CAPITOLO 1 INTRODUZIONE
10
diversi progetti avviati in questa Università vi è il trattamento delle acque reflue degli
autolavaggi mediante una combinazione di ultrafiltrazione (UF) e nanofiltrazione (NF).
Dati gli elevati consumi idrici che si hanno nei sistemi di lavaggio delle auto, un
uso oculato della risorsa può non essere sufficiente, ma può diventare necessario
ricorrere anche al recupero e riutilizzo dell’acqua reflua depurata, pratica in uso in
alcuni autolavaggi da diversi anni. Su questi pochi casi si è comunque assistito ad un
crescente miglioramento delle tecniche di trattamento con l’introduzione di processi
sempre più sofisticati ed efficaci, specialmente per quanto riguarda la quantità di acqua
recuperata ed il controllo della qualità della stessa.
1.2 Obiettivi
L’obiettivo del presente lavoro di tesi è stato quello di svolgere uno studio
sperimentale inquadrato nell’ambito delle attività di ricerca in atto presso l’Università
Cattolica di Lovanio (Belgio) e che ha avuto come oggetto il trattamento di acque
provenienti da autolavaggi, attraverso processi a membrana.
I processi a membrana sono trattamenti avanzati ma recenti nelle diverse
applicazioni. Pertanto, il seguente lavoro di tesi ha avuto l’obiettivo di verificare come
queste tecnologie possano essere utilmente impiegate anche per il trattamento di acque
da autolavaggio, consentendo di trattenere i contaminanti, ma lasciando filtrare buona
parte dei tensioattivi usati, in modo da consentirne un recupero all’interno del processo.
In particolare, il lavoro sperimentale si è prefisso lo studio del comportamento di 7
membrane in processi di ultra e nanofiltrazione al passaggio di acque sintetiche
preparate con 2 diversi tensioattivi. L’attività sperimentale ha avuto come obiettivo
l’individuazione della membrana che consentisse il trattamento efficace delle acque da
autolavaggio ma permettesse nel contempo il desiderato recupero dei tensioattivi.
1.3 Organizzazione del lavoro
La presente tesi è composta da sei capitoli.
Dopo il primo capitolo introduttivo delle problematiche studiate, il Capitolo 2 fa
riferimento alla normativa nazionale ed europea al fine di avere una chiara visione
d’insieme del quadro normativo. Nel Capitolo 3, vengono descritti i vari trattamenti
delle acque provenienti da autolavaggio, valutando le loro caratteristiche sia a monte
che a valle del trattamento e proponendo anche l’analisi di possibili schemi di
depurazione. Il Capitolo 4 definisce i processi a membrana, illustrando non solo le
differenti tipologie di membrana, ma anche le principali metodologie di processo. È
stato valutato, inoltre, lo stato dell’arte sui trattamenti a membrana per la rimozione dei
principali inquinanti delle acque di autolavaggi. Il Capitolo 5 include i risultati
dell’attività sperimentale effettuata su una cella di filtrazione, presso il laboratorio
dell’Università Cattolica di Lovanio, evidenziando i diversi metodi di processo, i
parametri monitorati, le metodologie di campionamento e di analisi. Il Capitolo 6
contiene alcune considerazioni in merito al lavoro svolto assieme ad una sintesi dei
risultati trovati.
CAPITOLO 2 NORMATIVA DI RIFERIMENTO
11
2. NORMATIVA DI RIFERIMENTO
2.1 Normativa europea
2.1.1 Politica ambientale in tema di acque
Oggi, di fronte alla copiosa legislazione europea in materia di acque, può
sorprendere la circostanza che solo da circa 30 anni questa risorsa naturale è
considerata, nell’Unione Europea, un bene giuridicamente rilevante.
Tale riconoscimento è stato frutto della elaborazione a livello europeo di un
“diritto comunitario dell’ambiente”, inteso come insieme di norme di legge comunitarie
che, disciplinando il rapporto tra uomo e ambiente, al fine della tutela di quest’ultimo,
fanno di esso un bene giuridico.
