2
parzialmente dalla legge 3 giugno 1950, n.375, che tuttavia ne confermò il 
principio secondo cui l’assunzione obbligatoria era riservata esclusivamente a 
coloro che fossero “divenuti invalidi a proficuo lavoro”, o si trovassero 
menomati nelle loro capacità di lavoro in seguito a lesioni ed a infermità 
incontrate o aggravate per servizio di guerra o comunque per fatto di guerra 
(art.1). 
All’origine della disciplina stava, dunque, una chiara scelta politica: non la 
menomazione in sè dava diritto al collocamento speciale, ma la menomazione 
in quanto causata dal fatto di guerra; si evidenzia in tal modo la finalità 
premiale della legge, espressione di un debito nazionale nei confronti di chi 
avesse appunto subito menomazioni in guerra.
2
 
Nel 1948, con il Dl 15 aprile 1948, n.538, fu presa in considerazione un’altra 
causa di menomazione, la tubercolosi, all’epoca particolarmente diffusa, sia 
pure con provvidenze limitate (assunzione obbligatoria, in una certa 
percentuale, da parte di sanatori pubblici o privati);da questo provvedimento 
emerge la finalità non più premiale bensì di solidarietà sociale delle leggi in 
questione, che tra l’altro abrogò disposizioni che vietavano o limitavano 
l’assunzione o la riassunzione in servizio dei lavoratori dimessi da luoghi di 
cura per guarigione clinica da affezione Tbc. 
Nel frattempo la Costituzione sanciva, tra i principi su cui si regge la 
Repubblica democratica fondata sul lavoro, quello della pari dignità sociale di 
tutti i cittadini “senza distinzione [...] di condizioni personali e sociali” (art.3) 
  
 
3
nonchè quello del “diritto al lavoro” per tutti i cittadini, attraverso strumenti 
come il collocamento obbligatorio, che tale diritto rendono effettivo( art.4 ). 
Tra i compiti precipui dello Stato vengono, inoltre, ricompresi quello della 
tutela della salute di tutti i cittadini (art. 32), nonchè dell’educazione e 
dell’avviamento professionale degli inabili e dei minorati (art. 38, 3° 
comma);tra questi principi esiste, invero, un’intima connessione in quanto da 
essi si desume che il massimo recupero della possibilità di lavoro per l’inabile 
è una scelta politica già compiuta nella legge fondamentale; solo la previsione 
della pratica irrealizzabilità della piena soluzione lavorativa può autorizzare 
alla soluzione subordinata del mantenimento e dell’assistenza a carico della 
società.
3
 
Nel nostro ordinamento sono sempre esistite un numero rilevante di norme 
volte ad agevolare, nelle forma più svariate, dall’assunzione obbligatoria alle 
precedenze, all’elevazione dei limiti di età, l’instaurazione di rapporti di 
lavoro, sia pubblico che privato, con persone che in una qualche maniera, 
versassero in uno stato di sfavore. 
Stato di sfavore che poteva essere o di carattere fisico, nel senso che il 
soggetto  potesse essere affetto da una qualche menomazione che lo 
danneggiasse nella sua capacità lavorativa, o di carattere familiare, nel senso 
che il lavoratore fosse parente immediato di persone decedute o rese invalide 
per cause di rilevanza sociale (guerre, lavoro ecc.). 
                                                                                                                                                      
