Capitolo I - Introduzione
5
A) Investimento
2
. La società può trovarsi con un eccesso di
liquidità rispetto alle possibilità tecniche d’investimento e quindi
decidere di impiegarne una parte in azioni proprie. L’operazione
viene considerata alla stregua di qualunque altro investimento e il
management dovrà allora dare un giudizio in termini di redditività,
comparandola con quella d’investimenti alternativi, siano essi di tipo
industriale, operativo o di tipo finanziario (in sostanza, acquisto di
altri titoli). Quando invece si tratta di banche o società finanziarie
siamo di fronte a imprese la cui attività caratteristica è (è anche)
quella di investimento in titoli e quindi, per l’operatore che deve
decidere l’acquisto, può essere indifferente acquistare azioni della
società X o azioni della propria società. Da notare poi che l’acquisto
di azioni proprie, a parità di condizioni, aumenta il dividendo
unitario. E si sa che gli azionisti preferiscono alti dividendi, anche se
tale preferenza può risultare irrazionale
3
.
Faccio comunque mia la considerazione di Lizza
4
, che possiamo del
resto estendere a qualunque impiego finanziario : l’operazione, lungi
dall’essere un “buon investimento” come sovente si legge nelle
delibere assembleari che autorizzano l’acquisto, può invece
indebolire l’impresa perché devia risorse verso incerte speculazioni
quando forse sarebbe stato più utile puntare su nuove iniziative
tecnico-industriali per acquisire, accrescere o consolidare vantaggi
competitivi. In sintesi, c’è il rischio che l’impresa perda posizioni
strategiche rispetto alla concorrenza a fronte di plusvalenze aleatorie.
2
Sulla natura di investimento dell’operazione di acquisto di azioni proprie la
dottrina giuridica è profondamente divisa. La soluzione adottata circa tale
problema si riflette come si vedrà sulla qualificazione del fondo azioni proprie
3
L’individuazione della migliore politica dei dividendi è un problema ancora
irrisolto. Vedi BREALEY-MYERS, Principi di Finanza, Milano, 1993, cap. 15.
Visto che ne ho l’occasione voglio lodare questi due autori che hanno realizzato
uno dei manuali che più ho apprezzato nel mio corso di studi
4
LIZZA, op. cit., p. 115 s.
Capitolo I - Introduzione
6
Senza contare poi che si potrebbero riscontrare profili penali, e cioè
alludo alla problematica dell’insider trading
5
.
B) Controllo. Prescindendo dal dato normativo è chiaro che,
togliendo dalla circolazione un certo numero di azioni, si abbassano i
quorum assembleari e si va quindi a consolidare la posizione del
gruppo di comando. In questo modo si può ad esempio emarginare e
rendere inoffensiva una minoranza riottosa oppure si può creare un
argine contro scalate ostili. Siamo quindi di fronte ad un’ipotesi in
cui la società non persegue con il suo operato l’interesse sociale ma
l’interesse della maggioranza e vi possono allora essere dubbi sulla
validità della delibera assembleare al di là delle motivazioni
generalmente stereotipate che si possono leggere nella stessa. Mi
sembra fondamentale a questo riguardo l’osservazione di
Carbonetti
6
: non è possibile addurre a motivo dell’acquisto la
salvaguardia dell’indipendenza dell’impresa, perché in realtà si
salvaguarda soltanto lo status quo, il mantenimento della stessa
maggioranza e dello stesso management. Invece nell’ambito di un
sistema capitalistico quale quello in cui viviamo è fondamentale, per
lo sviluppo dello stesso, il ricambio della maggioranza : a seguito di
fusioni, per ottenere sinergie ed economie di scala, oppure per
sanzionare management inefficienti. E vista la globalizzazione del
mercato non ci si può giustificare con la necessità di difendersi
contro un’invasione di capitali stranieri. Questo è un problema che
eventualmente può riguardare alcuni settori strategici e deve essere
risolto con strumenti di diritto pubblico.
5
Sull’argomento vedi CARBONETTI, Acquisto di azioni proprie e insider
trading, in Riv. Soc., 1989, p. 1009 ss.; GRANDE STEVENS, Questioni in
tema di insider trading e di compravendita di azioni proprie, in Riv. Soc., 1991,
p. 1006 ss. ; MATTURRI, Insider Trading e acquisto di azioni proprie, in
Società, 1994, p. 755 ss.