Detta innovazione si può fare risalire al 1973, anno in cui fu adottato il primo
programma d’azione in materia ambientale (riguardante il periodo 1973-1976), il quale
determinò il fiorire di una specifica normativa comunitaria in materia di ambiente e di
inquinamento e gestione delle acque.
Tale programma d’azione in materia ambientale prende spunto dalle conclusioni
ottenute alla fine della conferenza delle Nazioni Unite, che si tenne a Stoccolma
nell’anno precedente, sull’ambiente umano.
Essa segnò l’inizio di una presa di coscienza a livello globale ed istituzionale dei
problemi legati all’ambiente.
Basti leggere a tal riguardo ciò che si dice nella relativa dichiarazione finale:
“Siamo arrivati ad un punto della storia in cui dobbiamo regolare le nostre azioni
verso il mondo intero, tenendo conto innanzitutto delle loro ripercussioni
sull'ambiente” (Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, preambolo
punto 6, Stoccolma 1972).
La protezione ed il miglioramento dell’ambiente, dunque, diventarono, nelle
intenzioni delle Nazioni Unite, priorità di capitale importanza, in quanto presupposto
del benessere dei popoli e dello sviluppo economico del mondo intero. Una priorità che
obbliga tutti, dai cittadini alle collettività, dalle imprese alle istituzioni, ad assumersi le
proprie responsabilità.
Una delle istituzioni che, per prima, si assunse tali responsabilità fu proprio la
Comunità Europea.
Infatti, nell’ottobre del 1972, infatti, a Parigi, nel corso di un vertice dei Capi di
Stato e di Governo, si diede una concreta risposta alle istanze emerse durante la
conferenza di Stoccolma, richiedendo espressamente alle istituzioni europee di
elaborare un programma di azione per l’ambiente, che, su proposta della Commissione
Europea, venne adottato il 22 novembre del 1973, e in seguito aggiornato fino al 2010.
Infatti, l’ultimo programma d’azione in materia ambientale, ovvero il sesto
programma di azione (2002-2010), per ciò che concerne la tutela delle acque, stabilisce,
CAPITOLO 2 NORMATIVA DI RIFERIMENTO
12
all’articolo 7, un obiettivo ben preciso: “Raggiungere livelli di qualità delle acque
sotterranee e di superficie che non presentino impatti o rischi significativi per la salute
umana e per l'ambiente, garantendo che il tasso di estrazione dalle risorse idriche sia
sostenibile nel lungo periodo”.
Obiettivo che deve essere raggiunto attraverso determinate azioni prioritarie:
- garantire un livello elevato di tutti i corpi idrici superficiali e
sotterranei, prevenendo l'inquinamento e promuovendo l'uso
sostenibile delle risorse idriche;
- adoperarsi al fine di garantire una completa attuazione della direttiva
quadro in materia di acque, con l'obiettivo di creare condizioni
soddisfacenti da un punto di vista ecologico, chimico e quantitativo
per tale risorsa e di assicurarne una gestione coerente e sostenibile;
- elaborare misure volte a far cessare gli scarichi, le emissioni e le
perdite di sostanze pericolose prioritarie, conformemente alle
disposizioni della direttiva quadro in materia di acque;
- garantire un livello elevato di protezione delle acque di balneazione,
procedendo segnatamente alla revisione della direttiva in materia;
- garantire l'integrazione dei concetti e degli approcci introdotti dalla
direttiva quadro in materia di acque e da altre direttive sulla tutela
delle acque in altre politiche comunitarie.
2.1.2 Direttiva 2000/60/CE
Già nel 1995, l’Agenzia europea per l’ambiente, di fronte ad uno scenario
normativo dei singoli Stati membri che, essendo molto variegato, non garantiva
un’uniforme applicazione delle normative comunitarie, affermava la necessità di una
politica coerente per la tutela delle acque comunitarie. Le preoccupanti relazioni sullo
stato di salute del patrimonio idrico europeo confermavano la necessità di stabilire i
principi di base per una politica sostenibile delle acque a livello comunitario, allo scopo
di integrare all’interno di un unico quadro i diversi aspetti gestionali ed ecologici.
