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1. Analisi della letteratura di riferimento
1.1. Ambito di Riferimento: La finanza comportamentale
Per comprendere e inquadrare adeguatamente il fenomeno dell’overconfidence, è
necessario considerare innanzitutto il campo di studi cui appartiene: la finanza
comportamentale. Essa si focalizza prevalentemente sulla mancanza di razionalità
degli agenti economici, e oltre ai fattori economici analizza più specificatamente i
fattori sociali, cognitivi e umani per meglio comprendere le decisioni attuate dai
soggetti economici.
La finanza comportamentale spiega le modalità con cui il comportamento dei
soggetti influenza un’ampia varietà di aspetti finanziari, come ad esempio la
struttura del capitale, la struttura dei dividendi, il prezzo di mercato e le
remunerazioni. Questi comportamenti possono assumere svariate forme, alcuni
esempi sono: l’avversione alla perdita, fenomeno per cui un soggetto preferisce
evitare una perdita rispetto alla possibile, ma non certa, realizzazione di un
guadagno, ed il fenomeno della sotto-reazione o sovra-reazione, per cui un soggetto
si trova a reagire irrazionalmente alle informazioni ricevute.
La letteratura dell’economia e finanza comportamentale, si muove dal tradizionale
modello economico, incorporando evidenze psicologiche riguardo preferenze e
credenze non standardizzate dei soggetti, quali ad esempio: l’avversione al rischio
(in cui il soggetto preferisce sempre un ammontare certo rispetto a una quantità
aleatoria), la fallacia dei costi sommersi (costi già affrontati e che non possono
essere recuperati in alcuna maniera significativa), oppure l’overconfidence. Per gran
parte di questi fenomeni, l’evidenza empirica risulta difficile da individuare ed
ancor meno risulta chiaro se gli economisti debbano contare sulle proprie previsioni.
La finanza comportamentale si compone quindi, quale combinazione sia di elementi
di economia che di psicologia; attraverso gli anni è stata sempre più accettata come
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disciplina originante molte opportunità di ricerca. Inizialmente però il mondo
accademico ha dimostrato un atteggiamento scettico rispetto alla possibilità che la
razionalità o, più specificatamente, l’ipotesi dell’efficienza dei mercati (IEM)
potessero essere messa in discussione, a favore della tesi d’irrazionalità dei soggetti
economici.
L’IEM ritiene infatti che “i prezzi dei titoli forniscano sempre le migliori
informazioni circa i valori fondamentali e che il prezzo cambi solo perché
informazioni buone e sensibili si collegano molto bene con i trend teoretici del
momento” (Shiller, 2003). Ferma questa tesi, non dovrebbe perciò essere possibile
battere i mercati, poiché tutte le informazioni -ad eccezione di un certo grado di
fortuna- sono conoscibili e a disposizione dei soggetti. E’ diventato in ogni caso
chiaro, che alcuni cambi nei prezzi dei titoli potrebbero non essere spiegabili dal
comportamento razionale e accadano troppo frequentemente per essere attribuibili
alla fortuna. La finanza comportamentale cerca di spiegare queste anomalie in
campo finanziario, dove gli economisti sono prevalentemente interessati alle
interazioni di mercato. La questione dell’overconfidence è stata trattata per la
maggior parte con riferimento a cosa accada nell’ambito dei mercati finanziari, dove
agenti comportamentali interagiscono con potenziali soggetti privi di bias (aspetti
propri del subconscio, considerati una distorsione del modo in cui le persone
percepiscono la realtà). Risulta però molto meno trattata ed analizzata, in letteratura,
la questione riguardante l’effetto dell’overconfidence sui comportamenti adottati
dagli imprenditori, amministratori delegati e manager di imprese di grandi
dimensioni, ed ancor meno in riferimento alle piccole e medie imprese.
Solo recentemente nel campo della finanza comportamentale è emerso in maniera
decisa un filone di ricerca che si concentra prevalentemente sul comportamento dei
manager, nello specifico CEO e CFO, e su come questo non sia sempre razionale.
Gli studiosi vi hanno ravvisato una serie di spiegazioni psicologiche che andremo a
trattare, subito dopo aver chiarito l’origine di alcune anomalie finanziarie che
sottendono l’overconfidence.
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1.2. Finanza comportamentale e anomalie
Come sopra accennato, la finanza comportamentale cerca di spiegare molte
anomalie che contraddicono l’IEM. Innanzitutto vicino ai trader che si basano su
informazioni attendibili per effettuare scambi, vi sono i cosiddetti noise traders.
