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Introduzione
La tesi verte sul tema delle politiche monetarie e fiscali nell’Unione
Europea.
Si tratta di un argomento di scottante attualità in quanto proprio
attraverso tali politiche i Paesi europei e l’Unione nel suo insieme
affrontano le sfide del contrasto alla crisi economica, della lotta contro
l’inflazione, del raggiungimento degli obiettivi di crescita
dell’economia.
Il tema è stato oggetto di ampia regolamentazione da parte dei Trattati
e degli organi dell’Unione, e di vivi dibattiti in letteratura
sull’adeguatezza o meno di tale regolamentazione.
Nel dibattito sulla capacità o meno dell’attuale assetto di raggiungere
gli obiettivi prefissati dai Trattati gran parte degli autori convengono
sull’ipotesi negativa, e quindi sulla necessità di apportare modifiche
alla sua impostazione prociclica per poter sfruttare i potenziali di
crescita dell’economia.
Se da una parte vi è sostanziale convergenza di opinioni sulla scarsa
efficacia delle politiche regolamentate dal Trattato di Maastricht,
anche dopo la riforma del 2005, la letteratura si divide tra quanti
ravvisano l’opportunità di riformare solo le procedure e quanti
cambierebbero finanche gli aspetti istituzionali, con ulteriori
distinzioni all’interno di queste correnti di pensiero.
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La tesi si propone principalmente di comprendere come sono
organizzate le politiche monetarie e fiscali attraverso un’accurata
descrizione delle modalità di definizione e attuazione di tali politiche
e, attraverso le posizioni degli autori che le hanno messe in
discussione, individuare carenze e debolezze dell’assetto istituzionale
che incidono negativamente sull’economia.
L’argomento viene affrontato sia da un punto di vista tecnico
attraverso l’analisi degli strumenti concreti di cui si serve l’Unione per
la realizzazione di tali politiche, sia da un punto di vista politico
attraverso lo studio delle motivazioni alla base dell’attuale
configurazione del sistema; non mancano riferimenti statistici, grafici
e analitici a supporto delle valutazioni espresse.
¨ posta inoltre particolare attenzione alle misure di politica monetaria
e fiscale adottate nel contrasto alla crisi economica, da una prospettiva
descrittiva ma allo stesso tempo critica e valutativa.
In particolare nel Capitolo 1 si riassumono le tappe del percorso
dell’integrazione europea in ambito monetario e fiscale, passando poi
a descrivere gli istituti che regolano il funzionamento della politica
monetaria e gli organi che la pongono in essere, con particolare
riferimento alla Banca Centrale Europea.
Il Capitolo 2 contiene un approfondimento sugli strumenti di cui la
Banca Centrale Europea si avvale nell’esercizio delle sue funzioni,
prendendo in considerazione anche la posizione delle istituzioni
finanziarie nei rapporti con quest’ultima; la descrizione trova i suoi
necessari fondamenti di attendibilità nei documenti ufficiali della BCE
e della Banca d’Italia.
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Il Capitolo 3 esprime un bilancio sull’operato della Banca Centrale,
con particolare attenzione alla sua azione di contrasto alla crisi
economica e ai risultati conseguiti; si sottolinea inoltre la necessità del
collegamento tra la politica fiscale e monetaria.
Il Capitolo 4 affronta il tema della politica fiscale, partendo da
un’analisi degli istituti che la regolano e considera gli aspetti del
bilancio e delle risorse dell’Unione; ci si sofferma inoltre sul Patto di
Stabilità e sulle motivazioni alla base dei criteri di convergenza;
seguono valutazioni critiche e proposte di riforma dell’attuale sistema
da parte di vari autori.
Nel Capitolo 5 viene discusso il progetto di Costituzione Europea
negli aspetti concernenti la politica fiscale, e il ruolo del tributo
nell’Unione; si intravedono infine le prospettive per un’integrazione
progressiva degli ordinamenti tributari nazionali.
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CAP.1 La politica monetaria
1.1 Riferimenti storici
L’integrazione monetaria europea muove i suoi primi passi agli inizi
degli anni sessanta, quando i sei membri della Comunità economica
europea (CEE) ritennero opportuno dare inizio a una cooperazione in
ambito monetario.
Il cammino inizia infatti durante la fase di attuazione del Trattato di
Roma del 1957, che con la nascita della CEE prevedeva
l’instaurazione di un’unione doganale, l’adozione di una tariffa
doganale comune e la creazione di una zona di libero scambio.
