2 
la propria politica europeista partendo da questo assunto.  La scarsa linearità 
della politica interna inglese però rendeva i vari obiettivi governativi 
difficilmente conciliabili tra di loro e faceva diventare macchinoso ogni 
tentativo di movimento
4
.  Tra i laburisti, che allora erano al governo con 
Attlee, prevalse uno scetticismo di fondo: volevano prima di tutto mantenere 
il buon rapporto con gli USA e le relazioni vantaggiose con il 
Commonwealth.  I conservatori per converso insistevano sulla necessità da 
parte inglese di prendere in mano le briglie del movimento europeista, non 
certo per dargli nuovo impulso, ma per poterlo meglio controllare e quindi 
contenere
5
. 
Nonostante queste divergenze saranno proprio gli inglesi ad avviare 
quel processo che porterà poi alla costituzione della NATO, fermo restando 
che gli USA esercitarono la loro determinante influenza negando alle 
nazioni europee aiuti militari se questi non avessero collaborato in materia 
di difesa.  Rompendo la tradizione di non partecipare alla politica 
continentale, Londra propose un’estensione del patto di Dunkerque, firmato 
dall’Inghilterra e dalla Francia nel 1947, ai paesi del Benelux.  Il 17 marzo 
1948 si giunse così alla firma del Patto di Bruxelles che, anche se ideato con 
fini diversi, in sostanza costituì un’unione difensiva, denominata poi Unione 
occidentale
6
.  Fu il primo segno tangibile della nuova politica laburista 
annunciata nel discorso tenuto dal ministro degli esteri inglese Bevin alla 
Camera dei Comuni, il 22 gennaio dello stesso anno.  Egli annunciava una 
                                                 
4
  Vedi S. George, An Awkward Partner, Oxford, OUP, 1994, pp. 9 ss. e C. Barnett, The 
Lost Victory.  British Dreams, British Realities 1945-1950, London, Macmillan, 1995, 
pp. 46 ss. 
5
  A. Varsori, Il Congresso dell’Europa dell’Aja, in S. Pistone (cura di), I movimenti per 
l’unità europea dal 1945 al 1954, Atti del convegno internazionale, Fondazione europea 
Luciano Bolis, Pavia, 19-21 ottobre 1989, Milano, Jaca Book, 1992, pp. 334-336.  Cfr. 
anche C. Lord, With but not of, «Journal of European Integration History», vol. 4, 1998, 
pp. 23-47. 
6
  Vedi A. Varsori, Il Patto di Bruxelles, 1948: tra integrazione europea e alleanza 
atlantica, Roma, Bonacci, 1988. 
 3 
politica estera «ispirata da un robusto pragmatismo ma anche dalla volontà 
di assegnare alla Gran Bretagna un compito centrale, [...] animato dalla 
volontà di coordinare la preponderanza americana nell’ambito di una più 
incisiva politica di difesa dell’Occidente dalla minaccia sovietica»
7
. 
Negli stessi anni vi fu un’altra iniziativa britannica degna d’interesse, 
quella dei conservatori del Movimento europeo, ispirati da Churchill, che 
nel novembre del 1947 avevano costituito un comitato di collegamento dei 
movimenti per l’unificazione europea che aveva l’obbiettivo di 
sensibilizzare l’opinione pubblica alle tematiche in questione.  In realtà è 
probabile che questa manovra dei conservatori puntasse più che altro allo 
sviluppo di una politica che potesse costituire un’alternativa a quella dei 
laburisti, che con Bevin dominavano allora la scena diplomatica, anche se in 
fondo era ad essa parallela.  Queste spinte mobilitanti porteranno, nel 
maggio 1948, all’apertura del Congresso d’Europa all’Aja che vide 
un’ampia partecipazione di personaggi tra i più autorevoli di una ventina di 
paesi europei, ma che fu caratterizzato dalla diffidenza dei rispettivi governi 
e si concluse perciò senza “decisioni spettacolari”
8
.  Per fare in modo di non 
vanificare la spinta del Congresso dell’Aja si cercò di creare al più presto 
quell’assemblea che costituiva l’obiettivo prioritario del congresso stesso.  
Prese vita così il Consiglio d’Europa, un’assemblea di delegati dei vari 
parlamenti nazionali, che sarà però dotata soltanto di poteri consultivi e 
risulterà subito deludente
9
.  Infatti: 
 
