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un’ipotesi particolare di usufrutto c. d. giudiziale, perché, pur
trovando i suoi presupposti nella legge, e in questo senso è anche
legale, esso viene costituito con un provvedimento del giudice. Il 2°
co. art. 194 costituisce una deroga all’art. 210, 3° co. c. c.
2
La norma,
infatti, dispone che non sono derogabili le norme della comunione
legale relative (….) all’uguaglianza delle quote. Nel progetto di legge
originariamente approvato alla Camera ( art. 72 del Testo di legge
approvato il 1° Dicembre 1971 alla Camera dei Deputati ) si
prevedeva che in sede di divisione della comunione il coniuge che
avesse contribuito in misura superiore all’altro nella formazione del
patrimonio comune potesse chiedere al Tribunale di procedere alla
divisione secondo criteri diversi da quelli previsti dalla divisione in
parti uguali del patrimonio. Il giudice doveva tener conto dell’attività
casalinga e del contributo nell’educazione dei figli, formando,
pertanto, quote differenti. Ma la quota non poteva essere inferiore ad
un quarto del patrimonio, e nell’ultimo comma era previsto la
persone e della famiglia, Commentario cod. civ., I, t.I, p.III, Torino 1983, p. 319; F. Mastropaolo
– P. Pitter, Del regime patrimoniale della famiglia, in Comm. del diritto italiano della
famiglia,diretto da G. Cian, G. Oppo, A. Trabucchi, III, 1992, p. 372; A. e M. Finocchiaro,
Diritto di famiglia., I, p. I, Milano 1984, p. 1183; C. M. Bianca, Diritto civile 6, La proprietà ,
Milano 1999, p. 623; A. Galasso – M. Tamburello, Della comunione legale, in Commentario
cod. civ., A. Scialoja – G. Branca, t. I, Roma 1999, p. 755.
2
P. Pennisi, Il C.D. Usufrutto Giudiziale, in Riv. dir. civ., 1997,II, p. 689.
3
costituzione dell’usufrutto legale su parte dei beni spettanti all’altro
coniuge, per far fronte alle necessità e all’affidamento della prole
3
.
Con il progetto Falcucci ( art. 48 ) presentato al Senato, nel corso
della V legislatura, invece, fu stabilita l’inderogabilità di legge della
parità delle quote, la quale regola fu rafforzata dal divieto espresso di
qualunque patto ad essa contrario; tuttavia era prevista una deroga
relativa ai casi di scioglimento conseguente a separazione con
affidamento dei figli a uno solo dei coniugi .
4
Le finalità perseguite
erano quelle di conciliare un’ equa divisione del patrimonio con la
necessità della tutela della prole in per realizzare in maniera
soddisfacente e sicura il diritto al mantenimento spettante nei
confronti del genitore affidatario.
5
La deroga al principio della parità delle quote è consentita proprio in
presenza di un affidamento dei figli, al fine di provvedere alle loro
necessità. Trattandosi di un provvedimento che va ad incidere
3
V. art. 72 del Progetto Unificato predisposto dal Comitato ristretto della Commissione Giustizia
della Camera , approvato nella seduta del 1 dicembre 1971, in Commentario alla rif. dir. fam.
diretto da L. Carraro – G. Oppo – A. Trabucchi, t. II, Padova 1976, p. 422.
4
V. art 48 del disegno di legge della Sen F. Falcucci, presentato presso il Senato, V Legisl., in
Commentario rif. dir. fam., a cura di L. Carraro- G. Oppo - A. Trabucchi, t. II, Padova, 1976, p.
477.
5
A. Lepre, Profili problematici dell’usufrutto giudiziale art. 194, comma 2, in Dir. Fam. Pers.,
Milano 1995, p. 493; T. De Fusco, in nota a Trib. Min. Roma , 25 giugno 1984, in Nuova giur.
civ. comm., 1985, I, p. 260.
4
notevolmente sul patrimonio di uno dei coniugi, è fondamentale
comprendere in presenza di quali presupposti esso possa essere
adottato e quale sia la ratio dell’istituto. La dottrina prevalente ritiene
che i presupposti in base ai quali può applicarsi l’usufrutto in
questione sono: 1) la circostanza che i coniugi siano stati soggetti in
costanza di matrimonio al regime della comunione legale, 2) che
l’usufrutto cada sui beni facenti parte della comunione, 3) che si sia
verificata non solo una causa di scioglimento della comunione, ma
che da essa derivi la cessazione della convivenza, la quale a sua volta
può dipendere dall’annullamento del matrimonio, dalla separazione
personale dei coniugi o dalla cessazione del vincolo coniugale a
seguito di sentenza di divorzio, 4) l’affidamento dei figli ad uno dei
coniugi.
6
Per quanto riguarda la ratio dell’istituto, la tesi prevalente ritiene che
consista nell’assicurare l’adempimento dell’obbligo di mantenimento
dei figli. Nei casi di separazione personale dei coniugi, annullamento
e divorzio, si ha lo scioglimento della comunione e il venir meno della
convivenza, di conseguenza emerge la necessità di provvedere, non
6
M. Finocchiaro, Osservazioni sull’art. 194 comma 2, in Giur. Mer., 1985, p. 1084.; A. Lepre,
Profili problematici dell’usufrutto giudiziale ex art. 194, comma 2, in Dir. fam. pers., 1995, p. 486.
5
solo all’affidamento dei figli ma anche al loro mantenimento in modo
di fornire maggior garanzie di soddisfazione dei loro interessi e nel
prevenire l’eventuale pregiudizio che ai figli può derivare dal
contenuto delle attribuzioni patrimoniali sancite in sede di divisione
della comunione legale. La possibilità di costituire questo particolare
diritto di usufrutto, inserita all’interno della disciplina della
comunione legale, costituisce una garanzia di adempimento
dell’obbligo di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli.
Infatti, il giudice può facilitare la soddisfazione di tal diritto
costituendo a carico del genitore non affidatario un diritto reale di
usufrutto, evitando così che si debba dipendere dalla buona volontà
del coniuge non affidatario, il quale altrimenti potrebbe rendersi
inadempiente costringendo l’altro coniuge a rivolgersi al giudice.
7
A questa interpretazione aderisce anche parte della giurisprudenza.
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7
G. Gabrielli, I rapporti patrimoniali tra i coniugi, Trieste, 1981, p. 179; L. Rubino, Particolarità
dello scioglimento nelle ipotesi di separazione personale,divorzio e annullamento del matrimonio,
in La comunione legale, C.M. Bianca, t. II, Milano 1989, p. 923; A. Lepre, Profili problematici
dell’usufrutto giudiziale ex art. 194, comma 2, in Dir. Fam. Pers., 1995, p. 492; M. Paladini, Lo
scioglimento della comunione legale e la divisione dei beni, in Il diritto di famiglia., Trattato dir.
priv., diretto da M. Bessone, IV, Torino 1999, p. 455.
8
Trib. Min. Roma, 25 giugno 1984, in Giur. It. 1985, I, 331; Trib. Lecce, 24 Marzo 1986, in
Fam. Pers, 1986, p. 396; Trib. Min. Catania, 29 giugno 1992, in Dir. Fam. Pers., 1992, p. 714.
secondo il quale « essendo la norma applicabile ogni qual volta si renda necessario per assicurare
alla prole minorenne ( ed al coniuge affidatario ) miglior condizioni morali, materiali e
psicologiche di vita, può esser istituito un diritto di usufrutto sulla quota dominicale ( indivisa )
spettante al marito, sulla casa di villeggiatura. »
6
Altra tesi, sostenuta dalla S. C.,
9
afferma che la norma in esame si
riferisce solo alla tutela dei figli minorenni e che la durata dell’istituto
è limitata al raggiungimento della maggiore età, in quanto
l’ordinamento prevede altri istituti a tutela della prole maggiorenne
per il loro mantenimento. Secondo la S. C., quindi, la ratio della
norma non si identifica con l’obbligo di mantenimento gravante sui
genitori; l’istituto in esame non è volto a realizzare e garantire
l’adempimento di tale obbligo in quanto il legislatore ha previsto altri
strumenti giuridici in materia di separazione o divorzio idonei a
soddisfare l’obbligo di mantenimento a carico del coniuge onerato. Lo
scopo, invece, è quello di garantire il corretto sviluppo armonico
della personalità, e quindi soddisfare i bisogni morali o materiali dei
figli minori attraverso la conservazione del godimento di determinati
beni idonei a soddisfare, appunto, tali bisogni. L’usufrutto, è
costituito su uno o più beni determinati di proprietà del coniuge
onerato, e in quanto, insito nel concetto di bene è la sua idoneità a
soddisfare un bisogno, ne deriva che il godimento di tale bene sia in
relazione con le necessità della prole. Tali necessità non sono intese in
9
Cass. 9 aprile 1994 n. 3350, in Fam. Dir., n. 4/1994, p. 406.
7
senso assoluto e generico, ma in senso relativo, cioè come particolare
bisogno che può esser soddisfatto solo attraverso la conservazione del
godimento di uno o più beni determinati ( tra tali beni è compresa la
casa familiare che costituisce una delle prime fondamentali necessità
per la normale evoluzione della personalità di un soggetto ). La tesi
esposta dalla S.C. è stata criticata perché, in questo modo si finisce
con l’esaurire la funzione dell’istituto sul piano degli interessi
meramente personali e non patrimoniali, come invece è risultante dal
collegamento con la divisione dei beni della comunione legale ma
anche dai lavori preparatori al Senato. Inoltre è stata rilevata una
contraddizione riportare l’operatività dell’istituto in esame ai casi di
scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi ed in presenza di
affidamento dei figli, se poi si afferma la sua estraneità alla
realizzazione concreta all’obbligo di mantenimento gravante sul
coniuge non affidatario.
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A. Lepre, Profili problematici dell’usufrutto giudiziale ex art. 194, comma 2, cit., p. 492; P.
Oddi, Durata dell’usufrutto giudiziale e interesse della prole, in Giur. it., 1985, I, I, p. 625.