Di seguito si procederà, in primo luogo, col delineare il quadro di
riferimento entro cui la ricerca sarà inserita.
Oggi, i mass media tendono a influenzare in misura sempre
maggiore le percezioni dell’opinione pubblica; per capire come e perché
ciò avvenga la prima parte di questo lavoro comincerà con l’occuparsi
del processo storico che ha portato alla formazione dell’attuale “sfera
pubblica mediatizzata”.
Dopo aver delineato l’ambito entro il quale si svolge la
comunicazione europea, al fine di porre le basi per l’analisi che verrà
affrontata nella terza parte, si passerà a vagliare l’esistenza di un’identità
comune nei Paesi membri, ci si occuperà anche del rapporto tra la
comunicazione dell’Unione e l’opinione pubblica europea e dei problemi
incontrati dalla comunicazione sull’Unione nei Paesi membri.
Nella seconda parte si parlerà delle logiche che guidano i media
nella selezione, elaborazione e messa in agenda delle tematiche e si
tratterà del rapporto che intercorre tra i mezzi di comunicazione italiani e
l’Europa. Questa parte fungerà da premessa a quella successiva.
Infine, la terza parte analizzerà la copertura giornalistica delle
tematiche europee effettuata da quattro riviste italiane (Panorama,
l’Espresso, Famiglia cristiana e Gente) nel periodo compreso tra ottobre
2003 e giugno 2004.
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Capitolo Primo
IL RUOLO DEI MEDIA NELLA COSTRUZIONE
DELLE IMMAGINI DELL’UE
1.1 La sfera pubblica europea
I media, come si avrà modo di spiegare successivamente, rivestono
un ruolo molto importante nella costruzione delle immagini dell’Unione
Europea in quanto attraverso la veicolazione delle informazioni
selezionate ed elaborate, riescono ad avere una grossa influenza
sull’opinione pubblica. Ma l’opinione pubblica cos’è? E come si lega
alla società civile? Esiste un’opinione pubblica europea?
Per rispondere a questi interrogativi, pare doveroso ripercorrere le
tappe storiche fondamentali della formazione e dell’evoluzione di questi
concetti, per giungere infine alla formazione dell’attuale sfera pubblica
europea. Questo excursus fungerà da cornice all’oggetto analizzato nella
ricerca.
Si comincerà partendo dalle origini della sfera pubblica.
Jurgen Habermas, il più illustre esponente della seconda
generazione della Teoria critica, ha scritto un libro molto importante al
fine di comprendere il forte legame che esiste tra società civile ed
opinione pubblica “Storia e critica dell’opinione pubblica (1962)”. Egli
attraverso la sua opera ci mostra la nascita di una sfera pubblica
all’interno delle democrazie liberali. Habermas afferma che l’opinione
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pubblica nasce alla fine del XVII secolo, con la comparsa dei primi
periodici, che impegnano la borghesia in discussioni libere ed aperte a
“tutti”. Il “borghese” inizia ad interagire, ed a ragionare nei salotti, nei
caffè e crea un “pubblico”. Nella società di fine 1600 iniziano a
circolare, ad essere letti e discussi i settimanali di argomento morale e le
prime riviste di critica, che permettono di venire a conoscenza degli
ultimi libri usciti, delle recenzioni di opere liriche, delle lettere e delle
arti di altri paesi e se ne discutono i progressi e le novità. La “sfera
pubblica letteraria” sfocia in una “sfera pubblica politica” nel momento
in cui le discussioni letterarie si allargano sui fatti della comunità, alla
sua gestione ed a tutti gli altri argomenti di carattere politico (Marini,
2003).
La sfera pubblica secondo Habermas è il teatro delle società
moderne, dove la partecipazione politica è determinata attraverso il
mezzo della parola. È uno spazio dove i cittadini discutono
pubblicamente in merito ad affari di interesse pubblico, creando ed
istituzionalizzando un’arena di interazione discorsiva (Calhoun, 1992).
