che uno stesso ordinamento giuridico imponga una determinata condotta ad un soggetto e
contemporaneamente minacci una sanzione nel caso in cui la ponga in essere.
5
Come è stato
osservato,
6
se un agire concreta un illecito, allora il non agire deve essere lecito e viceversa.
Nel disciplinare tale fattispecie, che concerne essenzialmente i rapporti di subordinazione di diritto
pubblico, e in particolare quelli di tipo militare nei quali la necessità di garantire la corretta e pronta
esecuzione degli ordini risulta essere particolarmente avvertita,
7
la disposizione in esame distingue
due ipotesi che si differenziano a secondo della fonte da cui promana l’ordine.
Nel primo caso, l’obbligo di agire deriva direttamente da una norma giuridica. Secondo una parte
della dottrina,
8
tale locuzione è suscettibile di essere interpretata in maniera molto ampia, nel senso
che la fonte dell’ordine che << scrimina >> può essere individuata non solo in una legge ordinaria,
ma in qualsiasi altro precetto giuridico,
9
come ad esempio un regolamento, a nulla rilevando, che
l’atto normativo in questione promani dal potere legislativo o da quello esecutivo.
10
Alla stregua di tale orientamento, quindi anche le norme facenti parte di un ordinamento giuridico
straniero possono essere annoverate tra le fonti che disciplinano i diritti e i doveri che
<<scriminano>>, a condizione però, che in base alle norme di diritto internazionale generalmente
riconosciute, alle quali il nostro ordinamento giuridico si conforma per espresso disposto dell’art.
10 Cost., si esiga, che anche nello Stato italiano venga riconosciuta la validità del dovere che viene
di volta in volta in considerazione.
11
5
G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., pp. 246 ss.; E. DOLCINI – G. MARINUCCI, op. cit., pp. 152; F.
MANTOVANI, Manuale di diritto penale Parte Generale, Padova, 2006, CEDAM, pp. 249 ss.
6
G. DELITALA, op. cit., p. 567
7
Cfr. G. CIARDI, Obbedienza gerarchica militare e sindacato sulla legittimità dell’ordine, in Nuovissimo Digesto
Italiano,VI, Torino, 1960, pp. 631 ss.
8
G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 247; E. DOLCINI – G. MARINUCCI, op. cit., p. 159; F. MANTOVANI,
op. cit., p. 252
9
D. PULITANO’, op. cit., pp. 324 ss.
10
Cfr. sentenza Cass., 15 novembre 1968, in Giustizia Penale, 1969, II, pp. 971 ss.; Nello stesso senso: G. FIANDACA
– E. MUSCO, op. cit., p. 247; A. SANTORO, Esercizio di un diritto e Adempimento di un dovere in Novissimo Digesto
Italiano, IV, Torino, 1960, pp. 825 ss.
11
F. MANTOVANI, op. cit., pp. 251 ss.
II
Nella seconda ipotesi la fonte del dovere in esame è l’ordine di una Pubblica Autorità, attraverso il
quale viene garantita la concretizzazione delle finalità perseguite dalla norma giuridica, che
legittima il superiore ad impartire quest’ultimo.
12
L’ordine è un comando, cioè una manifestazione di volontà che il titolare di un potere generico o
specifico di supremazia, riconosciuto dal diritto, indirizza ad un altro soggetto sottoposto a quel
potere, per esigere un determinato comportamento.
13
Per poter beneficiare della non punibilità è necessario, innanzitutto, che l’ordine promani da un
funzionario pubblico, in quanto l’ordine impartito nell’ambito di rapporti di diritto privato non
assume rilevanza ex art. 51 c.p.
14
In secondo luogo è necessario che l’ordine sia legittimo, e ciò equivale a dire che l’atto deve essere
conforme ai requisiti formali e sostanziali di legittimità stabiliti dalla legge per esso.
