Accusa e difesa nel processo penale
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Gli storici ritengono concordemente che il punto cardine della giustizia penale romana alla
fine del periodo monarchico e agli inizi di quello repubblicano, fosse rappresentato dal fatto
che il popolo, riunito in assemblea, dovesse giudicare sui reati più gravi, ossia su quelli puniti
con la pena capitale, dei quali si erano macchiati i cives romani. A tale riguardo si parlava di
provocatio ad populum.
Tale istituto viene definito da Livio e da Cicerone
“patronam illam civitates ac vindicem libertatis”6
La ricostruzione del processo penale romano, è stato oggetto di molte discussioni tra gli
studiosi di tale materia. Alcuni di questi, basandosi su una minuziosa ed attenta
interpretazione delle fonti, hanno individuato le origini del processo penale romano apud
0populum, nel periodo monarchico; altri ne hanno posto le origini di tale processo agli inizi
del periodo repubblicano, altri ancora in età repubblicana già avanzata.
Il motivo fondamentale per il quale è stato introdotto nell’ordinamento romano il diritto dei
cittadini di chiedere il giudizio del popolo avverso le condanne capitali loro inflitte, trovava
la sua ratio nel potere discrezionale con cui, tanto il monarca7 quanto il magistrato quale
suo successore potevano giudicare. Lo stesso patriziato quale classe sociale di maggior
rilevanza nell’antica Roma, si attivò per ottenere il riconoscimento e la titolarità del
diritto di chiedere l’intervento del popolo nel caso in cui, in seguito alla commissione di
un grave reato fossero stati condannati a morte. Con il riconoscimento di tale diritto i
patrizi avrebbero potuto controllare ed indirizzare verso giustizia le decisione del
monarca o dei magistrati e, di evitare gli abusi in cui potevano incorrere questi ultimi
nella loro attività di repressione dei crimini più gravi; rappresentava un controllo ex
post dell’attività del supremo organo della monarchia o dei supremi magistrati della
repubblica.
6Liv., 3, 55, 4 e Cic., de orat., 2, 199.
7Metto il riferimento al monarca, in quanto, come esporrò nel paragrafo successivo, alcuni studiosi di diritto
romano ravvisano la nascita del ius provocationis già in periodo monarchico.
Accusa e difesa nel processo penale
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1.2 Le diverse teorie sulla nascita del processo penale capitale davanti al popolo riunito
in assemblea.
1.2.1 E’ un istituto che trova le proprie origini nel periodo monarchico ?
Alcuni eminenti romanisti, quali Bernardo Santalucia e Luigi Garofalo, ritengono che il
processo penale romano davanti al popolo trovi le proprie origini all’epoca della monarchia.
Per il Santalucia il sovrano, titolare di ogni potere tra cui, come detto sopra, anche di quello
giurisdizionale, si occupava della repressione di tutti i reati. Il Re giudicava non solo sui reati
di carattere religioso, ma anche di quelli fortemente lesivi dello stato, per i quali irrogava la
pena di morte che di solito consisteva nella fustigazione o nella decapitazione8. Quello che ci
interessa maggiormente è vedere se, accanto al sovrano nella sua attività di repressione
criminale, interveniva il popolo riunito in assemblea.
A tale riguardo tanto la testimonianza di Cicerone
“ provocationem autem etiam a regibus fuisse declarant pontificii libri,
significant nostri etiam augurales”9
quanto, quella di Livio10 porterebbero a considerare che già nel periodo monarchico il popolo
fosse competente a giudicare sulle decisioni di condanne capitali, inflitte dal sovrano. Tale
tesi per il Santalucia troverebbe conferma anche nelle fonti archeologiche: infatti, alla fine del
periodo monarchico, a Roma, esistevano già un luogo, costruito per le riunioni del popolo11
chiamato comitium, e un calendario con l’indicazione dei giorni in cui il Re poteva convocare
l’assemblea del popolo al fine di svolgere l’attività di giustizia penale12.
Inoltre, in base alle notizie delle fonti, il Santalucia ritiene che, all’inizio l’assemblea del
popolo si occupava dei giudizi capitali, soltanto in funzione ausiliaria in quanto, si limitava
8E. CANTARELLA, I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Milano 1991, p. 154 ss.
9Cic. , de r. publ., 2, 54 .
10Liv., 1, 26, 6-8.
11Come è attestato in COARELLI, Il Foro..cit., p. 128 ss. e AMPOLO, Le origini di Roma e la “ citè antique “ ,
MEFRA, 92 ( 1980 ), p. 570 il quale mette in rilievo l’importanza del comizio quale luogo in cui si svolgeva la
vita politica e giudiziaria della prima comunità cittadina.
