Michele Trianni L’adempimento di un dovere
5
deduzione delle regole di operatività degli istituti dalle categorie generali, essendo
invece assai più corretto il metodo inverso3. Si dovrà pur tuttavia ricorrere a tale
(fittizia) inversione metodologica a fini meramente espositivi, con la rassicurazione che
alle scelte in sede di sussunzione nei dogmi si è proceduto posteriormente rispetto
all'analisi della disciplina positiva.
Ciò precisato, pare opportuno, per le medesime ragioni, portare alle estreme
conseguenze l'improprio hysteron proteron, denunciando fin d'ora quale terminologia si
intende usare tra le tante proposte per indicare i vari fenomeni che portano alla non
applicazione della sanzione penale, sempre consapevoli che in linea teorica sarebbe più
corretto effettuare una tale operazione in explicit. Innanzitutto, conformemente alla
terminologia codicistica, si distinguerà, a seconda del momento di incidenza rispetto al
reato, tra cause di esclusione della pena o esimenti (art. 59 c.p.) e cause di estinzione del
reato o della pena (Titolo VI, Libro I), escludendo immediatamente queste ultime
dall'indagine. Tra le esimenti si dovranno poi distinguere innanzitutto le cause di
esclusione della sola pena (le cosiddette cause di non punibilità stricto sensu quali ad
esempio l'art. 649 c.p. concernente la non punibilità dei reati contro il patrimonio
commessi in danno dei prossimi congiunti), che esprimono la valutazione del legislatore
in ordine all'opportunità dell'applicazione della sola sanzione penale lasciando intatto il
reato in tutti i suoi elementi. Quindi le cause di esclusione del reato o scriminanti, le
quali elidendone gli elementi fanno venir meno la fattispecie criminosa nel suo
complesso. Infine, e questa è la presa di posizione più gravida di conseguenze e più
bisognosa di argomentazioni, e la cui giustificazione teorica e pratica sarà l'oggetto di
questo capitolo, si distingueranno le scriminanti in cause di giustificazione e cause di
esclusione della colpevolezza o scusanti, in base all'elemento del reato su cui incidono
3
In tal senso BRICOLA, voce Teoria del Reato, in Novissimo Digesto italiano 1973 vol XIX,
Torino, p. 22.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
6
(fatto o antigiuridicità a seconda dell'adozione di questa o quella teoria le prime,
colpevolezza le seconde) e alla loro rilevanza rispetto agli altri rami dell'ordinamento.4
Ciò premesso, ci si accingerà a delineare i profili delle scriminanti dal punto di
vista delle grandi scelte sul piano dogmatico, pur mettendone di volta in volta in
evidenza le ricadute nella prassi, in modo da estrapolare dal dibattito le singole
disposizioni in tema di errore, eccesso, rilevanza obiettiva, efficacia extrapenale,
estensione analogica, comunicabilità ai concorrenti. L'operazione si rende necessaria al
fine di poter fornire, una volta integrata la disciplina generale delle scriminanti con
quella specifica, un quadro veramente completo del fenomeno ―adempimento di un
dovere‖ in tutti i suoi aspetti di rilevanza giuridica.
4
Per un’adozione de jure condendo nel senso più proprio di un'impostazione sostanzialmente
equivalente, cfr il progetto di riforma del codice penale predisposto dalla commissione Pisapia,
in Mezzetti, Giustificanti e scusanti nello schema di disegno di legge delega per un nuovo
codice penale della commissione ―Pisapia‖, in Cassazione Penale, 2008, p. 422.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
7
2. Il necessario retroterra teoretico: illiceità e colpevolezza
2.1 La possibilità di un'analisi del reato
Il necessario presupposto per delineare chiaramente i confini reciproci e con il
resto dell'ordinamento penale delle scriminanti è la distinzione tra illiceità e
colpevolezza, le quali, come sopra accennato, costituiscono i differenti poli dialettici
delle cause di giustificazione e delle scusanti. È da notare che la possibilità stessa di
isolare anche ai soli fini dell'analisi i diversi elementi del reato è stata oggetto di una
vera e propria reconquista della scienza penalistica europea nei confronti della teoria
della considerazione unitaria del reato che, pur non avendo attecchito in Italia salvo che
in isolati autori5, costituisce il fulcro della cosiddetta scuola neoclassica tedesca6.
