E’ proprio sotto il profilo dell’organizzazione che, l’autonomia riconosciuta dal nuovo titolo V°
della costituzione, trova espressione con maggiore evidenza
I modelli di relazione entro cui enucleare i rapporti tra regioni e comuni in materia di
accreditamento possono avere un triplice sbocco :
a) il primo può essere caratterizzato dall’accentramento regionale;
b) il secondo può essere definito come quello del decentramento;
c) il terzo rimane fedele all’equilibrio disegnato dalla L. n. 328/2000 che ha attribuito alla
regione il ruolo di programmazione e di definizione dei criteri di rilascio
dell’accreditamento e ai comuni quello di predisposizione e controllo degli strumenti di
offerta.
La legge di riforma dei servizi, ha previsto che l’istituto di accreditamento debba essere predisposto
principalmente per i servizi di natura residenziale; tuttavia le regioni, in virtù della propria
autonomia, hanno avuto la possibilità di allargare il campo di applicazione anche ai servizi
territoriali; di conseguenza il ricercatore ha individuato due momenti :
1. Inizialmente suppone un certo grado di generalità delle ipotesi sull’accreditamento degli
enti, usando finalità esplorative del trattato legislativo in tutte le sue parti e facendo
prevalentemente riferimento alle fonti teoriche.
2. Successivamente analizza con un certo grado di specificità, le ipotesi di accreditamento
regionale delle cooperative di servizio domiciliare alle persone anziane, operando finalità
verificative rispetto l’output e l’outcome degli utenti e dei loro caregiver, e dei servizi forniti
dagli enti erogatori .
In conformità a questi presupposti ha voluto individuare fino a che punto l'accreditamento fosse
finalizzato "….Ad introdurre standard di qualità dei soggetti attuatori, per realizzare politiche di
sviluppo delle risorse umane".
Difatti attraverso le procedure d’accreditamento, le strutture saranno controllate dalla pubblica
amministrazione , al fine di verificarne l'idoneità delle competenze e delle risorse strumentali
esistenti.
E’ stato importante comprendere, quanto le garanzie necessarie al soggetto pubblico per allocare le
risorse, non sono più concentrate soltanto sul momento ideativo/propositivo - vale a dire sulla
verifica delle proposte progettuali - ma interessano tout-cour il soggetto che propone l'intervento.
Difatti l'accreditamento consta, di un insieme di criteri definiti a partire da una concezione
complessiva ed unitaria del sistema d’erogazione del servizio.
I servizi e le risposte ai bisogni devono essere omogenei in tutto il territorio nazionale al di là delle
differenze regionali e, in particolare per i servizi essenziali, con tempestività e con “qualità”
appropriate.
Le prassi di accesso ai servizi richiedono una forte responsabilizzazione degli addetti,
tenuto conto che i bisogni non sempre sono visibili o segnalati e che a volte sono condizionati
dai centri di offerta e dagli interessi economici sottesi alla produzione dei servizi.
In ogni caso, è utile la sintesi fra l'universalismo solidarista, inteso come obiettivo di dare i servizi a
tutti senza discriminazioni, e la personalizzazione delle risposte, garantendo in ogni caso gli
interventi considerati essenziali per tutti.
E’ stato interessante mettere in evidenza il processo che la novità legislativa apporterà al sistema
dei servizi,ed alle performance che gli enti erogatori dovranno attuare, affinché si raggiungano
adeguati livelli di qualità relativamente a tutte le fasi del processo d’intervento.
Per delineare gli argomenti sinora schematizzati si è partiti dal considerare i paradigmi teorici di
riferimento illustrando nella parte introduttiva della ricerca, i fattori di mutamento strutturale della
domanda sociale e i limiti dell’ortodossia nel dibattito sul welfare, sino a focalizzare l’attenzione
sui cambiamenti degli assetti istituzionali.
La prima parte del percorso di ricerca, si ferma ad analizzare nel primo capitolo, la crisi del Welfare
State in Europa e l’ evoluzione dei modelli di assistenza , per avvicinarsi sempre più alla realtà
sociopolitica della regione Molise .
E’ stata sottolineata e illustrata la tanto aspettata legge di riforma delle politiche sociali quale
fondamento del nuovo welfare.