12Come si ricava da Varr., l. lat., 6, 31” dies qui vocatur sic “ Quando rex comitiavit fas”, is dictus ab eo quod
eo die rex sacrificio ius dicat ad Comitium, ad quod tempus est nefas, ab eo fas: itaque post di tempus lege
actum saepe” .
Accusa e difesa nel processo penale
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ad assistere il re o, al massimo, a manifestare il proprio consenso alla decisione regia tramite
acclamazione13; in seguito ha acquisito competenza in materia di repressione criminale. Se ab
initio l’assemblea del popolo esercitava tale funzione solo nei casi di gentile concessione
regia, ne acquisì poi una competenza esclusiva in via consuetudinaria tanto che a tale
riguardo si può parlare di un diritto14 del quale erano titolari i comizi sui reati che
comportavano condanne capitali.
Anche un altro eminente studioso del diritto romano, quale Theodor Mommsen, è d’accordo
con il Santalucia, ma, a differenza di quest’ultimo e sulla stessa linea del Garofalo, ritiene che
la competenza del popolo a giudicare in materia di reati capitali si sia affermata già in età
regia, però non tanto in via consuetudinaria, quanto soltanto su libera discrezione e volontà
del sovrano.
Nel prosieguo della sua opera il Santalucia prendendo in considerazione non solo le notizie
derivanti dalle opere dei più importanti giuristi dell’età repubblicana e i risultati di recenti
studi e scoperte fatte in ambito archeologico, epigrafico e linguistico15 ritiene quindi che il
processo penale davanti al popolo, pur trovando le proprie origini nella monarchia abbia
ottenuto il suo vero e proprio assestamento e la conferma legislativa agli albori della
repubblica. Come altri pubblicisti romani considera la provocatio ad populum uno dei pilastri
della costituzione repubblicana16, ottenuto dal ceto patrizio per porre un freno ed un controllo
alla discrezionale attività di repressione penale, esercitata dai primi magistrati: i consoli17.
Il Santalucia ritiene che il diritto di provocatio ad populum dopo essersi affermato in via
consuetudinaria, sia stato razionalizzato mediante tre successive leggi de provocatione: la lex
Valeria del 509 a. C., la lex Valeria Horatia del 449 a. C. ed infine la lex Valeria del 300 a.
C.
La prima di queste leggi, prevedeva che:
13
Come si ricava da U. COLI, Regnum, in SDHI, 17 (1951), p. 66 e ORESTANO, I fatti di normazione
nell’esperienza romana arcaica, ( n. 3 ), Torino 1967, p. 288 ss.
14Come si ricava da Dion. Hal., 4, 4, 7.
15B. SANTALUCIA, Alle origini del processo penale romano, in Iura, 35 (1984), ma, pubblicato nel 1987, p.
52 ss.; s.v. Processo penale (dir. Rom.), in ED, 36, Milano 1987, p. 321 ss. e, Il processo penale nelle XII
tavole, in società e diritto nell’epoca decemvirale. Atti del convegno di diritto romano, Copanello, 3-7 giugno
1984, Napoli 1988, p. 245 ss.
16B. SANTALUCIA, Diritto..cit., p. 31.
17Gli storici ritengono concordemente con alcune eccezioni che prenderemo in considerazione nel prosieguo di
questa trattazione, per esempio la teoria di Kunkel, che il motivo fondamentale per il quale fu attribuito ai
cittadini romani il diritto di chiedere il giudizio del popolo contro le condanne capitali pronunciate dal
magistrato sia stato quello di limitare l’esercizio del potere discrezionale ed illimitato del magistrato stesso. Per
coloro che ritengono che il diritto di provocare trovi le proprie origini nel periodo regio, il motivo per il quale
era nato era quello di controllare l’esercizio del potere giurisdizionale facente capo al monarca.
Accusa e difesa nel processo penale
11
“ne quis magistratus civem romanum adversus provocationem necaret neve
verberaret “
18
la seconda invece, prescriveva:
“ ne qui magistratus sine provocatione crearetur “19.
La terza infine prevedeva che l’atto con cui i magistrati non permettevano ai cittadini di
ricorrere al popolo contro l’estremo supplizio venisse giudicato “improbum factum“20. A
differenza delle prime due leggi de provocatione sulle quali si trovano molte notizie nelle
fonti, della terza legge abbiamo notizia solo attraverso il racconto Liviano. Livio narra che, la
terza lex Valeria prescriveva di punire il magistrato inadempiente, che non avesse permesso
al condannato a morte di invocare il giudizio del popolo, con una semplice riprovazione
morale, cioè, con una sanzione molto lieve. Questo dimostra che la tutela dei cives romani di
fronte alle condanne a morte inflittegli dai magistrati non era ancora così forte.
