5
Introduzione
6
Premessa.
Alla luce dei vari movimenti geopolitici contemporanei, per comprendere la
valutazione attuale dell‟ Iran come “Stato Canaglia” e pericolo occidentale ( e quindi
mondiale) bisogna tornare molto indietro nel tempo e cercare di capire come sia stata
possibile una tale costruzione; c‟ è da analizzare innanzitutto una determinata visione
del Medio Oriente in generale che si è strutturata nei vari secoli e che ha plasmato l‟
idea che oggi si ha di quella che viene definita come la cerniera tra mondo arabo e
mondo asiatico, pur non appartenendo a nessuno dei due
1
. Non è facile capire come
si è passati dal considerare l‟ Iran – una volta Persia - una terra magica, incantata, da
fiabe come “Mille e una notte”, tappeti volanti e harem, all‟ Iran terroristico, sotto
dittatura teocratica, polveriera mediorientale. Un‟ estremizzazione frutto di una storia
lunghissima influenzata senza dubbio da vari autori e politici che hanno dipinto il
quadro che conosciamo oggi: la strada da battere è molto lunga e ricca di spunti, con
una letteratura che spazia nei secoli che va dal periodo persiano a quella che Samuel
P. Huntington ha definito “Clash of Civilization”, dall‟ “Orientalismo” di Edward
Said all‟ amministrazione americana di Bush, fino alla stagione attuale sotto la
presidenza Ahmadinejad; in questo caso però cercherò di restringere il campo ai
punti più salienti, senza dimenticare però di introdurre un quadro più generale dell‟
area ai fini della comprensione.
Per questo l‟ argomento della prima parte (Cap.1) sarà rivolto innanzitutto
alla valutazione di quelle tematiche generali dell‟ intero sistema mediorientale che
hanno permesso di portarlo al centro del pensiero occidentale, toccando solamente
alcuni dei momenti fondamentali percorsi dall‟ orientalismo come dottrina come la
conosciamo oggi che hanno causato una frattura così marcata senza dilungarsi troppo
anche se l‟ argomento lo richiederebbe, trasformando la letteratura in tutte le sue
forme (fiabe, letteratura di viaggio, diari, teorie inconsistenti) in uno strumento di
politica e colonialismo. La strada maestra sarà tracciata dall‟ opera maggiore di
Edward Said, ―Orientalismo‖, e da qui poi mi allontanerò per esaminare anche altri
aspetti molto più attuali di quella che viene definita come ―il grande malinteso‖, tra
cui la propaganda – e diffamazione orientale – proveniente da Hollywood con alcuni
1
Pier Luigi Petrillo, Iran, Il Mulino, 2008
7
modelli classici, ma anche alcuni esempi di letteratura antica e persino religiosa. Un
ultimo paragrafo sarà dedicato infine ad un focus sulla visione italiana dell‟ Iran.
La seconda parte della tesi (Cap.2) rappresenta invece una lente d‟
ingrandimento sullo stato iraniano, introducendo prima il contesto storico
antecedente i fatti di fine anni ‟70 per poi arrivare a descrivere e scarnificare ogni
dettaglio storiografico, politico e sociologico della rivoluzione del ‟79, della
successiva guerra che ha visto l‟ Iran contrapporsi allo stato iracheno per la
supremazia geo-strategica dell‟ area, fino all‟ analisi del Taccuino Persiano di
Michel Foucault e la graphic novel Persepolis di Marjane Satrapi che descrivono in
modi diversi l‟ iniziale entusiasmo occidentale per la rivoluzione popolare – il primo
- ed il punto di vista interno nella trasformazione in tempo reale della società iraniana
durante la stessa stagione politica – il secondo.