Questi ultimi non fanno trading basandosi solo su informazioni effettive, ma
seguono prevalentemente rumors di mercato. Questo tipo di trading non si basa su
cambi nel valore fondamentale e conseguentemente contraddice l’IEM. Inoltre, la
volatilità dei prezzi dei titoli spesso appare troppo alta. Partendo dall’idea che il
prezzo dei titoli si basi su futuri dividendi attesi, la volatilità dei titoli sarebbe più
alta della volatilità dei dividendi attesi.
In aggiunta, in relazione all’eccesso di volatilità, vi è un effetto di sovra-reazione.
Le persone sembrano reagire in maniera più decisa a informazioni recenti, rispetto
che a informazioni meno recenti, generando appunto un effetto di sovra-reazione.
Un esempio simile si può riscontrare nel cosiddetto effetto del rapporto prezzo/utili
(P/E), dove i titoli con basso rapporto P/E superano in performance i titoli con alto
rapporto P/E.
Un altro esempio è presente nel cosiddetto effetto Gennaio, per cui è riscontrabile
una crescita del prezzo dei titoli alla fine di Dicembre e all’inizio di Gennaio, e
nell’effetto di dimensione della società, per cui società piccole mostrano
performance di mercato migliori di società di grandi dimensioni.
Infine, alcune anomalie nascono da comportamenti individuali. Ad esempio si può
pensare all’avversione alla perdita, in questo caso gli individui mantengono titoli
con performance negative e vendono troppo presto titoli ben performanti, il che non
si trova chiaramente in linea con un comportamento razionale.
1.3. Finanza comportamentale e bias cognitivi
Fino a questo punto la discussione si è focalizzata su specifiche anomalie da
attribuire al rifiuto dell’IEM. La finanza comportamentale può spiegare le anomalie
attraverso i bias cognitivi, aspetti propri del subconscio, considerati una distorsione
del modo in cui le persone percepiscono la realtà. I soggetti agiscono in un modo
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che credono razionale, mentre in realtà le loro azioni sono irrazionali. E’ quindi il
comportamento umano a causare anomalie e ciò mette in pericolo l’IEM. Una volta
spiegato il perché avvengono certi movimenti nei prezzi dei titoli, si può anticipare
questo tipo di comportamento umano e incorporarlo in un modello di previsione del
prezzo dei titoli.
Di seguito vengono spiegati alcuni bias cognitivi rilevanti per la trattazione, e i loro
effetti sull’overconfidence.
1.3.1. Bias cognitivi e overconfidence
Il tema dell’overconfidence fa parte del campo di studio della finanza
comportamentale, che applica la ricerca psicologica cognitiva alla comprensione
delle decisioni economiche.
L’effetto overconfidence consiste in un bias (pre-giudizio), quindi una
predisposizione a un errore di tipo cognitivo. Nel caso specifico il bias riguarda il
grado di cognizione inerente alle proprie capacità e alla consapevolezza dei propri
limiti oggettivi, portando il soggetto a una sovrastima delle proprie abilità.
L’effetto overconfidence si riferisce al senso di consapevolezza da parte di un
soggetto della propria conoscenza o delle abilità cognitive.
L’overconfidence viene definita come una sovrastima da parte di un soggetto delle
proprie abilità e dei risultati riguardanti la propria situazione personale (effetto
“superiore alla media”) (Langer, 1975). L’ipotesi di overconfidence in finanza si
basa su di un’estesa letteratura in campo psicologico, che rileva come le persone
siano generalmente affette da overconfidence (Frank, 1935; Weinstein, 1980). Ad
esempio le persone tendono a sovrastimare le proprie capacità in relazione a quelle
della media degli altri soggetti, quando portate a giudicare la loro abilità (Larwood
& Whittacker, 1977).
Il concetto di overconfidence è largamente presente nella psicologia cognitiva,
dimostrando la vasta prevalenza d’illusioni positive e bias auto-alimentanti. Questa
letteratura ha più volte dimostrato che le persone tendono a vedere se stesse, il
mondo e il futuro, più positivamente di quanto sia oggettivamente ritenibile
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(Klayman, Soll, Gonzalez, Vallejo, & Barlas, 1999; Dunning, Griffin, Milojkovic,
& Ross, 1990; Dunning, Heath, & Suls, 2004; Moore & Cain, 2007).
