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Introduzione
Quando si parla di abuso sessuale, bisogna tentare di comprendere
perché la lingua italiana usi frequentemente questo termine come sinonimo
di altre due terminologie: stupro e violenza sessuale. Il termine abuso
sessuale, dal latino abusus indica l‟uso – cattivo, illecito o smodato – di
qualcosa o di un diritto. La radice di questa parola, ab, indica compimento,
eccesso, allontanamento dell‟azione, mentre usus è un termine che ha
numerosi significati, quali quelli di impiego, diritto d‟uso, consuetudine,
etc. Alla luce di quanto detto, abuso non è altro che un uso legittimo di un
potere o di un diritto reso illecito dalla quantità eccessiva dell‟azione, che
viene compiuta totalmente.
Lo stupro, altro termine che viene utilizzato come sinonimo del
primo, indica un atto sessuale imposto con violenza o qualsiasi atto
violento e peccaminoso allo stesso tempo. Deriva dal latino stuprum che
significa onta e disonore, la cui radice stup ha il significato di “battere” e
“colpire (l‟immaginazione)”
La violenza sessuale (o carnale), il terzo termine che viene utilizzato
in sostituzione dei primi due, indica sia l‟essere violento, che l‟azione
violenta esercitata con mezzi fisici o psicologici. La radice etimologica è
vi-s che significa forza, vigore, prepotenza. Vis è quindi ciò che vince e
opprime.
In questo trattato, i tre termini verranno utilizzati come sinonimi per
via della funzione che hanno e delle conseguenze che da essi derivano con
4
particolare attenzione posta all‟autore dell‟atto sessuale deviante, sia questi
un abusante, uno stupratore o un violento.
Fin dalle antiche civiltà greche e romane sono esistiti miti che
rappresentavano scene di rapimenti seguiti da stupro. Addirittura, gran
parte dei miti greci sembrano concentrarsi sulla discendenza nata dalla
violenza sessuale: alcune città per esempio vantavano un‟ascendenza
divina dovuta alla violenza di un dio su una ninfa che viveva nel luogo,
prendendo solo di rado in considerazione la conseguenza della violenza
sulla vittima. Tuttavia, anche nella cultura occidentale del XX secolo
ritroviamo tracce di legittimato uso della forza nel corteggiamento in molti
pensatori, al punto da parlare di cultura dello stupro (Davis, Evans &
Lorber, 2006)
1
. In Italia, sarà dagli anni Settanta in poi, con l‟azione del
movimento femminista e la sensazione causata da alcuni fatti di cronaca
particolarmente efferati che cominciò a farsi spazio un graduale
cambiamento di mentalità rispetto alla violenza sessuale di genere.
Tale cambiamento di prospettiva spingerà la società a considerare lo
stupro come un crimine particolarmente efferato. Nelle parole di Jordan
(2008) “usate insieme le parole sesso e crimine e otterrete l‟immagine più
disgustosa, degradante, ripugnante e terribile che si possa immaginare”
2
.
Alla luce della presentazione di un atto considerato così abnorme per
la società quanto per i singoli, lo scopo di questo lavoro è quello di
indagare gli aspetti peculiari dei protagonisti di questo aberrante scenario, il
sex offender (letteralmente l‟aggressore sessuale, terminologia comprensiva
di tutte le sue caratteristiche) e le varie tipologie di persone che possono
diventare una sua potenziale vittima. Con specifico riferimento al primo,
saranno analizzati il background familiare o psicopatologico da questi
1
http://it.wikipedia.org/wiki/Violenza_sessuale
2
p. 10
5
esperito e il percorso terapeutico che deve intraprendere al fine di una sua
(si auspica) completa riabilitazione.
A tal fine, il primo capitolo è interamente dedicato agli antecedenti e
i correlati dell‟abuso sessuale. Con questi termini sono intesi sia il
retroscena dell‟ambiente familiare sia le principali psicopatologie insite
nell‟insorgenza di comportamenti sessuali devianti, sia le varie tipologie di
sex offenders e i sistemi motivazionali. Con specifico riferimento alla prima
parte di questo capitolo saranno trattate le principali teorie
sull‟attaccamento esperito dal bambino nell‟infanzia per mettere in
evidenza quanto un deficit nella relazione con i caregivers fondamentali
possa essere ritenuto responsabile di insorgenza di comportamenti
antisociali e aggressivi. Nella seconda parte verranno prese in
considerazione le principali psicopatologie correlate ad un potenziale inizio
di carriera sessuale deviante, includendo i Disturbi di Personalità e le
Parafilie. Infine, nella terza parte saranno oggetto di attenzione le varie
tipologie di sex offenders, classificate per sesso ed età (con particolare
riferimento ai juvenile sex offenders e agli abusanti di sesso femminile), e
ai sistemi motivazionali che spingono un aggressore sessuale ad adottare un
modus operandi piuttosto che un altro.
Il secondo capitolo tratterà invece le varie tipologie di vittime
potenziali, che si è scelto di categorizzare per età. All‟interno di ogni
classificazione verranno prese in considerazione anche le conseguenze
fisiche e psicologiche derivanti dalla violenza subita. In particolar modo, si
tratterà di abuso sui minori, sulle donne (intendendo gli individui che
hanno già compiuto i 18 anni di età) e sulle anziane. Con specifico
riferimento al primo verranno trattate conseguenze di natura psichica come
il Disturbo da Stress Post-Traumatico, la dissociazione e la
sessualizzazione traumatica, contemplando anche le forme di abuso più
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“moderne”, come quelle in rete. Con riferimento alla seconda categoria si è
scelto di prendere in esame sia i fattori di rischio, sia le varie tipologie di
violenza che interessano la donna nel contesto delle mura domestiche, sia
le conseguenze di diversa natura previste dal World report on violence and
healt dell‟OMS (2002), tra cui saranno oggetto di attenzione le disfunzioni
sessuali, così come descritte dal DSM-IV TR. Infine, si è scelto di trattare
gli interventi a favore della donna vittima di violenza intrafamiliare come
quelli messi in atto dai Centri Antiviolenza gestiti dall‟Associazione
Differenza Donna.
Il terzo capitolo, quello conclusivo, contempla gli interventi di
prevenzione e trattamento del sex offender. Si tratterà, nello specifico, delle
recenti tendenze che vedono nella terapia di gruppo uno strumento efficace
per la riabilitazione dell‟aggressore, nell‟ottica di un cambio di prospettiva
che vede il passaggio da un atteggiamento punitivo da parte della società
nei confronti di questi soggetti, a una tendenza alla rieducazione e alla
responsabilizzazione di essi. In particolare, si è scelto di prendere in esame
l‟esperienza compiuta dai centri di correzione del Canada, dove viene
applicato un modello di trattamento di orientamento cognitivo
comportamentale – che, tra l‟altro – mira all‟incremento delle capacità
relazionali, cognitive ed empatiche dell‟aggressore, elementi ritenuti
fondamentali per evitare una possibile ricaduta di questo. A tale scopo, a
conclusione del capitolo, sono stati trattati anche due dei modelli di
prevenzione previsti da questo orientamento.
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I. Antecedenti e correlati dell’abuso sessuale
Oggi le definizioni di abuso sessuale variano a seconda della
prospettiva che si intende adottare, sia essa di carattere legale, psicologico,
o medico. La difficoltà nel creare una teoria generale dell’abuso sta
proprio nel fatto che tale fenomeno attiene a tutte le sfere sopra citate,
ognuna delle quali è dotata di scopi diversi e specifici, connessi a diverse
interpretazioni (Gulotta & Cutica, 2004). Sembrerebbe proprio essere
l‟interpretazione uno degli elementi che determina una “spaccatura” in quel
confine tra la sessualità condivisa e quella violata. In effetti, diversi studi
sull‟impatto di eventi traumatici che mettono a repentaglio l‟integrità fisica
della persona hanno dimostrato che essi dipendono da come questi eventi
vengono valutati cognitivamente: a titolo esemplicativo, citiamo qui uno
studio condotto su donne che avevano interpretato come violenza sessuale
un evento traumatico vissuto col loro partner, le quali fornivano risposte
psicologiche maggiormente connotate da sofferenza, rispetto ad altre donne
che non avevano considerato l‟atto in tal modo (Layman, Gidyez, Lynn,
1996)
3
.
Comunque lo si voglia interpretare, tutte le definizioni dell‟abuso
sessuale sono composte da almeno due elementi: una parte ben definita e
precisa, in cui vengono differenziati ed elencati i tipi e i gradi di
maltrattamento,e una parte più vaga e meno operativa, che attiene al punto
di vista soggettivo della vittima. Questo perché in letteratura si è portati a
distinguere il fenomeno in due parti: quella obiettiva, dell‟atto commesso,
3
Cit. in Gulotta e Cutica, 2004, p. 4
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che è un evento riconosciuto dal mondo sociale in cui viene messo in atto e
quella soggettiva, ovvero quella che attiene ai vissuti emotivi della persona
che subisce, la vittima. Negli anni Settanta e Ottanta molto si dibatteva
sulla predominanza dell‟uno o dell‟altro aspetto. In realtà proprio da tale
dibattito si è potuto constatare che la situazione è molto più complessa
perché si inserisce direttamente su un problema di difficile chiarimento, che
attiene all‟interpretazione che l‟individuo fa di un determinato fatto che ha
vissuto, o più specificatamente, ha subìto. Ciò che può apparire come abuso
o maltrattamento a una persona può non sembrare tale ad un‟altra, così
come, in termini di violenza sui minori, non si sa abbastanza sull‟impatto di
un‟azione maltrattante per poter dire con esatta certezza che essa potrebbe
danneggiare qualsiasi bambino, o che potrebbe risultare neutra per qualsiasi
bambino (Salvatori & Salvatori, 2001)
4
. Pertanto, qualsiasi definizione di
maltrattamento deve possedere al suo interno sia aspetti oggettivi che
aspetti soggettivi, poiché tali elementi non si escludono l‟un l‟altro ma, al
contrario si specificano a vicenda.
Purtroppo, l‟eterogeneità delle teorie sull‟argomento, così come
delle definizioni poste in essere del fenomeno dell‟abuso, ci riconduce ad
un secondo ordine di problemi, identificabile nella difficoltà di creare delle
stime precise circa la vastità dello stesso. Tale difficoltà trova origine in
due cause differenti: la prima è che gli abusi, quando commessi, non
vengono denunciati ai servizi competenti e alle Forze dell‟Ordine (Gulotta
& Cutica, 2004). Una delle motivazioni per cui ciò accade attiene al grado
d‟intimità che lega la vittima all‟aggressore. A tal proposito sembra
interessante il caso italiano.
L‟Istat ha difatti condotto un‟indagine nel 2006, intervistando
telefonicamente un campione rappresentativo di donne fra i 16 e i 70 anni,
4
Cit. in Gulotta e Cutica, 2004, p. 4
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da cui è emerso che 2 milioni e 938mila italiane hanno subìto violenza
fisica o sessuale da parte del partner o dell‟ex partner nel corso della vita.
Nel 24,1% dei casi le ferite inflitte sono state talmente gravi da rendere
necessario il ricorso alle cure mediche. Interessanti sono i dati che seguono:
del campione di riferimento solo il 18,2% delle donne che hanno subìto
abusi ritiene che essi costituiscano reato, mentre il 36% lo ha
semplicemente considerato come “ qualcosa che è accaduto”. Infine, e
questo è il risultato che maggiormente interessa ai fini del presente lavoro,
la quasi totalità delle donne comprendenti il campione (93%) non aveva
denunciato la violenza (Istat, 2007).
Ma l‟abuso sessuale non è solo un fenomeno intrafamiliare, anche se
le statistiche ci dimostrano che questa fattispecie è sicuramente la più
diffusa. Sempre l‟Istat ha condotto nel 1997-1998 una ricerca limitata a
casi di molestia e violenze sessuali non necessariamente riferite ai partner o
ai familiari, che ha permesso di acquisire rilievi importanti di prevalenza
sull‟intera popolazione (Istat, Roma, 1998)
5
. Il campione cui essa è stata
riferita ha compreso 20.064 donne tra i 14 e i 59 anni. Il questionario,
utilizzato in forma telefonica, verteva su argomenti specifici, quali
telefonate oscene, esibizionismo, ricatti sul lavoro e molestie fisiche; per
quanto riguarda invece le varie forme di violenza sessuale sono stati presi
in considerazione lo stupro o il tentato stupro. Più della metà delle donne
intervistate (51,6%) ha subito nell‟arco della vita molestie sessuali. Per
riguarda lo stupro e il tentato stupro, ciò che emerge è che soltanto il 16,8%
dei tentati stupri e il 7,3% degli stupri risulta denunciato. È solo di recente,
tuttavia, che si fa avanti una prima tendenza a rivolgersi all‟autorità
giudiziaria, soprattutto da parte di donne che possiedono un più elevato
grado di istruzione. Ciò che colpisce è che i reati sessuali vengono
maggiormente denunciati se messi in atto da una persona estranea (15,5%)
5
Cit. in Sabbadini, 1998
10
rispetto all‟atto commesso da persone conosciute (4%). La suddetta ricerca,
ha permesso poi di individuare le varie forme di violenza messe in atto sul
campione di donne considerate: il 54,2% sono le cosiddette “violenze
inattese”, opera di amici, fidanzati; in genere si tratta di tentati stupri che
nel 98,7% dei casi vengono denunciati, e coinvolgono donne di età non
superiore ai 34 anni. La violenza sessuale sul lavoro ha un‟incidenza del
10,7%, i cui protagonisti sono i superiori o i colleghi. Ancora, la violenza
sessuale “di strada” coinvolge il 22,5% del campione: sono donne
comprese tra i 25 e i 40 anni, che ricorrono alla denuncia nel 22,4% dei
casi. La violenza ripetuta in famiglia, viene denunciata solo nel 4% dei casi
(Istat, Roma, 1998). Ed è qui che troviamo un punto di congiunzione con la
ricerca presentata precedentemente, condotta qualche anno dopo, ma che ha
lo stesso scopo (e, aggiungeremmo noi, merito) di quella appena citata:
dimostrare che la stragrande maggioranza delle molestie o aggressioni
sessuali rimangono occultate.
Il secondo ordine di problemi riguardante la difficoltà di creare stime
esaustive sull‟abuso sessuale attiene ai cosiddetti casi di falso abuso (Zara,
2005), per i quali la violenza viene dichiarata anche quando non è stata
effettivamente consumata. Nella letteratura, comunemente si fanno
rientrare all‟interno del campo del falso abuso i casi di falso positivo e falso
negativo (Ledda, 2006)
6
. Nel primo caso, i cosiddetti indicatori di abuso –
ovvero tutti quegli elementi che in sede di perizia vengono presi in
considerazione per formulare l‟ipotesi di violenza – sono presenti, tuttavia
non è stata consumata alcuna violenza. Nel secondo caso tali indicatori non
sono rilevabili, ma l‟abuso è stato effettivamente compiuto.
Quali (e quanti) che siano i reati sessuali effettivamente denunciati,
essi risultano comunque coperti dal cosiddetto “numero oscuro”. Ponti e
6
cit. in Daher (a cura di), 2006