La terza parte (Cap.3) sposterà l‟ attenzione soprattutto sulla visione
occidentale dello stato iraniano, focalizzandoci in particolare sulla dottrina del Rogue
State sponsorizzata dall‟ amministrazione Bush. In più, attraverso un‟ analisi
sociologica approfondita di alcuni discorsi del Presidente, esaminerò il processo
semiotico dell‟ utilizzazione spasmodica di determinati termini che avevano il
compito di giustificare di fronte al pubblico la cosiddetta global war on terror, e che
hanno aperto definitivamente la strada alla considerazione attuale dell‟ Iran – in cui l‟
ideale Neocon made in Usa ha giocato un ruolo prioritario fino ai nostri giorni - per
poi raccontare il ruolo controverso del PNAC nelle sue sfaccettature discutibili; un
paragrafo a parte sarà dedicato poi alla valutazione del rischio corso di un ulteriore
intervento americano nell‟ area, nello specifico proprio in Iran. Qui, a distanza ormai
di qualche anno dalla conclusione della presidenza Bush, grazie ad una serie di
documenti, traccerò un quadro esplicativo di quanto si fosse arrivati vicino a quella
che sarebbe potuta essere la III guerra mondiale, e soprattutto come l‟
amministrazione stesse preparando il terreno all‟ attacco influenzando l‟ opinione
pubblica sulla malvagità del nemico Iran.
La quarta ed ultima parte (Cap.4) invece, punta il dito sul modo di affrontare
alcuni punti cardine tra Stati Uniti d‟ America e Iran che hanno spostato il baricentro
delle relazioni tra i due paesi negli anni, tra cui la pena di morte – con il caso Sakineh
in primo piano perché il più attuale ed il più mediatico degli ultimi anni, rispetto
invece al silenzio pubblico delle esecuzioni compiute negli stessi Usa per esempio –
8
e soprattutto la questione nucleare che è al centro del dibattito tra i due paesi per vari
motivi fin dagli anni ‟50 – e che oggi si è ancora più estremizzato: aspirando sempre
a mantenere un certo distacco oggettivo, alla fine del capitolo cercherò di arrivare a
comprendere se, nonostante l‟ abisso che intercorre tra Usa e Iran in ambito culturale,
economico, sociale e politico, siano presenti anche dei potenziali punti di contatto, se
non addirittura analogie.
9
Introduzione sociologica: la costruzione del nemico.
Introducendo il teorema di W. I. Thomas (1928),
―se gli uomini definiscono reali le situazioni, allora esse
saranno reali nelle conseguenze
2
‖:
tradotto significa che la società, le interazioni e le situazioni sono centrali nella
creazione della realtà e nelle conseguenze che ne vengono tratte.
Da qui, estendendone il campo, ne deriva che l‟ immagine che ci siamo fatti oggi
degli orientali in generale – e dell‟ Iran in particolare - dipende sostanzialmente da
tutta una serie di idee costruite con il passare dei secoli, talmente radicate da essere
considerate ormai come vere. Con le parole di Edwin Lemert:
―Gli altri per lo più fungono da istigatori che,
intenzionalmente o meno, degradano, screditano o
invadono la privacy del deviante. Quando questi altri sono
agenti di gruppi, le loro scelte o azioni vengono ricondotte
a pregiudizi che ricordano da vicino le rappresentazioni
collettive di Durkheim e accrescono le caratteristiche di
solidarietà dei gruppi di fronte ai quali i devianti si
pongono come outsiders
3
.‖
Lo stereotipo infatti permette di avere una visione precostituita di quella parte del
mondo, comoda in quanto si basa su pochi punti essenziali e su caratteristiche
minime semplificate. Allo stesso tempo, all‟ opposto, risulta essere un compito molto
arduo quello di abbandonarlo, visto che implicherebbe l‟ alterazione dell‟ intera
concezione dell‟ altro mondo distruggendo l‟ immagine dalle fondamenta.