Dalla necessità di dare una risposta alle esigenze di cui sopra nasce l’adozione da
parte del legislatore comunitario della direttiva 2000/60/CE, il cui obiettivo è infatti
quello di fornire principi comuni e il quadro “trasparente efficace e coerente” in cui
inserire gli interventi volti alla protezione delle acque.
Questa direttiva prevede all’articolo 16 una strategia per combattere
l’inquinamento idrico proveniente da singoli inquinanti o gruppi di inquinanti.
La prima tappa di questa strategia consiste nella elaborazione, da parte della
Commissione, di un elenco di sostanze prioritarie, comprese le sostanze pericolose
prioritarie, selezionate in base ad una metodologia scientifica che si basa sul rischio
significativo che esse rappresentano per l'ambiente acquatico o da esso originato.
Obiettivo, questo, raggiunto attraverso la decisione n. 2455/2001/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2001, con la quale è stato aggiunto alla
Direttiva l'allegato X che riporta l'elenco delle 33 sostanze prioritarie pericolose in
materia di acque.
CAPITOLO 2 NORMATIVA DI RIFERIMENTO
13
La seconda tappa consiste nella adozione da parte del Parlamento europeo e del
Consiglio, su proposta della Commissione, delle misure volte:
- a ridurre progressivamente gli scarichi, le emissioni e le perdite di
sostanze prioritarie;
- ad arrestare o eliminare gradualmente gli scarichi, le emissioni e le
perdite delle sostanze pericolose prioritarie con un opportuno
calendario a tale scopo, il quale non supera i 20 anni dalla adozione
di dette proposte;
- a disciplinare i controlli a tal fine, attraverso la definizione di
programmi di monitoraggio dello stato delle acque superficiali,
delle acque sotterranee e delle aree protette (articolo 8);
- a definire gli standard di qualità relativi alla concentrazione delle
sostanze prioritarie nelle acque superficiali, nei sedimenti e nel
biota.
Infatti, gli obiettivi principali della direttiva sulle acque 2000/60/CE si inseriscono
in quelli più complessi della politica ambientale della Comunità Europea che deve
contribuire a perseguire la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità
ambientale, nonché l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali e che deve
essere fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della
riduzione, soprattutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente e sul principio “chi
inquina paga”.
Tale direttiva è un passo importante per il miglioramento della gestione delle
risorse idriche in tutta la Comunità, poiché prevede che gli Stati membri individuino i
singoli bacini idrografici presenti nel loro territorio e li assegnino a singoli distretti
idrografici (definiti come la principale unità per la gestione dei bacini idrografici)
accorpando eventualmente i piccoli bacini idrografici in un unico distretto.
Inoltre, gli Stati membri devono adottare disposizioni amministrative adeguate,
compresa l’individuazione della autorità nazionale competente, per l’applicazione delle
norme previste dalla direttiva in esame all’interno di ciascun distretto idrografico
presente nel loro territorio (articolo 3).
Fra gli strumenti previsti dalla direttiva al fine di agevolare un utilizzo idrico
sostenibile vi è la definizione, entro il 2010, di una politica dei prezzi dell’acqua volta a
incentivare l’utente ad usare le risorse idriche, attivando misure di risparmio e di riuso e
a contribuire così alla realizzazione degli obiettivi ambientali.
Tale politica, tenendo conto del principio “chi inquina paga”, dovrà inoltre essere
ispirata al principio del tendenziale recupero dei costi dei servizi idrici, e dovrà essere
preceduta da un’analisi economica (articolo 5), effettuata in base all’allegato III, degli
usi della risorsa idrica.