Si è passato poi ad illustrare il decentramento amministrativo, e di conseguenza i problemi
derivanti dal federalismo e finanziamento degli enti.
Nel secondo capitolo è stata prospettata un’analisi teorica e socio economica più approfondita del
sistema sociale attraverso l’analisi dell’offerta dei servizi fra Stato mercato e Terzo settore.
I principali fattori critici che sovente si riscontrano nel decentramento, sono :
o la frammentazione del processo decisionale,
o la frammentazione della struttura dell’offerta
o la frammentazione dei centri di spesa.
Segue una trattazione teorica di come la Cooperazione Sociale sia un punto nodale fra “ Lo Stato,
il Mercato ed il Cliente”.
Cosicché attraverso l’analisi del nuovo dettato costituzionale 3si illustrano le nuove leggi di mercato
sociale che dettano i parametri istituzionali e competitivi degli enti.
La seconda parte della ricerca,invece presta attenzione alle variabili che influenzano e modellano lo
sviluppo dei servizi di cura alle persone, e alle famiglie nei diversi paesi europei.
Il capitolo terzo introduce un’analisi, in principio molto allargata dei contesti sociali e della loro
evoluzione storica, che man mano si vanno ad approfondire in temi specifici quali quelli dei
servizi agli anziani ed alle loro famiglie , gestiti dalle cooperative.
Infine la trattazione teorica, si conclude con il capitolo quarto che realizza inizialmente una
panoramica ampia e discorsiva dei servizi rivolti all’anziano a partire dall’ Europa sino ad
effettuare un’analisi degli stessi in Italia, con riferimenti specifici alla realtà molisana.
Il contesto empirico, in cui il problema oggetto d’indagine è stato studiato, è trattato nella terza
parte.
In quest’ultima parte si effettua una panoramica delle politiche locali e l’attuazione del nuo-vo
piano sociale regionale per comprendere fino a che punto gli stakeholder ed i decisori politici in
Molise siano pronti ad assimilare le novità legislative della 328/2000 a porle in atto ed a
riconoscersi elementi importanti in un’azione valutativa.
Si arriverà infine a prestare attenzione ad una piccola realtà cooperativa, esistente ed operante in un
paese dell’entroterra molisano, che presta servizi d’assistenza domiciliare.
Si è analizzato l’operato di tale struttura, e si è cercato di presentare attraverso l’analisi dei risultati
delle interviste4, la “mission della struttura” e le caratteristiche dei servizi prestati.
Questo percorso, ha consentito di illustrare come è percepita dagli enti erogatori la novità
dell’accreditamento Istituzionale.
3
( modifica V capitolo costituzione ed i principi di sussidiaretà )
4 Somministrate agli utenti, agli operatori, agli amministratori ed all’ente locale
E’ proprio sotto il profilo dell’organizzazione che, l’autonomia riconosciuta dal nuovo titolo V°
della costituzione, trova espressione con maggiore evidenza
I modelli di relazione entro cui enucleare i rapporti tra regioni e comuni in materia di
accreditamento possono avere un triplice sbocco :
d) il primo può essere caratterizzato dall’accentramento regionale;
e) il secondo può essere definito come quello del decentramento;
f) il terzo rimane fedele all’equilibrio disegnato dalla L. n. 328/2000 che ha attribuito alla
regione il ruolo di programmazione e di definizione dei criteri di rilascio
dell’accreditamento e ai comuni quello di predisposizione e controllo degli strumenti di
offerta.
La legge di riforma dei servizi, ha previsto che l’istituto di accreditamento debba essere predisposto
principalmente per i servizi di natura residenziale; tuttavia le regioni, in virtù della propria
autonomia, hanno avuto la possibilità di allargare il campo di applicazione anche ai servizi
territoriali; di conseguenza il ricercatore ha individuato due momenti :
3. Inizialmente suppone un certo grado di generalità delle ipotesi sull’accreditamento degli
enti, usando finalità esplorative del trattato legislativo in tutte le sue parti e facendo
prevalentemente riferimento alle fonti teoriche.
4. Successivamente analizza con un certo grado di specificità, le ipotesi di accreditamento
regionale delle cooperative di servizio domiciliare alle persone anziane, operando finalità
verificative rispetto l’output e l’outcome degli utenti e dei loro caregiver, e dei servizi forniti
dagli enti erogatori .
