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Questo è senz’altro il nucleo centrale di un fenomeno, quello della
“disgregazione coniugale”, che ha assunto proporzioni considerevoli,
influendo indiscutibilmente sulla stabilità dell’istituto familiare.
Si registra un numero crescente di minori coinvolti in quest’esperienza e, di
conseguenza, diventa necessario prestare sempre maggiore attenzione agli
effetti che prima la separazione, poi il divorzio dei genitori hanno sui figli e
sul loro sviluppo.
Al fine di tutelare la posizione dei minori nell’ipotesi di dissesto della
famiglia, il nostro ordinamento si ispira ad un criterio fondamentale:
l’esclusivo interesse morale e materiale della prole.
La valutazione dell’interesse del bambino non può naturalmente prescindere
dalla sua situazione nel caso concreto e nel momento in cui la separazione
avviene, ma in prima approssimazione lo si può identificare con il fatto che la
dissoluzione del nucleo familiare deve incidere il meno possibile sui doveri
che i genitori hanno verso i figli.
Nella nuova situazione in cui si vengono a trovare, per i figli si dovrebbero
inoltre creare le condizioni necessarie per affrontare e superare le inevitabili
difficoltà che essa comporta per loro.
Una volta determinato quale sia l’interesse della prole nel caso concreto in
esame, il problema più complicato da risolvere riguarda senza dubbio la
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scelta del genitore con il quale i figli debbano continuare a vivere dopo la
separazione.
Ciò in considerazione del fatto che è la coabitazione con i genitori ad offrire a
questi ultimi maggiori opportunità di proseguire il rapporto con i figli e di
curare direttamente la prole, mantenendo inalterato, per quanto possibile,
l’esercizio dei doveri genitoriali.
Anche dopo la separazione dei coniugi, infatti, i doveri di mantenere, istruire
ed educare i figli tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni ed
aspirazioni, che competono ai genitori secondo l’art. 30 Cost. e l’art. 147 c.c.,
restano immutati.
Le vicende personali dei coniugi devono restare indifferenti rispetto ai doveri
che nascono dal rapporto di generazione, e non devono incidere sulla
posizione della prole poiché separazione e divorzio “non attengono né si
riflettono, quale che sia l’esito dei giudizi stessi, sullo stato dei figli”: i doveri
verso i figli non nascono dal matrimonio tra i genitori, ma in virtù della mera
procreazione.
Ciò non toglie che il venir meno della coabitazione dei genitori influisca
profondamente sui modi in cui essi possono adempiere i propri obblighi verso
la prole.
Occorre, perciò, “offrire una risposta che recuperi una funzionalità del
rapporto genitoriale, pur nella modifica dell’originario nucleo familiare”, ed
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assumere provvedimenti che consentano di contemperare le esigenze e gli
interessi dei minori coinvolti, quelle dei coniugi separati e quelle della
famiglia nel suo complesso, che sono spesso confliggenti tra loro.
Questa necessità diventa ancora più pressante se si pone l’accento sul fatto
che i doveri dei genitori verso i figli non possono esaurirsi nel mero obbligo
di versare le somme di denaro necessarie per il loro mantenimento.
L’attuazione dei doveri genitoriali deve comprendere anche comportamenti
che sono importantissimi per lo sviluppo psicofisico della prole, non ultima
tra questi la stessa presenza del genitore accanto al figlio in tutte le fasi della
sua crescita, allo scopo di mantenere costante per quest’ultimo il riferimento
ad entrambe le figure genitoriali.
Nel corso della trattazione si cercherà di specificare quali soluzioni sono
prospettate dall’ordinamento italiano per le problematiche in esame,
esponendo innanzitutto i contenuti e le caratteristiche dei provvedimenti
relativi alla prole nell’ipotesi di separazione tra i coniugi.
Il tema dell’affidamento del minore,dunque, nell’ambito di una separazione
genitoriale è sicuramente complesso, ma stimolante perché a fronte di una
normativa interna ed internazionale di sicura non facile interpretazione ed
attuazione, ci trova impegnati nell’affrontare problematiche che, pur
affioranti nel mondo del diritto, coinvolgono principi etici, sociali e politici
5
riguardo alla posizione del minore all’interno della famiglia e della società in
cui vive.
Molte sono le situazioni che coinvolgono la vita di un minore e che
richiedono l’intervento giudiziario.
Il sistema giuridico italiano, seppure con una certa lentezza, sta sempre più
affermando l’idea che il minore sia portatore autonomo di diritti e non solo
oggetto di tutela.