Entro dodici anni dalla data dell'entrata in vigore della direttiva, e successivamente ogni
sei anni, la Commissione pubblica una relazione sull'attuazione di essa. La
Commissione convoca, quando opportuno, una conferenza cui partecipano le parti
interessate alla politica comunitaria in materia di acque di ciascun Stato membro, i
rappresentanti delle autorità competenti, del Parlamento europeo, delle organizzazioni
non governative (ONG), delle parti sociali e dei soggetti economici, delle associazioni
CAPITOLO 2 NORMATIVA DI RIFERIMENTO
14
di consumatori, del mondo accademico e altri esperti. Il fine della conferenza è quello di
consentire uno scambio di esperienze.
Il provvedimento promette, dunque, di innovare lo scenario normativo in materia.
Ciò avverrà attraverso un sofisticato meccanismo di interventi, che culminerà nel 2013
con l'abrogazione di ben sette direttive comunitarie attualmente vigenti.
Esse sono:
- direttiva 75/440/CEE, del 16 giugno 1975, concernente la qualità delle
acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile negli Stati
membri;
- direttiva 77/795/CEE, del 12 dicembre 1977, che instaura una procedura
comune di scambio di informazioni sulla qualità delle acque dolci
superficiali nella Comunità;
- direttiva 79/869/CEE, del 9 ottobre 1979, relativa ai metodi di misura alla
frequenza dei campionamenti e delle analisi delle acque superficiali
destinate alla produzione di acqua potabile negli Stati membri;
- direttiva 78/659/CEE, del 18 luglio 1978, sulla qualità delle acque dolci
che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei
pesci;
- direttiva 79/923/CEE, del 30 ottobre 1979, relativa ai requisiti di qualità
delle acque destinate alla molluschicoltura;
- direttiva 80/68/CEE, del 17 dicembre 1979, concernente la protezione delle
acque sotterranee dall'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose;
- direttiva 76/464/CEE, ad eccezione dell'articolo 6, che è abrogato a
decorrere dall'entrata in vigore della presente direttiva
2.2 Normativa italiana
2.2.1 Quadro normativo italiano
Con l'emanazione del Decreto legislativo 152/2006 sono state abrogate le leggi
principali che caratterizzavano il quadro legislativo di riferimento per le politiche di
tutela e di uso sostenibile delle risorse idriche.
La normativa italiana in tema di acque è stata, fino all'emanazione del decreto
legislativo 152/2006, sostanzialmente articolata in base a tre disposizioni legislative:
- legge 10 maggio 1976, n. 319 (cosiddetta legge Merli);
- legge 5 gennaio 1994, n. 36 (cosiddetta legge Galli);
- decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152.
La legge 319/1976, sulla tutela delle acque dall’inquinamento, già abrogata dal
decreto legislativo 152/99, ha disciplinato gli scarichi industriali e demandato la
CAPITOLO 2 NORMATIVA DI RIFERIMENTO
15
regolamentazione degli scarichi civili e delle fognature alle Regioni, senza però toccare
direttamente il tema della quantità.
L'integrazione di queste leggi avrebbe dovuto garantire un approccio completo al
tema acque industriali. Ma questo obiettivo è stato mancato, sia per la sostanziale
inapplicazione di alcune norme (183/89 e 36/94), sia per la mancata volontà di arrivare
a una visione integrata dei problemi.
Bisogna inoltre aggiungere che mentre, pur con i limiti della legge 319/76, il
controllo degli scarichi industriali ha dato discreti risultati, rimane ancora lontana la
soluzione del problema legato alla depurazione degli scarichi delle città. Infatti, meno
del 70 per cento dei centri urbani è dotato di sistemi di depurazione e la maggior parte
degli impianti esistenti, al di là del loro buono o cattivo funzionamento, non è
tecnologicamente adeguata alle necessità depurative, soprattutto alla luce dei limiti
indicati dalla direttiva 91/271 CEE.