 
                                                 
7
  E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Roma-Bari, Laterza, 1999, 
p. 742.  Vedi anche J. Barber e B. Reed, European Community: Vision and Reality, 
London, Croom Helm, 1973, pp. 23 ss. 
8
  Vedi B. Olivi, L’Europa  difficile, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 28-29. 
9
  J. Burban, Le Conseil de l’Europe, Paris, Universitaires de France, 1985, pp. 7-12.  Vedi 
anche P. Gerbet, The origins: early attempts and the emergence of de Six (1942-52), in 
R. Pryce (ed.), The Dynamics of European Union, London, Routledge, 1990, pp. 35 ss. 
 4 
[...] when the new Consultative Assembly of the Council of 
Europe first met in Strasbourg on 10 August 1949, it soon turned 
out that the value of its work was much reduced as the British 
members did indeed primarily extend their domestic political 
shadow-boxing to the new European forum.  It also became 
immediately obvious that the British government would try to 
undermine progress towards any meaningful degree of political 
integration among the member states
10
. 
 
 
Il dibattito sviluppatosi durante il negoziato per la sua costituzione ebbe 
tuttavia un’importanza notevole perché si sovrappose alle discussioni che 
nello stesso periodo si svolsero all’interno dell’Unione occidentale e che 
puntavano al raggiungimento del Patto atlantico.  In questo modo l’opinione 
pubblica  europea non distinse chiaramente fra i due livelli di lavoro e diede 
un’interpretazione degli eventi che tendeva a fondere tra di loro elementi in 
realtà indipendenti.  L’europeismo influì così sul Patto atlantico facendogli 
acquisire dei connotati europei ad esso inizialmente estranei.  In sostanza si 
pensò che il negoziato atlantico puntasse ad aumentare il potere politico 
dell’Unione occidentale per dotarla di poteri reali, piuttosto che allo 
sviluppo dei suoi contenuti militari
11
.  Così dopo aver risolto una serie di 
difficoltà, il nuovo segretario di stato americano Dean Acheson annunciò 
che tutto era pronto per la nascita della NATO, che ebbe luogo il 4 aprile 
1949 con la firma delle dodici nazioni aderenti: gli USA, il Canada, la Gran 
Bretagna, l’Italia, la Francia, il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo, il 
Portogallo, la Danimarca, la Norvegia e l’Islanda. 
E’ significativo notare l’atteggiamento del Regno Unito di fronte ad un 
paese problematico come l’Italia.  Questa nazione infatti non aveva 
                                                 
10
  W. Kaiser, Using Europe, Abusing the Europeans.  Britain and European Integration 
1945-63, op. cit., p.14. 
11
  Ibidem, pp. 746 ss. 
 5 
inizialmente visto di buon occhio la sua adesione al Patto atlantico.  Nei 
mesi successivi alle cruciali elezioni del 18 aprile 1948 Roma puntava 
innanzitutto a risolvere una serie di questioni di politica estera, come 
Trieste, le colonie e la revisione del Trattato di pace.  Per sfruttare la 
congiuntura internazionale il governo italiano aveva cercato di negoziare la 
propria adesione al blocco difensivo occidentale, domandando appoggio agli 
USA per ottenere, tra le altre cose, la disponibilità di Londra a fare 
concessioni sulla questione coloniale
12
. 
Il governo britannico si era fatto però sempre più sospettoso nei 
confronti dell’Italia, che pareva non avesse ancora trovato una sua 
collocazione post-bellica, e «non solo non [era] disposto ad alcuna 
concessione su altre questioni (colonie, ad esempio), ma [era] diventato 
addirittura scettico sulla opportunità di un’adesione italiana al Patto 
Occidentale.  E la ragione è semplice: una partecipazione dell’Italia 
[avrebbe creato] problemi aggiuntivi di difesa alle frontiere, cui 
[l’Inghilterra ]non sarebbe [stata] assolutamente in grado di provvedere»
13
. 
Vi erano anche altre ragioni per cui l’adesione dell’Italia non era 
benaccetta oltremanica.  La sua presenza avrebbe infatti comportato 
l’estensione della copertura del Patto all’area mediterranea.  Gli inglesi 
dovettero alla fine accettarla, viste le incalzanti pressioni della Francia,  che 
sperava di fare entrare nell’area del Patto anche il territorio algerino, e 
condizionati anche dall’appoggio di Truman, fresco della sorprendente 
vittoria alle elezioni presidenziali. 
Gli statisti inglesi apparivano dunque disposti ad accettare qualche 
compromesso.  Su un punto erano però intransigenti: non avrebbero mai 
accettato di sottostare ad un’autorità dotata di poteri sovranazionali.  
                                                 
