formazione universitaria l’aveva spinto a creare Nomadelfia sul modello
teorico dello stato di diritto sorretto da una democrazia diretta,
assumendo come legge fondamentale una Costituzione. Dalla lettura
della Costituzione della Popolazione di Nomadelfia sono emersi molti
aspetti interessanti da approfondire, soprattutto nei riguardi della
famiglia. In particolare la figura delle “mamme di vocazione” nata nel
1941: vergini non consacrate che rinunciano al matrimonio per
accogliere, come madri, minori abbandonati o temporaneamente privi di
una famiglia, il cui status vitae deve essere manifestato all’interno della
Comunità attraverso un atto pubblico
2
; l’istituzione della “scuola
familiare” per i figli di Nomadelfia, il cui obbligo scolastico è innalzato
fino ai diciotto anni, a differenza di quanto prevede l’ordinamento civile
3
;
la divisone della struttura sociale della Comunità in “gruppi familiari”:
“ciascuna famiglia ha l’abitazione indipendente, mentre sono in comune
cucina, sala da pranzo, laboratori e quant’altro può essere realizzato in tal
forma senza sminuire la personalità giuridica, morale, spirituale delle
singole famiglie nelle loro essenziali esigenze.”
4
Data la vastità degli argomenti si è deciso di incentrare l’attenzione sullo
studio dell’applicazione pratica dell’istituto dell’affidamento familiare alle
famiglie di Nomadelfia le quali sono, sin dall’inizio, disponibili
2
Cfr. articolo 9 della Costituzione della Popolazione di Nomadelfia
3
Cfr. articolo 43 della Costituzione della Popolazione di Nomadelfia
4
Cfr. articolo 18 della Costituzione della Popolazione di Nomadelfia
all’accoglienza di minori.
La ricerca inizia con una breve analisi dell’istituto dell’affiliazione, il quale
veniva introdotto nell’ordinamento negli anni in cui nasceva Nomadelfia,
per poi passare all’analisi dell’istituto dell’affidamento familiare come
disciplinato dalla legge n. 184 del 1983, novellato dalla legge n. 149 del
2001.
In particolare si sono approfonditi due aspetti: il primo è lo studio del
procedimento dell’affidamento, svolto dapprima esaminando le
interpretazioni della dottrina giuridica, poi facendo riferimento a ciò che
accade concretamente quando un affido viene disposto alla Comunità di
Nomadelfia.
Il secondo aspetto riguarda i poteri e i doveri degli affidatari nei
confronti dei minori affidati, con riferimento all’esercizio della potestà
genitoriale da parte dei genitori affidatari. Lo studio della potestà
genitoriale è particolarmente interessante in quest’ambito in quanto una
delle particolarità della Comunità di Nomadelfia, che coinvolge tutta la
Comunità compresi i minori affidati, è rappresentata dall’esercizio della
“paternità e maternità in solido”: a Nomadelfia tutti i figli sono educati
conformemente alle direttive pedagogiche impartite dal Fondatore con
l’incondizionato e solidale aiuto di tutti.
5
5
Cfr. articolo 15 della Costituzione della Popolazione di Nomadelfia
Lo scopo della ricerca è, quindi, verificare se la Comunità di Nomadelfia
può essere considerata una risorsa a disposizione dei servizi sociali locali,
una “comunità di tipo familiare” alla quale fare riferimento per
l’affidamento dei minori temporaneamente privi di un ambiente familiare
idoneo. Non si è inteso, perciò, dare giudizi sull’operato dei Nomadelfi
nei confronti dei minori affidati, né giudicare il lavoro dei servizi sociali
quando affrontano i problemi delle famiglie in difficoltà, ma solo
effettuare un confronto teorico-pratico della disciplina dell’affidamento
familiare. Nomadelfia per la particolarità della sua vita e della sua storia
ha sempre destato interesse nel mondo della cultura e alcuni aspetti di
essa sono stati spesso oggetto di tesi di laurea.