6
CARBONETTI, op. cit., pag. 17 nota 11
Capitolo I - Introduzione
7
C) Regolarizzazione dei corsi. Come è ben noto, le teorie
finanziarie postulano la perfezione ed efficienza del mercato. Ciò
vuol dire che il prezzo di mercato di un’azione o comunque in genere
di un titolo corrisponde al suo valore effettivo
7
. Come è altrettanto
noto, la realtà dei mercati smentisce il postulato. Ciò è vero
soprattutto in Italia vista l’asfittica Borsa di Milano. Tra parentesi
mentre si scrive è al lavoro una commissione ministeriale (cd.
Commissione Draghi) che si sta occupando della riforma del diritto
societario, di quelle regole che vengono definite di corporate
governance, anche con l’intento di sviluppare il mercato borsistico.
Chiusa parentesi. Si parlava dunque di efficienza. Là dove il mercato
non è efficiente vi è lo spazio per manovre che vanno ad influire sul
corso di un’azione. Gli amministratori possono allora intervenire
acquistando o vendendo azioni per riempire eventuali vuoti della
domanda o dell’offerta o per contrastare azioni speculative. Quali
possono essere le ragioni che spingono la società ad operare sulle
proprie azioni al fine di regolarizzarne il corso?
Una prima ragione risiede nel valore segnaletico del corso. Una
buona capitalizzazione giova a livello di immagine generale della
società. Il valore dell’azione è inoltre uno dei parametri su cui
possono basarsi le banche o comunque i finanziatori per la
concessione del credito. E’ esatta comunque l’osservazione di
Lizza
8
: i finanziatori non basano la loro analisi solo su quel valore.
Ciò non toglie che rientri nelle valutazioni. Un buon andamento delle
azioni giova poi agli amministratori, visto che il valore delle stesse
viene assunto come metro di giudizio del loro operato. Il prezzo
delle azioni viene poi assunto come base delle negoziazioni che
avvengono in caso di cessione dell’azienda o di fusione o di cessione
di un pacchetto azionario. Un alto valore delle azioni inoltre
favorisce il buon fine di un aumento di capitale. Infatti il prezzo di
7
Chi vuole saperne di più sull’argomento può consultare il manuale di
BREALEY-MYERS, citato alla nota 3
8
LIZZA, op. cit., p. 42 ss.
Capitolo I - Introduzione
8
emissione viene comparato, nell’ottica dell’investitore, col valore
corrente. Si esclude allora il rischio che un alto prezzo di emissione
rispetto al valore corrente non venga compreso dai risparmiatori.
Una seconda ragione può essere quella di evitare scalate, sia nella
forma del rastrellamento sia nella forma dell’offerta pubblica di
acquisto. Un take-over può infatti essere favorito se il valore delle
azioni è sottovalutato.
Il confine tra una situazione fisiologica ed una patologica è
comunque labile. Si può cioè facilmente passare da un intervento
tecnico teso a colmare le sfasature temporali tra domanda e offerta
ad un vero e proprio sostegno. Si pensi alle possibili speculazioni del
gruppo di comando che dando impulso agli amministratori può far
crescere o diminuire il corso ottenendo lauti guadagni. Oppure ad
ipotesi di sostegno finalizzate al mascheramento delle cattive
condizioni della società o finalizzate, al contrario, a creare l’illusoria
apparenza di una situazione oltremodo florida.
Un’ultima riflessione. Tutto quanto precede presuppone che gli
amministratori abbiano ampia libertà di azione, in modo che possano
monitorare l’andamento del mercato ed intervenire nel momento più
opportuno. Già il Codice di Commercio del 1882 richiedeva per
l’acquisto l’autorizzazione assembleare. L’art. 2357 del Codice
Civile del 1942 sanciva il divieto per gli amministratori di disporre
delle proprie azioni e la dottrina richiedeva la delibera assembleare
anche per la successiva rivendita. I tempi necessari per le
deliberazioni assembleari evidentemente mal si conciliano con la
tempestività che, come abbiamo detto, è necessaria per un intervento
efficace. E allora l'intervento di regolarizzazione dei corsi ha senso
solo se si ammette la liceità del trading di azioni proprie. E la
dottrina prevalente, e l’unica sentenza sull’argomento
9
, come si
vedrà, propendono per la soluzione positiva.
D) Creazione di un mercato delle proprie azioni. Si fa ora
riferimento, ovviamente, a società non quotate. Il fenomeno è
9
Trib. Trieste 3 luglio 1987. Si veda il capitolo V, par. 2.2
Capitolo I - Introduzione
9
quantitativamente rilevante soprattutto nelle banche costituite in
forma di società per azioni o cooperativa. La società si pone in
questo caso come acquirente necessario delle azioni nei confronti
dell’azionista garantendo quindi liquidità al titolo e creando un vero
e proprio mercato incrociando domanda ed offerta. Un titolo con un
grado maggiore di liquidità è sicuramente più appetibile.
E) Altre finalità. Nelle società a ristretta base azionaria
l’acquisto di azioni proprie può tornare utile quando un socio decide
di recedere e gli altri soci non hanno i mezzi per acquisirne la
partecipazione e non vogliono che finisca in mano a soggetti sgraditi
oppure nell’attesa che i rimanenti soci si accordino sulla spartizione
in modo da non alterare gli equilibri interni alla compagine sociale.
Occorre però a questo proposito fare una distinzione. L’art. 2437
indica le ipotesi in cui il socio gode del diritto di recesso
(modificazione dell’oggetto sociale, trasformazione, trasferimento
della sede all’estero). Queste ipotesi, secondo la dottrina, visto il
vincolo di destinazione dei conferimenti, sono tassative. L’art. 2437
stabilisce poi le modalità di determinazione del prezzo di rimborso
delle azioni del socio che recede. Ciò non toglie, da un lato, che la
società possa decidere di liquidare il socio con utili o riserve
disponibili non intaccando quindi il capitale nominale. Dall’altro che
possano intercorrere accordi tra i soci per l’utilizzo appunto dello
strumento dell’acquisto delle azioni proprie nel caso in cui non si
trovino più d’accordo e quindi scavalcare le ipotesi tipiche di
recesso.
L’acquisto di azioni proprie può poi essere funzionale alla
realizzazione di altre operazioni. Prima di elencarle vorrei
sottolineare un tratto comune e cioè la praticità, la speditezza,
l’economicità dello strumento in questione rispetto ai meccanismi
predisposti dal codice civile per compiere le medesime operazioni.
La dottrina è concorde nell’evidenziare questo aspetto
10
.
10
Ma in particolare si veda ALESSI, Il socio di sé stesso : l’art. 2357 c.c., in
Riv. Soc., 1984, p. 467 ss, p. 475
Capitolo I - Introduzione
10
Così la società può utilizzare le azioni proprie in caso di fusione per
incorporazione assegnandole ai soci della società incorporata senza
quindi andare ad aumentare il capitale sociale. Procedura che si
rivelerebbe particolarmente onerosa quando la partecipazione della
incorporante nella incorporata è rilevante e quindi l’aumento di
capitale sarebbe relativamente modesto. Oppure per assegnarle ai
dipendenti, favorendone quindi la cooptazione nella gestione e
assecondando lo sforzo del legislatore di trovare una qualche
composizione dello storico e probabilmente insolubile conflitto tra
capitale e lavoro. L’utilizzo delle azioni proprie anche in questo caso
mostra tutta la sua maggiore spigliatezza rispetto alle alternative :
art. 2349 c.c. - azioni a favore dei prestatori di lavoro - art. 2441 c.c.
- esclusione del diritto di opzione in caso di offerta in sottoscrizione
ai dipendenti
11
. Si possono poi utilizzare le azioni proprie per
permettere l’ingresso di un socio bypassando la complessa procedura
di aumento del capitale con esclusione del diritto di opzione. Oppure
per andare a ridurre il capitale sociale mediante il loro annullamento.
Infine si possono emettere obbligazioni convertibili in azioni
proprie, già in portafoglio od ancora da acquistare, o distribuire
dividendi in natura sotto forma di azioni proprie.
Insomma come si può ben vedere siamo di fronte ad un istituto
poliedrico. Mi è a tal proposito piaciuta molto l’intuizione di
Carbonetti
12
che inserisce l’acquisto di azioni proprie tra gli istituti
‘progressivi’ nel senso indicato da Ascarelli, che distingue appunto
tra “istituti progressivi e regressivi, in sviluppo o in decadenza,
istituti dei quali si intensifica il ricorso e che trovano nuove funzioni
e istituti dei quali invece progressivamente diminuiscono le funzioni
con le quali possono coordinarsi”
13
. E’ poi evidente che determinate
11
In particolare la società potrà varare programmi di stock-options riguardanti
gli amministratori utilizzando appunto le azioni proprie
12
CARBONETTI, op. cit., p.11, nota 2
13
ASCARELLI, Varietà di titoli di credito e investimento, in Banca borsa,
1959, I, p. 1
Capitolo I - Introduzione
11
funzioni dell’istituto non potevano essere neppure immaginate dal
legislatore del ’42.
Sia Lizza sia Carbonetti
14
mettono in risalto come l’operazione
possa essere preordinata ad una certa finalità, ma, con l’evolvere
della situazione, le azioni proprie possano invece essere impiegate
per scopi diversi.
2. Una questione dogmatica : può la società essere socia
di se stessa?
Si va ora ad affrontare un passaggio impervio.
Può essere che il lettore riflettendo a questo punto un attimo
sulla questione abbia una sensazione di smarrimento generata
dall’incongruenza logica della situazione che si viene a creare, e cioè
del fatto che la società diviene socia di se stessa.
Per sbloccare il cortocircuito logico la mente può correre al
fenomeno della confusione, che come ben si sa è una causa di
estinzione dell’obbligazione che ricorre quando la qualità di
creditore e debitore si riuniscono in una medesima persona (art. 1253
c.c.). Ma questa non è la soluzione giusta perché l’istituto della
confusione non trova applicazione nella fattispecie che si sta
analizzando. E non perché siamo in presenza di un titolo di credito.
L’estinzione per confusione è infatti esclusa per i titoli di
credito argomentando sulla base dell’art. 15 r.d. 14 dicembre 1933,
n. 1669 che recita : “la girata può essere fatta anche a favore del
trattario, abbia o non abbia accettato, del traente o di qualunque altro
obbligato. Essi possono girare di nuovo la cambiale”. Ma
innanzitutto c’è chi contesta la natura di titolo di credito dell’azione
perché si dice mancherebbero i tratti essenziali della categoria :
letteralità, autonomia, astrattezza
15
. Ma in particolare si osserva
14
LIZZA, op. cit., p. 37 ; CARBONETTI, op. cit., p. 21
15
FERRARA-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 1995, p. 438
Capitolo I - Introduzione
12
come l’acquisto di azioni proprie sia svincolato dalla presenza del
certificato azionario. Questo per tre ragioni. Primo, l’art 5 r.d. 29
marzo 1942, n. 239, consente alle società per azioni di non emettere
certificati azionari, confermando quindi che questi ultimi non sono
elemento essenziale di quel tipo di società e che dalla mancata
emissione non deriva nessuna conseguenza
16
, se non quelle previste
da quella norma. E quindi si ammette l’acquisto delle partecipazioni
sociali anche quando non siano incorporate in un certificato
azionario. Secondo, l’art. 2522 consente alla società cooperativa di
acquistare anche proprie quote
17
. Terzo, si ritiene ammissibile da
parte delle società a responsabilità limitata l’acquisto a titolo gratuito
delle proprie quote
18
.
Quindi, ricapitolando, nel settore dei titoli di credito, quando
debitore e creditore vengono a coincidere nella stessa persona, non si
ha estinzione per confusione. Non si può però estendere
quest’argomentazione al caso dell’acquisto di azioni proprie. Primo
perché vi sono dubbi sulla natura di titolo di credito dell’azione.
Secondo perché l’acquisto si riferisce all’azione, non nel senso di
documento, ma intesa nell’accezione di partecipazione sociale. A
questo punto dell’analisi quindi non possiamo escludere che la
partecipazione si estingua per confusione.