12
  Vedi P. Cacace, Venti anni di politica estera italiana (1943-1963), Roma, Bonacci, 
1986, pp. 294-295 e A. Varsori, L’Italia e la difesa dell’Occidente 1948-1955: l’alleato 
sfuggente, in A. Varsori (a cura di), La politica estera italiana nel secondo dopoguerra 
(1943-1963), Roma, Bonacci, 1986, pp. 295 ss. 
13
  Cfr. P. Cacace, Venti anni di politica estera italiana (1943-1963), op. cit., p. 296. 
 6 
Quando si trattò di partecipare algli incontri riguardanti il Piano Schuman 
per la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, un 
organismo con un forte potenziale politico oltre che economico, essi infatti 
rifiutarono di apportare il contributo della propria nazione
14
.  Il primo 
ministro Attlee e il suo ministro degli esteri Bevin sostennero di non potere 
acconsentire alla creazione dell’Alta Autorità quando nemmeno erano stati 
definiti i suoi effettivi poteri.  Sarebbe stato probabilmente più onesto da 
parte dei politici britannici sostenere che ciò che in quel momento non 
poteva da loro essere accettato era il principio della sovranazionalità 
contenuto in quel progetto.  Tuttavia pare fondato sostenere che 
 
 
participation in the Schuman Plan did not imply any 
downgrading of Britain’s position in international affairs whatever 
that turned out to be.  [...] Participation in the Schuman Plan would 
have strengthened Britain’s international role.  It would not have 
implied any acceptance of its weakening or disappearance. 
Paradoxically, to believe that participation in the Schuman Plan 
would undermine Britain’s international role demonstrated lack of 
confidence in the reality of Britain’s claimed global status.  Whether 
Britain was still a Great Power, or had descended to the ranks of 
middling powers, it should have participated in the Schuman Plan
15
. 
                                                 
14
 Il Piano Schuman fu ispirato da Jean Monnet che, come vedremo, sarà un personaggio 
assai fertile di idee.  Cfr. T. Salmon e S. W. Nicoll (eds.), Building European Union, 
Manchester, MUP, 1997, pp.40 ss.  Vedi anche J. Monnet, La Communauté européenne 
et la Grande-Bretagne, Lausanne, Centre de Recherches Européennes, 1958; F. 
Bilancia, L’Europa, Roma-Bari, Laterza, 2002 pp. 9 ss. 
15
  E. Dell, The Schuman Plan and the British Abdication of Leadership in Europe, Oxford, 
Oxford University Press, 1995, p. 302.  L’autore sostiene che fu un grave errore per la 
Gran Bretagna non partecipare ai negoziati per il Piano Schuman che portarono alla 
firma del Trattato di Parigi.  In questo modo il governo inglese si dimostrò miope e 
abdicò inconsapevolmente dal ruolo di guida  politica d’Europa che viceversa avrebbe 
potuto acquisire.  Vedi anche C. Lord, Absent at the Creation: Britain and the 
 7 
 
 
La CECA nascerà dunque il 18 aprile 1951 senza l’adesione del 
governo inglese che, in questo modo, sceglieva di non fare quel passo che, 
con tutta probabilità, avrebbe nel lungo periodo rinvigorito, non indebolito, 
il suo ruolo internazionale. 
 