In conformità a questi presupposti ha voluto individuare fino a che punto l'accreditamento fosse
finalizzato "….Ad introdurre standard di qualità dei soggetti attuatori, per realizzare politiche di
sviluppo delle risorse umane".
Difatti attraverso le procedure d’accreditamento, le strutture saranno controllate dalla pubblica
amministrazione , al fine di verificarne l'idoneità delle competenze e delle risorse strumentali
esistenti.
E’ stato importante comprendere, quanto le garanzie necessarie al soggetto pubblico per allocare le
risorse, non sono più concentrate soltanto sul momento ideativo/propositivo - vale a dire sulla
verifica delle proposte progettuali - ma interessano tout-cour il soggetto che propone l'intervento.
Difatti l'accreditamento consta, di un insieme di criteri definiti a partire da una concezione
complessiva ed unitaria del sistema d’erogazione del servizio.
I servizi e le risposte ai bisogni devono essere omogenei in tutto il territorio nazionale al di là delle
differenze regionali e, in particolare per i servizi essenziali, con tempestività e con “qualità”
appropriate.
Le prassi di accesso ai servizi richiedono una forte responsabilizzazione degli addetti,
tenuto conto che i bisogni non sempre sono visibili o segnalati e che a volte sono condizionati
dai centri di offerta e dagli interessi economici sottesi alla produzione dei servizi.
In ogni caso, è utile la sintesi fra l'universalismo solidarista, inteso come obiettivo di dare i servizi a
tutti senza discriminazioni, e la personalizzazione delle risposte, garantendo in ogni caso gli
interventi considerati essenziali per tutti.
E’ stato interessante mettere in evidenza il processo che la novità legislativa apporterà al sistema
dei servizi,ed alle performance che gli enti erogatori dovranno attuare, affinché si raggiungano
adeguati livelli di qualità relativamente a tutte le fasi del processo d’intervento.
Per delineare gli argomenti sinora schematizzati si è partiti dal considerare i paradigmi teorici di
riferimento illustrando nella parte introduttiva della ricerca, i fattori di mutamento strutturale della
domanda sociale e i limiti dell’ortodossia nel dibattito sul welfare, sino a focalizzare l’attenzione
sui cambiamenti degli assetti istituzionali.
La prima parte del percorso di ricerca, si ferma ad analizzare nel primo capitolo, la crisi del Welfare
State in Europa e l’ evoluzione dei modelli di assistenza , per avvicinarsi sempre più alla realtà
sociopolitica della regione Molise .
E’ stata sottolineata e illustrata la tanto aspettata legge di riforma delle politiche sociali quale
fondamento del nuovo welfare.
Si è passato poi ad illustrare il decentramento amministrativo, e di conseguenza i problemi
derivanti dal federalismo e finanziamento degli enti……………
Nel secondo capitolo è stata prospettata un’analisi teorica e socio economica più approfondita del
sistema sociale attraverso l’analisi dell’offerta dei servizi fra Stato mercato e Terzo settore.
I principali fattori critici che sovente si riscontrano nel decentramento, sono :
o la frammentazione del processo decisionale,
o la frammentazione della struttura dell’offerta
o la frammentazione dei centri di spesa.
Segue una trattazione teorica di come la Cooperazione Sociale sia un punto nodale fra “ Lo Stato,
il Mercato ed il Cliente”.
Cosicché attraverso l’analisi del nuovo dettato costituzionale 5si illustrano le nuove leggi di mercato
sociale che dettano i parametri istituzionali e competitivi degli enti.
La seconda parte della ricerca,invece presta attenzione alle variabili che influenzano e modellano lo
sviluppo dei servizi di cura alle persone, e alle famiglie nei diversi paesi europei.
Il capitolo terzo introduce un’analisi, in principio molto allargata dei contesti sociali e della loro
evoluzione storica, che man mano si vanno ad approfondire in temi specifici quali quelli dei
servizi agli anziani ed alle loro famiglie , gestiti dalle cooperative.
Infine la trattazione teorica, si conclude con il capitolo quarto che realizza inizialmente una
panoramica ampia e discorsiva dei servizi rivolti all’anziano a partire dall’ Europa sino ad
effettuare un’analisi degli stessi in Italia, con riferimenti specifici alla realtà molisana.
Il contesto empirico, in cui il problema oggetto d’indagine è stato studiato, è trattato nella terza
parte.
In quest’ultima parte si effettua una panoramica delle politiche locali e l’attuazione del nuo-vo
piano sociale regionale per comprendere fino a che punto gli stakeholder ed i decisori politici in
Molise siano pronti ad assimilare le novità legislative della 328/2000 a porle in atto ed a
riconoscersi elementi importanti in un’azione valutativa.
Si arriverà infine a prestare attenzione ad una piccola realtà cooperativa, esistente ed operante in un
paese dell’entroterra molisano, che presta servizi d’assistenza domiciliare.
Si è analizzato l’operato di tale struttura, e si è cercato di presentare attraverso l’analisi dei risultati
delle interviste6, la “mission della struttura” e le caratteristiche dei servizi prestati.
Questo percorso, ha consentito di illustrare come è percepita dagli enti erogatori la novità
dell’accreditamento Istituzionale.
5
( modifica V capitolo costituzione ed i principi di sussidiaretà )
6 Somministrate agli utenti, agli operatori, agli amministratori ed all’ente locale
CAPITOLO PRIMO
LA CRISI DEL WELFARE STATE
La maggiore intensità dei bisogni e la richiesta sempre maggiore di un’ampia gamma di tipologie
di prestazioni hanno creato notevoli tensioni sugli assetti dei sistemi pubblici di protezione sociale,
in particolare sui sistemi di protezione modellati sulla struttura dei rischi del breadwinner.7
L’aumento delle diseguaglianze fra inclusi ed esclusi e la consapevolezza che i costi sociali che
l’Europa ha sopportato nel processo di unificazione monetaria possono andare a scapito dello
sviluppo economico, hanno riproposto alla fine degli anni ’90 una visione dall’orizzonte più ampio
rispetto alle politiche di razionalizzazione dell’offerta, che hanno caratterizzato negli ultimi decenni
le politiche di welfare.
1.1.La crisi del Welfare State in Europa
Le disuguaglianze stanno oggi crescendo non solo nel basso ma lungo la parte intermedia della
scala distributiva, al punto da minacciare quello che Paul Krugman ha definito un rischio di
“scomparsa della classe media”. Atkinson osserva che “quando parlano di povertà le persone
chiaramente hanno in mente la parte più bassa della distribuzione del reddito”, il che può essere
interpretato come un’attenzione alle persone con redditi inferiori, senza che questo implichi
necessariamente un interesse a come variano le diseguaglianze nella parte restante della
distribuzione.
Le conseguenze di ciò sulle categorie interpretative e sulle “ policies” sono rilevanti, perché
l’adozione dei criteri dell’eguaglianza, invece, obbliga a considerare , in termini relativi, quello che
avviene lungo tutta la scala distributiva.
Tali problematiche , riguardano non solo l'Italia , ma l'insieme della Unione Europea rispetto alla
quale, alcune fra le organizzazioni firmatarie8, si sono impegnate a favorire una costruzione politica
compiuta, a sostenere e a contribuire agli sforzi di chi alla dimensione economico-finanziaria
intende affiancare quella sociale ed umana.
7 Questa struttura, costruita sulla posizione del capofamiglia nel mercato del lavoro, sulla divisione naturale del lavoro familiare
fondata sul genere, e su un ciclo di vita standard (scandito da scuola dell’obbligo, posto di lavoro fisso e pensionamento), è
risultata poco efficace, a causa non solo della crescita della disoccupa-zione, ma anche dei rischi indotti da un ciclo di vita meno
prevedibile, sia nei percorsi di lavoro sia nella vita familiare. (OCSE, 1999; European Commission, 2000).
8 Gli Stati membri ai Consigli di Lisbona (marzo 2000), Nizza (dicembre 2000) e Stoccolma (giugno 2001).
1.2.Il ruolo della strategia sociale secondo la Commissione Europea.
Nell’Agenda sociale europea (Nizza 2000), la Commissione europea ha evidenziato il doppio ruolo
della strategia sociale: quello di fattore di produzione e quello di strumento per ridurre le
disuguaglianze e promuovere la coesione sociale.
In particolare, per adattare e migliorare il modello sociale europeo ai cambiamenti strutturali, si
sottolinea la necessità di assicurare l’interazione, positiva e dinamica, tra politica economica,
politica del lavoro e politica sociale .
Schema della Social Policy Agenda9
Fonte:Commission of the European Communities (2000).
Il mix di queste politiche andrebbe a creare un circolo virtuoso nel raggiungimento degli obiettivi
di:
• piena occupazione e qualità del lavoro,
• qualità delle politiche sociali,
• promozione della qualità delle relazioni industriali,
• preparazione per l’allargamento,
• promozione della cooperazione internazionale.
9 I mix di policy da elaborare per creare un circolo virtuoso di progresso economico e sociale dovrebbero riflettere
l’interdipendenza di queste politiche e avere come obiettivo la massimizzazione del loro reciproco supporto positivo.
In merito alla qualità delle politiche sociali, gli obiettivi della Commissione europea risultano
indirizzati nel :
• Modernizzare e potenziare la protezione sociale;
• Promuovere l’inclusione sociale, per prevenire e contrastare la povertà e l’esclusione,
e favorire la partecipazione di tutti alla vita economica e sociale;
• Promuovere l’eguaglianza di genere come elemento fondamentale della democrazia,
della promozione sociale e del progresso economico.
• Rafforzare i diritti fondamentali e combattere la discriminazione, quali elementi chiave per la
creazione di una società equa, e per favorire il rispetto della dignità umana.
La Commissione europea, nell’ambito di questi nuovi orientamenti, ha presentato per la prima
volta un documento strategico in materia di povertà e di emarginazione sociale.
Gli stati membri ai Consigli di Lisbona (marzo 2000), Nizza (dicembre 2000) e Stoccolma
(giugno 2001) si sono impegnati a promuovere una crescita economica e sostenibile e
un’occupazione di qualità che possa ridurre i rischi di povertà e di emarginazione sociale, nonché
a rafforzare la coesione nel periodo 2001-2010.
A sostegno di tale impegno, il Consiglio europeo ha convenuto che tali obiettivi siano portati
avanti dagli Stati membri a partire dall’anno 2001, nel contesto dei piani di azione nazionali.
Dal 2002 tale strategia è sostenuta da un programma quinquennale di azione comunitaria in
materia di integrazione sociale.In questa rinnovata strategia dell’Unione europea, i servizi socio-
assistenziali rivestono un ruolo rilevante nell’ambito delle politiche sociali.
Si tratta di un’area di intervento che non sempre è riconosciuta nei diversi sistemi di protezione
sociale come area di policy. In questa rinnovata strategia dell’Unione europea, i servizi socio-
assistenziali hanno acquisito un ruolo rilevante nell’ambito delle politiche sociali.
Per le organizzazioni firmatarie è obiettivo comune da perseguire il processo di riforma avviato,
così da ridisegnare un Welfare in grado di rispondere al nuovo assetto della società e alle nuove
esigenze dei cittadini.
Da questo punto di vista, la legge quadro per la realizzazione di un sistema integrato di interventi
e servizi sociali e il Piano sociale nazionale hanno costituito un’importante innovazione per il
sistema di protezione sociale del nostro Paese10 arrivando a determinare in qualche modo la
trasformazione sociale e di diritto come esempi di assistenza.
10 Che vede affiancare al welfare della sanità e della previdenza il welfare delle persone e delle famiglie.
1.3. I diversi regimi di Welfare : Europa e Italia a confronto .
Fra i diversi campi d’azione della politica sociale (previdenza, sostegno al reddito, sanità, casa,
lavoro, istruzione), l’area dei servizi di cura alla persona e alla famiglia (social care service) ha
avuto un ruolo residuale. Contrariamente ad esempio alle politiche sanitarie o alle politiche
previdenziali, tale area infatti è spesso relativamente difficile da identificare11.
Sotto la pressione dei nuovi bisogni sociali, negli ultimi anni il dibattito sulla riorganizzazione dei
welfare states si è notevolmente arricchito e ha contribuito a fornire utili indicazioni nel costruire
schemi per identificare i servizi alla persona e alla famiglia come area di policy12, la cui importanza
sta significativamente crescendo, in particolare a livello locale, dove la pressione dei bisogni si
esercita in modo più diretto e immediato.
Le analisi comparate hanno infatti via via spostato l’attenzione dal ruolo dello Stato - nella sua
funzione distributiva e funzionale - all’interazione fra diverse istituzioni (Stato, mercato del lavoro,
famiglia), che come è noto è regolata da diversi principi (autorità, concorrenza, reciprocità), e al
posto che ciascuna istituzione occupa in quella produzione congiunta di beni e servizi che va a
soddisfare la domanda di benessere sociale.13
Fra i diversi regimi di welfare (Tav.2) , l’Italia è classificata come un regime di tipo familistico.
Il ruolo del mercato è marginale, mentre l’intervento dello Stato è sussidiario rispetto alla centralità
della famiglia, che costituisce il luogo prevalente della solidarietà.
Il grado di demercificazione è alto per il lavoratore capofamiglia14.
Questa rappresentazione del nostro paese che emerge nelle analisi comparate è, tuttavia, parziale.
La definizione familista del nostro sistema di welfare nasconde significative differenze. L’assenza
per lunghi anni di una legge quadro sull’assistenza ha determinato in Italia pattern alquanto diversi
di sviluppo territoriale dei servizi alle persone e alle famiglie15.
11 Nei diversi paesi lo stesso servizio può rientrare sotto amministrazioni diverse. I servizi pergli anziani e i disabili possono essere
nell’ambito della sanità o dei servizi socio-assistenziali,così come pure è difficile individuare la linea di confine per i servizi per la
prima infanzia,che rientrano talvolta nel sistema educativo o in quello socio-assistenziale. La mancanza di una standardizzazione
negli schemi di rilevazione statistica rende poi difficile distinguere,in alcuni paesi, i servizi pubblici da quelli privati. (cfr.Alber,
1995; Anttonen e Sipila, 1996).
12 (Alber, 1995; Anttonen e Sipila, 1996)
13 (Alber, 1995; Anttonen e Sipila, 1996; Esping-Andersen, 1999).
14 Per grado di demercificazione, Esping-Andersen (1999) intende la misura in cui un sistema di protezione sociale è in grado di
assicurare l’individuo dalla dipendenza dal mercato a fronte di determinati rischi (malattia, disoccupazione, vecchiaia).
15 (Fargion, 1998)
Quadro riassuntivo delle principali caratteristiche dei diversi tipi di regime
1.4. L’ evoluzione sociale e giuridica dei modelli di assistenza in Italia .
Il processo di decentramento avviato con le riforme istituzionali degli anni ‘70 ha dato un forte
impulso alla costruzione di sistemi locali di protezione sociale che si sono cristallizzati in due
sottosistemi, territorialmente definiti nella frattura fra le regioni del centro-nord e le regioni
meridionali.
Nelle regioni del centro-nord, nelle quali si è sperimentata un’intensa crescita economica e tensioni
sul mercato del lavoro, in una prima fase la politica sociale si è configurata come tentativo di
costruire un sistema di welfare dal basso mediante la realizzazione di una rete pubblica di servizi
sociali incentrata sul ruolo dei Comuni, anticipando di fatto il DPR 616/1977, mentre nelle regioni
del sud, le funzioni di assistenza e di cura hanno continuato a persistere in una situazione di disagio
dopo l’emanazione del DPR 616.
Molti Comuni non sono stati in grado di assumere le competenze attribuite, lasciando di fatto alle
Prefetture la gestione degli interventi.16.
Il D.P.R. 616/1977 prevedeva, inoltre, che le Regioni determinassero gli ambiti territoriali adeguati
alla gestione dei servizi sociali e sanitari, promuovendo forme di cooperazione tra gli enti locali
territoriali e, se necessario, anche forme obbligatorie di associazione tra gli stessi.
Cosicché si è cercato di superare il grave limite che l’affidamento del sistema di servizi sociali agli
Enti Locali incontrava, proveniente dall’elevato numero di Comuni di piccole dimensioni che
caratterizzava la situazione italiana.
16 Con l’emanazione del DPR 616/1977, a Comuni, Province e Regioni sono attribuite funzioni amministrative prima
esercitate da organi centrali e periferici dello Stato.
Alle Regioni è data anche espressa indicazione di procedere ad approvare la legge di riordino delle funzioni assistenziali
trasferite agli Enti locali, pur in assenza di una legge quadro nazionale sull’assistenza. ( Cfr. D.P.R. n. 616/77)
La sanità, ha invece seguito una traiettoria inversa; difatti con l’emanazione della legge 833/1977,
che ha istituito il Servizio sanitario nazionale17, sono state affidate alle Regioni funzioni legislative,
in particolare per quanto riguardava la determinazione degli ambiti territoriali delle Unità sanitarie
locali, strutture portanti del nuovo sistema sanitario, e competenze nel campo della programmazione
mediante la predisposizione dei Piani sanitari regionali.
Tra assistenza e sanità si è creato un processo asimmetrico a livello territoriale, che si è andato
rafforzando nel tempo sia in conseguenza del processo di riforma sanitaria avviata negli anni ‘90,
sia a causa della mancata riforma dell’assistenza, creando difficoltà nell’integrazione e nel
coordinamento degli interventi socio-sanitari.
Le politiche condotte dalle amministrazioni locali (Regioni, Province, Comuni) e il ruolo che hanno
giocato gli interessi dei diversi attori (organizzazioni sindacali, terzo settore, associazioni
confessionali) nel favorire o ostacolare lo sviluppo dei servizi assistenziali, hanno configurato una
vera e propria geografia territoriale della cittadinanza sociale18.
Gli anni Novanta successivamente sono stati caratterizzati da un forte impulso al decentramento.
In tal senso ha agito la l. 142/199019 sull’ordinamento delle autonomie locali, che contiene
disposizioni tese a rafforzare l’autonomia degli Enti Locali e a formalizzare una situazione che si
andava ormai consolidando nella cultura politica e nella prassi amministrativa.
Ad opera dei decreti legislativi di riforma della sanità ll. 502/92 e 503/93, i Comuni sono stati
estromessi completamente dalla gestione di tali aziende.La successiva l. 59/1997, con i relativi
decreti attuativi (riforma Bassanini), realizzano anche in campo sociale il massimo decentramento
amministrativo compatibile con i principi costituzionali allora vigenti.
Il D.lg. 112/98 completa il conferimento alle Regioni e agli Enti Locali di tutte le funzioni e i
compiti amministrativi in materia di Servizi Sociali mentre la legge quadro dei servizi sociali, dal
punto di vista degli assetti istituzionali, delinea un impianto complessivo delle funzioni di
amministrazione e di gestione dei servizi sociali coerente con il federalismo amministrativo .
La legislazione in materia di ordinamento degli enti locali20 e di disciplina dell'esercizio delle
funzioni ad essi conferite enuncia espressamente i principi che costituiscono limite inderogabile per
la loro autonomia normativa.
17 (con l’obiettivo di garantire non soltanto livelli di assistenza, ma anche condizioni di salute uniformi su tutto il territorio
nazionale)
18 (Fargion, 1998)
19 La legge 8 Giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali, pubblicato sulla G. U. 12/06/90 n. 135) detta invece
i principi dell’ordinamento dei Comuni (e delle Province) determinandone le funzioni. Si viene così ad ampliare
ulteriormente il trasferimento delle funzioni amministrative già iniziato con il D.P.R. 616/77.
20 Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali".
1.5. La legge 328/2000 quale promotrice del “ Decentramento”.
Il processo per la predisposizione ed approvazione di una legge quadro di riforma socio-
assistenziale, apertosi fin dalla metà degli anni Sessanta e succedutosi attraverso tante legislature,
ha conseguito una sua positiva conclusione con l’approvazione della l. 328 del 200021.
La Legge quadro di riforma dell’assistenza si pone l’obiettivo di attuare su tutto il territorio
l’eguaglianza di opportunità nell’esercizio dei diritti di cittadinanza, integrando in una logica di
sistema gli interventi e i servizi che si sono sviluppati nelle diverse realtà territoriali.
La legge quadro è stata coerente con il “federalismo amministrativo” disegnato dalle riforme degli
anni Novanta, impostato su una visione che vede nello Stato l’ente chiamato a fornire l’indirizzo e
il coordinamento delle politiche sociali.
La programmazione sociale si fonda su un processo di innovazione istituzionale e di apprendimento
collettivo che fa leva non solo sugli obiettivi strategici, ma agisce come strumento per la
condivisione di interessi, valori, finalità e risorse degli attori coinvolti.
La programmazione e l’organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali è
affidata agli Enti locali, alle Regioni e allo Stato (D.lg. 112/1998), sulla base di un’architettura
istituzionale della responsabilità ispirata al principio di sussidiarietà22.
Il Piano nazionale, il Piano regionale, il Piano di zona e il Fondo per le politiche sociali non sono
altro che strumenti di gestione di questo processo.
21 Nella legislazione italiana, “per «servizi sociali» si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi,
gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la
persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario,
nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia” (ai sensi del Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, art.
128). Si tratta, evidentemente, di definizioni che rispondono ad esigenze burocratiche tipiche del welfare state erogatorio.
Il nuovo “sistema integrato di interventi e servizi sociali”, istituito con la legge n. 328/2000, è stato finanziato solo per quanto
riguarda il Fondo sociale. Tale legge, dopo la successiva riforma costituzionale del Titolo V (legge costituzionale 18 ottobre2001
n. 3), riveste solo il valore di una normativa di orientamento, dato che ogni Regione non solo potrà e dovrà fare una legge ad hoc di
applicazione della legge n. 328, ma avrà anche una forte autonomia in materia di politiche sociali (limitata solo dal potere del
governo centrale in materia di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, cfr. art. 117 della citata legge costituzionale n. 3).
22 Al Comune, l’ente più vicino ai cittadini, vengono attribuite la titolarità di funzioni amministrative concernenti gli interventi
sociali, la gestione delle politiche sociali e la compartecipazione alla programmazione regionale. La Provincia concorre alla
programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali per i compiti previsti all’art. 20 del D.lg. 267/2000 e all’art.
132 del D.lg. 112/1998 con le modalità definite dalla Regione. Alla Regione spettano la programmazione e il coordinamento degli
interventi sociali e la verifica della loro attuazione a livello territoriale, con particolare riferimento all’attività sanitaria e socio-
sanitaria a elevata integrazione (art. 2, comma 1, lett. n, Legge 419/1998), nonché la disciplina dell’integrazione degli interventi
stessi e la promozione delle collaborazioni con gli Enti locali. Lo Stato individua le finalità, gli obiettivi generali, le risorse e gli
standard essenziali attraverso strumenti quali il Piano sociale nazionale, il Fondo sociale nazionale, il Fondo sociale regionale, il
controllo e l’esercizio di poteri sostitutivi nei confronti delle Regioni inadempienti. (Fargion, 1998).
1.5.1. Il Piano Sociale Nazionale e la struttura del sistema .
Il Piano sociale nazionale sottolinea che il sistema integrato di interventi e servizi sociali deve
essere progettato e realizzato a livello locale.
Nell’ambito dei processi di decentramento e di innovazione degli assetti istituzionali del territorio,
l’implementazione del Piano sociale nazionale richiede quindi una struttura di governance che sia
efficace nel mobilitare le esperienze e le risorse esistenti nelle diverse realtà territoriali e nel
valorizzare il sapere e le professioni sociali.
L’azione della Regione quindi non si configura solo in un rapporto di relazioni gerarchiche tra
centro e periferia, in cui la Regione impone le sue scelte, quanto piuttosto in un rapporto reticolare
basato su modalità di collaborazione e di confronto,all’interno di una “arena” di formulazione e
implementazione delle politiche tra differenti soggetti, interdipendenti tra loro, ma
contemporaneamente dotati di spazi di autonomia.23
Le Regioni,dunque hanno un ruolo decisivo nella formulazione di scelte relative alle politiche, alle
strategie di intervento, agli assetti gestionali ed organizzativi, ai criteri e agli strumenti per la
regolazione del mercato amministrato dei servizi24.
23 (Ascoli, in Ascoli et al., 2001).
24 L.328/00, si basa non tanto né primariamente sulla competizione dei soggetti quanto sulla partnership
(Fazzi,1998). Tale assetto vede nei Piani di Zona il momento più alto di messa in pratica di forme di
coprogettazione tra pubblico e terzo settore secondo i principi della programmazione partecipata.