15
Se infatti l’atto è illegittimo e la sua esecuzione si traduce nella commissione di un reato, per esso
ne rispondono tanto il superiore che lo impartito, quanto il subordinato che l’ha eseguito, secondo
quanto dispone l’art. 51 co. 2° - 3° c.p., configurandosi in tal caso un’ipotesi di concorso di persone
nella commissione di un reato ex art. 110 c.p.
Dunque, al pari del superiore il quale risponde sempre del reato commesso in esecuzione
dell’ordine che egli stesso ha impartito, anche il subordinato, in linea di principio, risponde
penalmente per quanto è avvenuto, e ciò in virtù della circostanza che egli non è uno strumento del
superiore, ma un soggetto capace di intendere e di volere, il quale pur essendo sottoposto al primo,
deve comunque adempiere diligentemente ai propri doveri.
16
12
G. DELITALA, op. cit., p. 568
13
Cfr. A. SANTORO, L’ordine del superiore nel diritto penale, Milano, 1957, Giuffré, pp. 9 ss.; G. BETTIOL,
L’ordine dell’autorità nel diritto penale, Milano, 1934, Giuffré, ora in Scritti giuridici, Milano, 1966, Giuffré, pp. 111
ss.
14
Cfr. T. PADOVANI, Osservazioni sulla rilevanza penale dell’ordine privato, in Massimario di giurisprudenza del
lavoro, 1977, pp. 464 ss.; G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 248;
15
E. MARINUCCI – G. DOLCINI, op. cit., pp. 151 ss; F. MANTOVANI, op. cit., p. 252
16
Cfr. F. PIZZETTI, Responsabilità diretta del funzionario pubblico, principio di uguaglianza e legittimità
costituzionale dell’art. 51 ultimo comma c.p. in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1972, pp. 779 ss.; G. CIARDI, op. cit., pp. 633
ss.
III
In effetti, l’ordinamento giuridico attribuisce al medesimo il potere di sindacare, o meglio di
controllare, ovviamente entro determinati limiti, la legittimità dell’ordine ricevuto, e dunque di
accertare se l’atto sia legittimo.
17
La conferma di quanto detto si ricava indirettamente dall’ultimo comma dell’art. 51 c.p., il quale
sancendo la non punibilità del subordinato nell’ipotesi in cui questi debba eseguire un ordine
illegittimo vincolante, lascia supporre quindi, che normalmente a tale soggetto spetti il diritto di
verificare la legittimità dell’ordine.
18
Tuttavia la regola secondo la quale del reato commesso risponde anche l’esecutore dell’ordine
patisce due eccezioni: il subordinato, infatti, non viene punito se, per errore di fatto, egli abbia
ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo (art. 51 co. 3° c.p.); oppure nell’ipotesi in cui la legge
non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine (art. 51 ultimo comma c.p.).
La prima ipotesi costituisce un’applicazione della disciplina generale dettata dal codice in tema di
errore ( artt. 47 e ss.).
19
L’errore può essere di fatto o di diritto, ma per espressa indicazione normativa, rileva solo l’errore
della prima specie, e ciò anche nel caso in cui esso abbia ad oggetto una legge diversa da quella
penale, ma purché si risolva in ogni caso, in un errore di fatto su circostanze materiali.
20
Nella seconda ipotesi si fa riferimento a quei rapporti in cui la legge impone al subordinato una
pronta obbedienza, non consentendogli di esercitare il potere di sindacato che normalmente gli
viene riconosciuto, in quanto vi è la necessità di garantire il sollecito adempimento degli ordini che
vengono impartiti, onde evitare che l’attività dello Stato possa essere paralizzata.
21
17
Cfr. B. PELLEGRINO, Nuovi profili in tema di obbedienza gerarchica, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 1978, pp. 150 ss.;
R. BAJNO, In tema di sindacato sull’ordine dell’autorità nell’adempimento di un dovere, in Riv. It. Dir. proc. Pen.,
1981, pp. 546 ss.; V. GARINO, Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere nel diritto penale militare, in
Digesto delle Discipline Penalistiche, IV, Torino, 1990, pp. 331 ss.