16
VISENTINI, Azioni di società, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1959, Vol.
IV, p. 967 ss., p. 992 ; CORSI, Applicabilità alle società cooperative a
responsabilità limitata dell’art. 5 r.d. 29 marzo 1942, n. 239 (omessa
distribuzione delle azioni), Vita Not., 1981, p. 1152 ss., p. 1153
17
ALESSI, op. cit., p.472 ; DI RIENZO, Il divieto di operazioni sulle proprie
quote nella società a responsabilità limitata, in Riv. Soc., 1992, p. 161 ss., p.
169 ; Contra però CARBONETTI, op. cit., p. 197 s.
18
SANTINI, Società a responsabilità limitata, in Commentario del codice
civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1984, p. 180 ; RACUGNO,
Società a responsabilità limitata, in Enciclopedia del diritto, Milano, 1990, Vol.
XLII, p. 1042 ss., p. 1062 ; Contra DI RIENZO, op. cit., p. 203
Capitolo I - Introduzione
13
Voglio a tal proposito riportare l’opinione, anche se isolata, di
un autore
19
che tenta di conciliare l’acquisto di azioni proprie col
principio fissato dall’art. 1253. Secondo quest’autore la società, con
l’acquisto, si libera delle obbligazioni corrispondenti ai diritti
incorporati nell’azione, i quali vengono meno, e rivivranno
solamente se e quando la società alienerà il titolo. E’ questa allora
una prima risposta che si può dare al quesito che ci siamo posti, e
cioè se la società può essere socia di sé stessa.
Questa prima soluzione però non soddisfa ed infatti è stata
trascurata dalla dottrina. Ho trovato solo un accenno critico del
Carbonetti
20
. Rimane allora il senso di smarrimento di cui si parlava
all’inizio del paragrafo creato dalla situazione anomala che si genera
con l’acquisto di azioni proprie. Arriviamo però al punto.
La dottrina è unanime nell’individuare la soluzione della
questione dogmatica proprio nell’art. 2357. E’ cioè proprio
quest’articolo che ammettendo la possibilità di acquistare proprie
azioni impedisce il venir meno della partecipazione sociale. Allo
stesso tempo si va ad instaurare quello che la dottrina definisce
rapporto giuridico unisoggettivo sulla base di un lavoro del
Pugliatti
21
, che peraltro non riguardava l’argomento che qui si
analizza. Si dice allora che il campo deve essere sgombrato da
qualsiasi questione dogmatica. Non ci si deve chiedere se è logico
che la società divenga socia di se stessa, ma se ciò può avere una
qualche utilità, se vi può essere un interesse sostanziale alla
sopravvivenza del rapporto. Ciò che conta non è il profilo soggettivo
ma l’aspetto funzionale. Riprendo al riguardo un passo per me
fondamentale di Carbonetti
22
che a sua volta cita testualmente
Pugliatti : “Nel caso del rapporto unisoggettivo il diritto si riduce in
quiescenza quando, verificandosi la coincidenza con l’obbligo nel
19
SEGRE’, Sulla proprietà di azioni in capo alla stessa società emittente, Riv.
Dir. Civ., 1980, I, p. 133 ss., p. 136 s.
20
CARBONETTI, op. cit., pag. 28, nota 20
21
PUGLIATTI, Il rapporto giuridico unisoggettivo, Milano, 1951, p. 395 ss.
22
CARBONETTI, op. cit., p. 28. Il corsivo indica la citazione di Pugliatti
Capitolo I - Introduzione
14
medesimo soggetto, il titolare del diritto o un altro soggetto può
avere interesse alla permanenza in vita del rapporto. L’effetto della
quiescenza, peraltro, non meno che quello, opposto, dell’estinzione
deriva dal diritto positivo e si produce nei limiti delle norme dalle
quali è sancito, e quindi degli interessi che tali norme tutelano, e dal
modo della tutela ad essi accordata. Solo il censimento dei dati
positivi indica che la coincidenza della situazione attiva e della
situazione passiva nello stesso soggetto produce normalmente
l’estinzione del rapporto, il quale però in determinati casi non si
estingue. Determinante è quindi la disciplina positiva : essa può
stabilire che la quiescenza del rapporto si accompagni a, sia pur
limitati, effetti attuali : quiescenza non vuol dire improduttività di
effetti, bensì conservazione degli effetti possibili, senza esclusione,
anzi con la presupposizione di eventuali effetti attuali ; vale a dire,
sempre e necessariamente, l’effetto conservativo dell’efficacia
potenziale del rapporto, ed eventualmente ogni altro effetto (attuale)
che l’ordinamento giuridico concretamente preveda.”. Ci si è chiesti
quale può essere allora nel caso dell’acquisto di azioni proprie
l’interesse che riduce in quiescenza il diritto. Tale interesse è stato
individuato nella preservazione in ogni caso dell’oggettività della
partecipazione
23
che viene ad essere slegata dalla persona del socio.
Come mi è stato insegnato, la società per azioni è composta non da
persone ma da sacchi di denaro. In questo modo si esalta la
destinazione alla circolazione delle azioni che divengono strumenti
potentissimi di raccolta del risparmio. Anzi sia Carbonetti
24
sia
Alessi
25
sottolineano come la differenza di disciplina tra società per
azioni e società a responsabilità limitata per quanto riguarda
l’acquisto di proprie azioni/quote risiede proprio nel fatto che la
quota di s.r.l. non è completamente slegata dalla persona del socio e
quindi i soci non sono più perfettamente fungibili. Il rischio allora
23
DI RIENZO, op. cit., p. 178 s. ; ALESSI, op. cit., p. 472
24
CARBONETTI, op. cit., p. 31
25
ALESSI, op. cit., p. 473
Capitolo I - Introduzione
15
non vale più la candela. Non essendovi più l’interesse pratico alla
circolazione della partecipazione sociale il legislatore non s’è l’è
sentita di permettere l’acquisto di proprie quote da parte della s.r.l.
(vedi art. 2483 c.c.). Si è anche detto
26
che l’interesse che giustifica il
possesso delle proprie azioni può risiedere nell’economicità dello
strumento. Il legislatore ha cioè voluto dotare le società di uno
strumento che si caratterizza per la rapidità ed i minori costi.
Strumento che può essere allora impiegato proficuamente in tutti
quei casi che si citavano nel primo paragrafo.
L’impostazione sopra riportata è stata però criticata da
Angelici
27
. Quest’autore contesta alla radice il concetto di rapporto
unisoggetivo perché presuppone la qualificazione della
partecipazione azionaria come rapporto intersoggettivo socio-
società. Invece dovrebbe intendersi come “il dato oggettivo di
riferimento per una posizione organizzativa e ... per i rapporti interni
al gruppo sociale”. Ragionando in questa prospettiva l’estinzione per
confusione rimane esclusa perché il rapporto socio-società non è più
inquadrabile nello schema debitore-creditore. Il rapporto socio-
società deve essere invece inteso come rapporto di partecipazione o
organizzazione
28
. Si porta a riprova di quest’impostazione la
soluzione adottata dal legislatore per quanto riguarda il diritto agli
utili delle azioni proprie acquistate, che viene ripartito tra le azioni
rimanenti, modificando l’equilibrio tra i soci. Ma soprattutto il limite
quantitativo al possesso delle azioni da parte della società, fissato
nella misura del 10%, limite che opera in ogni caso proprio, si dice,
per non sconvolgere l’assetto interno. E ancora la necessità
dell’autorizzazione dell’assemblea che deve vagliare anche i
26
ALESSI, op. cit., p. 475
27
ANGELICI, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enciclopedia
del diritto, vol. XLII, Milano, 1990, p. 977 ss., p. 1028
28
ANGELICI, Sulla emissione dei titoli azionari, in Dir. banca e mercato
finanziario, 1988, 1, p. 3 ss., p. 20 ; ma si veda anche MESSINEO, Spettanza
dei dividendi sulla propria azione, acquistata dalla società, in Riv. Soc., 1966,
p. 418 ss.
Capitolo I - Introduzione
16
possibili riflessi sull’organizzazione sociale. L’autore sostiene, in
conclusione, che il richiamo al rapporto unisoggetivo può avere una
valenza puramente descrittiva.