Secondo tale orientamento la stessa attività di analisi del reato, in particolare
l'individuazione del fatto come ―pietra angolare‖7 del diritto penale attorno a cui si
focalizza il suo carattere di tipicità, non è che un artificio astratto che fa perdere di vista
l'unitarietà del fenomeno criminale. In tal modo nel momento in cui il giurista si accosti
a una fattispecie concreta quale l'uccisione del soldato nemico, non deve ―vedere‖ un
(doloroso) bilanciamento di beni compiuto dall'ordinamento, ma un fatto irrilevante per
5
È il caso di MORO, L'Antigiuridicità penale, Palermo 1947 p. 133ss., in VASSALLI, Il fatto
negli elementi del reato, in riv. it. Dir. Proc. Pen. 1984, p. 536.
6 Si allude alla cosiddetta scuola di Kiel, vd. MARINUCCI, Fatto e scriminanti - note
dogmatiche e politico criminali, in riv. it. Dir. Proc. Pen, 1983, p. 1198.
7
La critica si svolge infatti nei confronti della scuola classica, che a partire dalla fondamentale
opera di Beling (BELING, Die Lehre vom Verbrechen, 1906) elaborava la teoria della
tripartizione basata sull'individuazione del ―fatto in senso stretto‖, vd MARINUCCI, Fatto e
scriminanti, op. cit., p. 1190.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
8
il diritto8, al pari di una passeggiata in montagna o, per citare un classico esempio di
scuola, l'uccisione di una mosca. A questo punto non vi è chi non veda quanto poco
passi dalla constatazione che un soldato in guerra non può commettere omicidio alla
consequenziale elaborazione di un diritto penale basato sui tipi d'autore. Cosa che
effettivamente avvenne in epoca nazionalsocialista, con l'attribuzione al Tätertyp e a
un'antigiuridicità ―materiale‖ da attingersi direttamente al Volksgeist quella funzione
scriminante che nello stato di diritto è operata nell'ambito di una dogmatica del reato (e
non dell'autore) in sede di antigiuridicità ―formale‖9. Le numerose ragioni per cui tale
ottica risulta strumentale e perniciosa, sotto i profili soprattutto del principio di legalità
e di certezza del diritto, sono evidenti e come tali sono state ampliamente esposte10 fin
dall'epoca del suo sorgere11.
Posta dunque la liceità del procedere all'analisi del reato, il primo passo verso la
distinzione tra illiceità e colpevolezza è dato dall'individuazione della categoria
dell'antigiuridicità obiettiva.
2.2 Delimitazione del campo di indagine
Innanzitutto è bene chiarire l'oggetto dell'indagine: si ricerca, nella cosiddetta
antigiuridicità obiettiva, una valutazione di contrasto del comportamento con le
8 È da notarsi, proprio in riferimento al tema dell'uccisione del nemico in tempo di guerra,
l'interessante ma superata posizione di Nuvolone (vd. NUVOLONE, I limiti taciti della norma
penale, Padova, 1972, p. 133), che ponendo tale fattispecie al di fuori dell'ordinamento tout
court, nega che vi sia rilevanza ad alcun livello degli interessi giuridici sottostanti.
9 BRICOLA, Teoria del reato, op. cit., p. 28.
10
Anche senza necessariamente ammettere l'esistenza di un ―fatto in senso stretto‖, vd ad es
PAGLIARO, Fatto, condotta illecita e responsabilità obiettiva nella teoria del reato, in riv. it.
Dir. Proc. Pen., 1985, p. 629.
11
Già da Bettiol nel 1938, che tuttavia fa notare come un conto siano i contenuti
dell'ordinamento e altro conto gli schemi concettuali adottati per l'analisi, vd BETTIOL, Sul
metodo della considerazione unitaria del reato, in riv. it. Dir proc. Pen 1938, p. 513, in
VASSALLI, il Fatto, op. cit., p. 535 .
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
9
esigenze dell'ordinamento obiettivate in una norma. Ciò a prescindere dall'eventuale
rilevanza che tale contrasto possa assumere ai fini penali: tale momento valutativo, (che
si pone come prius rispetto al momento dell'antigiuridicità solamente in prospettiva
penalistica), è proprio del fatto (tipico), il quale esprime quella conformità alla
fattispecie che è necessaria ai fini della soddisfazione delle esigenze formali di legalità,
non fornendo tuttavia elementi conoscitivi su un eventuale disvalore rispetto
all'ordinamento nel suo complesso.