6
Nessuna tesi finora
aveva affrontato l’aspetto giuridico dell’istituto dell’affidamento familiare:
con questa tesi si è, così, voluto partecipare ai numerosi studi prodotti
sulla Comunità di Nomadelfia.
6
NOMADELFIA E’ UNA PROPOSTA, Tesi di laurea sulla realtà di Nomadelfia, n. 2, 2002, p.6
Capitolo I
“Le origini
dell’istituto
dell’affidamento
familiare”
1. Origini dell’istituto: l’affiliazione
L’affidamento familiare, come è oggi inteso, trae origine dall’istituto della
affiliazione, così come introdotto nel codice civile del 1942.
L’istituto dell’affiliazione rispose a reali ed importanti esigenze sociali, e
pur non avendo precedenti nella legislazione positiva civile italiana ha
origini molto remote e complesse.
1
Esso è sorto e divenuto legge civile
per la necessità di risolvere praticamente dei problemi che gli istituti
giuridici preesistenti non consentivano di definire ed ha tratto a prestito
elementi e principi sia dalla legislazione per la protezione dei minori
abbandonati, sia dalle norme proprie dell’istituto dell’adozione.
2
La
dottrina del periodo sentiva di dover colmare una lacuna e richiamare
l’attenzione della società sulle misere condizioni di larghi strati popolari e
in specie sulle sventure dei minori abbandonati, vittime innocenti di una
colpa non loro.
3
I compilatori del codice cercarono di creare un istituto
del tutto distinto dall’adozione: infatti, fu escluso il termine “piccola
adozione” perché avrebbe inconvenientemente avvicinato i concetti del
nuovo istituto e dell’adozione. E’ vero che i due istituti avevano in
comune il fatto materiale dell’assunzione di un estraneo nell’ambito di
1
F.A. MARINA, L’istituto della affiliazione, Firenze, 1948, p. 5
2
F.A. MARINA, op. cit., p. 6
3
F. SALVI, L’affiliazione, Milano, 1946, p. 1
una famiglia, ma tale assunzione aveva luogo con finalità, modalità,
effetti diversissimi. La finalità dell’adozione è quella, ancor oggi, di
assicurare la continuità della famiglia, inserendo in essa in posizione di
figlio, una persona estranea, mentre l’affiliazione aveva per scopo
principale di dare ai fanciulli privi o abbandonati dai genitori l’assistenza
di cui avevano bisogno e quindi con finalità essenzialmente benefica e
assistenziale.
4
L’adozione di questi fanciulli era spesso impossibile per la
mancanza di requisiti di età o per la presenza di figli, e difficilmente
veniva attuata a causa della gravità dei suoi effetti, specialmente nei
riguardi della successione.
5
Il legislatore del 1942 batté la giusta via: fare
del nuovo codice lo strumento tecnico con cui lo Stato non solo regola i
rapporti tra singoli soggetti di diritto, ma anche provvede a sanare con la
sua azione diretta ogni situazione di dolore e di sventura creata dalla
natura, dagli eventi esterni o dall’egoismo umano.
6
Nella epoca in cui il
legislatore del nuovo codice si trova ad operare esiste in Italia una massa
costante di 200.000 fanciulli che i genitori non possono e non vogliono
allevare
7
. Perciò quest’istituto rispose a un’esigenza di certezza giuridica:
dare a questi derelitti una posizione definita, non avvilente,
raggiungendosi in tal modo il fine di evitare che il minore si trovasse ad
essere oggetto di un odioso sfruttamento che si nascondeva dietro lo
4
Relazione ministeriale al Re n°182
5
C. GRASSETTI, G. CATTANEO, voce Affiliazione, in Novissimo digesto italiano, Torino, 1957, p. 365
6
F. SALVI, op. cit., p. 2
7
F. SALVI, op. cit., p. 2
schermo di un falso amore e, nello stesso tempo, chi lo avesse allevato
con sacrificio non lieve non perdesse a un tratto per il capriccio di un
genitore indegno i frutti della propria disinteressata generosità.
8
Si tenga
presente che il rapporto d’allevamento fra il minore abbandonato e
l’allevatore aveva frequenti manifestazioni nelle campagne, dove si
costituiva un vincolo di affezione e di lavoro, che poteva in ogni
momento essere rotto qualora fosse stato lecito per un genitore legittimo
o naturale riprendere il figlio sotto la propria potestà, allorché esso fosse
in grado di provvedere a sé e magari anche allo stesso indegno padre.
9
Allo scopo di evitare speculazioni del genere venne così creata
l’affiliazione che dà al minore una posizione giuridicamente definita,
suscettibile di continuazione anche di fronte alle richieste del genitore,
potendo queste essere respinte dal giudice, se contrarie all’interesse del
minore.
10
E’ necessaria ora un’indagine sulla struttura giuridica dell’affiliazione, ed
a questo proposito le dichiarazioni contenute nella relazione che
accompagna il codice hanno un valore molto scarso, perché rispecchiano
solo l’opinione del loro redattore e non il pensiero dei compilatori. In più
i compilatori stessi non avevano idee univoche intorno alla natura, alla
portata, e dall’essenza del vincolo di affiliazione.
11
In dottrina le opinioni
8
F. SALVI, op. cit., p. 3
9
F. SALVI, op. cit., p. 3
10
F. SALVI, op. cit., p. 4
11
C. GRASSETTI, G. CATTANEO, op. cit., p. 366
divergono. Si parla di un vincolo familiare, vincolo di parentela civile: a
questo proposito Marina definisce così l’istituto: “L’affiliazione è un
istituto per cui i minori affidati alla pubblica o privata assistenza od
allevati da estranei, mediante un determinato procedimento ad istanza di
parte, ed in virtù di un provvedimento del magistrato competente,
conseguono un nuovo stato familiare, per effetto del quale vengono ad
essere legati da un vincolo civile di natura parentale, produttivo di limitati
effetti familiari e patrimoniali e diverso dal vincolo del sangue, con quelle
persone a cui erano stati affidati o da cui erano stati allevati.”
12
Qualcuno
esclude che questo sia il contenuto dell’affiliazione, ma le opinioni
divergono anche da questo lato: il vincolo di affiliazione non può
qualificarsi come una parentela civile, come un rapporto parentale. Così
Bevilacqua: “L’istituto della affiliazione introdotto nel nuovo codice
completa e trae alle ultime conseguenze la disciplina giuridica
dell’allevamento volontario esterno. Per questo istituto lo Stato ha
espropriato la patria potestà a genitori non idonei o non degni e ha fatto
di detta patria potestà un diritto proprio, a mezzo del giudice tutelare, a
chi per tre anni ha lodevolmente allevato il minore abbandonato e ne
faccia domanda concede i poteri inerenti alla patria potestà, con facoltà per
l’affiliante (qualora lo desideri a somiglianza della paternità e maternità
legittima, naturale e adottiva) di dare il proprio cognome all’affiliato.
12
F.A. MARINA, op. cit., p. 38
Trattasi di un atto in cui il diritto pubblico concorre in modo quasi
assolutamente esclusivo. […] l’affiliazione si estingue quando lo Stato
ritenga, a suo esclusivo giudizio, di reintegrare nell’esercizio della patria
potestà il genitore da essa decaduto o impedito di esercitarla. […] lo
Stato si riserva anche il diritto di vigilare sull’affiliante e sull’affiliato
durante tutta la durata dell’affiliazione […] le norme di diritto pubblico
hanno in questo istituto una preminenza quasi assoluta sulle norme di
diritto privato, fatto dimostrato anche dalla specificazione dei fini che lo
Stato intende perseguire. L’affiliazione ha per suo scopo non solo il
desiderio dello Stato di regolare forme giuridicamente forme assistenziali
già applicate nell’uso, né soltanto il desiderio del privato di formarsi un
oggetto alla esuberanza del suo sentimento di paternità, né il mero scopo
di soccorrere il minore o di favorire una forma di allevamento
dimostratasi particolarmente utile, ma anche di inibire che questa forma
di allevamento si interrompa per malvagia volontà nel momento in cui
potrebbe ottenere i suoi frutti migliori, e, infine di sostituire al vincolo
naturale della filiazione, impedito o interrotto nei suoi naturali effetti a
cagione del non riconoscimento o dell’abbandono dei genitori, un
vincolo nuovo, fondato sull’allevamento, sulla coabitazione, sull’affetto e
sulla riconoscenza.”
13
13
R. BEVILACQUA, Sulla natura giuridica dell’affiliazione, in Giur. it., 1941, p. 153
Bevilacqua poi ci dà la sua definizione di affiliazione: “Per cui
l’affiliazione può definirsi un negozio giuridico mercé il quale lo Stato
concede a tempo indeterminato a chi per almeno tre anni ha allevato un
minore abbandonato dai genitori o particolarmente esposto
all’abbandono, i poteri inerenti alla patria potestà, con facoltà di dare il
proprio cognome all'affiliato”.
14
Egli poi, in base alle proprie considerazioni, nega che l’affiliazione possa
considerarsi come un rapporto quasi familiare, perché la famiglia esiste o
non esiste: tertium non datur.
15
Ancora si è sostenuto che l’affiliazione crei un indubbio stato di famiglia,
che però dovrebbe qualificarsi come attenuatamente familiare. E’ di
questa opinione Salvi: “ […] il legislatore raggiunge i suoi fini attraverso
il rapporto d’affiliazione e quindi il vincolo costituitosi tra affiliante e
affiliato si deve vedere in funzione delle finalità dell’istituto; ora perché
parlare di eccesso della disciplina legislativa in ordine a queste finalità, nel
caso si ammetta la creazione di uno stato famigliare per l’affiliato?
Questo stato non serve altro che a rinvigorire il rapporto sostanzialmente
assistenziale tra l’allevatore e i fanciulli orfani o abbandonati dai genitori
e quindi non eccede le intenzioni del legislatore ma le asseconda.”
16
14
R. BEVILACQUA , op. cit., p. 154
15
R. BEVILACQUA , op. cit., p. 154
16
F. SALVI, op. cit., p. 50
Salvi quindi ritiene che la configurazione giuridica dell’affiliato si possa
configurare come uno stato, seppure attenuatamente, familiare: esso è
uno “stato d’affiliato”. Ecco come Salvi definisce l’affiliazione:
“Rapporto giuridico famigliare, concesso e favorito dallo Stato che,
attraverso di esso, persegue fini assistenziali e pubblicistici”.
17
Che la funzione primaria dell’affiliazione sia il conseguimento di un fine
assistenziale è ammesso anche dalla dottrina che vi ravvisa l’attribuzione
di uno stato di famiglia. Peraltro la varietà di opinioni ed i molteplici
dubbi sono soprattutto indice di un’inesatta impostazione del problema:
quando si afferma o si nega che l’affiliato consegue uno stato di famiglia,
al pari dell’adottato e del figlio naturale riconosciuto o dichiarato, si
postula che l’adozione e il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale
creino uno stato di famiglia. Sennonché altro è lo stato di filiazione, altro
è lo stato di famiglia. Lo stato di famiglia è il complesso dei rapporti non
solo fra il figlio e il genitore, ma insieme fra il figlio e tutti i parenti
dell’uno e dell’altro genitore.
18
Perciò né il figlio adottivo, né il figlio
naturale, riconosciuto e dichiarato, possono avere uno stato di famiglia.
19
La legge riconosce un rapporto solo tra genitore e figlio naturale, e
rispettivamente tra genitore adottivo e adottato, e non invece rapporti tra
17
F. SALVI, op. cit., p. 50
18
C. GRASSETTI, G. CATTANEO, op. cit., p. 366
19
Oggi con l’introduzione, ad opera della legge n. 184/83, dell’istituto dell’adozione “piena”, vale a
dire l’adozione regolata dal titolo secondo della legge, si ha per il minore l’attribuzione dello stato di
figlio legittimo, con conseguente instaurazione di vincoli di parentela tra l’adottato e i parenti, sia in
linea retta che collaterale, dell’uno e dell’altro genitore adottivo. Cfr. G.CATTANEO, Digesto, quarta
edizione, Torino, 1987, p. 114
il figlio adottivo o naturale e i parenti ed affini del genitore. In questi casi
perciò si ha uno stato di filiazione. Non occorre dunque domandarsi se
l’affiliato consegua uno stato di famiglia, il che è comunque da escludere.
Occorre invece chiedersi se consegua uno stato di figlio, analogo a quello
dell’adottato e del figlio naturale riconosciuto e dichiarato.
20
Questa
impostazione del problema è data da Grassetti: “Quando infatti si
afferma che l’affiliazione è, come l’adozione, ordinata alla creazione di
uno stato di famiglia, e quando all’opposto si nega questa equiparazione,
si parte sempre dalla premessa che almeno l’adozione attribuisca
all’adottato uno stato di famiglia. Così pure, quando si pretende che
l’assoggettamento alla patria potestà, il diritto al mantenimento al pari dei
figli legittimi e soprattutto l’assunzione del cognome del genitore siano
situazioni che non possono che ricondursi a uno stato di famiglia, si
postula che il figlio naturale, riconosciuto o dichiarato, consegua, per
mezzo del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale, uno stato di
famiglia.
Ma è questa una serie di postulati sui quali non saprei davvero
consentire. Altro è lo stato di filiazione, altro è lo stato di famiglia.”
21
Abbiamo fin qui esaminato le ragioni dell’introduzione nell’ordinamento
dell’istituto dell’affiliazione e le opinioni sorte a proposito del suo
problema centrale: il rapporto di congruenza tra struttura e funzione
20
C. GRASSETTI, G. CATTANEO, op. cit., p. 366
21
C. GRASSETTI , La struttura giuridica dell’affiliazione (Studi parmensi), Parma, 1950, p. 508
dell’affiliazione, al fine di qualificare gli effetti di questo vincolo; si è
trattato cioè di stabilire se il rapporto di affiliazione crei uno status
personale cui possa convenire o meno l’attribuzione di familiare.
22
Passiamo ora ad esaminare brevemente le principali disposizioni del
codice civile sull’affiliazione (così come esse figuravano nel codice civile
prima dell’introduzione nell’ordinamento del nuovo istituto
dell’affidamento familiare) di modo che di esso venga alla luce anche la
portata pratica, che servirà per meglio comprendere l’applicazione di
questo istituto e dell’istituto successivo, all’interno della comunità di
Nomadelfia, oggetto del nostro studio.
Art. 403 – intervento della pubblica autorità a favore dei minori.
Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali
insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per
altri motivi incapaci di provvedere alla educazione di lui, la pubblica autorità, a
mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a
quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione.
Il proposito del legislatore trovava la sua ragione sostanziale
nell’intendimento di porre come regola normale il dovere di intervento a
22
M. STELLA RICHTER, V. SGROI, Delle persone e della famiglia, in Commentario del codice civile, Torino,
1967, p. 508
favore dell’infanzia, abbandonata o allevata in modo sconveniente, da
parte dell’autorità amministrativa, cui spetta istituzionalmente l’esercizio
di tali compiti di assistenza.
23
Questa norma introdusse una notevole
deroga alla disciplina comune concernente l’esercizio della patria potestà
e della tutela, attribuendo all’autorità amministrativa l’autonomo potere
di far ricorso ad una misura d’indole cautelare e provvisoria. L’intervento
della pubblica autorità a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia si
poteva attuare nei casi:
a) di abbandono morale o materiale del minore o anche di pericolo di
abbandono;
b) di allevamento del minore in locali nocivi o pericolosi alla sua salute
fisica o spirituale;
c) di incapacità delle persone che debbono provvedere all’educazione
del minore di svolgere il loro compito, qualunque sia il motivo di tale
incapacità.
24
23
M. STELLA RICHTER, V. SGROI, op. cit., p. 587
24
M. STELLA RICHTER, V. SGROI, op. cit., p. 587