Questi obiettivi furono scaglionati in tre tappe, della durata di quattro
anni ciascuno, puntando ad una realizzazione graduale degli stessi
secondo il modello che ha sempre contraddistinto l’evoluzione
dell’Unione Europea nel suo complesso, quello dei “piccoli passi”;
non era ancora concepibile la possibilità di un’integrazione economica
forte quale oggi la conosciamo.
Un grande passo avanti in questa direzione si ebbe invece nel 1969, in
seguito a una serie di crisi valutarie e di bilancia dei pagamenti, che
spinse i leader dei sei Paesi membri della CEE a elaborare un piano
per la realizzazione di una vera e propria unione economica e
monetaria; ne nacque il Rapporto Werner del 1970, che prevedeva la
realizzazione di tale obiettivo in tre fasi entro il 1980.
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L’anno successivo (1971) a seguito del forte indebitamento americano
e dell’impossibilità della convertibilità del dollaro in oro venne
abbandonato il regime di cambi fissi di Bretton Woods
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; si verificò
così una svalutazione del dollaro e un ritorno alla fluttuazione dei
cambi; ma ciò non fece venire meno l’interesse per l’ambizioso
progetto di unione economica e monetaria: infatti i paesi europei si
resero conto del fatto che oscillazioni incontrollate del cambio
avrebbero potuto danneggiare le economie europee che avevano un
alto grado di apertura commerciale con l’estero.
Così dopo alcuni fallimentari tentativi di stabilizzare i cambi fra
alcune valute europee, Francia e Germania rilanciarono l’idea
dell’integrazione monetaria, raggiungendo nel 1979 il consenso
comune nella creazione di un Sistema monetario europeo (SME);
obiettivo di questo accordo era la creazione di una zona di stabilità
monetaria in Europa e a tal fine vennero approntati vari strumenti, tra i
quali l'istituzione dell'Ecu
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e la definizione di meccanismi di
intervento e di cambio per mantenere stabile il rapporto fra le monete
partecipanti; lo SME sarebbe poi rimasto in vita fino al 1° gennaio
1999, data di creazione dell' Unione Monetaria Europea e di
introduzione dell’euro, che ha fatto venir meno l’esigenza di un
meccanismo di stabilizzazione dei cambi.
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Negli anni successivi furono consolidati i legami fra le banche
centrali, e il riallineamento dei cambi fu subordinato all’assunzione di
1
Smithsonian Agreement, accordo raggiunto dal G10 nel 1971
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L’ECU era una unità monetaria, non circolante, il cui valore era dato dalla media
ponderata delle valute comunitarie.
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è rimasto invece un problema di stabilità monetaria per le monete degli Stati che non
partecipano alla moneta unica, e per questo dal 1999 è attivo un meccanismo di cambio
tra l’euro e le monete degli Stati non partecipanti: lo SME-2.
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impegni politici nei confronti della convergenza, al fine di ridurre la
frequenza e l’impatto di svalutazioni destabilizzanti; inoltre furono
eliminate le restrizioni sui movimenti di capitali e le politiche dei
singoli Paesi furono orientate al mantenimento di bassi livelli di
inflazione; tutte misure a sostegno dell’integrazione economica.
Il Sistema monetario europeo sembrò apportare risultati positivi, e
un’iniezione di fiducia tale che alla fine degli anni ottanta venne
riaperto il dibattito sulla realizzazione di un’unione economica e
monetaria europea.
Il Consiglio europeo incaricò un comitato di esperti, presieduto da
Jacques Delors, di formulare proposte per l’istituzione dell’Unione
economica e monetaria (UEM).
Queste proposte costituirono il Rapporto Delors, presentato durante il
vertice di Bruxelles 1988, che gettò le basi per la stipulazione del
Trattato di Maastricht nel 1992 e che formulò per la prima volta
proposte concrete per l’adozione della moneta unica.
Negli anni seguenti fu portato avanti il processo di convergenza e
furono messi a punto gli assetti istituzionali necessari.
Nel 1994 fu fondato l’istituto monetario europeo (IME) per dare
l’apporto organizzativo indispensabile per il costituendo sistema
sovranazionale di banche centrali, consentendo così l’istituzione e lo
svolgimento delle attività alla BCE e al SEBC che divennero operative
nel giugno 1998.
Il Consiglio dell’Unione Europea decise infatti che in quel momento
storico undici paesi soddisfacevano i criteri di convergenza, ossia le
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condizioni fissate per l’adozione dell’euro; la previsione era che fino
al momento in cui vi sarebbero stati degli Stati membri dell’Unione
Europea che non hanno introdotto la moneta unica, un ruolo centrale
sarebbe stato svolto dall’Eurosistema, costituito dalla BCE e dalle
banche centrali dei paesi dell’area dell’euro.