Il Santalucia facendo leva sulla validità di queste leggi, in particolare su Cicerone21:
“ab omni iudicio poenaque provocari licere, indicant XII tabulis conpluribus
legibus “
ritiene lo ius provocationis preesistente alle XII tavole. Questo, troverebbe conferma anche
nella lex Aternia Tarpeia del 454 a. C e nella lex Menenia Sestia del 452 a. C. che
prevedevano il limite oltre il quale le multe inflitte dal magistrato fossero suscettibili di
provocatio. Le suddette leggi permettevano ai cittadini di chiedere il giudizio del popolo non
più solo avverso l’estremo supplizio ma anche nei giudizi multatici la cui pena oltre un certo
ammontare.
Come il Santalucia anche il Mommsen ed il Garofalo ritengono valide le tre leggi de
provocatione sopra menzionate. Il primo pensa che il procedimento penale davanti al popolo
sia un istituto di fondamentale importanza che trova il proprio sviluppo ”agli albori della
18Cic., de r. publ., 2, 53.
19Cic., de r. publ., 2, 54 e Liv. 3, 55, 4-5.
20Liv., 10, 9, 3-5.
21Cic., de r. publ., 2, 54.
Accusa e difesa nel processo penale
12
repubblica”22 e ritiene che la ratio che ha portato alla sua formazione, sia quella di garantire:
“la conservazione della pace nei tempi primitivi”23.
1.2.2 Gli studiosi secondo i quali lo ius provocationis trova le proprie origini in età
repubblicana avanzata ed in particolare nella lex Valeria del 300 a. C.
Diversa e, per alcuni aspetti alquanto discutibile, è la ricostruzione storica dello ius
provocationis prospettata da un altro studioso: Luigi Amirante24 che sostiene una tesi opposta
a quella degli studiosi esaminati nelle pagine precedenti ritenendo che i testi e le fonti su cui
costoro si basano per sostenere le proprie teorie non siano attendibili. Infatti era una tendenza
propria degli antichi storici romani quella di voler far apparire, anche se non era vero, che il
diritto di provocare ad populum sussistesse già agli inizi della repubblica mentre questo trova
il suo fondamento non prima del III secolo a. C. L’Amirante nega la storicità della lex Valeria
del 509 a. C. ritenendo che sussistano vari elementi a sostegno della sua tesi.
Innanzitutto, secondo lui, Cic. de r. publ. 2, 31,54 ed anche gli altri passi di Cicerone
sarebbero frutto della tendenza degli storici, sopra riportata, in quanto nelle fonti non ci
sarebbero altri elementi comprovanti l’esistenza già in età monarchica di uno ius
provocationis , se non in qualche sporadico caso in cui veniva concessa benevolmente dal
sovrano. A tale riguardo, per l’Amirante si ha notizia da Livio25 narrino di un solo ed isolato
episodio di provocatio durante il periodo monarchico nel quale c’erano stati pochi e sporadici
casi di provocatio e questa non si era affatto affermata in via consuetudinaria come sostiene
il Santalucia.
Le idee dell’Amirante vengono contrastate e, con argomenti molto validi dal Garofalo.
Quest’ultimo ritiene che, anche se i passi di Cicerone, contestati dall’Amirante, non
dovessero essere autentici quanto in essi attestato troverebbe supporto e in Livio26 e nelle
testimonianze di altri storici di epoche diverse quali: Valerio Massimo27 Plutarco28 e Florio29.
22MOMMSEN, Romisches Strafrecht, Leipzig 1899, p. 156.
23
Id., op. ult. cit., p. 153.
24L. AMIRANTE, Sulla “ provocatio ad populum “ fino al 300, in Iura, 34, 1983, p. 1 ss.
25Liv., 1, 26, 7-8.
26Liv., 2, 8, 2.
27Val. Max., 4, 1, 1.
28Plut., Publ., 11, 3.
29Flor., 1, 9, 4.
Accusa e difesa nel processo penale
13
Il Garofalo, sulla linea del Santalucia, ritiene che lo ius provocationis sussista già in età
monarchica basando la sua asserzione, su Cicerone
“ Scipio. Ergo etiam illud vides, de quo progrediente oratione me dicturum
puto, Tarquinio exacto mira quedam exultasse populum insolentia
libertatis; tum exacti in exilium innocentes, tum bona direpta multorum, tum
annui consules, tum demissi populo fasces tum provocationes omnium
rerum, tum secessiones plebei, tum prorsus ita atque pleraque, ut in populo
essent omnia “30 .