Scheinkman e Xiong (2003) ritengono che l’overconfidence risulti da una
sovrastima della precisione della conoscenza invece che dell’informazione,
riferendola come “illusione di conoscenza”.
Vi sono tre filoni principali cui è possibile ricondurre questa tipologia di
comportamenti.
Il primo filone l’overconfidence, si differenzia da un secondo bias auto-alimentante,
conosciuto come l’effetto “superiore alla media”; questo si riferisce alla tendenza a
credere di essere superiori alla media delle persone, su determinati aspetti (Alicke,
Klotz, Breitenbecher, Yurak & Vredenburg, 1995; Klar, Medding, & Sarel, 1996;
Weinstein, 1980). Per esempio la maggior parte delle persone intervistate in un
campione negli USA (82%) si considera essere nel top 33% dei guidatori (Svenson,
1981), impossibile statisticamente. Considerazioni simili sono state documentate nel
campo della salute (Taylor & Brown, 1988) dell’attitudine al rischio (Fischhoff,
Slovic & Lichtenstein, 1977) e delle negoziazioni (Neale & Bazermann, 1985). In
contrasto con l’overconfidence, si pone l’effetto “superiore alla media”, il quale
enfatizza le abilità rispetto a quelle delle altre persone.
Un terzo filone, quello dell’illusione di controllo, si riferisce a una sovrastima da
parte del soggetto del suo controllo sui risultati, che possono essere sia basati sul
caso, sia esulare dal reale controllo del soggetto (Langer, 975; Thompson,
Armstrong & Thomas, 1998). L’Illusione di controllo, che è stata collegata spesso
al potere, (Fast et al, 2009) si distingue dall’overconfidence (Moore & Healy, 2008)
poiché, la prima si riferisce al fatto che, attraverso le proprie abilità o azioni, il
soggetto crede di poter maggiormente influenzare i risultati di quanto possa in
realtà. Ad esempio un soggetto può credere di poter vincere più soldi giocando ad
una slot machine con una leva da azionare manualmente, rispetto che ad una slot
machine senza leva, poiché la seconda non offre opportunità di percezione di
controllo al soggetto.
Non solo l’overconfidence del soggetto nei confronti della sua accuratezza si
distanzia teoricamente ed empiricamente dall’illusione di controllo (Moore &
Healy, 2008), ma anche su un livello teoretico di base, i due costrutti si riferiscono a
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due differenti stili di controllo che i soggetti perseguono. L’illusione di controllo si
riferisce al concetto di controllo primario, caratterizzato da tentativi di soddisfare i
bisogni di dominio da parte del soggetto, attraverso la modifica dell’ambiente in cui
egli opera (Rothbaum, Weisz & Snyder, 1982). In contrasto l’overconfidence si
riferisce invece al controllo secondario, il quale guarda all’obiettivo di ottenere
controllo, attraverso un’adeguata previsione e comprensione dell’ambiente di
riferimento del soggetto (Rothbaum et al, 1982).
Inesi (2010) ha evidenziato come il potere riduca l’avversione alla perdita
aumentando la percezione di possibile guadagno e diminuendo la percezione di
possibile perdita. In contrasto Fast et al. (2011) hanno esplorato come il potere porti
gli individui a sovrastimare l’accuratezza della loro conoscenza e delle loro abilità.
Le due scoperte mostrano chiaramente differenti effetti associati all’esperienza di
potere.
Alcuni autori cercano di effettuare una chiara distinzione tra ottimismo e
overconfidence. Per esempio Gervais, Heaton e Odeon (2005) distinguono tra
sopravvalutazione delle proprie abilità (overconfidence) e sopravvalutazione di uno
specifico progetto (ottimismo). In entrambi i casi, nel momento in cui ci si riferisce
alle caratteristiche di un soggetto, invece che a uno specifico progetto, si potrebbe
dire che l’ottimismo possa innescare overconfidence.
La descrizione di overconfidence s’inscrive nella definizione di bias cognitivo
poiché l’overconfidence può essere considerata una distorsione nella percezione
della realtà. Ben-David, Graham, Harvey (2007) descrivono l’overconfidence come
il termine generale per una miscalibrazione nelle credenze o, detta diversamente “la
tendenza a sovrastimare la precisione delle informazioni nel soggetto” (Biais,
Hilton, Mazurier, Pouget, 2005). Ad esempio una persona può sovrastimare il
ritorno di una determinata azione e sottostimarne il rischio.
