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Introduzione
Nelle giurisdizioni di civil law ci si rifà
quasi automaticamente al diritto romano per
quel che attiene alle origini del concetto
giuridico. Sembrerebbe che già alcuni giuristi
romani possano aver riconosciuto la possibilità
che un diritto fosse abusato. Abbiamo, a
conferma di ciò, la massima di Marcello
1
il
quale ci dice che una persona che intercetta
le acque sotterranee può essere ritenuta
responsabile dell‟eventuale danno al vicino se
ha agito “animus vicini nocendi”. Questo non
significa che il diritto romano possedesse una
teoria generale dell‟abuso del diritto in
quanto era essenzialmente assolutista.
Marcello e Labeone non possono, in ogni caso,
essere ritenuti ispiratori delle linee guida
del Codice Napoleone e nella prima metà del XIX
secolo il sistema francese era fortemente
influenzato dalla teoria assolutista del
diritto. Il concetto di abuso, è stato
1
Riferito in Mayor of Bradford v.Picklets (1895) A.C. 587, a p. 590. Tale caso sarà
affrontato in seguito nella parte relativa all’abuso del diritto nei sistemi di common
law. I testi in genere quotati sono il DIGESTO 39.3.1.12 e DIGESTO 39.3.2.9. Il
primo dei due dovuto a Marcello, recita quanto segue: “Marcellus escribit, cum eo,
qui in suo fodiene vicini fontem avertit, nihil posse agi, nec de dolo actionem; et
sane non debe habere, si non animo vicino nocendi, sed suum agrum meliorem
faciendi id fecit” (Marcello scrisse che nessun azione giuridica può essere intrapresa
contro una persona che scavando sul proprio terreno intercetti delle acque di un
altro, nemmeno l’actio doli; e certamente non può avere dolo, se ha agito non per
danneggiare il vicino, ma per migliorare il proprio fondo). Il secondo, dovuto a
Paolo, dice: “Idem Labeo ait, si vicinus flumen, torrent averterit, ne aqua ad eum
perveniat, et hoc modo si affectum, ut vicino noceatut, agi cum eo aquae pluviae
arcendae non posse; aqua enin arcere hoc esse curare non influat; qua sententia
verior est, si modo non hoc animo fecit, ut tibi noceat, sed ne sibi noceat”(Lo stesso
dice Labeone che se il vicino ha deviato un corso d’acqua così che l’acqua non
giunga a lui, e questo è stato fatto in modo tale da arrecare un danno al vicino non
può essere invocata contro di lui l’actio pluvia arcendae; questo perché fermare
l’acqua piovana è fare in modo che non entri nel proprio fondo; questo è ancor più
vero se fatto non con l’intenzione di danneggiare, ma con l’intenzione di non subire
un danno).
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introdotto in quel periodo in parte dalla
dottrina e in parte dalla giurisprudenza.
Cronologicamente il primo caso è stato quello
deciso dalla Corte di appello di Colmar nel
1855. Trattasi del “affaire Doerr”, dove il
proprietario di un fondo sul quale aveva
costruito la propria casa, chiamò in causa il
vicino, il quale senza alcun interesse serio e
legittimo, aveva costruito sul tetto della
propria abitazione un camino finto molto alto
privando della luce alcune stanze della casa
dell‟attore e arrecandogli in questo modo un
danno. La Corte ritenne che “è un principio di
legge che il diritto di proprietà, sotto certi
aspetti, è un diritto assoluto che investe il
suo titolare della possibilità di abusare del
suo oggetto; ciononostante, l‟esercizio di
questo diritto, come l‟esercizio di ogni altro
diritto, deve essere limitato alla
soddisfazione di un interesse serio e
legittimo. Principi morali e di equità
prevengono la Corte dal proteggere un azione
malevole, la quale non porta alcun comprovato
beneficio personale al convenuto e causa seri
danni all‟altra parte
2
.” La Corte ordinò al
convenuto la demolizione del camino finto
costruito sulla propria casa.