6. Il cambio di rotta 
 
Gli statisti britannici non volevano ancora ammettere che forse era 
arrivato il momento di indirizzare la propria politica verso una 
collaborazione con i Sei, ma si rendevano conto che non potevano più 
permettersi di rimanere a guardare i paesi continentali, mentre questi davano 
vita ad una nuova realtà economica e politica. La prova che gli inglesi 
avevano finalmente preso coscienza dell’efficacia dell’azione dei Sei 
consiste nel fatto che al rifiuto di partecipare all’iniziativa per un trattato sul 
mercato comune, Londra contrappose stavolta un’alternativa.  E lo fece 
appoggiandosi all’OECE, quell’istituzione europea della quale l’Inghilterra 
era parte, ma che aveva sempre considerato come un organismo scomodo, 
momentaneo, le prerogative del quale avrebbero dovuto rimanere sempre 
limitate.  Invece, «d’improvviso, nell’anno 1956 l’OECE diventava agli 
occhi dei britannici la sola istituzione europea che avrebbe potuto risolvere i 
                                                                                                                            
Formation of the European Community, 1950-1952, Aldershot, Dartmonth, 1996, dove 
vi è un’interpretazione simile a quella di Dell e si rimprovera all’Inghilterra soprattutto 
di non aver saputo comprendere  i vantaggi di un approccio sovranazionale in Europa.  
Per quanto riguarda la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, 
vedi E. Roussel, Jean Monnet, Parigi, Fayard, 1996;  J. Gillingham, Coal, Steel and the 
Rebirth of Europe, 1945-55, Cambridge, Cambridge University Press, 1991;  F. 
Duchêne, Jean Monnet.  The First Statesman of Interdependence, New York, Norton, 
1994. 
 8 
problemi nell’organizzazione economica dell’Europa, mediante la 
costituzione di una zona europea di libero scambio»
16
. 
In un primo momento gli inglesi cercarono così di creare un’area 
liberoscambista che abbracciasse tutte le nazioni aderenti all’OECE.  
L’obbiettivo britannico era di dar vita ad una struttura che costituisse 
un’alternativa al Mercato comune e che fosse meglio compatibile con la 
propria politica economica
17
.  Londra non trovò però un terreno favorevole 
in questa direzione.  Anche l’Italia si trovò in disaccordo con la proposta 
britannica, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti agricoli e le tariffe 
esterne.  Il nostro paese, che cominciava ad avere dei legami commerciali 
importanti con i Sei, preferì rivolgere i suoi interessi alla CEE
18
.  Trovotasi 
di fronte al fallimento di questa iniziativa, il governo inglese dovette 
abbassare il tiro, giungendo nel luglio del 1959 alla stipulazione del Trattato 
di Stoccolma che istituì l’EFTA, la cosiddetta  piccola zona di libero 
scambio, comprendente Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, Danimarca, 
Portogallo, Svizzera e Austria
19
. 
                                                 
16
  B. Olivi, L’Europa  difficile, op. cit., p. 60.  Cfr. anche A. Prate, La France en Europe, 
Paris, Economica,1995, pp. 31 ss. 
17
  Questo era il proponimento del Piano G (FTA).  Approvandone l’idea Macmillan aveva 
detto «we must live in the past, but for the future».  J. Ellison, Britain’s relations with 
Europe.  ‘Perfidious albion? Britain, Plan G and European integration, 1955-1957’, 
http://www.psa.ac.uk./cps/1996/elli.pdf. 
18
  Cfr. F. Fauri, Italy and Free Trade Area Negotiations 1956-58, «Journal of European 
Integration History», vol.4, 1998.  Della stessa autrice vedi L’Italia e l’integrazione 
economica europea, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 111 ss. 
19
  Cfr. M. P. C. Schaad, Plan G.  A “counterblast”?  British policy toward the Messina 
countries 1956, London, «Contemporary European History», vol. 7, 1998 e Playmaster 
General’s Office, Negotiation for a European Free Trade Area: Report on the Course 
of Negotiations up to December 1958, London, Stationery Office, 1959. 
 9 
L’EFTA era stata concepita, come si diceva, da una parte per essere 
rivale della CEE e dall’altra per servire da merce di scambio in un eventuale 
ripresa dei negoziati
20
.  Infatti 
 
 
Macmillan’s main reason for backing a Seven-power 
arrangement was to put Britain in a stronger position for talks with 
the Six who, it was believed, would wish to come to terms with a 
successful new trading bloc
21
. 
 