Un elemento fondamentale del modello liberale proposto da
Habermas è la separazione tra il regno dell’autorità pubblica o stato, ed il
regno privato della società civile e delle relazioni personali. Nello spazio
di queste due categorie si costituisce la nuova sfera pubblica borghese,
che diventa il luogo in cui gli individui, attraverso il libero e razionale
confronto di idee, si emancipano. Il regno del privato è composto dalla
dimensione economica, ossia da tutti quei cittadini che entrano nel
mercato per cercare di realizzare i propri interessi. La sfera economica
pertanto non fa più parte del contesto familiare, in quanto avviene una
6
privatizzazione della vita familiare, la famiglia diventa la sfera intima
delle relazioni personali, un’istituzione del privato.
L’accesso alla sfera pubblica è libero, non c’è, dice Habermas,
nessun vincolo, si può entrare ed uscire liberamente, ci si associa
liberamente, si può esprimere la propria idea, c’è uno scambio di
opinioni che ne fa emergere una più ragionata (ragione pubblica).
Inoltre, nella sfera pubblica possono incontrarsi persone di una
diversa classe sociale, che interagiscono trattandosi come uguali,
accantonando le differenze di censo, cultura, ecc. lasciando spazio
solamente ai contenuti da far circolare. Andando avanti nel tempo però,
la sfera pubblica borghese inizia a svolgere un’attività di pressione nei
confronti dello Stato, si occupa sempre più di politica anche in
considerazione del fatto che lo Stato non è più rappresentativo di tutto e
non riesce ad occuparsi più della società. Si innesca così un processo di
privatizzazione dello Stato, ossia, la pressione esercitata dalla sfera
pubblica mira ad un’organizzazione del potere pubblico che ne
garantisca la subordinazione alle esigenze della sfera privata. Ogni
problema può essere oggetto di discorso pubblico, fatta eccezione per
quelli che riguardano il privato di una persona. È la sfera pubblica
discorsiva che divide, quindi, con una linea ciò che è pubblico da ciò che
è privato; tale linea è però flessibile perché, ci sono questioni della vita
privata che possono diventare pubbliche, se i partecipanti alla
discussione le giudicano d’interesse collettivo (Mazzoni, 2003).
I temi trattati cambiano nel tempo attraverso la discussione, ma la
differenza tra pubblico e privato è legata ad un concetto di sfera pubblica
radicalizzato sull’idea della protezione dell’individuo.
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Secondo la ricostruzione storica di Habermas, non appena però gli
Stati cominciano ad adottare un atteggiamento “interventista”,
assumendosi responsabilità sempre maggiori nella gestione del benessere
dei cittadini e le istituzioni private o semipubbliche, come ad esempio le
associazioni, i partiti, diventano titolari di competenze pubbliche, la
separazione tra stato e società civile si richiude.
Parallelamente, intorno al 1873, con la cartellizzazione delle
imprese e la concentrazione dei capitali le grandi imprese diventano
istituzioni (Habermas, 1977).
Con l’accumularsi del potere nella sfera privata si accentua la
tendenza degli strati economicamente più deboli ad opporsi allo
strapotere di coloro che erano in una posizione dominante sul mercato.
Sotto questa pressione si arriva all’introduzione del suffragio
universale, che costringe lo stato ad intervenire nella spera privata per
dirimere gli antagonismi economici ormai sfociati in una lotta di classe.
Lo Stato rientra così nella sfera privata da dove era stato cacciato,
ed i cittadini da liberi ed autonomi diventano dei “clienti” dello Stato, da
un pubblico che ragiona si passa ad un pubblico che consuma. Questo
processo, inoltre, si interrompe bruscamente non appena le associazioni e
i gruppi di pressione organizzati fanno la loro comparsa sulla scena
politica come attori capaci di imporsi. Nasce di conseguenza quella che
Habermas definisce “sfera quasi pubblica”, dove viene meno il
contributo delle coscienze individuali a favore della circolazione di
“opinioni quasi pubbliche”, escludendo così dal dibattito un gran numero
di cittadini. Infatti, anche se queste opinioni quasi pubbliche possono
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rivolgersi ad un largo pubblico, non riescono a soddisfare le condizioni
di un dibattito pubblico secondo il modello liberale.
