L’aderenza delle procedure alle pratiche di lavoro: il caso FERCAM S.p.a.
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2. ASPETTI DEFINITORI
2.1 LA STANDARDIZZAZIONE
Al giorno d’oggi si sente sempre più parlare di standard e di standardizzazione, il tutto è ormai
diventato punto focale dello sviluppo economico e sociale. Basti pensare all’evoluzione tecnologica
degli ultimi anni che ha in qualche modo costretto ed indotto la nascita sempre più numerosa di
standard e canoni di ogni genere.
Veniamo ora alla definizione di standard adottata da Gaio e Zaninotto (1998): “lo standard è
semplicemente un documento tecnico che descrive come una cosa è fatta, quali sono i materiali usati, le
caratteristiche del progetto, le condizioni di sicurezza o le caratteristiche di performance del prodotto”
Dalla definizione si possono subito dedurre due aspetti di importanza fondamentale che aiutano la
comprensione del concetto ed aprono la sua strada di applicazione in senso generico: il fatto che lo
standard è informazione che può essere condivisa e che lo standard riduce la varietà dei dati da
scambiare, riducendo a sua volta i livelli di complessità (Gaio e Zaninotto, 1998; Farrel e Saloner, 1985).
Semplificando la codifica delle informazioni si raggiunge una sorta di uniformità che consente quindi
uno scambio informativo più rapido e preciso, l’affermazione di uno standard apporta dei benefici in
questo senso consentendo ai flussi di informazioni di scorrere in modo più facile e veloce. In questo
contesto balza subito all’occhio come possa essere calzante l’esempio dei protocolli di rete ed in
particolare di quello TCP/IP utilizzato per il funzionamento della rete internet, l’esempio però non
deve portare ad una visione prettamente tecnologica del concetto ma è stato utilizzato solamente per
agevolarne la comprensione e per illustrare quanto uno standard sia fondamentale per la compatibilità
tra gli utenti (Farrel e Saloner, 1985). Il concetto difatti è valido per tutte le altre realtà dove le
informazioni siano un punto critico, sia per le aziende stesse che per tutti i processi (affronteremo
successivamente la definizione di processo) che le interessano, sia interni che esterni. In questo lavoro
ci soffermeremo sull’aspetto aziendale interno, legato alle attività organizzative dell’impresa e
cercheremo di spiegare e dimostrare quanto sia rilevante questo concetto.
L’altro aspetto importante concerne la riduzione dei livelli di complessità che possono essere assunti, un
esempio calzante per la comprensione immediata di quest’aspetto è la standardizzazione delle prese e
spine utilizzate per l’utilizzo dell’energia elettrica. Pare subito ovvio come la riduzione ad uno standard
renda tutto più semplice e tutti possano fruire in questo modo del servizio a disposizione. Traslando il
concetto all’interno di un’azienda si coglie l’importanza di come una riduzione degli stati delle cose
semplifichi, agevoli e velocizzi le attività.
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Parlando di standard non si può evitare di entrare nel merito di coordinamento ed interdipendenza, è
chiaro come la standardizzazione di una qualsiasi attività porti ad un maggiore coordinamento dei
processi che la compongono, basti pensare come un’azienda dislocata in più filiali sul territorio necessiti
d’uniformazione per poter svolgere al meglio il proprio business, l’adozione di un meccanismo di
uniformità porta quindi alla riduzione dei cosiddetti costi di coordinamento (Gaio e Zaninotto, 1998).
Per quanto riguarda l’interdipendenza, il concetto può essere spiegato al meglio con l’esempio di
un’azienda di produzione con divisione degli stadi di lavoro di un prodotto; risulta infatti chiaro come
ogni step di lavorazione dipenda da quello precedente ed è palese come in questo caso, la fase
successiva a quella precedente debba essere a conoscenza di ciò che venga effettuato da quella
precedente, solo in questo modo si può realizzare la non interdipendenza dallo step precedente che
consente di svolgere al meglio la sua attività. Non sarebbe difatti immaginabile un contesto in cui la
lavorazione dello stadio precedente fosse ogni volta diversa ed obbligasse lo stadio successivo ad
adattarsi a ciò che fa il suo predecessore, proprio per questo motivo la standardizzazione è importante
per lo svolgimento dei processi aziendali, ma non solamente per ciò che concerne l’esempio appena
descritto ma per la totalità delle attività.
Quando si parla di coordinamento e standard, è frequente l’utilizzo dei cosiddetti “giochi di
coordinamento” per illustrare come possa affermarsi uno standard, detta visione (Gaio e Zaninotto,
1998) può senz’altro essere corretta per quanto riguarda i conflitti d’affermazione a livello esterno e cioè
tra aziende concorrenti, si vengono così difatti a determinare varie configurazioni dimostranti l’esito del
gioco e quindi dello standard stesso (Farrel e Saloner, 1986).
Invece, per ciò che concerne il livello interno di un’azienda, vanno sicuramente fatte delle precisazioni,
in quanto in un’organizzazione possono sì, nascere dei conflitti sullo standard da adottare, ma questi
non si risolvono allo stesso modo in cui avverrebbe esternamente, questo perché uno standard interno
è imposto dalla direzione che placa ogni tipo di conflitto. Proprio per queste ragioni, la proposta di un
gioco di coordinamento come ipotizzabile risoluzione di un conflitto interno relativo all’affermarsi di
uno standard non può a mio avviso essere adottata.
Difatti analizzando questo tipo di visione risulta improponibile un meccanismo del genere per
rappresentare una disputa interna ad un’azienda, proprio per il fatto che il gioco non si risolve “da
solo”, ma interviene un’autorità (la direzione) che decide come debbano andare le cose e stabilisce quale
sia lo standard da seguire per tutta l’azienda e le varie unità sono poi obbligate a rispettare quanto
stabilito, non entrano quindi in gioco tatticismi.
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2.2 I PROCESSI
Come già precisato, a livello aziendale, gli standard riguardano sì le tecnologie da adottare, ma per la
maggior parte dei casi la standardizzazione è inerente ai processi lavorativi e cioè a tutte le attività che si
svolgono all’interno dell’azienda.
Un processo può essere definito come un’attività da svolgere che a sua volta può essere suddivisa in
altre sotto-attività. In sostanza si viene a configurare un meccanismo a “catena” per il quale l’attività
svolta in un processo genera un output che rappresenta l’input per il processo successivo e così via fino
al termine dell’intera attività (Camussone, 2000 - Figura 1).
Figura 1
L’orientamento per processi nei confronti della clientela è ad oggi, tra il resto, concetto base adottato
dalle ultime norme ISO 9001 (UNI EN ISO 9001, 2000), tutto questo per rimarcare come attualmente
sia importate una visione di questo tipo dell’attività di un azienda. Si tende quindi a suddividere un
compito in più step, per i quali è previsto un risultato che è stimolo d’attivazione per lo step successivo.
2.3 LA STANDARDIZZAZIONE DEI PROCESSI E LE PROCEDURE
Ora che sono chiare le due definizioni di standard e processo possiamo addentrarci nel concetto di
standardizzazione dei processi che adesso è ovviamente deducibile come quell’insieme di attività messe
in atto dalla direzione per uniformare i processi aziendali. Con insieme di attività si identificano tutti i
mezzi possibili attraverso i quali possano essere imposte delle regole come ad esempio le procedure, le
disposizioni ecc., ma anche la sola attività di controllo svolta nei confronti del personale può essere
identificata come il tentativo di imporre uno standard.
Punto importante è cercare di dare una definizione al concetto di procedura, che può essere visto come
un documento dove viene descritto il modo in cui (“how to do it” Nelson e Winter, 1982) deve essere
svolta una determinata attività aziendale. La raccolta di tutte le procedure aziendali viene detta
“Manuale della qualità”, le procedure sono solitamente numerate ed ordinate in base a criteri che ne
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facilitino la consultazione e l’aggiornamento ( su ogni documento viene riportata la data dell’ultima
revisione).
La standardizzazione a livello aziendale è oggi sempre più diffusa ed oltre ad essere indispensabile per
lo svolgimento di determinate attività, è sempre più sostenuta in quanto le aziende che certificano il
proprio sistema di qualità sono sempre di più e chiaramente, certificarsi significa dover introdurre delle
procedure che si attengano a determinati dogmi imposti dalle normative ISO. La rilevanza non deve
tanto essere posta sul fatto che si ricerchi un’uniformazione dal punto di vista delle norme
internazionali, ma dal fatto che vengano adottate le procedure come strumento di standardizzazione dei
processi, difatti se queste erano necessarie nelle grandi aziende ora lo sono divenute anche per le
piccole e medie imprese.
Tralasciati i motivi di certificazione, le procedure hanno una valenza sicuramente più importante e
possono essere addirittura critiche per lo svolgimento di alcune attività. Nelle aziende di medie e grandi
dimensioni è importante che vi siano delle regole da seguire (standard) per svolgere determinate attività
(processi), tutto questo per una serie di motivi ben precisi che sono relazionabili a quanto detto in
precedenza sugli standard in generale (Cyert e March, 1963).
La questione del coordinamento risulta essere un punto cardine fondamentale, specie in quelle attività
dove vi è una distribuzione geografica delle unità produttive, sarebbe alquanto dannoso che ogni filiale
dell’azienda offrisse ad esempio un servizio diverso a seconda della zona e per questo motivo vi devono
essere dei documenti che descrivano l’iter operativo delle attività topiche in maniera tale che queste
vengano eseguite allo stesso modo in tutta l’azienda. Inoltre se non vi fosse una linea seguita
dall’impresa potrebbero nascere delle difficoltà di tipo informativo, si parlava prima di riduzione dei
dati da scambiare (Gaio e Zaninotto, 1998) ed in questo caso l’adozione di standard e quindi di
procedure, permette al personale di un’azienda di “parlare la stessa lingua”, cioè di scambiarsi
informazioni coerenti con quanto viene svolto e necessarie (prestabilite) per lo svolgimento di
un’attività.
Secondo Cyert e March (1963), le procedure hanno, oltre alla funzione di standardizzazione delle
attività, la funzione di fornire stabilità all’organizzazione e dirigere le attività a carattere ripetitivo.
Vengono così individuate quattro tipologie di procedure che andremo di seguito ad elencare (Cyert e
March, 1963).
• Le norme di svolgimento delle funzioni: illustrano come debba essere svolta una ben precisa
attività (sono queste le procedure che abbiamo menzionato fino ad ora e di cui ci si occuperà).
• Registrazioni e rapporti continuativi: sono tutte quelle registrazioni che tracciano le attività
svolte dall’impresa.
• Norme di comunicazione delle informazioni: rappresentano il cosiddetto “codice formale”
utilizzato per la rappresentazione delle informazioni all’interno dell’azienda.
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• Piani: sono i progetti formulati dalla direzione per lo sviluppo dell’azienda.
Altra funzione particolare delle procedure è il controllo sulle attività (Cyert e March, 1963), formalizzare
un’attività attraverso una procedura significa anche cercare di controllarla e non soltanto
standardizzarla, si tratta di una sorta di supervisione effettuata tramite le procedure che inducono un
certo comportamento voluto dalla direzione. L’utilizzo di procedure, inoltre, rende senza ombra di
dubbio più facile il controllo di quanto svolto dal personale operativo, risulta difatti molto più semplice
per l’ispettore interno dell’azienda verificare se il lavoro si attenga a quanto precisato. Questa tipologia
di controllo è prevista dalla normativa ISO (ISO 9001, 2000 e ISO 14001, 1996) e trova larga
applicazione nelle imprese risultando un meccanismo relativamente efficace per rilevare quali e quanti
scostamenti avvengano rispetto a quanto ci si era prospettato con la redazione della procedura.
I risultati di questo tipo di osservazioni possono poi essere utili per eventuali analisi e sono capaci di
aiutare a captare eventuali problemi nel comportamento degli attori organizzativi in relazione a quanto
si vorrebbe che avvenisse. La direzione può in sostanza rilevare in che modo venga messo in pratica ciò
che si era prospettato e se i risultati attesi sono stati raggiunti; così, attività correttive, sono meglio
identificabili e di più facile impiego visto e considerato che dalle analisi si possono individuare i singoli
problemi.
Le procedure non sono comunque sempre ben viste dal personale operativo, spesso vengono percepite
come un’imposizione fatta dall’alto che magari va a cozzare con i loro modi di pensare e di applicarsi
sul lavoro. Zamarian (2002) individua una serie di reazioni possibili all’introduzione di una nuova
regola.
Un primo atteggiamento considerato è quello del rifiuto della regola e quindi dell’ostilità al
cambiamento, questo meccanismo è molto diffuso specie tra coloro che occupano posizioni periferiche
all’interno dell’azienda e non sono a conoscenza delle motivazioni che hanno indotto il cambiamento.
La seconda reazione possibile è invece costituita dal fatto che il lavoratore impari la regola per non
doverla applicare, i soggetti interessati riconoscono che la nuova regola potrebbe essere un ostacolo a
quanto svolto finora, quindi questa viene studiata per cercare di evitare di metterla in atto.
Infine l’ultimo comportamento individuato è rappresentato dall’adeguamento alla nuova regola,
nonostante tutto ciò rappresenti una frustrazione. Questo tipo di reazione è la più diffusa, dove nella
maggioranza dei casi la nuova regola è inglobata in nuovi strumenti di lavoro che quindi obbligano a
tenere questo comportamento.
L’introduzione di nuove regole e quindi di nuove procedure è un meccanismo di reazione messo in atto
dall’azienda per rispondere a stimoli esterni ed interni (Cyert e March, 1963), i motivi che spingono
l’aggiornamento e/o l’introduzione di una procedura possono essere molteplici ed avere causa
scatenante diversa. Ci possono essere modificazioni indotte dall’ambiente esterno, dall’arena
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competitiva, come anche cambiamenti generati da cause interne, come problemi organizzativi,
produttivi ecc., ma anche variazioni in risposta a novità legislative.
Queste tipologie di reazioni si riferisco al concetto di dipendenza dal cammino (Zamarian, 2002), gli
attori si sentono legati a quanto fatto in passato e stentano ad accettare la novità, questo fenomeno è
legato all’esperienza dei soggetti interessati, più è altra più risulta difficile l’adattamento alla nuova
procedura che va contro alla normale routine (Zamarian, 2002).
2.4 LE ROUTINE ORGANIZZATIVE
E’ ora importante precisare il concetto di routine organizzativa appena menzionato, che Nelson e
Winter (1982) definiscono come un insieme coordinato di comportamenti sequenziali e ripetitivi,
stretto è il paragone con i programmi per gli elaboratori, dove una serie di istruzioni viene eseguita in
modo sequenziale. Riferendosi alla definizione di routine si deve precisare, come sottolineato da
Narduzzo (2003), che non via sia uniformità tra gli studiosi su come sia possibile delineare esattamente
il concetto di routine.
Nelson e Winter (1982) individuano anche le tre caratteristiche fondamentali di una routine:
• natura tacita (non sono esplicitate ma insite negli attori organizzativi)
• natura distribuita (sono distribuite all’interno di tutta l’organizzazione, non risiedono in un
“luogo” specifico)
• dipendenza dal contesto (sono strettamente legate all’ambito in cui sono utilizzate)
Una routine è quindi una sequenza di comportamenti adottati da un soggetto all’interno dell’azienda
che vengono messi in atto senza che questo ne sia totalmente consapevole, essa risiede nelle sue
memorie e viene attivata automaticamente quando ve ne sia necessità.
Nelson e Winter (1982) e Zamarian (2002) sottolineano poi come vi sia strettissima analogia tra il
concetto di routine organizzative e quello di skill, le caratteristiche sono difatti le stesse.
L’utilizzo delle routine è quindi strettamente legato al problem solving, molte questioni vengono risolte
senza che l’attore organizzativo operi un vero e proprio processo di soluzione, egli infatti utilizza le
routine che ha assimilato e le sfrutta per risolvere quanto gli si presenti di fronte. Ovviamente questo
non è sempre possibile, il tutto dipende infatti dalle caratteristiche dei problemi che gli si presentano. Vi
sono problematiche che possono essere risolte, come spiegato prima, solo con l’utilizzo di una routine,
mentre altre che necessitano di analisi maggiori, i cosiddetti processi di “search” (Nelson e Winter,
1982), ove il soggetto interessato opera una ricerca e combinazione delle routine che possiede per
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giungere alla soluzione della questione, problem solving riproduttivo (Narduzzo, 2003). Sono molto rari
i casi in cui invece si parta da zero, problem solving produttivo (Narduzzo 2003), in questo caso non
vengono utilizzate routine già conosciute, ma si opera un’analisi totale del problema.
Come si può vedere risulta particolarmente importante sottolineare come la conoscenza tacita giochi un
ruolo fondamentale, tutto ciò è già stato sottolineato da Zamarian (2002), Nelson e Winter (1982) e
Narduzzo (2003)
2.5 LA CONOSCENZA TACITA E LA SUA ESPLICITAIZONE
Nelson e Winter (1982), fanno notare come grossa componente degli skill sia la cosiddetta “tacit
knowing”, cioè la conoscenza tacita ed inoltre Zamarian (2002), fa notare come gran parte delle routine
risieda nelle memorie degli individui e sia costituita da conoscenze non esplicitate.
Narduzzo (2003) inoltre, constata come le competenze degli attori tendano ad accumularsi sotto forma
di routine piuttosto che in forma scritta, questo ragionamento porta a fare delle considerazioni
fondamentali:
• le routine hanno un’importanza basilare per il funzionamento dei processi organizzativi
• le competenze degli attori organizzativi non possono essere del tutto esternate e formalizzate
(Nelson e Winter, 1982)
Il secondo punto sottolinea come la codifica e la formalizzazione della conoscenza abbia molti limiti,
Zamarian (2002) sottolinea infatti, la difficoltà di poter esplicitare e produrre una routine per consentire
la sua riproduzione, il tutto è poi gravoso anche sotto il punto di vista economico.
In questo contesto quindi, le procedure di cui abbiamo prima parlato possono essere inquadrate come
strumento di esplicitazione della conoscenza tacita insita negli attori organizzativi, ad oggi si parla
sempre più di knowledge management (Camussone, 2000) ed uno degli strumenti di utilizzo possibile
sono proprio questi documenti appena citati.
Come già detto però l’esplicitazione ha molti limiti ed anche le procedure stesse sono minate da questo
tipo di problema.
Redigere una procedura partendo da zero significa raccogliere le conoscenze del personale che svolge
sul campo quella determinata attività e rappresentarle in forma scritta; ma una procedura non è
costituita solamente da questo: nelle descrizioni delle attività entrano in gioco le parti di
standardizzazione, cioè le direttive dei vertici strategici dell’azienda, che arricchiscono quanto riportato
dal personale e possono indirizzare l’attività verso quanto loro si aspettano che avvenga.