Sin dalla loro fondazione la Banca Centrale Europea e l’Eurosistema
hanno dovuto affrontare una serie di sfide particolarmente
impegnative; innanzitutto quella di conquistare credibilità e ottenere la
fiducia del pubblico e dei mercati finanziari riguardo all’impegno di
mantenere la stabilità dei prezzi; inoltre la BCE ha dovuto impiantare
una struttura che le consentisse di operare in modo efficiente insieme
alle BCN.
Il tutto con l’ulteriore difficoltà data dalla novità del contesto
istituzionale ed economico.
L’introduzione dell’euro ha infatti dato vita a nuove realtà e soggetti
economico-finanziari che non avevano precedenti, con implicazioni
del tutto imprevedibili; la realizzazione dell’UEM è stata un’idea del
tutto innovativa, poichØ si basa sulla concezione di un mercato unico
per un gruppo di Stati sovrani, e sull’aspettativa che l’euro eserciti
effetti favorevoli promuovendo l’ulteriore integrazione economica e
finanziaria.
L’Eurosistema coniuga un processo decisionale accentrato e uno
schema di attuazione decentrato.
Questo decentramento offre tre vantaggi: innanzi tutto, la BCE può
avvalersi delle competenze, infrastrutture e capacità operative delle
BCN dell’Eurosistema; in secondo luogo, le BCN agevolano la
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comunicazione fra la BCE e i cittadini dei vari Paesi, conoscendone le
rispettive lingue e culture; infine, le BCN forniscono agli enti creditizi
dei singoli Paesi un interlocutore piø vicino per accedere alla rete di
banche centrali.
Questa architettura ha funzionato bene nel corso dei primi dieci anni
di attività, consentendo anche di gestire l’allargamento dell’Unione
Europea e dell’area dell’euro, e consentendo alla BCE di conquistare
un’elevata credibilità a livello mondiale.
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Oggi è entrata nel secondo decennio e affronta nuove sfide,
realizzando le proprie politiche nel modo che sarà da qui innanzi
esaminato.
1.2 Assetto strutturale
Una tesi che abbia come argomento la politica monetaria e fiscale
dell’Unione Europea non può prescindere da un’analisi delle
istituzioni che le pongono in essere.
¨ necessario preliminarmente rilevare come l’assetto istituzionale
dell’Unione economica e monetaria (UEM) sia caratterizzato da una
politica monetaria condotta a livello centrale, con competenze quindi
trasferite a livello sovranazionale, e da politiche di bilancio e
strutturali decentrate, gestite a livello nazionale nel rispetto dei
parametri del Patto di Stabilità e Crescita e dalla peer pressure.
4
BCE, 2008, p. 9
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Andando a guardare la realtà istituzionale dell’UE, e focalizzando
l’attenzione sull’ambito monetario, essa è strutturata in un Sistema
Europeo di Banche Centrali (SEBC), composto dalla Banca Centrale
Europea (BCE) e dalle Banche Centrali Nazionali degli Stati membri
dell’Unione Europea.
¨ possibile evidenziare al suo interno l’Area dell’Euro, formata dalla
BCE e dalle Banche Centrali Nazionali dei Paesi che partecipano alla
terza fase del processo di creazione dell’Unione Monetaria Europea
(UME); esse costituiscono appunto l’Eurosistema.
Com’è noto, l’UE è composta da 27 Paesi, di cui attualmente solo 16
fanno parte dell’ UME; fra i Paesi che non hanno adottato l’Euro la
Danimarca e il Regno Unito hanno uno status speciale basato su una
clausola di scelta, nel senso che non hanno l’impegno di adottare
l’Euro, mentre le altre sono impegnate a farlo ma il tempo e il
cammino di convergenza verso la sua adozione saranno valutate
singolarmente su base nazionale.
I Paesi che fanno parte dell’Unione, e quindi sono parte del SEBC, ma
che non hanno aderito alla terza fase, e quindi non sono anche parte
dell’Eurosistema, non possono partecipare alla definizione nØ
all’attuazione della politica monetaria unica
5
; al contrario i Paesi, tra
cui l’Italia, che sono parte anche dell’Eurosistema, partecipano
attraverso le loro Banche Centrali Nazionali (BCN) alla definizione
della politica monetaria unica, ma inevitabilmente rinunciano ad una
politica monetaria indipendente, così come ad un’autonoma politica
dei cambi.