D’ora in avanti la stampa periodica verrà trasformata in una
componente di un insieme di istituzioni mediali, organizzate in misura
sempre maggiore come imprese commerciali su larga scala. La “sfera
pubblica letteraria” viene così sostituita dall’ambito apparentemente
privato del consumo culturale dei mass media, che generano nel
consumatore la percezione di una privatezza borghese (Habermas, 1977).
Avviene una crescita dei media che si sostituisce progressivamente
ai gruppi della sfera pubblica, in quanto strumenti di socializzazione e di
discussione pubblica. Habermas evidenzia bene le conseguenze che
derivano da un tale scenario. La discussione dei singoli lascia il posto
alle attività di gruppo, che non hanno più la capacità e la forza che un
tempo garantiva la coesione dei contatti sociali come elemento
fondamentale della comunicazione pubblica. Fruendo dei nuovi media,
viene meno la comunicazione del pubblico culturalmente critico che
dipendeva dalla riflessione sulle letture effettuate nella sfera domestica
“privata”. Le attività del tempo libero di un pubblico di consumatori
culturali hanno luogo in un clima sociale dove la discussione si
formalizza: “le opposte posizioni sono vincolate al rispetto di ben
definite regole del gioco, il consenso sul contenuto è sempre più
superfluo rispetto a quello sul modo di discuterlo” (Habermas, 1977).
In sostanza, si può dire che la commercializzazione stravolge
l’essenza dei media, viene colpita mortalmente la discussione razionale
che caratterizza il modello liberale (Mancini, 2002). L’opinione pubblica
critica sprofonda nel falso mondo della creazione e/o manipolazione
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delle immagini e del controllo delle opinioni, assumendo
progressivamente la forma di un aggregato solamente “ricettivo”
(Mazzoni, 2003). Habermas la definisce “opinione pubblica ricettiva”
dicendo che i destinatari dei prodotti mediali sono consumatori passivi
che vengono incantati dagli spettacoli e sono facilmente manipolabili
dalle tecniche mediali.
Riassumendo quando detto, tutte le trasformazioni che sono state
descritte precedentemente danno vita a due modelli di sfera pubblica
“opinione quasi pubblica” e “opinione pubblica ricettiva”, che riportano
la società in epoca medioevale, quando la sfera pubblica era ridotta ad
una mera istanza rappresentativa.
La cultura odierna ha preferito un allargamento della diffusione, che
viene raggiunto attraverso l’adattamento alle esigenze di distrazione di
gruppi di consumatori con un livello culturale basso, anziché stimolare
ed educare il vasto pubblico ad una discussione critica. La
standardizzazione dei prodotti culturali garantisce la loro piena fruibilità,
cioè la possibilità di poter essere recepiti senza un grande sforzo
intellettivo.
Nell’ultimo secolo, gli strumenti della comunicazione di massa si
sono trasformati da semplici mezzi a complessi del potere sociale.
Quanto maggiore è il loro successo in ambito pubblico, tanto più essi
sono soggetti a pressioni da parte di interessi privati, sia individuali che
collettivi. Il mondo prodotto dai mass media è pubblico soltanto in
apparenza, tutto ruota intorno alle logiche del profitto, ai bisogni della
commercializzazione. Si sviluppa un modello comunicativo che cerca di
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trasformare in occasioni di conquista del pubblico gli avvenimenti e le
prassi routiniane della politica (Marini, 2003).
Le tecniche mediali odierne trasformano anche la politica in uno
spettacolo controllato, nel quale i leader politici e i partiti cercano di
ottenere il consenso di una popolazione che non crede più ad essa. La
spettacolarizzazione della politica alimenta la fama dei singoli individui
e la massa, che è esclusa dalla discussione pubblica e trattata come una
risorsa controllata, attraverso la quale i leader con l’aiuto dei media,
possono trarre il consenso necessario. Si viene quindi a creare una “sfera
pubblica manipolata”, il cui fine è quello di creare consenso su un
determinato argomento e/o comportamento, costruendo una falsa
coscienza nei consumatori, che si illudono di partecipare per formare
un’opinione pubblica veritiera. In realtà, invece, ci si trova di fronte ad
un consenso fabbricato che non ha niente in comune con l’opinione
pubblica. Dal momento che nelle scelte di consumo le imprese private
suggeriscono ai loro clienti la loro coscienza di cittadini, lo Stato deve
rivolgersi ai cittadini come consumatori (Habermas, 1977). I partiti
chiedono ad un pubblico mediatizzato una benevola passività e
trasformano tale consenso in pressione politica.
Nella nostra società, però, oltre ai partiti politici anche altri diversi
sistemi interagiscono e competono tra loro per assicurarsi una fetta di
visibilità e sostenere il loro punto di vista, a causa dei processi di
differenziazione sociale in atto. In questo contesto i media giocano un
ruolo molto importante che era sconosciuto fino a qualche anno fa; essi
avendo una capacità persuasoria molto alta riescono ad influenzare le
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decisioni in modo consistente, attraverso l’accoglimento di istanze e
divenendo i portavoce per alcune proposte, proteste ed interessi.
Il crescente bisogno di informazione e di comunicazione che
pervade la nostra società ha portato i mass media ad assumere la
fisionomia di sistema, si arriva così a parlare di “spazio pubblico
mediatizzato” (Habermas, 1996; Mazzoleni, 1998; Mancini, 2002).
I media non sono più dei semplici strumenti atti alla veicolazione
dei messaggi degli attori sociali dotati di capacità decisorie nei loro
confronti, ma si sono trasformati in soggetti capaci di influenzare
autonomamente altri soggetti sociali, compresi quelli che sono fonte dei
messaggi che essi trasmettono (Mancini, 2002). È avvenuta, secondo
McQuail (1983), una trasformazione dei media da canali a comunicatori.
Ciò viene ribadito anche da altri famosi studiosi, come Meyerowitz
(1985), che sottolinea come con i media elettronici si realizzi
effettivamente uno spazio pubblico allargato, che supera i confini ristretti
dell’interazione tra pochi eletti dell’epoca della stampa, facendo
partecipare anche le persone meno istruite alla vita politica.
I media vengono visti come anello di congiunzione tra il mondo
esterno e le rappresentazioni che la gente ha di esso.
La rappresentazione della realtà effettuata dai mass media viene
filtrata attraverso un processo di semplificazione, che traduce la
complessità del mondo reale in un complesso di stereotipi, i quali
evidenziano degli aspetti della realtà a discapito di altri, riducendo il
“nuovo” negli schemi del già etichettato (Lippmann, 1922).
È stato affrontato un lungo viaggio attraverso la sfera pubblica dalle
sue origini fino all’attuale spazio pubblico mediatizzato, al fine di capire
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in che modo oggi i mass media forniscono informazioni all’arena e
sull’arena europea, che si sta delineando ogni giorno sempre di più.
Si continuerà ora col dire che cosa si intende per “identità” e se ne
esiste una europea, per poi passare ad analizzare il rapporto tra la
comunicazione dell’Unione e l’opinione pubblica europea, si
evidenzieranno i problemi e le possibili soluzioni del processo
comunicativo dell’UE, ed infine si vedrà l’influenza che tale
comunicazione esercita sugli Stati membri.
1.1.1 L’identità europea
Che cos’è, quindi, l’identità di un gruppo? Essa si basa sull’insieme
di quegli elementi che caratterizzano le singole identità individuali
riguardanti la definizione del gruppo stesso. Queste possono essere
condivise da più individui, purchè i segmenti d’identità individuale non
condivisi non siano tali, per entità e rilievo, da rendere impossibile un
consistente idem sentire fra i membri del gruppo (Cerutti, 1996).