2
 Domenico Garofalo legale della FLM di Bari. 
3
 Vedi nota precedente. 
  
 
4
L’individuazione delle varie categorie e dei diritti da attribuire, è spesso 
avvenuta in maniera disordinata e sulla base della rilevanza sociale, che le 
varie categorie riuscivano ad esprimere. 
Nell’ordinamento repubblicano una prima sistemazione della normativa fu 
attuata con il D.L.C.p.S. 3 ottobre 1947 n. 1222 convertito con L. 9 aprile 
1953 n. 292, che riguardava il collocamento obbligatorio nelle imprese 
private. 
Negli anni successivi, poi, il legislatore è intervenuto sempre con discipline 
singole
4
, in relazione alle varie categorie da tutelare, creando una 
disomogeneità di fondo e, più ancora, una complessità di disciplina che 
evidenziò la necessità di una legislazione che fosse non solo unificata per tutte 
le categorie privilegiate, ma anche unitaria tra impiego pubblico e privato. 
E’, peraltro, ancora da dire che la legislazione in materia di assunzioni 
obbligatorie destò notevoli perplessità di ordine costituzionale, in quanto si 
ritenne che una disciplina che imponesse l’assunzione di alcune determinate 
categorie di cittadini potesse contrastare con gli articoli 3, 41 e 42 della 
Costituzione, e cioè con i principi della eguaglianza di trattamento e della 
libera iniziativa
5
. 
                                                     
4
 In particolare le disposizioni legislative susseguitesi nel tempo prima dell’approvazione della 
L. 482/1968 furono le seguenti: a) per gli invalidi di guerra la L. 3 giugno 1950 n. 375 e il 
D.P.R. 18 giugno 1952 n. 1176; b) per gli invalidi per servizio le LL. 15 giugno 1950 n. 539 e 
24 febbraio 1953 n. 142; c) per gli orfani di guerra e dei caduti per servizio la L. 26 luglio 
1929 n. 1397 e il R.D. 13 novembre 1930 n. 1642; d) per gli invalidi del lavoro il D.L.C.p.S. 3 
ottobre 1947 n. 1222; e) per i centralinisti ciechi la L.14 luglio 1957 n. 504; f) per i sordomuti 
la L. 14 luglio 1957 n. 504; g) per i profughi della Jugoslavia la L. 27 febbraio 1958 n, 130. 
5
 V. D’Avossa, Il collocamento obbligatorio in Dir. prat. lav., n. 50, inserto, IV ss., 1990. 
  
 
5
Proprio a questo riguardo, però, la Corte Costituzionale, con due sentenze
6
, 
sancì la compatibilità della previsione di assunzione obbligatorie con i principi 
costituzionali, evidenziando anzi che la normativa aveva proprio la funzione di 
realizzare una eguaglianza sostanziale di trattamento. 
In particolare, la Corte chiarì che le norme sull’assunzione obbligatoria 
rimuovono, in armonia con il secondo comma dell’articolo 3 Cost., gli ostacoli 
che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori 
all’organizzazione economica e sociale del paese, e in armonia con l’art. 4 
Cost. promuovono ed attuano le condizioni che rendono possibile ai minorati, 
riconosciuti attraverso opportuni accertamenti in possesso di attitudini 
lavorative e professionali , di essere reinseriti nell’ambiente del lavoro. 
La rilevante confusione normativa creatasi portò all’approvazione di un testo 
di legge che, finalmente, disciplinò organicamente il settore e raggruppò in 
una unica materia l’assunzione dei cittadini che si trovassero in una situazione 
che meritasse una tutela differenziata per le loro imperfezioni fisiche (invalidi 
di guerra, civili, per servizio, per lavoro, sordomuti, ciechi) o per la perdita dei 
congiunti (vedove ed orfani di guerra) o per aver dovuto abbandonare i luoghi 
della loro residenza (profughi). 
Venne così approvata la L. 2 aprile 1968 n. 482, che salvo poche modifiche ha 
costituito la normativa che disciplina la materia fino all’emanazione della 
Legge di riforma del 12 marzo 1999 n. 68. 
                                                     
6
 Corte Cost. 8-15 giugno 1960 n. 38, in Giur. Cost., 1960, 628; Corte Cost. 5-11 luglio 1961 
n. 55, in Giur. Cost., 1961, 1069. 
  
 
6
 
1.2 La legge 2 aprile 1968, n. 482: limiti e carenze 
La legge n.482 del 1968, nel formulare una disciplina unitaria per il concreto 
funzionamento del sistema di collocamento obbligatorio, ha recepito 
puntualmente (art. 1-9 ) come categorie di beneficiari quelle già tutelate con  
leggi precedenti, obbedendo sostanzialmente agli stessi principi ispiratori della 
normativa preesistente
7
; questo spiega perchè nella legge di disciplina 
generale del 1968 si siano puntualmente riprodotti gli inconvenienti propri di 
una legislazione formatasi attraverso successive stratificazioni
8
. 
I limiti e le carenze della vecchia normativa sono abbastanza noti: il carattere 
di intervento settoriale senza nessun collegamento con la disciplina del 
collocamento ordinario e della formazione professionale; le finalità 
prevalentemente assistenziali sul piano operativo e metodologico; la 
strumentazione burocratica e rigida; la gestione clientelare; la facile 
eludibilità. 
In molte situazioni le poche possibilità che tale legislazione ha offerto si sono 
comunque dimostrate difficilmente utilizzabili per una serie di elementi 
interagenti, quali la resistenza da parte delle aziende ad assumere personale 
ritenuto “non produttivo”; la mancanza di un’adeguata formazione 
professionale; l’incapacità di individuare un posto di lavoro adatto alla 
persona con handicap, la resistenza, per mancanza di sufficiente 
                                                     
7
 Giudizio formulato da M. Franceschelli, Considerazioni sulle proposte di riforma della disciplina 
delle assunzioni obbligatorie, relazione al convegno nazionale di Prato del 9-11 ottobre 1981 su La 
mobilità dei lavoratori e la disciplina del collocamento. 
8
 A.Vittore, Avviamento al lavoro e soggetti portatori di handicap, in “Contrattazione” 1981, n.3/4, p. 
21. 
  
 
7
sensibilizzazione, da parte dei compagni di lavoro; la carenza di strutture 
sociali di sostegno all’inserimento nel territorio
9
. 
Inoltre , essa esclude dal proprio ambito applicativo le aziende medio - piccole 
con meno di 35 dipendenti (per lo più del settore artigianale), le quali 
rappresentano circa l’85% del tessuto produttivo italiano. 
Caratteristica preminente della legge n. 482 è quella di provvedere “per 
categorie determinate” e di ripartire tra di esse i posti di lavoro disponibili, 
secondo una proporzione stabilita nella legge stessa; criterio comune alle varie 
categorie è la presunzione che i soggetti appartenenti a ciascuna di esse 
incontrino particolari difficoltà nell’inserimento nel mondo del lavoro. 
Tale difficoltà (handicap) deve essere qualificata dal motivo che l’ha 
determinata e tale motivo è la causa della menomazione delle capacità di 
lavoro o della situazione particolare del soggetto che si presume abbia minori 
possibilità di collocamento (profughi; congiunti di determinate categorie di 
riservartari). 
La menomazione non qualificata dalla sua causa dà pur essa luogo ad una 
categoria di riservatari: gli invalidi civili. Proprio in riferimento a quest’ultima 
categoria, la normativa in esame presentava una vistosa lacuna: mancava la 
disciplina dell’attribuzione delle percentuali di invalidità; tale carenza ha 
portato ad un accertamento sommario e superficiale, svincolato da quei criteri 
                                                     
9
 Solo successive leggi  regionali hanno introdotto agevolazioni fiscali e forme di contribuzione per 
l’adeguamento del posto di lavoro, per l’eliminazione delle barriere architettoniche, per la dotazione 
degli eventuali ausili necessari; grazie all’iniziativa di numerosi Enti locali, quali Province, Comuni 
ed ASL, è stato, fino ad oggi, possibile realizzare efficaci progetti di intervento nel campo 
dell’inserimento lavorativo, utilizzando strumenti occupazionali quali tirocini formativi, borse lavoro 
ed esperienze di collocamento mirato (Lepri C., Montobbio E., 1994). 
  
 
8
che dovrebbero contraddistinguere tale atto, permettendo in tal modo la 
cosiddetta “contrattazione” della percentuale d’invalidità tra medici 
compiacenti e soggetti disposti a far valere qualsiasi minima minorazione pur 
di usufruire dei relativi vantaggi.
10
 
Tale malcostume sociale, consentito dalla macroscopica lacuna normativa e 
dalle difficoltà di accedere ad un posto di lavoro attraverso i canali ordinari, 
mentre da un lato ha dato vita a quel fenomeno della “falsa invalidità”, 
sviluppatasi con proporzioni allarmanti proprio nel settore dell’invalidità 
civile, dall’altra ha permesso la  tendenza alla cosiddetta “monetizzazione 
dell’handicap” che ha chiuso, pressochè sistematicamente, al vero portatore di 
handicap la strada per una proficua esperienza di lavoro.
11
 
Non meno carente tale normativa lo era nella parte relativa alla formulazione 
delle graduatorie (art. 17 della legge n.482) per il quale una formazione logica 
e terminologica non corretta ed esauriente aveva ingenerato nella passata 
esperienza un problema d’interpretazione, problema risolto da una fonte non 
proprio ortodossa (una circolare) nel senso di ritenere applicabili i criteri del 
collocamento ordinario, testualmente richiamati per l’ipotesi dello scorrimento 
(art. 17,lett. c), in virtù di una ragionevole interpretazione estensiva.
12
 
                                                     
10
 A. Leuzzi, Aspetti di riforma legislativa, in “Contratttazione”, 1981, n.3/4, p. 25. 
11
 V. nota precedente. 
12
 A. leuzzi, Aspetti di riforma legislativa, in “Contrattazione”,1981, n.3/4, pag. 27; Leuzzi 
affronta la questione dei criteri  per la formazione delle graduatorie individuando nel criterio 
del “grado di invalidità” (ex artt. ,11, 2° comma, e 19, ultimo comma della L. 482/1968) quello 
principale con rinvio integrativo ai due criteri dell’anzianità di iscrizione e del bisogno, propri 
del collocamento ordinario.In riferimento a questo punto lo stesso autore: La formazione delle 
graduatorie nel collocamento obbligatorio, in “Rivista giuridica del lavoro e della Previdenza 
sociale”, 1981, 1-2, pp. 141 ss. 
  
 
9
In tal modo la collusione tra la descritta assenza di obiettivi criteri di 
riferimento nell’attribuzione delle percentuali d’invalidità, generatrice dello 
sviluppo anomalo dell’invalidità civile, e l’applicazione dei criteri del 
collocamento ordinario in sede di formazione delle graduatorie ha catapultato 
pressoché  costantemente ai primi posti delle liste i cosiddetti “pseudo 
invalidi”. 
Un ‘altra grave carenza della legge 482 riguarda la incollocabilità degli 
invalidi affetti da minorazione psichica; infatti l’articolo 5 della legge citata, 
nel definire la categoria degli invalidi civili, che possono essere iscritti 
nell’elenco di cui all’articolo 19, 1° comma, non fa menzione degli invalidi 
psichici protetti invece, ma a tutt’altro titolo, dalla legge 30 marzo 1971, 
n.118. Tale discriminazione a danno della categoria ha determinato una 
eccezione di illegittimità costituzionale nei confronti della norma proprio nella 
parte in cui, tacendo degli invalidi psichici, li lasciava sprovvisti di ogni tutela. 
Oltre alle lacune dinanzi esaminate, bisogna aggiungere che la normativa in 
esame era caratterizzata da una disciplina asistematica ed ambigua, oggetto di 
un abbondante contenzioso e di orientamenti interpretativi sia dottrinali che 
giurisprudenziali spesso contrastanti
13
. 
Un ruolo importante in tale contesto va riconosciuto alla giurisprudenza della 
Cassazione, che se talvolta ha contribuito a chiarire alcuni punti essenziali 
della materia, risolvendo dissensi interpretativi delle Corti di merito, causati 
prevalentemente dall’imperfetta ed incompleta formazione di alcune norme 
  
 
10
della legge n. 482, in numerose altre occasioni ha, invece, profondamente 
influenzato un’interpretazione ed un’applicazione che non sembrano coerenti 
con le finalità sociali della legge. 
Tra le varie questione affrontate dalla Cassazione c’è da segnalare quella 
relativa alla costituzione del rapporto tra l’azienda obbligata ed il soggetto 
protetto; esclusa l’ipotesi della costituzione ex lege, la Cassazione ha ribadito 
che il momento negoziale è insopprimibile pur in presenza di un obbligo a 
contrarre 
14
. 
A quest’ultima soluzione è collegata la problematica dell’applicabilità, in caso 
di inottemperanza all’obbligo di assumere, dello strumento predisposto 
dall’articolo 2932 Cc.  
Secondo una parte della Cassazione, all’inosservanza dell’obbligo di assumere  
segue la condanna dell’imprenditore ad adempiere in forma specifica in base 
all’art. 2932 citato e non una semplice condanna al risarcimento dei danni
15
; 
secondo un diverso orientamento della Suprema Corte, invece, l’inosservanza 
dell’obbligo di assumere sarebbe solo fonte di una responsabilità 
extracontrattuale ex articolo 2043 Cc, essendo impossibile il ricorso al rimedio 
predisposto dall’articolo 2932 in quanto nella legge non è sufficientemente 
                                                                                                                                                      
13
  Domenico Garofalo in Collocamento e mercato del lavoro, 1981, 230 ss. 
14
 Cass. del 7.10.76 n. 3323; Cass. 24 maggio 1980, n. 3425, in Or. giur. lav.,  1981, 73; Cass. 27 
febbraio 1981, n. 1199, in  Giust. Civ. 1981, I, 943; Cass. 11 marzo 1981, n. 1376, in  Foro it., 1981, 
I, 2374; Cass. 12 marzo 1981, n. 1421, ibidem 1981, I, 2373; Cass. 23 luglio 1982, n. 4291, in Lav. 
prev. Oggi 1983, 122; Cass. 27 marzo 1985, n. 2164, in Giust. civ. 1986, I, 874; Cass. 3 marzo 1987, 
n. 2243, in  Or. giur. lav. 1987, 368; Cass. 7 marzo 1990, n. 1170, ibidem 1990, 68. 
15
  Cassazione del 22. 1. 79 n. 497, in Rivista giuridica del Lavoro e della Previdenza sociale 1979, II, 
1979, p. 943, con nota di A. Di Majo. 
  
 
11
specificato il contenuto dell’accordo, con impossibilità da parte del giudice di 
intervento costitutivo in caso di inadempienza del datore di lavoro
16
. 
Dall’affermazione che, anche nell’ipotesi del collocamento obbligatorio, 
all’autonomia delle parti è rimessa la determinazione concreta di molteplici ed 
essenziali elementi del contratto, la Cassazione, a sezioni unite, ha fatto 
discendere l’applicabilità del patto di prova al rapporto costituito ai sensi della 
legge n.482, ponendo fine alle oscillazioni interpretative delle sezioni lavoro 
della stessa suprema Corte; quindi è legittima l’inserzione del patto di prova 
anche se l’esperimento deve essere limitato alla residua capacità lavorativa 
dell’invalido, senza in alcun modo riguardare la menomazione che è 
presupposto dell’assunzione obbligatoria, con la conseguenza che il giudice 
può controllare e dichiarare nullo (per contrasto con la norma imperativa che 
vieta di discriminare i soggetti tutelati rispetto agli altri lavoratori) il recesso 
che risulti in qualche modo determinato dalla considerazione dello stato di 
invalidità
17
. 
Il datore di lavoro è quindi libero di contrattare con l’invalido avviatogli 
dall’allora Uplmo ed è altrettanto libero di affidargli anche mansioni inferiori 
a quelle cui quest’ultimo dovrebbe essere adibito in base al titolo di studio in 
suo possesso o alla qualifica risultante dagli elenchi: ciò perchè la legge non 
                                                     
16
 In questo senso Cassazione del 2.3.79, n. 1322, in Rivista di Diritto del Lavoro 1980, II, p. 410; 
Cassazione del 24.5.80,  n. 3425, in Mass. Giur. lav., 1980, p. 768. 
17
 Cassazione Su 27.3.79, nn. 1763, 1764, 1766, rispettivamente in Riv dir. lav., 1980, II, p. 410; Lav. 
Prev. oggi, 1979, p. 1396; Riv. giur. lav. prev. Soc., 1980, II, p. 474. Nello stesso senso Cass. 13. 2. 
80, n. 1036, in Lav prev. oggi, 1980, p. 1202; Cass. 12.7.80, n. 4450, loc. cit., 1981, p. 750; Cass. 
6.1.81, in Foro it., 1981, I, p. 310. 
  
 
12
contempla una richiesta di assunzioni di invalidi che contenga la 
specificazione della categoria professionale 
I dati forniti nella relazione presentata dal ministro per la Solidarietà sociale, 
riferiti al 30 giugno 1995, rivelano che i lavoratori protetti disoccupati sono 
circa 255.000 (compresi 40.000 non invalidi). Di questi, 203.000 sono gli 
invalidi civili (77,7%) ed è la percentuale più elevata, 37.000 sono gli orfani e 
le vedove (14,8%), 6.500 sono gli invalidi del lavoro (2,5%). 
I lavoratori protetti occupati sono circa 250.000. Di questi, 133.000 sono gli 
invalidi civili, (53,2%), 55.000 (22%) sono orfani e vedove, 21.000 sono gli 
invalidi del lavoro (8,4%). 
I dati relativi agli occupati rappresentano solo quei lavoratori che hanno 
usufruito del collocamento obbligatorio, esistono tuttavia molti invalidi inseriti 
in attività lavorativa attraverso i normali canali di collocamento. 
Se si volesse fare una valutazione dell’efficacia del sistema di inserimento 
lavorativo previsto dalla l. 482/1968 che, come è noto, prescriveva una quota 
d’obbligo del 15% per le aziende superiori ai 35 dipendenti, nonostante alcune 
punte di eccellenza il risultato è molto modesto
18
: si stima che il dato medio 
nazionale non arrivi al 3,5%. 
                                                     
18
 V. Carlo Stelluti, membro della Commissione Lavoro della Camera, relatore per la legge sul 
collocamento obbligatorio, in L.I., n. 6, 1999. 
  
 
13
La quota prescritta era da tutti considerata piuttosto irrealistica se si tiene 
conto che in Francia e Germania è del 6%, in Inghilterra è del 3%, in Spagna è 
del 2%, nei Paesi del Nord Europa, notoriamente più sensibili a questi 
problemi, la quota è lasciata alla contrattazione fra le parti sociali. 
Se le prescrizioni previste dalla legge sono di difficile applicazione, e si 
discostano in modo significativo dai risultati, la stessa norma perde di 
autorevolezza e di cogenza. 
Ciò si è verificato, nonostante gli aggiustamenti dei contenuti della 
legislazione, per una serie di ragioni dovute essenzialmente: 
- ad una sostanziale assenza del settore pubblico nella qualità di datore di                      
lavoro 
- ad una relativa facilità ad aggirare i contenuti della legge senza che venisse 
attuato un efficace sistema sanzionatorio e di controllo 
- a procedure eccessivamente burocratizzate 
- ad un approccio secondo il quale l’inserimento veniva considerato come un 
onere assistenziale da porre a carico dell’impresa e quindi non poteva che una 
forte propensione imprenditoriale al recesso del rapporto di lavoro subito dopo 
il periodo di prova. 
In conclusione, il sistema di avviamento numerico, per la sua stessa natura, 
difficilmente avrebbe potuto tener conto delle esigenze produttive dell’azienda 
e delle reali potenzialità professionali del soggetto disabile e quindi produrre 
un rapporto di lavoro tendenzialmente stabile.