Nello stesso periodo la Corte di Lione stava
decidendo il famoso caso delle acque minerali
di Sant Galmier. In questo caso, il
proprietario di un terreno sul quale operava
una ruota idraulica, installò una potente pompa
che lasciò in azione continuativamente. La
maggior parte dell‟acqua così pompata scorreva
2
Caso Colmar, 2 maggio, 1885.D.P. 1856.2.9
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lungo il terreno in un canale ad esso adiacente
senza che alcun beneficio fosse portato al
proprietario della ruota. Il proprietario del
fondo vicino (a valle), invece, fu seriamente
danneggiato dall‟azione della pompa. Il
rendimento della sua ruota era diminuito di due
terzi. Si dimostrò che questa era la
conseguenza dell‟azione della pompa la quale
aveva ingentemente diminuito il volume delle
acque che dal fondo a monte, dove era stata
installata, scorrevano verso il fondo a valle.
Il vicino domandò che al convenuto fosse
ordinato di ridurre le operazioni della pompa.
In sua difesa quest‟ultimo argomentò che l‟art.
544 del codice civile francese riconosceva il
diritto assoluto al proprietario del terreno,
incluso il diritto di far operare una ruota
idraulica e mantenere in azione una pompa
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.
Aggiunse che chiunque eserciti i propri diritti
non può essere ritenuto responsabile per i
danni da questi causati: nemo injuria facit qui
jure suo utitur.
La Corte di Lione non condivise la linea
difensiva del convenuto; disse che i diritti di
un proprietario trovano limite nell‟obbligo di
lasciare i vicini godere delle rispettive
proprietà. Inoltre, aggiunse la Corte, il
potere di abusare di un diritto non può
giustificare un atto ispirato dall‟intento di
danneggiare che interferisce con il diritto dei
proprietari vicini di utilizzare le loro
proprietà. La Corte richiamò la tradizionale
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Art. 544 Code Civil: “La proprietè est le droit de jouir et de disposer des choses de
la manière la plus absolue, pourvue qu’on ne fasse pas un usage prohibè par la lois
ou par les règlements”.
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massima romana malitiis non est indulgendum e
applicò l‟art. 1382 del codice civile il quale
è norma fondamentale nel sistema francese per
quel che riguarda la responsabilità
extracontrattuale. Essa prevede che chiunque
danneggi altri per colpa o negligenza sia
tenuto a risarcire la parte lesa
4
. La Corte di
Lione confermò il giudizio di primo grado che
stabiliva il risarcimento del danno arrecato al
vicino, e si riservò di stabilire il
risarcimento per ulteriori danni là dove gli
atti abusivi avessero avuto seguito.
Il terzo caso, che data la sua particolarità
è sicuramente il più interessante, fu deciso
molti anni dopo dalla Cassazione. É la più
famosa tra tutte le decisioni che sono state
prese su questa materia ed è uno dei pochi casi
francesi a cui ci si riferisce usando il nome
del suo protagonista, ossia “affaire Clèment-
Bayard”. L‟impresa di Clèmente-Bayard era
proprietaria di alcuni hangar i quali
ospitavano dei dirigibili costruiti per ordine
del Governo francese. Tensioni sorsero tra
l‟impresa e il proprietario del fondo
adiacente, in quanto questo secondo era
risentito dal fallimento delle negoziazioni per
l‟acquisto del proprio fondo da parte
dell‟impresa ad un prezzo alto. Egli dunque
eresse intorno ai confini del proprio fondo
un‟alta palizzata con in cima degli arpioni di
ferro sporgenti. L‟intenzione era,
naturalmente, fare pressione sull‟impresa
rendendo impossibile o comunque difficoltoso il
4
Art.1382 Code Civil: “Tout fait quelconque de l’homme, qui cause à autrui un
dammage, oblige celui par la faute duquel il est arrivé, à le reparer”.
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decollo dei dirigibili e infatti accadde che
uno di questi dirigibili andò a collidere con
una di queste strutture e subì gravi danni.