Nel suo libro ormai classico, “L’ opinione pubblica” (1922), Walter
Lippmann comincia con lo stabilire una distinzione tra il mondo esteriore e le
immagini del nostro cervello; spiega che lo stereotipo risponde ai nostri bisogni e ci
aiuta a difendere i nostri pregiudizi dotando la nostra esperienza quotidiana,
2
R. Collins, Teorie Sociologiche, Il Mulino, 2006 (pag.270)
3
Bianca Barbero Avanzini, Devianza e Controllo Sociale, Franco Angeli, 2003 (pag. 133)
10
turbolenta e disordinata, di logica e di precisione prima che gli pseudoeventi abbiano
raggiunto il loro culmine.
4
Non bisogna sottovalutare il legame che si riscontra tra il concetto di stereotipo ed il
discorso coloniale, in relazione a dinamiche che vanno dal potere all‟ inconscio, fino
al desiderio. Già Frantz Fanon, associando il pregiudizio al campo dell‟ affettività,
lo considera una vera e propria forma d‟ odio: riprendendo questo concetto, nel suo
“I Luoghi della Cultura” Homi Bhabha afferma quindi che l‟ interrelazione degli
stereotipi produce il cosiddetto discorso coloniale, cioè una serie di elementi fissi che
creano il soggetto colonizzato, popolazione composta da tipi degenerati, ed il
soggetto colonizzatore, giustificato alla conquista e a fondare dei sistemi di
amministrazione ed istruzione
5
. Buona parte di quella letteratura che viene definita
orientalista, e che tenderò ad analizzare scorrendo vari autori che possono essere
definiti come i padri fondatori di questo genere, hanno creato – molti di questi invece
sono stati utilizzati per fini politici per una sorta di confutazione – lo stereotipo del
differente come sinonimo di pericoloso.
Scorrendo poi nella vastissima letteratura a disposizione, mi viene alla mente
per esempio William Shakespeare quando nella sua opera “Antonio e Cleopatra‖ ad
un certo punto afferma che col tempo finiamo per odiare ciò che spesso temiamo;
non a caso infatti, spesso chi si odia viene definito come “Altro”, lo straniero che
parla in modo diverso, che ha una cultura diversa, che sembra fisicamente diverso,
che ha un odore diverso, tutto ciò che non conosciamo bene e non è omogeneo alla
nostra visione. In alcune tappe dell‟ evoluzione della società umana, il modo in cui
percepiamo e definiamo l‟ Altro si modifica in relazione al cambiamento della
percezione che abbiamo di noi stessi e del gruppo a cui apparteniamo: è proprio
questo il punto focale del primo capitolo, quello cioè di rimarcare l‟ evoluzione del
pensiero occidentale nei confronti degli orientali che può servire sia a comprendere
gli stessi europei, sia il modo di rapportarsi con qualcosa di differente. Dopo un
sguardo generale, sposterò l‟ attenzione più nello specifico verso l‟ Iran e la
trasformazione dell‟ atteggiamento occidentale – prima europeo, poi americano –
come confutazione del complesso sistema di pregiudizi acquisiti: prima affrontando,
4
Walter Lippman, L’ opinione pubblica, Donzelli, 2004
5
Homi k. Bhabha, I luoghi della cultura, Meltemi, 2001 (pag.103)
11
dal punto di vista distante ma non disinteressato degli occidentali, vari eventi
significativi della storia mondiale a cavallo tra gli anni ‟70 e gli anni ‟80 con
epicentro proprio nella regione iraniana e che hanno modificato fortemente il sistema
internazionale di alleanze in una regione così delicata, poi con la radicalizzazione
avvenuta dopo l‟ 11/9 con l‟ idea dell‟ Axis of Evil e lo stesso Iran quale Rogue State.
Infine, l‟ analisi di alcuni punti critici dei rapporti internazionali come possono essere
la pena di morte e soprattutto la questione nucleare.