La legge 36/1994, sulla gestione della risorsa idrica, oltre a stabilire alcuni
importanti principi generali (ad esempio quelle che "tutte le acque sono pubbliche",
anche quelle sotterranee), definisce i criteri per l'organizzazione delle strutture per la
gestione delle acque, considerandone in modo integrato l'intero ciclo,
dall'approvvigionamento alla depurazione.
I cardini di questa legge possono così essere riassunti:
- la gestione delle infrastrutture che riguardano le acque (acquedotti,
fognature, depuratori) deve essere ricondotta a unitarietà di gestione a
livello di ambiti territoriali ottimali;
- tendenzialmente tale gestione deve mirare alla copertura integrale dei costi
tramite l'applicazione di una tariffa.
Per quanto riguarda il sistema tariffario, dovrà essere oggetto di una approfondita
discussione quali siano i costi che possono rientrare nella determinazione della tariffa.
Ad esempio, si può affermare che, per la sua struttura attuale, la tariffa non è uno
strumento che premia i comportamenti positivi nei confronti della risorsa, quali il
risparmio o l'uso più razionale.
Inoltre, sempre semplificando, si può affermare che il gestore di un servizio idrico
non ha alcuna convenienza né a far diminuire i consumi idrici, né a eseguire e gestire
azioni di prevenzione dell'inquinamento. Al contrario, infatti, se vuole “guadagnare”
deve incentivare i consumi, soprattutto nel caso di reti acquedottistiche già
ammortizzate, mentre non ha particolare interesse a fare grandi interventi di
manutenzione straordinaria (a meno che questi non vengano ben ricompensati nella
tariffa) o importanti interventi di prevenzione per salvaguardare la risorsa.
Infine, va ricordato che mentre alcuni usi, come quello industriale, hanno subito
consistenti aumenti, pur se ancora insufficienti a incentivare il risparmio e il riutilizzo di
acque già usate, il costo per l'uso idroelettrico è rimasto sostanzialmente immutato e
l'uso agricolo ha, in sostanza, beneficiato di una consistente diminuzione del canone.
Successivamente, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 marzo
1996 ha stabilito più compiutamente le disposizioni relative al riuso delle acque per usi
industriali, già previste dall’articolo 29 della Legge 36/94.
Infatti, stabilisce che, “nel caso fosse necessario, per alcune utenze industriali si
può considerare la possibilità di ridurre i consumi intervenendo con modifiche dei
CAPITOLO 2 NORMATIVA DI RIFERIMENTO
16
sistemi di produzione che prevedono, ad esempio, il ricorso al riciclo e al riuso delle
acque”, nonché la possibilità di prevedere in particolari aree “il ricorso a linee di
approvvigionamento non convenzionali, quali la dissalazione ed il riuso di acque di
scarico”.
Il decreto 25 febbraio 1997 n° 29 agevola i finanziamenti degli interventi relativi
al risparmio idrico e al riuso delle acque reflue, versando in un fondo speciale tutte le
entrate derivanti dalla riscossione delle maggiorazioni dei canoni disposte dall’articolo
18 dalla legge 5 Gennaio 1994, n° 36, nonché quelle derivanti dai predetti canoni
rispetto alle misure vigenti alla data di entrata in vigore della legge medesima.
Il Decreto legislativo 11 maggio 1999 n° 152, che recepisce la direttiva
91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane, reca disposizioni sulla
tutela delle acque dall’inquinamento.
Questa norma è stata sviluppata in parallelo alla direttiva quadro sulle acque
2000/60/CE, basandosi sugli stessi concetti e principi generali per cui si potrebbe
affermare che il decreto legislativo nazionale recepisce in anticipo buona parte della
direttiva.
È da sottolineare che, all’articolo 2, questo decreto definisce per la prima volta lo
“scarico” idrico, identificandolo con “qualsiasi immissione diretta tramite condotta di
acque reflue, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo,
nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla sua natura inquinante, anche
se sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”.