Gli elementi dell’identità devono essere percepiti come tali dagli
attori, perché identità vi sia. L’identità di gruppo è un’entità riflessiva:
un certo elemento è proprio dell’identità di un gruppo perché come tale
viene avvertito, cioè si riflette nella mente dei suoi membri. Oltre ad
essere riflessiva, l’identità di gruppo è composita e contiene anche un
elemento di intenzionalità. Nell’autoidentificarci, noi non pensiamo solo
quello che siamo di fatto e al presente, ma anche quello che vorremmo
essere in futuro (un popolo unito, nel 1848; una Nazione vittoriosa, nel
1915) (Cerutti, 1996).
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Con la nascita dell’UE si è cominciato a discutere di un sentimento
d’identità politica comune ai cittadini dei vari Paesi membri. Avere
un’identità politica non significa diventare tutti la stessa cosa o la stessa
anima, giacché l’identità non significa necessariamente la cancellazione
delle diversità. L’identità europea non è destinata a diventare la grande
omologatrice delle identità nazionali.
L’identità è un momento essenziale del processo politico (non solo
in Europa), perché non si può percepire nessun’entità politica come
legittima e democraticamente responsabile se i suoi cittadini non
condividono certi valori e principi e non sono consapevoli di
condividerli. Nessuna legge, nemmeno quella meglio concepita, può
avere vita se non vive nell’anima dei cittadini (Cerutti – Rudolph, 2002).
Che cosa s’intende per identità politica? Essa è l’insieme delle
immagini del mondo, dei valori e dei principi di essere “noi”. L’identità
deve essere sentita come tale in modo più o meno chiaro dai membri del
gruppo, i quali partecipano a conversazioni private e dibattiti pubblici
per accordarsi su come determinare quei valori e come modificarli
quando le circostanze mutino, richiedendo un mutamento di coscienza
(Cerutti – Rudolph, 2002).
L’identità ha, metaforicamente due aspetti: di specchio e muro.
Nelle forme normali di identità lo specchio precede il muro e lo rende
possibile; in quelle patologiche il muro sostituisce lo specchio. Con
identità-specchio s’intende una delle funzioni del riconoscersi: perché un
gruppo si percepisca come tale occorre che i suoi membri individuino
valori comuni e comuni finalità del vivere insieme e condividano certe
interpretazioni del proprio passato, recente o lontano. Valori, progetti,
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memoria, tradizioni, sono tutti elementi che, riflettendosi nelle menti,
danno senso allo stare insieme, aiutano a sopportare - entro dei limiti - i
costi, motivando continuamente la conferma dell’appartenenza (Cerutti,
1996).
L’identità di gruppo fondata sul riconoscimento della propria
immagine di sé e del senso della sua esistenza e continuità, fornisce
anche il muro che impedisce al gruppo di dissolversi.
Per parlare in senso proprio di identità occorre che i membri di un
gruppo, oltre ad avere scopi comuni, condividano anche un comune
destino, fatto di sfide rivolte a tutti e che tutti percepiscano nella stessa
maniera.
Il muro invece, prevale sullo specchio quando all’elaborazione di
un’immagine del proprio gruppo come ricco di valori credibili per tutti,
di memorie intessute di un senso realistico ed equilibrato della vita si
sostituisce l’idea che esso sia tutto definito dalla differenza-superiorità
sull’altro in base a valori particolaristici ed escludenti, giocati su simboli
tanto improbabili quanto inventati ad hoc (Cerutti, 1996).
I cittadini europei sentono di appartenere all’Europa? Per sentirsi
europei, occorre anzitutto che gli abitanti del vecchio continente nutrano
un sentimento elementare di appartenenza geografica all’Europa.
Al fine di rispondere a tale quesito, sono state condotte accurate
ricerche sull’argomento. L’ultimo sondaggio a cui di seguito si fa
riferimento è stato effettuato da Eurobarometro nella primavera del
1999. Non è stato possibile reperire dati più aggiornati in quanto, se su
questo argomento sono state eseguite altre rilevazioni non sono ancora
state rese pubbliche.
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