13
CAP. 1
14
Uno Sguardo Generale: il Medio Oriente Immaginato
Osservando bene come si è arrivati ad inquadrare l‟ Iran attuale come uno dei
pericoli principali del nuovo millennio, non basta certo analizzare le attuali decisioni
geo-strategiche del governo Ahmadinejad (per quanto alcune di esse possano essere
ritenute molto discutibili), ma bisogna risalire alla radice e capire come sia stato
possibile assumere per verità una determinata raffigurazione; naturalmente la
questione riguarda prima di tutto l‟ intera area mediorientale, trasformata in categoria
generale che aggrega culture e paesi totalmente diversi e lontani - dall‟ Egitto all‟
Iran, dalla Turchia all‟ Arabia Saudita - che è stata vittima nei secoli di quello che il
teorico Edward W. Said definì come Orientalismo. In questo capitolo il mio sforzo
sarà teso a sottolineare per lo più le rappresentazioni stereotipate e standardizzate a
senso unico che sono arrivate fino a noi - sebbene esistano nei secoli molti altri autori
fuori da questo schema ideologico - per cercare di comprendere il motivo che sta alla
base del tema molto più generale di scontro tra Oriente ed Occidente. Lo sguardo
naturalmente deve essere esteso molto indietro nel tempo, almeno per stabilire come
si sia generata una tale incomprensione che col passare dei secoli si è sempre più
radicalizzata per arrivare a quella che conosciamo oggi.
―Perché ci odiano?‖: sembra essere la domanda più rilevante che si pongono
sia da una parte che dall‟ altra del globo, senza distinzione. L‟ errore più grave e
semplicistico è però quello di far risalire la frattura ai fatti dell‟ 11/9; dopo gli
attacchi infatti molti autorevoli esperti storici e politici hanno cercato di far risalire la
nascita del rancore dei musulmani per l‟ Occidente alla recente politica estera
americana oppure, più indietro, alla spartizione del Medio Oriente da parte delle
potenze europee come se fosse un bottino, per arrivare fino all‟ epoca delle crociate.
Tutto ciò a mio avviso può essere vero, ma solo in parte, in quanto si tratta di eventi
che hanno segnato la storia tra Oriente ed Occidente: quello che può essere utile
però, è un percorso storico-politico a ritroso per cercare di arrivare al vero punto di
partenza.
15
L’ Oriente come “alter”.
Prima di affrontare il tema in modo specifico, è bene inquadrare al meglio la
distinzione che ha portato ad una contrapposizione così duratura - ed attuale – tra
Oriente ed Occidente.
Bertrand Badie considera l‟ Occidente come un termine non geografico che
definisce una civiltà: dall‟ epoca classica in poi il concetto ha iniziato a trasformarsi,
divenendo un sostantivo che indica un insieme umano di relazioni, tradizioni e
comportamenti che va dall‟ eredità greca, romana e cristiana, al pensiero filosofico
sulla natura e l'individuo generato dall' Illuminismo, allo sviluppo incontrastato delle
tecnologie e delle scienze unite alle dinamiche sociali prodotte dal capitalismo e
dall'industrializzazione, per arrivare a quello che oggi viene definita come modernità:
tale tesi è quella sostenuta anche da Samuel P. Huntington, autore del saggio “Lo
scontro di civiltà” nel quale riconosce che
―il termine occidente ha inoltre generato il concetto di
occidentalizzazione, promuovendo un'ingannevole
sinonimia tra occidentalizzazione e modernizzazione
6
."
E l‟ Oriente? Edward Said afferma che
―l’Oriente oggettivo non è mai esistito, in quanto pura
astrazione mentale;‖
questo infatti è sempre stato caratterizzato come antagonista all‟ Occidente stesso,
tutto ciò che non è.
In sostanza, invece di obiettività si è sempre fatto uso di una definizione di contrasto
che lo ha trasformato in un oggetto di osservazione e di studio da comparare ad altro.
Ciò lo ha reso quindi come una cavia da laboratorio, da analizzare e cercare di
interpretare in ogni dettaglio dietro tentativi di definizione secondo le proprie
strutture di conoscenza: naturalmente il tutto ha prodotto una rappresentazione
distorta dell‟ Oriente, che ha influenzato il modo di studiarlo e di percepirlo.