Si noti che l'antigiuridicità obiettiva non necessariamente deve essere definita
tale quanto all'oggetto (nel senso di un dato materiale e esterno): sicuramente tuttavia lo
deve essere quanto al criterio valutativo, in quanto valutazione compiuta in termini
impersonali, che pur prescindendo dal momento della colpevolezza, non sia
necessariamente scevra di elementi soggettivi, al contrario della formulazione fornitane
dalla scuola classica di Beling. Tanto che lo stesso Jehring ha modo di precisare che
―l'illecito obiettivo esclude invero il momento della colpa, non anche quello della
volontà‖12. L'eventuale presenza di elementi soggettivi non è infatti un problema che
riguardi l'antigiuridicità intesa come figura di qualificazione, come tale astrattamente
riferibile a ogni settore dell'ordinamento, bensì l'analisi, che verrà svolta
successivamente, delle fattispecie illecite del singolo ordinamento individuato
storicamente.13
12
JEHRING, Das Schuldmoment in römischen Privatrecht, Giessen, 1867, p.6, in PADOVANI,
Alle radici di un dogma: appunti sulle origini dell'antigiuridicità obiettiva, in riv. it. Dir. Proc.
Pen., 1983, p. 543.
13
GALLO-SEVERINO, voce Antigiuridica Penale, in Enc. Giur. Treccani, p. 5.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
10
2.3 Un breve percorso logico e storico
È patente la difficoltà di immaginare la focalizzazione delle categorie della
tipicità e dell'antigiuridicità obiettiva al di fuori di una congerie positivistica, nel
momento in cui il duplice momento qualificativo della condotta, rispetto alla sua
rilevanza penale e al suo disvalore, si vede cristallizzato corrispettivamente nella
fattispecie legale e nell'assenza di cause di giustificazione all'interno di una fattispecie
normativa.
Ciononostante, le radici del dogma dell'antigiuridicità obiettiva possono essere
rinvenute sin nella dottrina tedesca di inizio ottocento in piena temperie illuministica:
necessario presupposto per la distinzione di un momento puramente obiettivo
dell'illecito è l'individuazione del contenuto offensivo del reato: mentre prima infatti il
reato era foriero di un disvalore consistente unicamente nella violazione della norma
incriminatrice, per cui l'analisi, se di analisi si può parlare, si risolveva nella mera
rilevazione della contrarietà dei dati e dei giudizi alla legge penale, esso diviene in
seguito, in una prospettiva deontologia, latore di un'altro tipo di disvalore, consistente
nella necessaria violazione di un diritto soggettivo (costituendo un nesso inscindibile tra
punibilità e autonomo giudizio di valore, in questo caso ―violazione di un diritto
soggettivo‖). Solo postulando una necessaria dimensione di ―illiceità di primo grado‖
che esprima già un disvalore giuridico (la violazione del diritto soggettivo), è possibile
pensare a un’ulteriore qualificazione in termini di ―illiceità di secondo grado‖,
consistente nell'eventuale fondamento di liceità che tale violazione assume in una
prospettiva ordinamentale.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
11
E così già nell'opera principale di Tittmann, datata 1800,14 muovendo dalla
premessa che presupposto del reato è ―l'intromissione in una sfera di libertà‖ con la sua
conseguente ―eliminazione‖ dolosa o colposa come elemento distinto dalla ―punibilità‖,
si rende la qualificazione della condotta in termini di illiceità autonoma rispetto alla
punibilità, isolandola sul piano sistematico e definendola come ―eliminazione o
diminuzione del diritto di un uomo che risulti antigiuridica e senza il consenso
dell'avente diritto‖.15 Da questa definizione nulla traspare in effetti in ordine alla
rilevanza penale di tale ―diminuzione‖: la dimensione penale della condotta attiene
infatti alla punibilità. Tuttavia l'esigenza di individuare una categoria di illiceità
autonoma rispetto a quella penale, pur emergendo compiutamente, non si traduce in una
coerente sistematica delle scriminanti, che vengono inquadrate come cause di esclusione
dell'imputazione, attinenti alla punibilità: l'antigiuridicità assume quindi un carattere
antinomico, impersonale e obiettiva quanto all'oggetto (la violazione illecita del diritto
soggettivo), personale e subiettiva quanto all'effetto (l'esclusione dell'imputabilità).
L'antinomia viene prontamente ―risolta‖ da Feuerbach:16 esso individua e colloca
al primo posto tra le condizioni del reato un'azione esternamente riconoscibile, poiché
solo un'azione esterna può ledere un diritto, mentre l'indagine sul dolo è anche
logicamente successiva e eventuale, in quanto connotato derivato17. Inoltre, tra azione e
dolo, è frapposta una seconda condizione: l'antigiuridicità dell'azione lesiva, intesa
come il ―difetto di una ragione giuridica idonea a qualificarla‖, escludendosi quindi il
14 Grundlinien der Strafrechtswissenschaft und der deutschen Strafgesetzkunde, Lipsia, 1800,
ed. 1978 in PADOVANI, Alle radici di un dogma, op. cit., p. 548.
15
TITTMANN, op. cit., p. 21, in PADOVANI, Alle radici di un dogma, op. cit., p. 549.
16
Già nel 1801 nell'opera Lehrbuch des gemeinen in Deutschland gültigen peinlichen Rechts, in
PADOVANI, Alle radici di un dogma, op. cit., p.551.
17
Tale conformazione dell'azione risulta inoltre funzionale alla polemica a favore della
secolarizzazione del diritto, che avesse come fine la tutela della pace esteriore e non della virtù
interiore, cfr. MARINUCCI, voce ―Antigiuridicità‖, in Digesto delle Discipline Penalistiche, p.
175.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
12
reato sia nelle ipotesi di dispensa legislativa ovvero adempimento di un dovere
giuridico, sia in quelle di esclusione ab origine dell'esistenza stessa del diritto
soggettivo per una particolare ragione giuridica. Due sono le notazioni di rilievo
dunque: da una parte l'ormai (o ―già‖, a seconda del rilievo storico che vi si vuole
attribuire) chiaro insediamento nella sistematica dell'antigiuridicità come qualificazione
giuridica oggettiva (in quanto riferita a un'azione esterna), autonoma (ponendosi tra
l'azione presupposta e l'indagine sulla colpevolezza) e avente l'intero ordinamento come
propria fonte (caratterizzando così ogni specie di torto giuridico).18 Dall'altra l'origine di
quella distinzione, che ha avuto una qualche fortuna in dottrina, tra cause di
giustificazione che facoltizzano o impongono la violazione del diritto soggettivo
(fondate sulla prevalenza di un interesse) e cause di giustificazione che escludono in
radice il diritto stesso (basate quindi sulla mancanza di un interesse).19
Rispetto al primo profilo è importante notare come la qualificazione obiettiva
dell'antigiuridicità sopravvive compiutamente alla caduta della violazione del diritto
soggettivo come criterio di selezione delle azioni incriminabili in funzione politico-
criminale. Il ben noto percorso che attraverso la critica di tale criterio in relazione alla
sua non conformità con lo jus positum, (in particolare l'incompatibilità con i reati
cosiddetti di pericolo e di polizia), porta alla sua sostituzione con quello della lesione
del bene giuridico, non pregiudica infatti la suddetta sistematica.20 Ciò che muta è
semplicemente la base oggettiva, da qualificare nel bene giuridico aggredito come
forma di manifestazione del turbamento della pace esteriore.
18
MARINUCCI, voce Antigiuridicità, op. cit., p. 176.
19
MANTOVANI, Diritto Penale – parte generale, Padova, 2001 4ed, p. 250.
20
Al contrario, essa viene utilizzata da Birnbaum come argomento di critica alle teorie della
lesione del diritto soggettivo come mostrato in PADOVANI, Alle radici di un dogma, op. cit.,
pp. 555ss.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
13
L'idea dell'antigiuridicità oggettiva viene anzi ―traghettata‖ intatta perlomeno in
quanto esigenza di valutazione autonoma fino all'elaborazione di Jehring,21 considerato
tradizionalmente come il padre del dogma: in una celebre diatriba con Merkel egli
afferma la possibilità di prescindere dalla colpevolezza e dall'imputabilità
nell'individuazione di un torto giuridico obiettivo. Attraverso l'analisi delle norme in
tema di restituzione (e quindi valenza extrapenale) e resistenza legittima dell'offeso (e
quindi impedibilità) nelle diverse ipotesi di fatto compiuto da persona non imputabile o
non colpevole, ovvero da fatto autorizzato o imposto da norma giuridica, viene
compiutamente codificata la nozione di ―objektive Rechtswidrigkeit‖ come presupposto
di una concezione di colpevolezza come qualificazione ulteriore di un fatto illecito in
rapporto al suo autore. Come si è visto, di altro non si tratta se non del consolidamento
in una diversa ottica di nozioni già ampiamente presenti nel pensiero penalistico da
almeno mezzo secolo: ciò dimostra che il reale campo in cui si gioca la partita
dell'antigiuridicità e della colpevolezza è quello della contrapposizione tra oggettivismo
e soggettivismo,22 cioè in sostanza nel campo delle opzioni ideologiche:23 se si ritiene
che la pace sociale sia turbata dalla volontà ribelle dei consociati, allora il diritto penale
avrà lo scopo di reprimere tale volontà quale obiettivata nell'azione, con la tendenziale
degradazione dell'evento a condizione obiettiva di punibilità (e l'assunzione del
tentativo quale prototipo del reato punibile). In questa ottica non ha senso l'astrazione
dall'autore che caratterizza un momento valutativo autonomo della lesione, e
l'antigiuridicità (soggettiva) si risolve così nella colpevolezza. Se invece si parte dal
presupposto che solo le azioni esterne e le loro conseguenze sono idonee a turbare la
21
JEHRING, op. cit., in DONINI, voce Teoria del Reato, in Digesto delle Discipline
Penalistiche, p. 239.
22
E non, come da taluni si prospetta, sul campo della teoria della norma, vd. GALLO-
SEVERINO, voce Antigiuridica Penale, in Enc. Giur. Treccani, p. 5.
23
Identificano il problema in questi termini, tra gli altri, MARINUCCI, Fatto e scriminanti, op.
cit., p. 177 e VIGANO’, Stato di necessità e conflitto di doveri, Milano, 2000, p. 172.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
14
pace sociale, e che quindi requisito indefettibile di ogni illecito è il danno sociale, risulta
perfettamente conseguente separare il momento valutativo dell'illiceità (giudizio che
guarda all'evento), dalla colpevolezza (giudizio che guarda all'autore).
I termini della questione risultano dunque chiariti (e già a partire dalla metà del
XIX secolo): si è infatti mostrato come l'elaborazione del concetto di antigiuridicità
oggettiva, a prescindere dalle diverse valutazioni in ordine alla tenuta del dogma,24 è la
sede nel cui alveo storicamente, se non logicamente, matura quella distinzione tra
illiceità e colpevolezza che qui si pone alla base dell'identificazione delle rispettive e
distinte cause di elisione (dell'antigiuridicità da una parte, e della colpevolezza
dall'altra).25
2.4 Il ruolo della teoria tripartita nell'oggettivizzazione dell'illiceità
Tuttavia l'indagine non può concludersi qui. Non si può infatti ignorare che la
sede privilegiata in cui sono state più compiutamente elaborate le istanze oggettivistiche
sia stata la dottrina cosiddetta della tripartizione: ed è in questo contesto si attua lo shift
dell'oggettività, da criterio a oggetto dell'antigiuridicità, raddoppiando dunque il
postulato: da valutazione obiettiva, a valutazione obiettiva formulata, in rispondenza a
precise ragioni di politica criminale, su un dato obiettivo, cioè il ―fatto‖.26
24
Da più parti bersaglio di critiche incisive. Vd. ad esempio SCHIAFFO, Riflessioni critiche
intorno ad un ―dogma‖: l'antigiuridicità generica, in riv. it. Dir. Proc. Pen., 1999, p. 1075.
25
VIGANO’, Stato di necessità, op. cit., p. 152.
26
PADOVANI, Alle radici di un dogma ,op. cit., p. 543.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
15
Nella costruzione tripartita, elaborata da Beling,27 tradotta in Italia da Delitala28
e oggetto poi di svariate successive elaborazioni, il reato è costituito costituito da un
accadimento, il fatto, e due rapporti, uno di contraddizione del fatto con l'ordinamento
(l'antigiuridicità), e l'altro di adesione al fatto del reo (la colpevolezza, che tuttavia pare
preferibile configurare ugualmente come rapporto di contraddizione tra la volontà e la
norma, in ossequio alla scoperta del suo carattere normativo).29
Il fatto, tradizionalmente posto come ―pietra angolare del reato‖, assolve precise
funzioni politico criminali, che vi compenetrano da varie strade.30 Innanzitutto, in una
prospettiva costituzionale, impone di circoscrivere l'ambito di operatività del diritto
penale alla protezione degli oggetti esteriori da condotte esterne lesive, escludendosi dal
suo oggetto una mera Gesinnung o la generica disobbedienza ai doveri. In secondo
luogo, in un’ottica di principio di legalità, consente da una parte di evidenziare la
funzione del bene giuridico nella delimitazione del fatto, dall'altra di espungere quelle
fattispecie che siano prive di solide e verificabili basi empirico - criminologiche
(esemplare in questo caso la celebre vicenda della pronuncia di incostituzionalità della
fattispecie di plagio). Sono queste funzioni di individuazione e concretizzazione che
legittimano l'attribuzione al fatto in quanto tale di una propria rilevanza giuridica , che
tuttavia, ai fini della configurazione del reato, necessita di un’ulteriore qualificazione in
termini di illiceità. Tale qualificazione del fatto, compiuta alla stregua dell'intero
ordinamento giuridico, ed esplicando conseguentemente i suoi effetti sull'intero
ordinamento giuridico, è compiuta in sede di antigiuridicità, giudizio che ha come
oggetto il fatto e come parametro le norme di liceità che lo facoltizzano o impongono.
27
BELING, Die Lehre vom Verbrechen, 1906, in MARINUCCI, Fatto e scriminanti, op. cit., p.
1198.
28 DELITALA, Il fatto nella teoria generale del reato, 1930, in MARINUCCI, Fatto e
scriminanti, op. cit., p. 1190.
29 VASSALLI, Il fatto, op. cit., p. 543.
30 Questa l'icastica immagine che ne da MARINUCCI, Fatto e scriminanti, op. cit., p. 1226.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
16
2.5 Le critiche alle categorie fondanti della tripartizione
Non possono essere ignorate le critiche che si sono abbattute su tale
ricostruzione degli elementi del reato, provenienti soprattutto dai vari autori aderenti
alla teoria cosiddetta della bipartizione31, nelle sue varie articolazioni. Tali critiche
vertono rispettivamente sulla costruzione di fatto in senso stretto e sulla considerazione
dell'antigiuridicità come generica e oggettiva. È necessario quindi quantomeno esporre
le questioni principali in modo da dare un senso alle scelte di fondo che si compiranno.
Quanto al concetto di ―fatto in senso stretto‖, si sostiene innanzitutto, facendo anche
leva sul significato e sull'origine dell'originario termine Tatbestand, che esso avrebbe un
fondamento occulto nella figura processual-penalistica del corpus delicti32, il quale altro
non sarebbe che un coacervo di elementi eterogenei (di cui alcuni di quelli psichici,
come la coscienza e volontà, e comunque non tutti quelli materiali, essendo escluse le
condizioni di punibilità), strumentale al principio di economia processuale:33 la
progressione fatto – antigiuridicità – colpevolezza costituirebbe oltre che un metodo
efficiente a definire per prime le questioni più facilmente risolubili, anche una soluzione
per incasellare opportunamente quelle formule di proscioglimento che, vertendo sul
fatto, garantiscono un’assoluzione piena in ossequio al principio dell'inflizione del
minor danno possibile all'imputato innocente. Tuttavia, due notazioni non possono
31 Sono almeno tre le correnti della bipartizione: non è questa la sede per una compiuta
esposizione di esse (né specularmente per le innumerevoli correnti della tripartizione), ci si
limiterà, riproponendosi di riprendere tali posizioni più approfonditamente in seguito nella
trattazione, a citare qui gli esponenti principali: ANTOLISEI, Manuale di diritto penale – parte
generale, Milano, 2003 16ed, PAGLIARO, Principi di diritto penale – parte generale, Milano,
2003 8ed, NUVOLONE, I limiti taciti della norma penale, Padova 1972.
32 Cioè l'oggetto della prima fase dell'accertamento nel processo inquisitorio tedesco di
derivazione canonica.
33
PAGLIARO, Fatto, condotta illecita e responsabilità obiettiva nella teoria del reato, in riv. it.
Dir. Proc. Pen., 1985, p. 624.