In questo passo Cicerone vuole sottolineare che con il passaggio dalla monarchia alla
repubblica, se prima lo ius provocationis poteva essere esercitato soltanto grazie ad una
benevola concessione del Re ora poteva essere esercitato contro ogni decisione di condanna a
morte, emessa da un magistrato nei confronti di un cittadino romano.
Quindi si ricollega a quanto lo stesso Amirante aveva rilevato succedesse occasionalmente,
ritenendo, a differenza di questo che lo ius provocationis nasca già in età monarchica. Per
un ulteriore sostegno di questa tesi, si rifà anche a Cicerone:
“nam cum a primo urbis ortu regiis institutis, partim etiam legibus, auspicia,
caerimoniae, comitia, provocationes patrum consilium, equitum peditumque
discriptio, tota res militaris, divinitus esset constituta “31
in cui particolare rilevanza riveste il termine “provocationes“ che probabilmente indica che
già al tempo dei Re si erano verificati singoli e concreti casi di provocazione i quali, dato che
Cicerone ne parla al plurale, forse non erano così sporadici come sostiene l’Amirante. Tale
passo troverebbe ulteriore sostegno anche in Cicerone:
“ P. Valerius….. in quo fuit Publicola maxime, legem ad populum tulit eam,
quae centuriatis comitiis prima lata est, ne quis magistratus civem romanum
adversus provocationem necaret neve verberaret “32.
Da qui si può ricavare un riconoscimento in via implicita fatta dall’Arpinate allo ius
provocationis ed in particolare alla lex Valeria del 509 a. C. Il Garofalo, non fa altro che dare
30Cic., de r. publ., 1, 40 ,62 .
31Cic., Tus., 4, 1, 1.
32Cic., de r. publ., 2, 31, 53 .
Accusa e difesa nel processo penale
14
maggior concretezza e veridicità a quanto l’Amirante riteneva fosse avvenuto solo in
situazioni eccezionali ed avrebbe ottenuto conferma legislativa soltanto nel 300 a. C..
In seguito l’Amirante, per dare ulteriore conferma alla sua tesi, sostiene che la lex Valeria del
509 a. C. non può essere autentica in quanto nel I anno della repubblica l’assemblea
centuriata non aveva ancora competenza legislativa. Anche qui il Garofalo esprime il suo
dissenso, considerando cosa strana che, sul finire della monarchia primi anni della repubblica,
le leggi fossero ancora soltanto di origine consuetudinaria e non sussistessero organi con
poteri legislativi. Infatti, tale potestà, anche se non si fosse trovata nelle mani dei comizi
centuriati, avrebbe benissimo potuto essere riconosciuta ad organi diversi33.
Come prova ci sarebbero anche alcune leggi di diritto pubblico dei primi anni della
repubblica. In seguito l’Amirante rileva che a negare la storicità della lex Valeria del 509 a.
C. si aggiunge anche il fatto che l’episodio di Volerone è il solo caso di provocatio, narrato
dalle fonti, di cui si ha notizia tra il 509 ed il 450 a. C., e ciò dimostrerebbe tanto che
l’esistenza agli inizi del periodo repubblicano di uno ius provocationis e, la veridicità
dell’esistenza della lex Valeria del 509 a. C. siano poco attendibili34, in quanto trovano
riscontro in quest’unico caso di provocatio.
Anche a tale riguardo il Garofalo35 esprime riserve in quanto l’episodio di Volerone è molto
importante poiché dimostra che inizialmente il cives plebeo non era tutelato, a differenza del
cives patrizio, dalla provocatio ad populum. Infatti lo ius provocationis era nato proprio a
tutela del patriziato contro gli abusi di potere dei magistrati. Qualora un plebeo provocasse ad
populum avverso l’estremo supplizio inflittogli dal magistrato, nella maggior parte dei casi le
sue richieste non venivano ascoltate. Volerone, infatti, era un plebeo il quale, al fine di
sottrarsi alla fustigazione che di solito precedeva l’esecuzione capitale aveva fatto appello
all’intercessio dei tribuni. La sua richiesta non era servita a nulla in quanto il littore aveva
continuato a denudarlo ma, il condannato riesce a scappare dalle mani del littore e a rifugiarsi
tra la folla dalla quale riceve protezione.
L’Amirante inoltre sostiene anche che non ci sia alcun collegamento tra la provocatio ad
populum ed i precedenti processi predecemvirali rivoluzionari, sempre al fine di negare la lex
Valeria. Il Garofalo è d’accordo con tale asserzione, pur affermando che non tutti i processi
che tenutisi precedentemente alle XII Tavole potessero essere considerati di questo tipo; e
33A questa teoria si oppone larga parte della dottrina.
34A tale riguardo Liv., 2, 55, 4-11 e Dion. Hal., 9, 39 . Questo è il solo caso di provocatio di cui si ha notizia dal
509 al 450 a. C.
35E sulla stessa scia si pone anche SANTALUCIA come evidenziato nelle pagine precedenti.
Accusa e difesa nel processo penale
15
poi, nelle fonti, tra il 509 ed il 450 a. C., si ha notizia di tutta una serie di processi svoltisi di
fronte al popolo quali quello di Spurio Cassio36 e di Marco Volscio Fittore37 .
Per concludere l’Amirante pensa che, un altro elemento per negare la validità della lex
Valeria sia l’assenza di qualsiasi collegamento tra la norma decemvirale de capite civis
“de capite civis nisi per maximum comitiatum….. ne ferunto“38
con la quale si volevano sottrarre i patrizi dal giudizio dell’assemblea della plebe e sottoporre
le decisioni dei tribuni della plebe al comitiatus maximus. Riguardo a questo il Garofalo
sostiene che il collegamento tra la provocatio e la norma decemvirale, anche ritenendo prive
di validità le testimonianze fornite da Cicerone, trova fondamento sia in Pomponio39 il quale
sostiene che non si poteva
“ animadvertere in caput civis romani iniusso populo romano “
sia in Livio40 e in Cicerone41. Per sostenere ancor meglio tale teoria, volta a negare
l’esistenza della prima lex Valeria, l’Amirante si basa anche su Pomponio
“ exactis deinde regibus consules constituti sunt duo: penes quas summum
ius uti esset legem rogatum est …qui tamen ne per omnia regiam potestatem
sibi vindicarent, lege lata factum est, ut ab eis provocatio esset neve possent
in caput civis Romani animadvertere iniussu populi: solum relictum est illis,
ut coercere possent et in vincula publica duci iuberent “ 42.
Per lo studioso, tale passo sottolinea la possibilità di provocare ad un solo console, nel caso di
inerzia dell’altro ed anche il divieto di condannare a morte un cittadino romano senza aver
sentito il popolo. Ad ulteriore conferma di questo ritiene che Pomponio nel suo passo parli di
“provocatio ab eis” e che quindi non leghi la provocatio alla condanna a morte del cittadino
e che in seguito Pomponio non parli più di provocatio. Si rifà poi anche a Cicerone:
36Liv., 3, 29, 6 , Spurio Cassio fu processato per il reato di adfectatio regni.
37Colpevole di falsa testimonianza.
38Cic., leg., 3, 4, 11 e 3, 19, 44.
39Pomp., D., 1, 2, 2, 16.
40Liv. 3, 33, 9-10.
41Cic. , de r. publ.., 2, 36, 61.
42Pomp. , D., 1, 2, 2, 16 . Tale passo solitamente viene utilizzato dagli storici al fine di attestare la veridicità
della lex Valeria del 509 a. C.
Accusa e difesa nel processo penale
16
“iusta imperia sunto, isque civis modeste ac sine recusatione parento;
magistratus nec oboedientem et noxium civem multa, vinculis verberibusve
coherceto , ni par maiorve potestas populusve prohibessit, ad quos
provocatio esto “ 43
passo in cui l’Amirante ritiene che siano elencati tutti i soggetti a cui è possibile provocare tra
i quali anche ad un console nel caso di inerzia dell’altro e a Gellio:
“Aulus Hostilius Mancinus aedilis curulis fuit . Is Maniliae meretrici diem
ad populum dixit , quod e tabulato eius noctu lapide ictus esset , vulnusque
ex eo lapide ostendebat. Manilia ad tribunos plebi provocavit. Apud eos dixit
comessatorem Mancinum ad aedes suas venisse ; eum sibi recipere non
fuisse e re sua , sed cum vi inruperet , lapidibus depulsum . Tribuni
decreverunt aedilem ex eo loco iure deiectum quo eum venire cum corollario
non decuisset ; propterea ne cum populo aedilis ageret intercesserunt“44.
Che riferisce della provocazione fatta dalla meretrice Manilia ai tribuni della plebe, ma non al
popolo.
L’Amirante nel prosieguo della sua opera, nega anche la veridicità della lex Valeria Horatia
del 449 a. C., fornendo delle giustificazioni alquanto discutibili. Rifacendosi a Cicerone45 e a
Livio46 sostiene poco credibile che, dopo così breve tempo dalla caduta del decemvirato, sia
stata emanata una legge47 e soprattutto che sia stata emanata una legge che, limitando
totalmente il potere dei magistrati patrizi, abbia consentito ad ogni cives romanus il diritto di
provocare avverso le pene capitali, inflitte dai magistrati . In questo caso il Garofalo ritiene
che, se si prendono in esame i passi di Cicerone48 e Livio49 si ricava non soltanto che lo ius
provocationis è il presupposto di questa legge e che quindi ne è implicitamente riconosciuto,
43Cic., leg., 3, 3, 6. Ottiene quest’interpretazione collegando quos sia a populus sia a magistratus par maiorve
potestas .
44Gell., 4, 14, 3-5.
45Cic., de r. publ., 2, 31, 54.
46Liv., 3, 55, 4-5.
47Giustificazione data precedentemente.
48Cic., de r. publ., 2, 31, 54.
49Liv., 3, 55, 4-5.
Accusa e difesa nel processo penale
17
ma anche che tale norma sancisce il divieto di creare qualsiasi magistratura “sine
provocatione“50. Conferma di questo sarebbe un plebiscito di poco successivo51.
Per concludere l’Amirante non esprime riserve sull’ultima lex Valeria del 300 a. C., anzi la
pone come base dello ius provocationis.
Per lui infatti si vede in modo palese che questa legge, a differenza delle altre due con le
quali gli storici vogliono soltanto attribuire meriti ai membri della gens Valeria52, è più
attendibile in quanto autentica; inoltre poichè prevede una pena lieve per i magistrati che non
rispettino la provocatio ad populum, risulterebbe in aperta contraddizione con un diritto di
provocare, esistente già nel 509 a. C.
Tuttavia se si accogliesse la ricostruzione storica di Amirante e si negasse l’esistenza delle
prime due leggi Valeriae, si negherebbe anche la storicità del processo di Volerone del 495 a.
C. e di tutti gli altri processi più recenti, svoltisi tra il 449 e 325 a. C. ed attestati da Livio53
che riferisce un fatto molto interessante54 nel quale, a richiedere la provocatio, non è
l’interessato di persona, ma il padre dell’interessato. Abbastanza anomale, eppure comunque
interessanti da prendere in considerazione sono, le teorie derivanti da uno studio recente ed
espresse dal Magdeilan nello scritto: “De la coercition capitale du magistrat superieur au
tribunal au peuple “55.
Egli, alla stregua dell’Amirante e di altri storici, come vedremo nel prosieguo della
trattazione, pur basandosi su elementi diversi, ritiene che l’unica legge valida e costituente il
fondamento dello ius provocationis, sia la lex Valeria del 300 a. C., in quanto le altre due
sarebbero soltanto delle falsificazioni, realizzate dagli annalisti56, perpetrate al solo fine di far
coincidere la nascita della repubblica ed il collegato concetto di libertas con il
riconoscimento dello ius provocationis. La prova di questa asserzioni si ritroverebbe tanto nel
fatto che le XII Tavole non parlano mai di ius provocationis anche se parlano spesso di
50Con l’unica eccezione della dittatura : F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana, I, Napoli 1958.
Egli ritiene che in epoca imprecisata anche la dittatura sia stata sottoposta a provocatio.
51Come attesta Liv., 3, 55, 14 e 3, 56 , 12.
52Anche se sulla base di SANTALUCIA si potrebbe dire che può ben essere accaduto che le leggi siano state
invalidamente attribuite ai membri della gens Valeria, ma questo non è un elemento sufficiente per negarne la
storicità.
53Liv., 3, 56, 5.
54Come rileva soprattutto M. BIANCHINI, Sui rapporti tra “provocatio” ed “intercessio”, in Studi di
Scherillo , 1, Milano 1972, p. 100.
55A. MAGDEILAN , De la coercition capitale du magistrat superieur au tribunal au peuple, in Labeo, 33
(1987).
56
Il Magdeilan a differenza dell’Amirante non nega la storicità delle due precedenti lex Valeriae dicendo che era
una tendenza propria degli storici romani quella di far apparire quello che in realtà non era avvenuto, ma parla di
falsificazioni perpetrate dagli annalisti e quindi di inattendibilità delle notizie che riferiscono di iudicia populi
de capite civis prima del 300 a. C.
Accusa e difesa nel processo penale
18
comitatus maximus e questo, sicuramente è un argomento molto importante a favore della
veridicità delle due leggi in questione e nel fatto che Cic. de r. publ. 2, 31, 54 è una falsa
testimonianza.
Invece, come ho sopra esposto, l’Amirante riteneva che non si trattasse di falsificazioni ma,
che fosse una tendenza, propria degli storici romani, quella di far risalire lo ius provocationis
agli albori della repubblica. Partendo da questi presupposti e ritenendo che nemmeno la lex
Valeria Horatia del 449 a. C. sia autentica, il Magdeilan, reputa lo ius provocationis
successivo alle XII Tavole.
In base a tali premesse, egli è portato ad escludere la veridicità di tutti i processi57 tanto se
instaurati dai tribuni della plebe58, quanto dai duumviri perduellionis,59 quanto dai
quaestores. Ritiene che i secondi siano frutto di pura invenzione annalistica, come la stessa
figura di tali magistrati60. Invece i processi instaurati dai questori non sarebbero veritieri in
quanto i questori avevano competenza solo in materia di reati comuni. Tuttavia questa
affermazione sarebbe fortemente contraddetta dalle notizie che abbiamo del processo contro
Spurio Cassio,61 reo di un reato politico di aver aspirato alla tirannide del quale si erano
occupati i questori. Il Magdeilan reputa tali processi non veritieri, poichè i nomi degli
imputati stessi, come nel processo contro Marco Volscio Fittore sono stati frutto di
invenzione annalistica, tanto che lo storico sostiene che “Volscius est un éthnique et Fictor
est un cognomen autrement incomm, qui dérive du délit”62. Ulteriore conferma che essi
furono il frutto di falsificazione annalistica sarebbe costituito dal fatto che: “le plus souvent
ils n’aboutissent pas a l’execution capitale, mais s’achevent par l’exil , la mort ou le suicide
du coupable , ou bien la poursuite est abandonnee”63.
57Come il processo contro Volerone, unica ipotesi di provocatio di cui si ha notizia tra il 509 ed il 450 a. C. di
cui narrano Liv. 3, 56, 5 e Dion. Hal., 9, 39.
58Come il processo del 491 a. C. contro G. Marcio Coriolano di cui Liv., 2, 35, 2-6; Dion. Hal., 7, 25-65, 59-
64; Plut., Cor. 17-20; Dion. Cass., Fr. 18, 5; o il processo contro L. Furio Medullino e di A. Manlio Vulsone di
cui Liv., 2, 54; Dion. Hal. , 9, 37-38 ed altri.
59Quali quelli di Rabirio del 63 a. C. riguardo al quale vedi B. SANTALUCIA, Osservazioni sui “duumviri
perduellionis” e sul procedimento duumvirale, in Du chatiment dans la cité. Supplices corporels et peine de
mort das le monde antique, Roma 1984, p. 441 ss. secolo a. C. o quello di Manlio Capitolino del 384 a. C. di cui
Liv. 6, 20, 12 e del quale parla anche Diodoro Siculo. Per il Magdeilan entrambi questi processi sono frutto di
pura invenzione annalistica.
60Come il Magdeilan aveva già sostenuto in un altra opera, Remarques sur la “perduellio”, in Historia, 22
(1973), p. 413.
61Processo del 485 a. C. di cui Cic. , de r. publ.., 2, 27, 49; 2, 35, 60; Liv., 2, 41, 11; 4, 15, 4; Dion. Hal. , 8, 77-
78; 8, 82, 4-5, 8, 87, 2 ; Diod., 11, 37, 7; Val. Max., 6, 3, 1b; Flor., 1, 26, 7; Calp., hist. 37.
62A. MAGDEILAN, De la coercition..cit., p. 144-145.
63A. MAGDEILAN, De la coercition..cit., p. 141-143.
Accusa e difesa nel processo penale
19
La sua teoria risulta poco credibile non essendo sufficiente per sostenere la sua tesi poiché il
fallimento di tali processi, come sostiene anche il Garofalo è stata una caratteristica costante
dell’età repubblicana e sarebbe stato estremamente arduo per gli annalisti inventare
totalmente processi mai verificatisi64.
Per lui, prima del 300 a. C., eccetto i delitti capitali comuni ed i reati di carattere religioso di
competenza del pontifex maximus, i reati politici appartenevano alle attribuzioni dei consoli.
Il cittadino trovava tutela contro le condanne capitali inflitte da questi ultimi, soltanto per
mezzo dell’intercessio tribunicia che tuttavia, secondo quanto ci riportano le fonti, era
avverso le condanne capitali, uno strumento di tutela della plebe la quale a differenza del
patriziato non disponeva dello ius provocationis. Per il Magdeilan, la provocatio ad populum
sarebbe stata introdotta soltanto con la parificazione tra patrizi e plebei.
Inoltre per negare anche la storicità della lex Valeria Horatia del 449 a. C. lo studioso
francese sostiene che la legge non faceva menzione del magister populi che secondo lui
decretò per molto tempo condanne a morte senza alcuna restrizione65.
Per il Garofalo è sintomatico e fondamentale, a sostegno della storicità di questa legge il
plebiscito Duilio66 nel quale è confermato il divieto di creare magistrature i cui giudizi
capitali siano esenti da provocatio. Inoltre, se tale legge non fosse mai esistita , non si
capirebbe perchè sarebbe sia stata duplicata in tal modo. L’emanazione di un plebiscito
dimostrerebbe che anche la plebe ha recepito tale divieto per i propri capi, dimostrando che la
legge era stata emanato a favore dei patrizi.
Il Magdeilan afferma che la legge che costituente l’origine dello ius provocationis, sia la lex
Valeria del 300 a. C., la quale troverebbe conferma anche in un successivo editto noto come
Commentarium Anquisitionis in cui si nota che i comizi centuriati, avevano competenza a
giudicare de capite civis sia per i reati comuni che per quelli politici67.
Il Garofalo critica le idee del Magdeilan e si oppone ad esse, in quanto sostiene che la
provocatio ad populum non fu introdotta con la lex Valeria del 509 a. C. ma esisteva già nel
precedente periodo monarchico anche se veniva concessa soltanto a discrezione del
sovrano68.
64L. GAROFALO, Appunti..cit., p. 197.
65L. GAROFALO, Appunti..cit., p. 192.
66Liv., 3, 55, 14.
67L. GAROFALO, Appunti..cit., p. 167.
68Come risulta leggendo Cic., mil., 3, 7 ; Val. Max., 6, 3, 6 ; Dion. Hal., 3, 22 e Liv., 1, 26. Basandosi su questa
teoria sostenuta da L. GAROFALO, Appunti..cit., p. 173 ss.
Accusa e difesa nel processo penale
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Per il Garofalo lo studioso francese incorre in un grave errore ritenendo che le testimonianze
degli storici romani pongano la “nascita” dello ius provocationis nella legge del 509 a. C. e
non facendo alcun riferimento al precedente periodo monarchico che le testimonianze delle
fonti, epigrafiche e linguistiche69 portano a considerare come l’epoca nella quale la
provocatio ad populum ha trovato le proprie origini70. Il consolidarsi di questa situazione nel
successivo periodo repubblicano ha portato la necessità di definire legislativamente tale
situazione; per questo è stata emanata la lex Valeria del 509 a. C. Inoltre in conseguenza del
continuo aumento della criminalità i consoli iniziarono, come si vede dalle testimonianze
sopra riportate, a farsi aiutare, nella loro attività di repressione criminale, dai questori e dai
duumviri perduellionis.
Il Garofalo continua dicendo che i processi ritenuti dal Magdeilan frutto di falsificazione
annalistica, risultano credibili e coerenti con le altre fonti nei loro tratti essenziali, sebbene
non si possa negare che contengano alcuni elementi leggendari o inventati.
Ma, la teoria del Magdeilan, si dimostra inconsistente anche in un altro punto; infatti egli
ritiene che fino al 300 a. C. , l’unico mezzo, di cui potevano disporre i cives romani per
opporsi alle condanne capitali pronunciate dai magistrati romani, era l’intercessio ai tribuni
della plebe. Asserendo questo il Magdeilan veniva considerare l’intercessio tribunicia come
un mezzo di tutela dei cittadini che anticipava la provocatio, mentre la maggior parte della
dottrina, se non la sua totalità, basandosi sulle notizie degli storici, è portata a ritenere che
questi siano sempre stati due mezzi di tutela concorrenti. Il primo favoriva la plebe alla quale
ab initio non era riconosciuto il diritto di provocare e il secondo tutelava il patriziato avverso
i giudizi arbitrari ed i poteri illimitati dei magistrati romani. Se poi fosse vero quanto
sostenuto qui sopra dal Magdeilan i plebei si sarebbero trovati in una situazione di tutela
superiore a quella dei patrizi. Sembra assurdo che questo si sia potuto verificare in un periodo
storico caratterizzato dalle lotte patrizio-plebee e dalle rivendicazioni della plebe.
Invece, per quanto riguarda la lex Valeria del 449 a. C. Il Garofalo ritiene di non poter
accettare la teoria del Magdeilan; infatti i primi annalisti iniziarono a scrivere nel III secolo a.
C. e perciò sarebbe stato veramente difficile per questi offuscare le verità storiche di poco
precedenti. Inoltre la stessa esenzione dalla provocatio, delle decisioni del dittatore, era
giustificata dal fatto che la dittatura, a differenza del decemvirato, era una magistratura
preesistente alla legge del 449 a. C.
Infine l’esistenza di un plebiscito Duilio, di poco posteriore conferma quanto in essa sancito.
69
Come indicato alla nt. 13.
70
Come rileva B. SANTALUCIA, Diritto..cit., p. 1 ss. e, B. SANTALUCIA, Alle origini..cit., p. 52 ss.