Uno dei testi critici più interessanti in questo ambito è l‟ analisi di Georges
Corm, “Oriente Occidente. Il Mito di una Frattura” nel quale l‟ autore si impegna a
6
Samuel Huntington, Lo Scontro delle Civilizzazioni e il Nuovo Ordine Mondiale,
Garzanti, 1997 (pagg. 54 - 55)
16
confutare la tesi di una frattura del mondo in due porzioni, partendo dalla
considerazione che una concezione di Occidente nel senso geografico ed
antropologico del termine non esista più, vista la realizzazione dell‟
occidentalizzazione del mondo compiuta dalla cultura europea, definita
“globalizzazione”; partendo da questo fatto, lo stesso Corm passa poi ad osteggiare
quello che chiama il discorso narcisistico dell’ Occidente su se stesso, ovvero la sua
eccezionalità ineguagliabile in tutta la storia dell‟ umanità che, oltre ad alimentare
ostilità. non consente di comprendere il reale susseguirsi degli eventi
7
. Per questo la
contrapposizione civiltà in Occidente/barbarie in Oriente limita senza dubbio la
comprensione del mondo e la sua evoluzione.
Ed è proprio qui che si introduce il concetto di orientalismo come l‟ insieme di
discipline che, nate da esigenze imperiali ed imperialistiche, studiano la letteratura, i
costumi e la storia dei popoli orientali: uno stile di pensiero che si fonda su una
distinzione ontologica ed epistemologica tra Oriente ed Occidente, laddove il
secondo è il polo giudicante. Tale forma di sapere stereotipato avrebbe prodotto poi
nei secoli dei meccanismi di potere in grado di garantire all‟ Occidente il controllo e
l‟ influenza sull‟ altra parte: proprio su questo punto non si può non menzionare l‟
analisi della relazione tra i suddetti due termini – sapere e potere – fatta da Michel
Foucault: per il filosofo i due concetti sono legati indissolubilmente, poiché l‟
esercizio del potere - quello definito impersonale, che opera attraverso meccanismi
anonimi in ogni angolo della società - genera nuove forme di sapere, e di
conseguenza ciò porta sempre con sé alcuni effetti del potere:
―Ogni società ha il suo proprio ordine della verità, la sua
politica generale della verità: essa accetta cioè determinati
discorsi, che fa funzionare come veri.‖
L‟ analisi che ne fa Foucault è un‟ analisi che parte dal basso, che considera cioè ciò
che si nasconde sotto la superficie dei fenomeni a livello quotidiano, che generano
effetti nella società e nella cultura: come già aveva anticipato anche Nietzsche,
sapere e scienza sono vere e proprie forme di dominio che si condizionano a vicenda,
7
G. Corm, Oriente Occidente. Il Mito di una Frattura, Vallecchi, 2003 (pag. 41)
17
mentre l‟ uomo sbaglia nel credere di essere il padrone dei propri atti cognitivi e
linguistici perché in realtà questi non sono il risultato delle azioni coscienti
8
.
Si può dire con quasi certezza che la teoria di Foucault sul rapporto tra sapere
e potere arrivi a spiegare a grandi linee la costruzione di una tale deviazione dei
rapporti tra le due parti del mondo in oggetto, che ha visto un‟ imponente mole di
documentazione messa appunto dagli europei a descrizione dell‟ altro e che invece al
contrario è abbastanza carente per una fortissima tradizione orale - la conseguenza di
ciò è stata quindi una rappresentazione incompleta e limitata che ha portato col
tempo all‟ attuale estremizzazione.