Michele Trianni L’adempimento di un dovere
17
evitarsi: in primo luogo, è tutta da dimostrare la derivazione necessaria di una teoria del
reato che disponga in sede di analisi un ordine prestabilito per l'esame dei suoi elementi
da formae mentis processual - penalistiche, posto che anche in questo caso una
confutazione in tal senso era già contenuta nelle formulazioni originarie della teoria
della tripartizione.34 In secondo luogo, anche volendo accogliere tale discutibile assunto,
e volendo, altrettanto discutibilmente, farne derivare l'insostenibilità della tripartizione,
non si potrà fare a meno di vagliare alla sua luce anche le altre teorie che prevedano una
determinata successione negli elementi del reato, giungendosi banalmente alla solita
alternativa simul stabunt, simul cadent: in questo caso, stabunt.35
Quanto all'antigiuridicità generica, vi è innanzitutto un'obiezione di lungo corso:
l'antigiuridicità, si dice, è ―l' in sé del reato‖,36 non essendo possibile concepire l'illecito
penale fuori dalla norma che lo pone. Reato e antigiuridicità (penale) sono termini
corrispondenti, concernenti entrambi l'applicabilità di una sanzione penale a un fatto, e
parlare di antigiuridicità oggettiva o soggettiva e equivale a parlare di elementi oggettivi
e soggettivi del reato.37 Si ribatterà che nella realtà dell'ordinamento sono
innegabilmente presenti alcuni fatti la cui qualificazione di non illiceità penale rimane
indifferente rispetto agli altri settori, mentre ve ne sono alcuni altri la cui liceità vi si
propaga, ed è a questa distinzione che si ricollega la nozione di antigiuridica oggettiva,
che in quest'ottica rivela la propria fecondità concettuale, fecondità che manca del tutto
34 Lo stesso Beling si era premunito, evidentemente senza successo, di esplicitare la derivazione
solo terminologica del Tatbestand affermandone al contempo l'autonomia funzionale sul piano
sostanziale: vd. BELING, Die Lehre, op. cit., p. 4, in MARINUCCI, voce Antigiuridicità, op.
cit., p. 175.
35 MARINUCCI, voce Antigiuridicità, op. cit., p. 176.
36
Espressione di Rocco divenuta ormai topica come punto di partenza di ogni opera di
confutazione dell'antigiuridicità generica, vd. ad es. GIULIANI-BALESTRINO, Sull'intima
crisi della concezione tripartita del reato, in Indice pen, 1984, p. 470.
37 NUVOLONE, I limiti taciti, op. cit., p. 39.
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18
in una nozione di ―antigiuridicità penale‖ la quale, come denunziato dai suoi stessi
fautori, è una tautologia.38
Altra obiezione: posto che se non si vuole postulare l'esistenza delle Normen
l'antigiuridicità generica avrebbe la funzione di non elidere l'antigiuridicità penale, e
essendo proprio di ogni istituto giuridico l'avere una funzione positiva, un concetto così
costruito risulta ossimorico in radice.39 Posto che un assunto del genere è tutto da
dimostrare, ben potendosi ogni istituto giuridico definirsi come la funzione di negare il
suo contrario (si pensi ad esempio alle varie formulazioni della conoscibilità del
precetto penale), l'antigiuridicità generica ha la ben precisa funzione di servire come
sede adeguata per l'effettuazione di un giudizio di bilanciamento dei beni su cui si basa
la coerenza dell'ordinamento.
L'ultima obiezione, in realtà prima in ordine di tempo e di importanza, che
coinvolge entrambe le categorie suddette, è stata avanzata fin da subito ad opera di
Arturo Rocco:40 la derivazione e le necessarie radici del fatto e dell'antigiuridicità nella
teoria tripartita sarebbero da rinvenire nella concezione (ulteriormente) sanzionatoria
del diritto penale. Il fatto è lo strumento di cui si serve la norma penale per agganciarvi
la sanzione a un precetto formulato al di fuori del diritto penale.41 Conseguentemente,
parlare di contrarietà all'ordinamento porterebbe in ultima analisi a delineare un sistema
in cui al diritto penale non è lasciato altro spazio se non quello di sanzionare precetti
38 VASSALLI, voce Cause di non punibilità, in Enciclopedia del Diritto, Torino, p. 616.
39
GIULIANI-BALESTRINO, Sull'intima crisi, op. cit., p. 469.
40
ROCCO, L'oggetto del reato e della tutela giuridica penale, 1913 in MARINUCCI,
Antigiuridicità, op. cit., p. 179, ripresa poi da PAGLIARO, Fatto, op. cit., p. 628, da DONINI,
Illecito e colpevolezza, op. cit., 176 e da SCHIAFFO, Riflessioni critiche, op. cit., p. 1077.
41
PAGLIARO, Fatto, op. cit., p. 628.