Durante l‟azione legale intrapresa dalla
Clèment-Bayard per chiedere il risarcimento del
danno e la rimozione delle palizzate, il
convenuto si difese affermando che aveva
semplicemente esercitato un diritto a lui
attribuito da una norma del codice civile,
ossia l‟art. 544 di cui si è detto prima. Il
Tribunale di Campiègne, e succesivamente la
Corte d‟Appello di Amiens
5
e la Cassazione
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ritennero il convenuto responsabile. Il caso è
assai importante perchè il convenuto era stato
indotto ad agire così per più di un motivo. La
sua intenzione principale sembra fosse quella
di spingere l‟impresa di Clèment-Bayard ad
acquistare il suo terreno, ma egli intendeva
anche, se necessario a questo fine, danneggiare
i loro dirigibili. Fu ritenuta essere la
volontà di infliggere un danno il motivo
dominante. Il convenuto non poteva dunque
difendersi dietro il fatto che anche se uno dei
motivi era stato di arrecare un danno, l‟altro
non lo era.
Sembra fuori da ogni dubbio che da qui in
avanti le corti francesi avrebbero represso
qualsiasi uso molesto del diritto di proprietà.
Il principio dell‟abuso del diritto, non si
limita al solo diritto di proprietà, è stato
esteso ad un‟area ben più ampia.
Nella presente trattazione ci occuperemo di
esaminare l‟istituto dell‟abuso del diritto e
5
Amiens, 7 febbraio, 1912, D.P. III.1913.2.177.
6
Cassazione, 3 agosto, 1915, D.P.III.1917.1.79.
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la sua evoluzione. Nella prima parte verrà
affrontata la questione terminologica, ossia i
problemi che la definizione “abuso del
diritto”, apparentemente contradditoria, ha
suscitato in dottrina. Utilizzando il
criticismo di Planiol per fare chiarezza su
questo concetto, saranno in seguito messi in
rilievo i diversi criteri adottati per
individuare i casi in cui l‟esercizio di un
diritto può essere ritenuto dalle corti abusivo
e quindi limitato. Nella seconda parte vedremo
da vicino le soluzioni elaborate nei sistemi di
civil law, prendendo in considerazioni quelle
in cui l‟abuso ha raccolto maggiori consensi in
dottrina ed ha trovato un enunciazione
esplicita o implicita all‟interno dei codici.
La nostra attenzione si concentrerà sulla
normativa francese, tedesca, svizzera, italiana
e quella adottata dai codici della Russia
sovietica e poi federale.
La terza parte ha invece ad oggetto l‟evolversi
del concetto di abuso nelle giurisdizioni di
common law. In queste l‟abuso del diritto non
era in principio considerato se non nell‟ambito
del diritto comparato. A lungo vi furono
discussioni che videro nel malice un
equivalente dell‟abuso del diritto e in
proposito sarà utile l‟analisi della
letteratura dei giuristi di common law di
inizio „900 che di fronte alle decisioni
adottate dai loro colleghi delle corti francesi
si interrogavano se il motivo alla base
dell‟agire potesse rendere illecito l‟uso di un
diritto altrimenti lecito. Gutteridge, verso la
fine degli anni ‟30 ammoniva i giuristi inglesi
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della necessità di studiare e in qualche modo
far proprio questo istituto, in quanto con
l‟intensificarsi delle relazioni
internazionali, sarebbero stati presto o tardi
chiamati a confrontarsi con esso. Queste
previsioni si sono rivelate più che fondate e
difatti, come vedremo nell‟ultima parte della
trattazione, le stesse corti inglesi hanno
ravvisato la presenza dell‟abuso del diritto in
materia fiscale, là dove alcune società avevano
messo appunto degli artifici giuridici per
ottenere dei vantaggi fiscali non dovuti. La
CGE ha in questi casi dato ragione ai giudici
inglesi, restituendo attualità e importanza a
quello che sembrava un istituto destinato
all‟oblio, il quale ha nello specifico
sicuramente fornito un potente strumento per la
lotta all‟evasione fiscale.
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I. Sulla nozione di abuso
1. La questione terminologica
I termini abuso del diritto o uso abusivo del
diritto sembrano essere contraddittori,
mancando ogni chiaro e definibile significato.
Planiol pensava che non avesse affatto un
significato razionale; è stato molto critico
riguardo al suo uso da parte dei giuristi. Egli
in proposito dice: ”Questa nuova dottrina si
adagia interamente su una fraseologia
insufficientemente studiata: la sua formula,
uso abusivo del diritto, è una logomachia; per
essa, se uso un diritto, il mio atto è
legittimo; e quando è illegittimo è perchè ho
ecceduto i limiti del mio diritto e agito
quindi senza diritto, injuria, così come lo
chiama la Lex Aquilia. Rifiutare l‟uso abusivo
del diritto non è un tentativo di far passare
come ammissibili i vari e diversi generi di
atti causanti un danno che sono stati repressi
dalla giurisprudenza; e solo per fare
l‟osservazione che ogni atto abusivo, per il
semplice fatto dell‟essere illegittimo, non
costituisce l‟esercizio di un diritto, e che
l‟abuso del diritto non costituisce una
categoria giuridica distinta dagli atti
illegittimi. Non dobbiamo ingannarci con le
parole: il diritto cessa dove comincia l’abuso,
e non può esserci un uso abusivo di alcun
diritto, per l‟irrifiutabile ragione che lo
stesso atto non può essere allo stesso tempo
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conforme alla legge e contrario alla
stessa...”
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Ciononostante, Planiol, si affretta a
sottolineare che non sta muovendo queste
critiche per il riconoscimento dei diritti
assoluti. Egli ritiene che le parole dovrebbero
essere usate propriamente e ciò non avviene
nell‟impiego di questa formula. L‟essenza del
problema ci dice essere: “in sostanza, tutti
concordano, che la differenza sta nel fatto
che là dove alcuni dicono vi sia un abuso del
diritto, altri dicono che un atto ha avuto
luogo senza diritto. Essi difendono un idea
giusta con una formula falsa.” E aggiunge: “La
sola cosa vera e per certi aspetti nuova (ed è
davvero tale?) che se ne ricava da queste
discussioni è che vi è una considerevole e
continua variazione nelle idee formulate a
riguardo dell‟estensione dei diritti. Il
diritto che in passato era considerato assoluto
ha cessato di essere tale, ed altri (diritti)
soggetti a poche restrizioni sono stati resi
soggetti a molte altre.”
E‟ condivisibile sotto diversi aspetti
l‟affermazione che la dottrina è stata definita
in maniera imprecisa. Altresì non può farsi
riguardo l‟affermazione che essa è “basata
interamente su uno studio insufficiente della
lingua.” E‟ discutibile invece il dire che un
“atto abusivo” sia un “atto illecito”,
intendendo quest‟ultimo nel suo significato
7
Planiol, Traitè Élèmentantaire de Droit Civil, 1839, in Walton, Motive as an
element in torts in the common and in the civil law, HeinOnLine, 22 Harv. L. Rev.
501 1908-1909, p.503
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tradizionale (atto contrario alla legge, dove
dei danni sono causati a terze parti).
Sembra che Planiol sollevi delle questioni
che vanno al di là del livello semantico.
Questo verrà considerato in seguito alla
presente discussione sull‟adeguatezza delle
parole comunemente usate per nominare questa
dottrina.
Una delle funzioni delle parole è di fare
riferimento, nominare o alludere ad un oggetto
specifico. Esse possono adempiere a questo
compito con un grado soddisfacente di chiarezza
e precisione, o possono essere troppo vaghe o
troppo ambigue.
Gli avvocati e i giudici necessitavano di un
espressione per riferirsi alla situazione sorta
nella metà del XIX secolo, quando la Corti di
Colmar e Lione decisero che ai proprietari di
un fondo non era consentito esercitare i loro
diritti di proprietà se facendo ciò veniva di
proposito danneggiato un vicino. Forse
avrebbero potuto usare qualche espressione
tradizionale del Diritto Romano come “malitiis
non indulgendum” o “si modo non hoc animo
fecit, ut tibi noceat, sed ne sibi noceat”, ma
le espressioni latine non sono generalmente
molto popolari, nemmeno tra i giuristi.
“Abuso del diritto” o “uso abusivo del
diritto”, se le consideriamo da un punto di
vista puramente logico, possono sembrare
espressioni che si autocontraddicono. Ma
d‟altro lato, hanno adempiuto bene alla loro
funzione referenziale. Ogni volta che il
lettore le vede, sa esattamente a quale
fenomeno giuridico si riferiscono, ossia gli