Ma se si torna più indietro nel tempo, si scopre che il primo vero autore che si
pose la domanda sul perché Oriente ed Occidente (allora erano ancora battezzati
come Est e Ovest) trovavano tanto difficile vivere in pace fu Erodoto, il “padre della
storia”: è il V secolo a.C. ed a prima vista, la risposta che ne diede fu che per gli
asiatici l‟ Europa era un luogo irrimediabilmente alieno:
―Da allora e per sempre i Persiani avrebbero guardato con
ostilità a tutto ciò che è greco
9
.‖
Ma la causa di questa frattura, ammetteva l‟ autore, era un enigma, e se le origini del
conflitto tra Oriente ed Occidente sembravano perdersi nel mito non si poteva dire
altrettanto dei suoi effetti: i persiani furono infatti un popolo che dal 550 a.C. iniziò
una vasta espansione sotto la guida di re Ciro I il Vecchio prima e Cambise poi, che
li portò fino ai confini dell‟ Asia Minore con un impero che raggiunse anche l‟
Egitto, riunendo praticamente tutto il mondo antico
10
. Le imprese militari persiane
erano circondate da un‟ aura di invincibilità che rispecchiava la portata e la velocità
senza precedenti delle loro conquiste
11
. Con il successore Dario I, le mire
espansionistiche si spostarono fino ai territori di Grecia e Tracia subendo però una
pesante sconfitta nella battaglia di Maratona: ma è con la morte di Dario I, al quale
8
Per approfondimento, leggere: Michel Foucault, Sorvegliare e Punire, Einaudi, 2005 e Michel
Foucault, La Volontà di Sapere, Feltrinelli, 2009.
9
Erodoto, Storie, Libro I, Mondadori, 2000 (parag. 4)
10
Per approfondimento, cfr Appendice A
11
Tom Holland, Fuoco Persiano. Il Primo Grande Scontro tra Oriente ed Occidente, Il Saggiatore,
2005 (pag. 13)
18
successe il figlio Serse, che iniziò la fase di decadenza continua che si concluderà
con la definitiva sconfitta (circa il 330 a.C.) subita contro Alessandro Magno. Aldilà
dei fatti storici appena elencati in modo conciso, è evidente che la storia delle guerre
persiane sia divenuta il mito fondante della civiltà europea, quella che Tom Holland
definisce come
―l’ archetipo del trionfo della libertà sulla schiavitù e dell’
austera virtù civica sul dispotismo decadente.‖
Qui di seguito cercherò di spiegarne i motivi. Va detto innanzitutto che la grandezza
di Erodoto sta nel suo porsi in una prospettiva storica con una enorme apertura
mentale, nonostante alcune inesattezze “di parte”, utilizzando l'inchiesta e diffidando
degli incerti resoconti dei suoi predecessori: quindi la storia non è considerata dallo
storico come una semplice serie di avvenimenti che si susseguono nel tempo, bensì
come un insieme di fatti legati indissolubilmente tra loro da una fitta rete di rapporti
logici.
Al massimo della sua potenza e dello splendore, il ―Re dei Re‖
12
cercò di
invadere anche i territori della penisola greca, ma fu ripetutamente respinto dalle
popolazioni greche sotto la guida militare delle città di Sparta ed Atene: se fossero
stati assoggettati ad un sovrano straniero, gli ateniesi non avrebbero mai avuto l‟
opportunità di sviluppare la loro eccezionale cultura democratica, oltre al fatto che
molto di ciò che caratterizzava la civiltà greca non avrebbe nemmeno visto la luce
13
.