18
G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 249; G. BETTIOL- L. PETTOELLO MANTOVANI, Diritto Penale,
Milano, 2006, Giuffré, pp. 371 ss.
19
Cfr. R. DOLCE, Lineamenti di una teoria generale delle scusanti nel diritto penale, Milano, 1957, Giuffré, pp. 9 ss.;
C. F. GROSSO, L’errore sulle scriminanti nella fattispecie penale, Milano, 1961, Giuffré, pp. 163 ss.; E. MEZZETTI,
Le cause di esclusione della responsabilità penale nello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, in Riv. It. Dir.
Proc. Pen., 2000, pp. 251 ss.
20
E. MEZZETTI, op. cit., p. 252
21
G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 250
IV
In tal senso, va osservato che nell’ordinamento gerarchico vi sono organi dello Stato che hanno
solamente il compito di eseguire ciò che da altri viene comandato, per cui ad essi manca la
possibilità di sindacare la legittimità dei provvedimenti loro affidati.
22
Cosicché, sarebbe assurdo se
questi venissero puniti per aver adempiuto ad un dovere richiesto dallo stesso ordinamento
giuridico.
Dunque, nella giustificazione di tale comportamento assume rilevanza la situazione in cui si trova
l’esecutore materiale dell’ordine, per il quale sorge la necessità di agire in un certo modo, e quindi
di commettere il reato.
23
Per tale motivo parte della dottrina,
24
esclude che l’ipotesi in esame possa essere ricondotta alla
categoria delle autentiche cause di giustificazione, e ciò perchè l’esecuzione di un ordine illegittimo
darebbe luogo ad un fatto irrimediabilmente antigiuridico
25
e quindi, la punibilità dell’esecutore
verrebbe meno per ragioni che più propriamente attengono al piano della colpevolezza. Più
precisamente, l’esecutore sarebbe vincolato ad una pronta obbedienza, e non avrebbe quindi quella
normale libertà di autodeterminazione necessaria per poter pretendere un comportamento diverso e
conforme al diritto, con la conseguenza che quest’ultimo non potrà essere punito.
26
Altra parte della dottrina
27
ritiene, invece, che l’esecuzione di un ordine illegittimo vincolante non si
traduce nella commissione di un fatto antigiuridico, in quanto esso costituisce l’oggetto di uno
specifico dovere dell’agente. Tale dovere opererebbe quindi come causa di giustificazione, la quale
sarebbe fondata sulla prevalenza dell’interesse ad un pronto adempimento degli ordini del superiore
rispetto agli interessi tutelati dalle norme penali che vengono di volta in volta in considerazione.
28
22
G. BETTIOL, op. cit., pp. 154 ss.; F. MANTOVANI, op. cit., pp. 252; E. MEZZETTI, op. cit., p. 248
23
R. DOLCE, op. cit., pp. 48 ss.
24
G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., p. 251
25
F. MANTOVANI, op. cit., p. 255
26
Cfr. V. PATALANO, Breve nota sulla legittimità costituzionale dell’art. 51 ultimo comma c.p. in Giurisprudenza
Costituzionale, 1972, pp. 1313 ss.; S. MESSINA, L’ordine insindacabile dell’autorità come causa di esclusione del
reato, Torino, 1942, Giuffré, pp. 77 ss.; e in giurisprudenza sentenza Corte Costituzionale 06-07-1972 n. 123: La Corte
ha ritenuto che l’ipotesi contemplata nell’art. 51 ultimo comma c.p. non integri una causa di giustificazione, bensì una
causa personale di esenzione da responsabilità.
27
E. DOLCINI – G. MARINUCCI, op. cit., pp. 161 ss.; G. BETTIOL, op. cit., pp. 155 ss.; A. SANTORO, L’ordine del
superiore nel diritto penale, p. 188
28
G. BETTIOL, op. cit., p. 157
V
Peraltro si è ritenuto
29
che tale causa di giustificazione sia personale, perché solamente la condotta
del subordinato sarebbe lecita e non anche l’azione del superiore che ha impartito l’ordine, il quale
per espresso disposto legislativo risponde appunto del reato commesso.