È pur vero che in questo modo, nelle procedure di separazione e divorzio, si
può incorrere nel rischio di strumentalizzare il minore contro l’altro genitore;
ma da questi rischi ci si può difendere assicurandosi che l’ascolto avvenga
con l’ausilio di personale specializzato, in grado di garantire che tutto si
svolga nell’esclusivo interesse del minore stesso.
Lo scopo principale dell’ascolto è di fare chiarezza sugli interessi, i desideri e
i bisogni del bambino, puntando a far emergere gli aspetti buoni della
relazione genitori-figli.
In questo modo i minori potranno essere considerati “soggetti di diritto”,
poiché costituiscono i maggiori esperti in ciò che li riguarda.
Alla luce di quanto detto, questo studio si propone, in primo luogo, di
esaminare gli aspetti generali della crisi coniugale come causa di separazione
e divorzio che principalmente coinvolge i genitori, ma il cui esito finale
ricade in maniera determinante sulla vita futura del minore.
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In relazione al fatto che la Convenzione di New York per prima ha
individuato nel minore un soggetto di diritti e non un oggetto di diritti, la
Convenzione di Strasburgo recepisce a pieno questo principio e cerca di
applicarlo nel campo più specifico delle procedure familiari di separazione e
divorzio che riguardano lo stesso.
Proprio per la natura degli interessi coinvolti in queste vicende,sarà
importante osservare l’applicazione della Convenzione europea
nell’ordinamento italiano; infatti, la separazione e il divorzio dei genitori
sono in ogni caso vissuti dai figli come un trauma, aggravato dal fatto che
“ancora molti coniugi si separano senza riuscire a superare ostilità e
risentimenti reciproci, e, considerando di conseguenza il fatto di continuare a
vivere con il figlio come segno del proprio valore in contrapposizione alla
non validità dell’altro, non riescono ad accordarsi sulle modalità del suo
affido”.
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CAPITOLO I : QUESTIONI GENERALI SULLA SEPARAZIONE
PERSONALE DEI CONIUGI
La separazione personale dei coniugi e il suo posto nell’ordinamento.
L’art. 150 c.c. recita al primo comma: “ è ammessa la separazione personale dei
coniugi,” specificando al 2° comma che sono due i tipi di separazione previsti:
“la separazione può essere giudiziale o consensuale”.
La separazione personale dei coniugi è un rimedio che l’ordinamento pone a
disposizione dei coniugi nel caso di crisi del rapporto coniugale: con la sentenza
che pronunzia la separazione giudiziale o con il decreto che omologa l’accordo
che mette capo alla separazione consensuale si allenta, ma non si scioglie il
vincolo matrimoniale e - pur uscendone fortemente inciso l’insieme dei doveri
che costituiscono il regime patrimoniale e personale della famiglia - permane lo
status di coniuge.
L’istituto allo studio, sconosciuto al diritto romano, trova la sua origine e
giustificazione storica nella concezione cristiana dell’indissolubilità del vincolo
matrimoniale sancita dal diritto canonico fin dal decimo secolo.
Abolita dalla rivoluzione francese, che ammetteva lo scioglimento del
matrimonio, è stata reintrodotta dal codice napoleonico accanto al divorzio.
Il codice civile italiano del 1865 cancella la dissolubilità del vincolo e disciplina
l’istituto della separazione prevedendone due forme: la separazione per colpa
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accessibile solo in ipotesi tassativamente determinate e la separazione per mutuo
consenso.
Tale concezione viene poi mantenuta immutata nel codice civile del 1942 prima
di essere completamente modificata da due normative fortemente innovative: la
prima fu la l. 898\70 che introdusse per la prima volta l’istituto del divorzio nel
nostro paese ; la seconda fu la l. 151\75 che ha riformato completamente il diritto
di famiglia in Italia e inciso notevolmente sull’istituto della separazione
consegnandocelo nella sua attuale configurazione.
Dopo la riforma del 1975 sono sempre due le forme di separazione ma, novità di
grande rilievo, è stata cancellata la separazione per colpa introducendosi al suo
posto una separazione giudiziale che trova causa non in ipotesi tassativamente
determinate di comportamenti colpevoli bensì nella intollerabilità della
prosecuzione della convivenza.
Se fino all’introduzione del divorzio la separazione era l’unico rimedio offerto
dall’ordinamento nel caso di crisi coniugale, vista comunque nella prospettiva di
una situazione patologica e temporanea di cui la legge favoriva la cessazione in
virtù della riconciliazione, ci si interroga ora sull’attuale ratio dell’istituto.