12
Il “Re dei Re” è l‟ appellativo con cui veniva indicato il re persiano; intorno alla sua figura venne
costruita una origine divina che ne amplificò maggiormente i suoi poteri assoluti; accanto al re, nella
gestione del potere erano presenti una serie di nobili famiglie persiane attraverso un consiglio di
funzionari di corte. Il punto forte dell‟ impero, suddiviso in province dette satrapie e governate da un
satrapo, era senza dubbio l‟ esercito composto da circa 10000 persiani detti “immortali”,
perfettamente addestrati a cavallo, al tiro con l‟ arco e al combattimento corpo a corpo. Ogni satrapia
era costretta a fornire gratuitamente al sovrano uomini e mezzi; a loro vantaggio, ogni provincia
manteneva la propria autonomia amministrativa, religiosa e giuridica. Un sistema di spie poi, dette “le
orecchie del re”, lo teneva informato sui tumulti popolari o sulle congiure locali. Tra le altre novità
dell‟ impero, va sottolineata soprattutto una imponente rete stradale, la prima della storia, per
agevolare il controllo militare e velocizzare gli spostamenti dell‟ esercito in un impero vastissimo: tra
queste, la più importante era la cosiddetta Via Reale di 2683 km che collegava l‟ Asia al
Mediterraneo. Storicamente poi i Persiani furono i primi a tagliare l‟ istmo di Suez per collegare il
Mediterraneo al Mar Rosso; pochi secoli dopo, a causa della scarsa manutenzione il canale si occluse
fino al nuovo progetto del XIX secolo.
13
Tom Holland, Fuoco Persiano. Il Primo Grande Scontro tra Oriente ed Occidente, Il Saggiatore,
2005 (pag. 15)
19
Oggi sappiamo - e vediamo - quanta importanza abbia avuto l‟ antica Grecia
nel nostro sistema Occidentale in ambito di cultura, politica, religione e molte altre
sfere; meno evidente è l‟ influenza dell‟ antica Persia, che al contrario è stata più
indiretta, nascosta. Ma ciò a mio parere può essere fatto risalire alle due guerre
greco-persiane che in qualche modo hanno deciso i destini dell‟ Occidente e dell‟
Oriente ed hanno dato il via alla frattura che poi con i secoli è stata alimentata
passando per l‟ orientalismo prima e l‟ Asse del Male poi. Di queste, è bene
ricordarlo, abbiamo ricostruzioni dettagliate solamente di Erodoto, e come tali
potrebbero essere viziate dall‟ enfatizzazione della carica eroica dei greci: per cercare
di comprendere i persiani ed il loro impero, non possiamo far altro quindi che
affidarci agli scritti ellenici. Si tratta dello stesso problema che cercherò di spiegare
nel resto del capitolo: il fatto cioè che, non essendoci un archivio di fonti valide, il
racconto della Persia (ma può essere esteso al Medio Oriente in generale) non viene
dall‟ interno ma si costruisce dall‟ esterno, come qualcosa di “alter” con tutte le
relative lacune connesse ed i vantaggi di una descrizione parziale.
Riprendendo il discorso, la causa della prima guerra greco-persiana (490 -
481 a.C. circa) deve essere fatta risalire alla rivolta della città di Mileto, dovuta al
malcontento dei greci contro l‟ occupazione persiana; in realtà essi sperarono nell‟
appoggio di altre poleis greche dietro il segno degli interessi commerciali comuni,
ma dopo la spedizione di aiuti militari del tutto insufficienti, i persiani ebbero la
meglio e come punizione per l‟ affronto cercarono di estendersi nell‟ intera penisola
greca arrivando con venticinquemila uomini fino a Maratona, a pochi chilometri da
Atene. La strategia, descritta da Holland era chiara:
―Attraversare l’ Egeo con un’ immensa armata, recare i
benefici del governo e della pace persiana a tutte le isole e
poi, raggiunto quell’ obiettivo, ridurre Atene ed Eretria in
schiavitù e portare gli schiavi al cospetto del re
14
.‖
Nonostante l‟ enorme disparità di forze messe in campo, però, la pianura di Maratona
si trasformerà in una netta sconfitta persiana contro un esercito di opliti con a capo
Milziade e disposti a falange (otto file di soldati a stretto contatto l‟ un l‟ altro). Sulla
14
Tom Holland, Fuoco Persiano. Il Primo Grande Scontro tra Oriente ed Occidente, Il Saggiatore,
2005 (pag. 190)