 
La paura di un isolamento, ……………………………  
 
                                                 
20
  J. Ellison, Threatening Europe.  Britain and the Creation of the European Community, 
1955-58, London, Macmillan, 2000, pp. 11 ss. 
21
  Cfr. J. W. Young, Britain and European Unity 1945-1992, London, Macmillan, 1993, p. 
67. 
 10 
Il negoziato 
 
 
Iniziano gli incontri 
 
La Gran Bretagna aveva dunque cambiato definitivamente il suo 
approccio nei confronti del continente.  Il governo inglese sapeva che la sua 
decisione andava a coinvolgere una vasta gamma d’interessi di paesi terzi ed 
aveva perciò messo in moto già da tempo la sua diplomazia per incontrare 
tutte le parti interessate e creare così i presupposti per una buona riuscita del 
negoziato
22
. 
Il 9 agosto 1961 il primo ministro britannico scriveva una lettera a 
Ludwig Erhard, presidente del Consiglio della CEE, nella quale comunicava 
l’intenzione del suo governo di aprire i negoziati ai fini dell’adesione al 
Trattato di Roma, ribadendo che 
 
 
il Governo di Sua Maestà deve tener conto dei suoi particolari 
legami con il Commonwealth nonché degli interessi essenziali 
dell’agricoltura britannica e degli altri membri dell’Associazione 
Europea di Libero Scambio.  Il Governo di sua Maestà è convinto 
che i Governi membri della CEE vorranno considerare con 
benevolenza questi problemi e, pertanto, esso ha fiducia nell’esito 
favorevole dei negoziati.  Questo passo costituisce un avvenimento 
storico sulla via di un’unione più stretta tra i popoli europei, 
obiettivo comune del Regno Unito e degli Stati membri della 
Comunità
23
. 
 
                                                 
22
  Cfr. The Times, 02-08-1961. 
23
  ASCE/EC/COM/EC/COM/BAC 26/1969/258-1. 
 11 
 
Il giorno seguente l’ambasciatore britannico presso la Comunità 
Economica Europea poteva  consegnare al segretario generale del Consiglio 
dei Ministri dei Sei la richiesta ufficiale di apertura dei negoziati firmata da 
Macmillan
24
.  La richiesta venne esaminata durante una riunione del 
Consiglio stesso svoltasi dal 25 al 27 settembre, e venne infine accolta.  Fu 
proprio con la lettera consegnata dal presidente Erhard all’ambasciatore 
britannico presso la CEE, contenente le decisioni formulate durante la 
suddetta riunione, che si delineò l’inizio degli incontri ministeriali atti ad 
elaborare le modalità d’ingresso dell’Inghilterra
25
. 
Tali  incontri, che ammonteranno al numero di diciassette, si sarebbero 
tenuti in non sempre favorevoli atmosfere politiche, e avrebbero risentito 
delle crescenti tensioni presenti sia in Inghilterra, sia al suo esterno.  Essi 
rappresentano delle tappe fondamentali attraverso le quali osservare le 
composite difficoltà che gli interlocutori dovettero affrontare. 
Attenendosi agli accordi, il Lord del Sigillo Privato Heath si incontrò 
preliminarmente a Parigi, il 10 e l’11 ottobre, con i ministri dei Sei.  Era 
stato infatti stabilito che l’incontro ministeriale preliminare si sarebbe svolto 
nella capitale francese.  Quelli successivi avrebbero avuto invece come loro 
sede Bruxelles. 
Al Quai d’Orsay, nel salone dell’orologio, il ministro inglese espose le 
posizioni londinesi sulle delicate questioni da risolvere per far sì che 
l’adesione britannica alla Comunità divenisse possibile.  Nel periodo 
precedente a questo appuntamento si potevano avvertire i forti timori dei 
Sei: essi ritenevano che la richiesta di adesione inglese avrebbe potuto far 
rallentare la marcia verso l’unificazione europea.  Era inevitabile che 
nell’aria vi fosse ancora un forte dubbio sulla capacità, e volontà, del 
governo londinese di inserirsi in una nuova mentalità europea.  Si temeva un 
                                                 
24
  Cfr. ASCE/EC/COM/EC/COM/BAC 26/1969/258-1. 
25
  Cfr. F. E. Nonis, op. cit., p. 227. 
 12 
lungo periodo di immobilità dei meccanismi comunitari che durasse non 
solo per tutto il tempo necessario alla conclusione del negoziato, ma anche 
per il successivo periodo di transizione.  Era comprensibile dunque che il 
Ministro del Sigillo Privato, cercasse, con il suo discorso, di cacciare tutti i 
dubbi che erano rimasti sulla buona volontà e sulla sincerità dei propositi 
del suo governo.  Dopo aver ricordato al suo uditorio che sia i vertici dello 
stato inglese sia la popolazione britannica erano stati impegnati negli ultimi 
anni nel dibattito relativo al loro rapporto con l’Europa, che era poi sfociato 
nella decisione di chiedere di aderire alla Comunità, egli sottolineava che 
 
 
it was a decision arrived at, not on any narrow or short-term 
grounds, but as a result of a thorough assessment over a 
considerable period of the needs of our own country, of Europe and 
of the Free World as a whole.  We recognise it as a great decision, a 
turning point in our history, and we take it in all seriousness.  In 
sayng that we wish to join the E.E.C., we mean that we desire to 
become full, wholehearted and active members of the European 
Community in its widest sense and to go forward with you in the 
building of a new Europe
26
. 
 
 
La prima parte del suo discorso era stato pensato dunque per introdurre 
il tipo di approccio britannico ai negoziati, e il ministro inglese pensò bene 
di non fare riferimenti a quelle condizioni che sarebbero risultate meno 
digeribili ai Sei, anche se non poté fare a meno di accennare alla 
fondamentale importanza della questione del Commonwealth, che 
                                                 
26
  PRO/PREM 11/3561, 07-10-1961.  Citato anche in M.Camps, Britain and the European 
Community 1955-1963, op. cit., p. 378. 
 13 
necessitava un’adeguata risoluzione affinché l’equilibrio mondiale non 
venisse alterato. 
Heath dipinse la Gran Bretagna come un paese disposto ad aderire 
senza condizioni agli obiettivi economici e alle istituzioni comunitarie.  
Assicurando la convinzione del Regno Unito di entrare a far parte della 
CECA e dell’EURATOM, egli escludeva la possibilità che il governo 
inglese potesse chiedere emendamenti al trattato di Roma. 
Nella seconda parte del suo discorso il leader della delegazione 
britannica si concentrò nel tentativo di convincere i Sei che il governo di 
Londra era deciso ad impegnarsi per rendere sempre più concreto il 
processo di integrazione europea.  Subito dopo egli analizzò la questione 
dell’agricoltura britannica, del commercio con i paesi del Commonwealth, e 
degli accordi afferenti all’EFTA
27
. 
Il discorso nel complesso fu ben accolto dai Sei e, se pure le parole di 
Heath lasciavano trasparire che le trattative non sarebbero state 
semplicissime, anche perché già appariva chiaro che su certe questioni, 
come quella del Commonwealth, gli inglesi avrebbero cercato di ottenere il 
massimo possibile, l’impressione generale fu che il governo di Londra 
avesse veramente impresso una radicale svolta alla sua politica. 
L’inizio degli incontri a livello ministeriale sull’ingresso del Regno 
Unito nella Comunità europea aveva comunque provocato, come ci si 
poteva aspettare, molti dibattiti oltremanica
28
.  Il congresso annuale del 
Partito conservatore inglese, che si aprì a Brighton proprio l’11 ottobre, 
aveva tra i suoi principali obiettivi la discussione sui negoziati europei.  
Heath cercò di mettere subito in chiaro che la decisione del governo di 
negoziare l’adesione alla Comunità europea era stata presa soltanto dopo 
avere minuziosamente analizzato i problemi chi si sarebbero dovuti 
                                                 
27
  Cfr. PRO/CAB 134/1511; CMN (61) 12., 10-10-1961.  Vedi anche PRO/FO 
371/171442; M 1091/542, sezioni 14-16. 
28
  Cfr. E. Roll, Crowded Hours, London, Faber, 1985, pp. 118 ss. 
 14 
affrontare e dopo aver soppesato tutti i pro e i contro.  Il Lord del Sigillo 
Privato presentò la mossa di Londra come una scelta basata sulla 
constatazione che le circostanze del momento richiedevano una più stretta 
unione in Europa.  In sostanza la Gran Bretagna doveva accettare questa 
sfida perché la prospettiva di trovarsi esclusa dai grandi movimenti 
economici, che già si stavano determinando in Europa, era molto pericolosa 
per il paese.  Egli affermò che in quel momento l’Inghilterra aveva le mani 
legate ammettendo che i Sei avrebbero potuto prendere decisioni di notevole 
portata che avrebbero inciso sulla posizione britannica.  Il ministro non 
mancò però di ricordare che il popolo inglese doveva continuare sulla strada 
intrapresa, visto la sua tradizionale pragmatica lungimiranza che poco si 
confaceva con atteggiamenti idealistici
29
. 
L’8 novembre 1961, quando a Bruxelles si tenne il secondo incontro 
ministeriale, i delegati delle due parti cominciarono ad affrontare le 
questioni di sostanza. Venne analizzato il programma inglese esposto 
nell’incontro parigino e venne messa in evidenza la necessità che il governo 
britannico mantenesse i suoi propositi di accettare le medesime condizioni 
alle quali tutti i membri della Comunità dovevano sottostare.  Le 
delegazioni dei Sei fecero comunque capire al governo britannico che i loro 
paesi erano lieti della nuova presa di posizione britannica.  Essa, oltre a dar 
vita a una collaborazione europea più stretta di quella già presente 
all’interno dell’OCSE, dell’UEO e del Consiglio d’Europa, avrebbe potuto 
portare ad una velocizzazione del processo di unificazione politica, che era 
già implicito nei Trattati di Roma
30
. 
Naturalmente furono spese molte parole anche per descrivere i propositi 
economici e commerciali della Comunità.  Dopo aver ricordato che fra gli 
obiettivi della Comunità non c’era solo l’intenzione di creare un’unione 
                                                 
29
  Vedi F. E. Nonis, op. cit., p. 229.  Cfr. F. W. S. Craig, Conservative & Labour Party 
Conference Decision, 1945-1981, Chichester, PRS, 1982, p. 54. 
30
  PRO/FO 371/158302; M634/686/G. 
 15 
doganale, ma anche e soprattutto quello di dar vita ad un’unione economica, 
i portavoce dei Sei prendevano  atto della buona disposizione inglese ad 
accettare, dopo un periodo transitorio, la tariffa comune della CEE e a 
rendere la propria politica agricola compatibile con quella comunitaria.  Si 
prese inoltre la decisione di rinviare all’anno successivo la discussione più 
specifica delle questioni agricole
31
. 
Questo incontro aveva avuto una particolare importanza per gli inglesi.  
Essi avevano manifestato infatti più di una speranza di poter stabilire 
almeno un abbozzo di programma per il successivo sviluppo dei lavori.  In 
questo furono soddisfatti visto che Heath, dopo la seduta, poteva affermare 
che  
 
 
in general I think the results of the meeting were satisfactory, 
and perhaps rather better than might have been expected.  The main 
problem was to find ways and means of getting the negotiations 
moving.  I think we have succeeded in this.  We now have a 
reasonable programme of work for the early stages of the 
negotiations, and a dfinite timetable of meetings
32
. 
 
 
Gli incontri ministeriali …………………………………………. 
 
                                                 
31
  Ibidem. 
32
  Ibidem.