5 BCE, 2008, pp.8-9
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Le BCN svolgono quindi la propria attività concorrendo all’attuazione
della politica monetaria unica, in modo del tutto svincolato da
possibili influenze o istruzioni dettate dai loro governi nazionali.
Obiettivo principale dell’attività della BCE è il mantenimento della
stabilità dei prezzi (argomento che sarà approfondito piø avanti), e per
il suo conseguimento essa è dotata di notevole discrezionalità, non
essendo sottoposta gerarchicamente ad alcun organo esecutivo,
secondo il modello delle “Autorità indipendenti”.
Dal 1°gennaio 1999 ha avuto inizio la terza fase dell’UEM, rendendo
operativi sia SEBC che Eurosistema, con la partecipazione dei Paesi
membri dell’UE secondo la distinzione, di cui sopra, tra Paesi che
appartengono anche all’Eurosistema e Paesi che sono inclusi soltanto
nel SEBC. Tra i principali compiti che sono affidati all’Eurosistema vi
sono:
-definire e attuare la politica monetaria unica (che comprende attività
come l’emissione di moneta e il controllo dei tassi di interesse)
-effettuare operazioni sul mercato dei cambi
-gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli stati membri
-promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
Organo propulsore di ogni attività è la BCE, sulla quale è necessario
un approfondimento.
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1.3 La Banca Centrale Europea
La Banca Centrale Europea è un’istituzione indipendente, dotata di
personalità giuridica autonoma, costituita nel giugno 1998 con
l’apporto di capitale e di riserve valutarie da parte delle Banche
Centrali Nazionali.
La sua effettiva indipendenza richiede anche l’indipendenza delle
Banche Centrali Nazionali che non solo non devono essere controllate
dai Governi Nazionali, ma deve essere loro vietato il finanziamento
dei disavanzi pubblici; è per questo che il trattato di Maastricht ha
insistito su tale divieto, in quanto condizione necessaria per il
perseguimento dell’obiettivo della stabilità monetaria; infatti è stato
acutamente osservato che in caso contrario le autorità di Governo
nazionali avrebbero teso a subordinare la politica monetaria alle
finalità contingenti, senza uno sguardo di lungimiranza che soltanto
una Banca Centrale indipendente può garantire.
La BCE gode anche di indipendenza finanziaria ed ha pertanto un
bilancio distinto da quello della Comunità Europea e delle singole
BCN; unica istituzione che ha la possibilità di sindacare sul suo
operato è la Corte dei Conti europea, limitatamente alla verifica
dell’efficienza operativa sulla quale può formulare osservazioni;
quest’ultima può essere definita come la capacità dell’assetto
operativo di trasmettere le decisioni di politica monetaria nel modo
piø rapido e preciso possibile ai tassi a breve del mercato monetario
6
.
Gli organi decisionali della BCE sono il Consiglio Direttivo e il
Comitato Esecutivo. Il Consiglio Direttivo è l’organo decisionale in
6
BCE, 2008, p.53
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materia di politica monetaria, è composto dai 6 membri del comitato
Esecutivo e dai governatori delle banche centrali che hanno adottato
l’euro
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; il loro compito è di contribuire a prendere decisioni piø in
qualità di esperti di politiche monetarie che come soggetti
rappresentanti gli interessi nazionali.
Alle riunioni del Consiglio Direttivo, o Governing Council, può
partecipare senza diritto di voto anche un membro della Commissione
Europea.
Il Comitato Esecutivo ha il compito di attuare le decisioni del
Consiglio Direttivo; esso è composto da Presidente e Vicepresidente
della BCE e da altri 4 membri di riconosciuta esperienza nel settore
bancario e finanziario; il mandato di ciascun membro dura 8 anni e
non è rinnovabile.
Per la validità delle decisioni del Consiglio Direttivo è richiesta la
presenza di un quorum costitutivo di almeno due terzi dei membri; le
decisioni normalmente vengono prese a maggioranza semplice ma
quelle aventi contenuto patrimoniale vengono prese attraverso una
procedura di ponderazione dei voti sulla base delle quote di
partecipazione al capitale della BCE.
Anche nel Comitato Esecutivo vale il quorum costitutivo dei 2/3 dei
membri e le decisioni sono prese a maggioranza semplice.
La procedura di adozione delle decisioni si fonda su un’attività
decisionale accentrata in capo al Consiglio Direttivo, e sull’operatività
affidata alle Banche Centrali Nazionali, in base al principio di
7
G. Strozzi, 2009, pp.180-182