Inoltre, il decreto definisce i vari tipi di acque reflue, in relazione alla loro
provenienza (acque reflue domestiche, industriale o urbane).
Le caratteristiche più rilevanti di tale decreto sono principalmente due:
1. la tutela integrata degli aspetti quantitativi e qualitativi nell'ambito di
ciascun bacino idrografico;
2. l'individuazione di obiettivi di qualità ambientale a cui fare
riferimento per la definizione dei limiti allo scarico e la
predisposizione di misure e interventi di risanamento.
Per quanto riguarda il primo punto, è utile sottolineare che le principali indicazioni
contenute nel decreto legislativo 152/99 puntualizzano la necessità che i piani di tutela
redatti dalle Regioni debbano contenere misure volte ad assicurare l'equilibrio tra la
disponibilità della risorsa e i fabbisogni per i diversi usi, tenendo conto del minimo
deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e della destinazione d'uso
della risorsa, compatibilmente con le relative caratteristiche qualitative e quantitative.
Tali misure possono comprendere la revisione o la revoca delle concessioni esistenti,
senza che ciò debba dar luogo a un risarcimento.
Sono, inoltre, indicate alcune modifiche al regio decreto 1775/33 atte a garantire
un più razionale uso della risorsa attraverso l’obbligo a utilizzare risorse più appropriate
per i diversi usi (non serve acqua potabile per lavare le strade o irrigare i giardini o per
altri usi che non richiedono particolari qualità).
Vengono, inoltre, date indicazioni alle Regioni e alle Province affinché vengano
adottate norme per:
CAPITOLO 2 NORMATIVA DI RIFERIMENTO
17
- migliorare la manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione al fine
di ridurre le perdite;
- prevedere la realizzazione di reti duali di adduzione, al fine dell'utilizzo di
acque meno pregiate per usi compatibili;
- disporre per le nuove costruzioni, e incentivare per gli edifici già esistenti,
l'utilizzo di tecnologie di risparmio della risorsa;
- prevedere negli strumenti urbanistici, compatibilmente con l’assetto
urbanistico e territoriale, reti duali, al fine dell'utilizzo di acque meno
pregiate, nonché tecnologie di risparmio della risorsa.
Il secondo punto è anch'esso di rilevante importanza, in quanto l'impostazione di
tale decreto sposta l’attenzione dal controllo del singolo scarico all’insieme degli eventi
che determinano l’inquinamento del corpo idrico. Non è infatti sufficiente per la tutela
del corpo idrico controllare se uno scarico rispetta le concentrazioni riportate in una
tabella di emissione, ma bisogna garantire che l'insieme degli scarichi e delle altre
attività antropiche, che insistono sullo stesso corpo idrico, non siano comunque tali da
pregiudicare la qualità del medesimo. Infatti molti scarichi in regola, o anche un solo
scarico con una grande portata, che si immettono in un corpo idrico possono comunque
compromettere l'ecosistema.
In particolare, il Decreto Legislativo 152/99, insieme alle sue successive
modificazioni e integrazioni, stabilisce limiti qualitativi precisi per le sostanze
contaminanti riscontrabili in un’attività di autolavaggio, differenziati a seconda del tipo
di recapito finale del refluo, ed anche detta le norme di riferimento per la pianificazione
del bilancio idrico e del risparmio e riutilizzo dell'acqua.
Di fatto, tale decreto, attraverso un’integrazione della tutela qualitativa, atta
all’adeguamento dei sistemi fognari e depurativi, con la tutela quantitativa che norma
non solo il risparmio della risorsa idrica ma anche il suo riuso o riciclo, introduce una
nuova politica ancor oggi valida.
In ultimo, seppur anche dopo l’emanazione del decreto legislativo 3 aprile 2006 n°
152 continuava ad applicarsi il Decreto Ministeriale 12 giugno 2003 n° 185, così come
stabilito dallo stesso decreto legislativo 152/2006 all’articolo 170, questo decreto
ministeriale aveva solo una valenza transitoria, ovvero fino all’emanazione di un
successivo decreto in ottemperanza all’articolo 99 del decreto legislativo 3 aprile 2006
n° 152. Decreto che è stato emanato il 2 maggio 2006, che abroga definitivamente il
decreto ministeriale 12 giugno 2003.