Con l’introduzione del divorzio, infatti, la situazione determinatasi con la
separazione può evolvere secondo una triplice prospettiva: il periodo di
separazione può concludersi con la ripresa della convivenza, facendo così venire
meno gli effetti della separazione ( riconciliazione ex art. 157 c.c. ) oppure può
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protrarsi per un tempo indefinito, non essendo nell’intenzione dei coniugi né
riunirsi, né sciogliere il vincolo matrimoniale, diversamente ancora può condurre
al divorzio una volta trascorsi i tre anni richiesti dall’art. 3, n. 2, lett. b) l. 898\70
( e come statisticamente è provato che accade nella stragrande maggioranza dei
casi) sancendo così l’irreversibilità della crisi.
La circostanza che la separazione può a pieno titolo considerarsi una soluzione
“aperta,” in grado di fornire una triplice alternativa circa il futuro rapporto
coniugale, ha generato un ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza, volto alla
ricerca della funzione che la separazione ricopre all’interno dell’ordinamento, si
sono appuntate ora sull’uno ora sull’altro degli aspetti sottolineati elaborando
delle riflessioni che non sono prive di conseguenze pratiche.
Difatti a seconda che si accentui l’una o l’altra delle prospettive – funzioni che
l’istituto dischiude si avranno diverse soluzioni ai problemi interpretativi che la
disciplina dell’istituto stesso propone: primo fra tutti quello relativo alla
sopravvivenza o meno dei diritti e doveri personali che nascono dal matrimonio
dopo la separazione, e di conseguenza l’altro relativo all’ammissibilità del
mutamento del titolo della separazione .
I termini del problema sono i seguenti: se c’è chi da un lato vede ancora la
separazione come “uno stato patologico e temporaneo della comunione familiare
10
che deve tendersi a superare con la riconciliazione,”
1
e chi potrebbe in prima
facie osservarsi che se si propende per la prima delle ipotesi si tenderà a dare una
certa consistenza al regime personale tra coniugi anche dopo la separazione,
ammettendosi così la possibilità della violazione dei doveri matrimoniali di
natura personale e quindi l’ammissibilità del mutamento del titolo della
separazione in separazione con addebito da separazione consensuale o giudiziale
senza addebito; propendendo invece per la seconda ipotesi si giungerebbe alla
conclusione opposta.
Dall’altro ritiene che si tratti di una fase di transizione in vista della conversione
in divorzio si può anche riscontrare l’opinione di chi sostenga essere la
separazione una soluzione anche durevole alternativa al divorzio
2
.
È interessante notare come la prima delle tre soluzioni è stata caldeggiata per
parecchi anni dalla Corte di Cassazione fino a divenire quasi un’affermazione
tralatizia
3
.
1
Così Santosuosso, Il Matrimonio in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale fondata da
Bigiavi, 1987, 274; nello stesso senso Scardulla, La separazione personale e il divorzio, 1996, 347 laddove parla
di “istituto che tende sempre alla riconciliazione”. Anche Morozzo Della Rocca, voce Separazione personale
(dir. priv.) in Enc. dir. XLI, 1989, 1378 pur affermando che la separazione appare come una situazione destinata a
evolvere nella definitiva estinzione del vincolo
2
Così Zatti – Mantovani, La separazione personale dei coniugi, 1983, 11; Grassetti, Comm. dir. it. fam. 1992,
705; Zatti, I diritti e i doveri che nascono afferma che la separazione “non legittima un comportamento, di coloro
che sono ancora coniugi, del tutto simile a quello dei divorziati, ma è concepita dal legislatore come uno
strumento giuridico inteso ad eliminare il momentaneo conflitto col minor danno dei coniugi e della prole
nell’auspicata prospettiva non del divorzio, ma della riconciliazione” e Cass. 1785/77, in Giur. it., 1977, I, 1,
2144 e ss. ove in relazione alla possibilità di mutamento del titolo e quindi alla sopravvivenza o meno dei doveri
coniugali suscettibili di violazione, la S.C. si esprime in senso positivo sulla base di premesse quali “ la
provvisorietà della separazione personale è ordinata non tanto al passaggio da questo stato allo scioglimento
dello stesso vincolo matrimoniale quanto al ripristino dell’unità familiare dal matrimonio e la separazione dei
coniugi, in Tratt. Rescigno, 1982, 202.
3
Cfr. Cass. 1400/79 in Giur. it.1981, I, 1, 1007 ove si o nella ricostituzione della comunità coniugale, comunque
ritiene che nell’ordinamento ha i caratteri di uno strumento di conservazione del vincolo attraverso l’attenuazione
e non la totale sospensione dei doveri derivanti dal matrimonio. Rescigno Manuale del diritto privato italiano.