Tuttavia va osservato che l’impossibilità di controllare tali ordini è limitata al solo contenuto
dell’atto e quindi, alla sua legittimità sostanziale, mentre rimane sempre sindacabile la legittimità
esteriore.
30
Ciò vuol dire che il subordinato ha sempre il potere di accertare se il superiore sia
competente ad emanare l’ordine, se egli stesso è competente ad eseguirlo e se l’ordine gli sia stato
impartito nelle forme stabilite dalla legge.
31
Quanto detto vale anche per la disciplina militare. E’ vero che in proposito l’art. 7 del regolamento
di disciplina militare stabilisce che l’obbedienza deve essere <<pronta, rispettosa, leale e
assoluta>>, ma ciò ha riguardo solamente alle modalità con le quali l’obbedienza deve essere
prestata e non tocca, quindi, i limiti relativi ad essa.
32
D’altronde, sia la dottrina che la giurisprudenza concordano nel ritenere che anche nell’ipotesi in
cui venga impartito un ordine illegittimo insindacabile, vi è un limite all’impossibilità di sindacare
la legittimità sostanziale di quest’ultimo, il quale viene individuato nella sua manifesta
criminosità.
33
Di ciò ne dà conferma l’art. 4 della legge n. 382/1979 contenente le nuove norme di
principio sulla disciplina militare, il quale stabilisce che: << il militare che riceve un ordine il quale
è manifestatamene rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce
manifestatamente reato, ha il dovere di non eseguirlo e di informare, al più presto, il suo
superiore>>. Rispetto a tale norma, è stato osservato
34
che nonostante sia contenuta nella disciplina
29
E. DOLCINI – G. MARINUCCI, op. cit., p. 162
30
A. SANTORO, op. cit., pp. 64 ss.; A. REGINA, op. cit., pp. 7 ss.
31
G. DELITALA, op. cit., pp. 570 ss.
32
G. BETTIOL – L. PETTOELLO MANTOVANI, op. cit., pp. 374
33
G. FIANDACA – E. MUSCO, op. loc. cit., pp. 251; D. PULITANO’, op. cit., pp. 327 ss.; E. DOLCINI- G.
MARINUCCI, op. cit., p. 152; B. PELLEGRINO, op. cit., p. 156 ss.; V. GARINO, op. cit., pp. 333 ss. e in
giurisprudenza, sentenza Cass. 22 giugno 1967 n. 110, in Cassazione Penale Mass. Ann., 1969, pp. 62 ss.; sentenza
Cass. 11 gennaio 1974, in Cassazione Penale Massimario Annuale, 1974 ; sentenza Cass. 10 marzo 1994, in
Cassazione Penale, 1994, pp. 2678; sentenza Cass. 16 novembre 1998 n. 11548, in Foro Italiano, 1999, II, pp. 273 ss.
con nota di D. MALTESE
34
D. PULITANO’, op. cit., p. 329
VI
militare, essa è espressione di un principio generale del nostro ordinamento giuridico, che opera
quindi anche nel diritto penale comune.
35
Infatti, il limite del dovere di obbedienza rappresentato dalla manifesta delittuosità dell’ordine è la
traduzione del principio per cui nessuno può essere tenuto ad eseguire un ordine, se sa che da ciò ne
deriva la commissione di un reato.
36
Conseguentemente, se il subordinato obbedisce all’ordine palesemente criminoso sarà chiamato a
rispondere del reato commesso in concorso con il superiore che lo ha impartito.
35
G. FIANDACA – E. MUSCO, op. cit., pp. 251-252
36
G. BETTIOL, op. cit., pp. 151 ss.; G. DELITALA, op. cit., p. 570
VII