vedi infra.
28
BIANCA, La revisione normativa, op. cit., 525.
29
BIANCA, Le condizioni di indigenza, cit., 429 ss.
30
Si tratta di un verbo imperativo, vedi UCCELLA, op. cit., 661.