L’overconfidence può essere scomposta in molti bias cognitivi.
Un primo bias, strettamente collegato all’overconfidence è il self-serving bias. La
persona che ne è soggetta ritiene che il risultato positivo sia frutto di azioni adeguate
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da parte del soggetto stesso e che, il risultato negativo sia effetto di sfortuna e non di
propri errori (Langer e Roth, 1975), perciò enfatizza i propri successi e minimizza i
propri fallimenti. Spesso l’informazione così interpretata porta a considerare come
se il successo fosse il risultato della buona azione del soggetto. Possedere bias self-
serving, innesca l’overconfidence.
Un secondo bias strettamente correlato con quello del self-serving e quindi con
l’overconfidence, è il valence effect. Il soggetto affetto da valence effect crede
anch’egli nella possibilità di successo e sovrastima la probabilità di ottenere risultati
positivi. La differenza con il bias self-serving è che la persona sensibile al valence
effect non riconduce i risultati positivi alle proprie azioni, ma in generale, crede
nell’alta probabilità di successi rispetto ai fallimenti (Schulkind e woldorf, 2005).
Un ulteriore aspetto cognitivo considerabile come bias è il wishful thinking. Chi è
affetto da questo bias, preferisce pensare ad aspetti piacevoli da immaginare e non
ad aspetti che è più probabile che accadano (Muhamet, 2007). Il wishful thinking
può quindi indurre ad agire in modo che probabilmente non darà beneficio e con
possibilità di generare un risultato contradditorio rispetto alle aspettative.
Infine, un soggetto può essere portato a focalizzare la propria attenzione solo su una
parte delle informazioni disponibili, secondo un processo definito anchoring. Anche
in questo caso si può giungere a decisioni sbagliate non utilizzando tutte le
informazioni disponibili, poiché quelle tralasciate potrebbero essere di valore
(Fraser, Greene, Mole, 2007). L’anchoring e l’overconfidence in parte si
sovrappongono: le persone tralasciano parte delle informazioni pensando di
possedere già l’abilità e gli elementi, per poter prendere delle decisioni.
1.3.2. Overconfidence e trading
La maggior parte delle ricerche svolte negli anni in merito all’effetto
overconfidence, riguarda il campo dei mercati finanziari e supporta la proposizione
che l’overconfidence impatti negativamente sui risultati delle decisioni delle
persone; questo aspetto, per la maggior parte, si riferisce agli investitori individuali
e ha a che fare con il comportamento degli investitori riguardo i portafogli di titoli.
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Generalmente questi studi investigano se vi sia interdipendenza tra overconfidence e
attività di trading, dove l’attività di trading stessa può essere interpretata come un
proxy per decisioni (di comprare, di vendere o di tenere un titolo). Un risultato
comune di questi studi è che le decisioni degli investitori sono affette da
overconfidence e in questo modo, gli investitori overconfident si trovano a
scambiare più delle loro controparti non overconfident (Benos, 1998; Odean, 1998b;
Barber e Odean 2000). Questo tipo di over-trading è generalmente associato con
una debole performance d’investimenti.
Gli individui overconfident, come abbiamo precedentemente osservato, tendono a
sovrastimare i risultati delle proprie decisioni e a sottostimare i rischi associati a
queste stesse. Shiller (1999) definisce l’overconfidence come “un’attitudine per la
quale nulla può andare male con l’investimento e gli investitori possono stare
tranquilli, poiché non c’è nulla di cui preoccuparsi”. Benos (1998) ritiene che
l’overconfidence sia il risultato della credenza degli investitori di essere meglio di
ciò che sono in realtà; questo concetto, nella sua più estrema rappresentazione, porta
gli investitori a credere di essere sempre precisi e corretti.
Hirshleifer e Luo (2001) definiscono l’overconfidence come “sovrastima della
precisione di segnali privati d’informazione”, il che significa che gli investitori
overconfident semplicemente sottostimeranno il rischio di un investimento.
Gli studi effettuati sull’overconfidence nell’ambito dei mercati finanziari, hanno
portato a interessanti discussioni su cosa porti le persone a svilupparla; Deaves et al.
(2005) esaminano come l’educazione professionale e l’esperienza inducano
l’overconfidence. In un sondaggio di studio sugli agenti di mercato finanziario
tedesco, gli autori mostrano come i previsori di mercato siano estremamente
overconfident e che l’overconfidence sia accresciuta dai successi misurati sotto
forma di previsioni corrette. Inoltre gli studiosi rilevano che l’esperienza di mercato,
vista comunemente come risultato dei successi passati, sia positivamente riferita
all’overconfidence.
Deaves et al. (2005) spiegano ciò attraverso la dissonanza cognitiva, che porta le
persone a dimenticare ciò che non ha portato i risultati sperati; esempi sono: i bias
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self-serving, che ci fanno ricordare i successi in modo chiaro e dimenticare i
fallimenti, e i bias di conferma, che consistono nella tendenza di ognuno di noi, nel
cercare l’evidenza che rafforzi le credenze esistenti e negare, i dati che le
indeboliscano.
Ulteriori studi sono stati svolti riguardo alla questione se l’overconfidence rimanga
costante o cambi nel tempo.
Hirshleifer e Luo (2001) modellizzano un ambiente di mercato nel quale possono
osservare l’evoluzione della popolazione overconfident e quella razionale degli
investitori, ma dove il livello individuale di overconfidence non evolve con il
tempo.
Gervais e Odean (2001) sviluppano un modello nel quale possono osservare
l’evoluzione dell’overconfidence negli investitori, all’opposto del modello di
Hirshleifer e Luo; mostrano, in un modello di mercato dinamico e multi-periodo,
che l’overconfidence risultante da bias self-serving, sia un tratto della personalità
che può essere appreso e che può variare nel tempo in base all’esperienza recente.
Menkhoff e Nikiforow (2009) mostrano invece come la presenza di bias
comportamentali cambi il modo in cui i manager percepiscono il mercato ma non il
modo in cui vedono se stessi. Conseguentemente l’evidenza indica che
l’apprendimento non rimuove l’overconfidence, dato che questa è una caratteristica
insita nella persona e non nel mercato.
Glaser et al. (2005), studiano altresì la possibilità che l’overconfidence resti costante
per qualsiasi operazione, oppure che cambi in base all’attività da svolgere o alla
decisione da prendere. Gli autori comparano direttamente l’overconfidence di trader
professionisti e investitori bancari, con un gruppo di controllo di studenti.
Nonostante i loro dati rivelino delle differenze stabili tra i partecipanti all’interno
delle operazioni, le correlazioni tra le differenti operazioni sono insignificanti o
addirittura negative. Questo indica che un soggetto che sia molto overconfident in
un’operazione, non sia necessariamente così overconfident in un'altra.
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Questa evidenza corrobora le scoperte di Griffin e Tversky (1992) i quali mostrano
come l’overconfidence per operazioni difficili con bassa prevedibilità, tenda a
essere più prevalente tra gli esperti rispetto che tra i principianti. Allo stesso modo,
per operazioni di difficoltà inferiore con alta prevedibilità, gli esperti tendono a
essere più calibrati dei principianti.
Va inoltre citato come la letteratura suggerisca che gli uomini tendano a essere più
overconfident delle donne e che questo accada maggiormente in operazioni
distintamente più maschili, come le decisioni d’investimento (Beyer, 1990; Beyer e
Bouden, 1997: Lundeberg et al, 1994) .
Infine, siccome le persone overconfident sovrastimano i risultati delle loro decisioni
e sottostimano i rischi associati a esse, sono portati a scambiare oltre il livello
ottimale e, come risultato, potrebbero avere performance peggiori della loro
controparte non overconfident. L’evidenza empirica suggerisce che questo sia il
caso: gli investitori overconfident sembrano riportare performance peggiori di quelli
razionali (Barber,, e Odean, 2001,2002,2000; Odean 1999).
1.3.3. Overconfidence e management
Entrando nel merito dell’overconfidence di stampo manageriale, va rilevato come in
letteratura siano presenti interessanti studi concernenti il suo effetto sul
comportamento di imprenditori, amministratori delegati e manager in campo
aziendale. La letteratura effettua un’analisi su come l’overconfidence influisca
all’interno dell’impresa, con riferimento: alla struttura del capitale ed alla policy di
distribuzione dei dividendi agli azionisti (Ben-David, Graham, Harvey, 2006), o al
grado d’innovazione dell’Impresa (Galasso, Simoe, 2011), passando per l’effetto
che l’overconfidence possa avere su previsioni future di fatturato e di struttura dei
costi (Hribar, Yang, 2007), fino ad arrivare all’influenza riguardo decisioni
d’investimento, sotto forma di acquisizioni o fusioni strategiche in altre imprese
(Malmendier, Tate, 2005).