Detto decreto ministeriale stabiliva le norme tecniche per la depurazione e la
distribuzione delle acque reflue al fine del loro recupero e riutilizzo in campo
domestico, industriale e urbano, attraverso la regolamentazione delle destinazioni d’uso
e dei relativi requisiti di qualità, ai fini della tutela qualitativa e quantitativa delle risorse
idriche, limitando il prelievo delle acque superficiali e sotterranee, riducendo l’impatto
degli scarichi sui corpi idrici recettori e favorendo il risparmio idrico mediante l’utilizzo
multiplo delle acque reflue.
In particolare, il provvedimento indica tre possibilità di riutilizzo di queste acque
recuperate: in campo agricolo per l’irrigazione; in campo civile per il lavaggio delle
strade, per l’alimentazione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento e per
CAPITOLO 2 NORMATIVA DI RIFERIMENTO
18
l’alimentazione delle reti duali di adduzione; invece, in campo industriale per la
disponibilità dell’acqua antincendio e per i lavaggi dei cicli termici.
2.2.2 Decreto legislativo 3 aprile 2006, n° 152
Tale provvedimento, recante norme in materia ambientale, dà attuazione ad
un'ampia delega conferita al Governo dalla legge n° 308 del 2004 per il riordino, il
coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale.
Questo nuovo testo unico, entrato in vigore il 29 aprile 2006, riscrivendo le
principali regole in materia ambientale, semplifica, razionalizza, coordina e rende più
chiara la legislazione ambientale in sei settori chiave suddivisi in 5 capitoli:
ξ procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la
valutazione d’impatto ambientale (VIA) e per l’autorizzazione ambientale
integrata (IPPC);
ξ difesa del suolo, lotta alla desertificazione, tutela delle acque
dall’inquinamento e gestione delle risorse idriche;
ξ gestione dei rifiuti e bonifiche;
ξ tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera;
ξ danno ambientale.
Questo Codice dell’Ambiente contiene anche molte norme tecniche regolamentari
(limiti di emissione, limiti allo scarico, standard per le bonifiche, etc.).
In materia di acque, tale decreto, che recepisce la Direttiva 2000/60/CEE,
rappresenta un vero testo unico che disciplina sia la tutela quali-quantitativa delle acque
dall'inquinamento (Decreto legislativo 152/99, D.M. 367/03) che l'organizzazione del
servizio idrico integrato (legge Galli).
Nuova è la definizione di scarico: “qualsiasi immissione di acque reflue in acque
superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro
natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”.
La nuova definizione si discosta grandemente da quella del Decreto legislativo
152/1999 perchè non prevede più la canalizzazione diretta tramite condotta. Questo
dovrebbe risolvere alcune delle problematiche relative alle vasche contenenti acque
reflue presenti nei siti.
Un'altra importante novità che riguarda gli scarichi consiste nella possibilità, per
più stabilimenti, di effettuare scarichi in comune anche senza la costituzione di un
consorzio; l’autorizzazione sarà in capo al titolare dello scarico finale o al consorzio,
ferme restando le responsabilità dei singoli titolari delle attività e del gestore
dell'impianto di depurazione, in caso di violazioni delle disposizioni previste dal
decreto; il rilascio dell'autorizzazione o il rinnovo sarà subordinato all’approvazione di
un idoneo progetto comprovante la possibilità di parzializzare gli scarichi.
Invece, i limiti allo scarico definiti dal Decreto legislativo 152/99 sono rimasti
uguali: infatti, tutti gli scarichi di acque reflue industriali immessi in acque superficiali
oppure nelle reti fognarie devono rispettare i limiti previsti dalla Tabella 1: