4
l’elaborazione di un nuovo assetto delle competenze a favore degli enti
territoriali.
Se la valorizzazione delle Regioni e delle autonomie locali in essa
contenuta costituisce una risposta a specifiche istanze di efficienza e di
modernità provenienti dalla società civile e politica, va sottolineato come
essa rappresenti anche l’attuazione di un progetto costituzionale
irrealizzato. L’ampio trasferimento di funzioni e poteri ceduti dallo Stato
alle Regioni ed agli enti locali, in cui, tra l’altro, si sostanzia la suddetta
riforma, nel momento in cui rafforza il sistema delle autonomie dà
compiuta attuazione ai principi regionalisti ed autonomisti sanciti dalla
Costituzione. Infatti, benché la legge n. 59 sia stata presentata all’opinione
pubblica sotto lo slogan del “federalismo amministrativo”, il riassetto dei
pubblici poteri da essa previsto viene predisposto nel rispetto del quadro
costituzionale vigente.
Del resto, come appare evidente, l’appellativo “federalismo
amministrativo” è stato utilizzato per significare che la riforma operata
consente la massima concessione di autonomia, da parte dello Stato in
favore di Regioni ed enti locali, compatibile con l’attuale ordinamento
costituzionale; allora indubbiamente tale termine è stato usato più come
sinonimo di decentramento e di potenziamento dell’autonomia locale che
non nel significato suo proprio. Il federalismo è, infatti, un modello
costituzionale che nasce attraverso il raggruppamento di più Stati minori in
uno, appunto, “federale”; è quindi un fenomeno difficilmente configurabile
laddove esista già uno Stato unitario. Dunque, non può parlarsi che
impropriamente di federalismo in merito alla legge n. 59, che non ha
apportato mutamenti dei principi su cui si fonda il nostro sistema
costituzionale, così come presupporrebbe una modifica in senso federale
dello Stato.
5
Va detto che nelle intenzioni delle stesse autorità di Governo che lo
hanno promosso, il decentramento amministrativo avrebbe dovuto
anticipare quella che si riteneva, o meglio si auspicava, fosse l’imminente
trasformazione dell’assetto istituzionale dello Stato. In concomitanza della
costituzione della Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali, era
stato lo stesso Ministro Bassanini a riprendere il discorso del federalismo,
esprimendo la chiara volontà di anticipare, con la revisione
dell’ordinamento amministrativo, l’altro più ampio disegno riformatore che
sarebbe seguito, così che la legge n. 59 veniva emanata nella prospettiva di
una futura ed incisiva revisione dell’assetto costituzionale.
Seppure la prospettiva di una forma di Stato diversa, fondata sugli
istituti tipici del federalismo, ha indotto ad emanare una legislazione di
riforma amministrativa che doveva essere letta come il primo passo per
snellire l’impianto centralistico del nostro ordinamento, non sembra
corretto dire che questa realizza il “federalismo”, sia pure amministrativo,
dal momento che non importa modifiche della struttura costituzionale dello
Stato, ma, anzi, è volta alla realizzazione delle autonomie costituzionali.
Il disegno riformatore delineato dalla legge n. 59 appare, infatti,
pienamente aderente alla logica costituzionale delle autonomie; esso mira a
riorganizzare l’ordinamento statale secondo il principio di autonomia
dell’art. 5 Cost., riformando le strutture della pubblica amministrazione
innanzitutto demandando ampie funzioni all’autogoverno dei sistemi
regionali, che vedono ridisciplinato il proprio ordinamento per adeguarlo al
più impegnativo ruolo chiamato a ricoprire.
La legge n. 59 resta, comunque, una normativa di principio con cui si
sono fissati gli obiettivi, le modalità e i tempi per procedere al riordino
dell’assetto dei pubblici poteri, delegando a ciò il Governo, chiamato
perciò al gravoso compito di dare concretezza al suo dettato. L’attuazione
complessiva della riforma ha richiesto, attraverso un procedimento
6
alquanto complesso, l’approvazione e l’emanazione, nell’arco di circa un
anno, di una notevole quantità e varietà di provvedimenti normativi con cui
non solo si è provveduto al riordino delle strutture dell’amministrazione
statale e alla semplificazione dei sistema amministrativo ma si è anche
inciso in modo profondo sul sistema dei poteri regionali e locali.
Ed è proprio all’ordinamento regionale che volge l’attenzione questa
trattazione, al fine di illustrare le principali novità introdotte in attuazione
della legge n. 59 e per analizzare il nuovo ruolo che, conseguentemente,
viene configurandosi per le Regioni.
7
§ 1. 1. I profili caratterizzanti la legge 15 marzo 1997 n. 59.
Fin dall’inizio degli anni 90 si è riproposta a livello nazionale la
questione regionale in conseguenza al manifestarsi di varie sollecitazioni e
istanze provenienti dalla “periferia” e dirette a mettere in discussione lo
Stato e la sua organizzazione politica e amministrativa, non più rispondente
alle esigenze delle collettività locali.
Numerosi sono stati in questi anni i progetti di riforma
1
avanzati,
soprattutto a livello costituzionale, volti sia ad ampliare le competenze
delle autonomie locali sia a rivedere i poteri statali, ma nessuno di questi ha
terminato il suo iter.
In questo contesto di sollecitate e mancate riforme viene a collocarsi la
legge 15 marzo 1997 n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di
funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione e per la semplificazione amministrativa” (che ha assunto
nel gergo comune il nome del Ministro per la Funzione Pubblica F.
Bassanini, suo proponente); legge che costituisce il pilastro fondamentale
della imponente riforma intrapresa dal Governo presieduto dall’On. Prodi
nella XIII legislatura e avente per obiettivo quello di “decentrare le
1
Vanno ricordati a tale riguardo il testo di riforma della parte II della Costituzione elaborato dalla prima
Commissione Bicamerale istituita nella XI legislatura e presieduta dall’On. De Mita e successivamente
dall’On. Iotti (ripreso nella XII legislatura), poi il testo di riforma elaborato dal Comitato istituito nel
1994 dal governo Berlusconi ed infine il testo di riforma elaborato, in questa XIII legislatura, dalla
Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali presieduta dall’On. D’Alema.
8
funzioni pubbliche, accorciando il circuito fra chi decide e chi è
destinatario della decisione e di realizzare uno Stato più leggero ed
efficiente”
2
.
Si è parlato con riferimento a questa legge di “federalismo
amministrativo”, per sottolineare come sia massima la concessione di
autonomia da parte dello Stato in favore delle Regioni, delle Province e dei
Comuni, il tutto mediante legge ordinaria e senza modifiche
costituzionali
3
.
Il termine “federalismo” risulta impiegato in modo improprio, forse
adottato più per fare presa sull’opinione pubblica che per descrivere
l’effettiva portata della legge. Per federalismo, infatti, si intende quel
modello costituzionale che nasce non dalla dismissione di poteri da parte di
uno Stato già esistente ma, bensì, dall’aggregazione di Stati indipendenti
che si federano. Sarebbe, pertanto, più appropriato parlare di
decentramento amministrativo.
La legge n. 59 contiene una pluralità di deleghe al Governo aventi ad
oggetto proprio il conferimento di funzioni e compiti a Regioni ed enti
locali, oltre che la riforma dell’amministrazione centrale dello Stato e la
semplificazione amministrativa.
Costituisce la prima di tre leggi, cui hanno fatto seguito un numero
consistente di decreti delegati e regolamenti attuativi, che tracciano le linee
guida della riorganizzazione amministrativa dello Stato; le altre due leggi
sono la legge 15 maggio 1997, n. 127 contenente “Misure urgenti per lo
snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e
controllo” e la legge 16 giugno 1998, n. 191 contenente “Modifiche ed
2
Dalla relazione del Ministro per la Funzione Pubblica. Bassanini, sull’attuazione della legge n. 59 del
1997. Roma, 27 giugno 1997, in Prime Note Zoom, 1997, p. 105
3
Si veda PIZZETTI, intervento al forum: Le autonomie regionali e locali alla prova delle riforme.
Interpretazione e attuazione della legge n. 59/97, svoltosi presso l’ISR-CNR, a cura di DESIDERI e
MELONI, Milano, 1998, p 161
9
integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59 e 15 maggio 1997,
n. 127”,entrambe apportatrici di sostanziali modifiche alla legge n. 59.
La legge Bassanini costituirebbe, a detta dello stesso legislatore e di
alcuni interpreti
4
, un’anticipazione della riforma in senso federale
dell’ordinamento italiano,
5
per altri rappresenta, invece, la naturale
conclusione di quel processo di decentramento dello Stato
6
, previsto nella
Costituzione del 1948 ed iniziato con l’istituzione delle Regioni nel 1970.
Nell’ottica di quest’ultima posizione si colloca chi individua nella
legge n. 59 il c.d “terzo decentramento”
7
, considerandola come la
continuazione naturale delle due precedenti leggi di delega, quella del 1970
e quella del 1975
8
e dei successivi decreti legislativi del 1972 e del 1977,
che si prefiggevano di riformare l’amministrazione centrale mediante
l’attuazione dell’ordinamento regionale.
Ed è proprio rispetto a questi due precedenti trasferimenti che meglio
si possono cogliere i profili innovativi e caratterizzanti la legge n. 59,
considerata come «la legge ordinaria dotata del più alto potenziale
costituzionale»
9
sia per le conseguenze che potrà avere sulla forma di Stato
e di Governo, sia per il fatto che con essa si va ad abbandonare il modello
amministrativo di stampo centralista.
Innanzitutto quello che caratterizza la legge Bassanini quale legge di
decentramento rispetto alle precedenti è dato dal fatto che per la prima
volta si affrontano in un ottica unitaria tre diversi profili tra loro
4
In tal senso si sono espressi PIZZETTI, CHELI, ANZON, nei loro interventi al forum: Le autonomie
regionali e locali alla prova delle riforme...,op. cit., pp. 39, 35, 141.
5
Riforma che attualmente sembra molto lontana dopo il fallimento della Commissione Bicamerale
istituita con la legge cost. n. 1 del 1997.
6
Secondo PAJNO la legge n. 59 non fa altro che dare attuazione alle disposizioni costituzionali ed in
particolare agli artt. 5, 117, 128; della stessa opinione DE MARTIN, che vede nella legge 59/1997 il
tentativo di esplorare fino in fondo le potenzialità della Costituzione. In proposito si vedano i relativi
interventi al forum: Le autonomie regionali e locali alla prova delle riforme. op. cit., pp. 105, 151.
7
CASSESE, Il disegno del terzo decentramento, in Giornale di Diritto Amministrativo, 1997, p. 417 ss.
8
Rispettivamente la legge 16 maggio 1970 n. 281 e la legge 22 luglio 1975 n. 382.
9
CHELI, nel suo intervento al forum su Le autonomie regionali e locali alla prova delle riforme, op. cit.,
p. 35.
10
intimamente connessi
10
: quello della trasformazione della Pubblica
Amministrazione da amministrazione centralizzata ad amministrazione
decentrata su base regionale e locale; quello di una profonda riforma degli
apparati centrali e periferici dello Stato; quello, infine, di un’ampia opera di
semplificazione e delegificazione di procedimenti amministrativi.
Il primo dei profili su indicati riguarda l’attuazione da parte del
Governo, in qualità di legislatore delegato, del processo di trasferimento
delle funzioni e dei compiti amministrativi dallo Stato centrale al sistema
regionale e delle autonomie locali; trasferimento che in base ai principi e ai
criteri direttivi contenuti nella legge (capo I) si presenta come quello più
ampio fino ad oggi intrapreso e che ha come obbiettivo dichiarato la
realizzazione di uno Stato amministrativo il più possibile decentrato.
A tale riguardo numerose sono le novità della legge Bassanini. Si
prevede innanzitutto un conferimento, tramite trasferimento, delega o
attribuzione, a Regioni ed enti locali di “tutte le funzioni e i compiti
amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello
sviluppo delle rispettive comunità, nonché di tutte le funzioni e i compiti
amministrativi localizzabili nei rispettivi territori….” (art. 1, co. 2), tanto
nelle materie di loro competenza ex art. 117 Cost. che al di fuori di queste,
con la sola eccezione delle funzioni e dei compiti rientranti nelle materie
elencate nel comma 3 e dei compiti specifici individuati nel successivo
comma 4, in quanto riservati allo Stato. Si è quindi sancito da parte del
legislatore il passaggio da un sistema amministrativo poggiante
essenzialmente sull’amministrazione statale ad un sistema che, all’opposto,
poggia sulle Regioni e sulle autonomie locali e che vede la periferia titolare
di tutte le funzioni non espressamente attribuite al centro
11
.
10
La mancanza, nei due precedenti trasferimenti del 1970 e del 1975, dell’opera di razionalizzazione e
modernizzazione dell’amministrazione centrale, ha impedito la loro piena attuazione.
11
Proprio l’utilizzo di questa nuova tecnica di riparto, che sorregge in vari Stati del mondo i diversi
modelli di federalismo, ha fatto parlare di “federalismo amministrativo”.
11
Viene introdotto un nuovo criterio per l’allocazione delle funzioni tra
i vari livelli di governo, ossia il principio di sussidiarietà (art. 4, co. 3,lett.
a). In virtù di questo principio le funzioni amministrative dovrebbero
possibilmente assegnarsi a quegli enti che in ragione della loro vicinanza
ai luoghi o ai gruppi di soggetti, ed inoltre per la loro struttura non
particolarmente complessa, risultano in grado di far fronte meglio ai
bisogni delle collettività organizzate.
Le Regioni vedono inoltre ampliate le proprie competenze legislative
dall’art. 2, che attribuisce loro la disciplina legislativa delle funzioni e dei
compiti conferiti in quanto rientranti nelle materie dell’art. 117 Cost.,
mentre per tutte le altre materie si riconosce alle regioni la potestà di
emanare norme attuative.
Il raccordo tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali viene potenziato,
sia mediante la definizione e l’ampliamento delle attribuzioni della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano, sia mediante l’unificazione della suddetta
conferenza, per le materie e i compiti di interesse comune, con la
Conferenza Stato-città e autonomie locali (art. 9).
Una procedura particolare è prevista per l’adozione dei decreti
legislativi di conferimento (art. 6), che contempla l’acquisizione dei pareri
sugli schemi dei decreti non solo della Commissione parlamentare per le
questioni regionali, della Conferenza Stato-città e autonomie locali, ma
anche della Commissione parlamentare istituita dall’art. 5, che ha compiti
di vigilanza sullo stato di attuazione della riforma stessa e di consultazione.
Se l’obbiettivo politico perseguito con questa legge dal Governo e dal
Parlamento è sicuramente il “terzo decentramento”, strumentale ad esso
risulta essere la riforma degli apparati centrali e periferici dello Stato.
Al Capo II della legge n. 59 il legislatore delegante detta i criteri guida
per il riordino dell’amministrazione centrale dello Stato, che viene a
12
rendersi necessario sia in ragione del “dimagrimento” derivante dal
conferimento di compiti e funzioni a regioni ed enti locali, sia per la
creazione di un’amministrazione migliore e più efficiente
12
.
Gli insuccessi conseguiti negli anni 70 nei processi di devoluzione
delle competenze dal centro alla periferia furono dovuti proprio alla
mancata previsione di un processo di riordino delle strutture amministrative
statali che portasse alla soppressione di quelle strutture divenute, a seguito
del trasferimento, inutili
13
.
L’art. 11 dispone che la riforma deve essere compiuta non solo nella
prospettiva della semplificazione e della riduzione dell’organizzazione
ministeriale ma anche del suo superamento e che una tale riforma si
realizza attraverso il riordino della Presidenza del Consiglio dei Ministri
14
.
Il riordino va tuttavia operato cronologicamente dopo il conferimento
delle funzioni e dei compiti alle Regioni ed al sistema delle
autonomie, poiché non è possibile procedere alla riorganizzazione
dell’amministrazione centrale sino a quando non si sia deciso che cosa
debba ad essa restare. I decreti legislativi sono perciò chiamati a svolgere
una duplice funzione: attuare il conferimento e individuare le funzioni
restanti all’amministrazione centrale.
Il Capo III della legge Bassanini disciplina la semplificazione
amministrativa dettando tutta una serie di principi a cui il legislatore
delegato deve adeguare la sua opera di delegificazione e individuando,
inoltre, un consistente numero di procedimenti amministrativi oggetto della
delegificazione stessa, a cui va ad aggiungersi la previsione di una legge
12
Si veda a tale riguardo il Dlgs. 30 luglio 1999 n. 300, Riforma dell’organizzazione del Governo a
norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
13
PAJNO, sostiene che la permanenza dell’apparato amministrativo statale finirebbe per attirare
nuovamente a se le funzioni trasferite, delegate o attribuite. Così nel suo intervento al forum: Le
autonomie regionali e locali alla prova delle riforme, op. cit., p. 105
14
In attuazione della delega il Governo ha emanato il D.lgs. 30 luglio 1999 n. 303 contenente “Norme
di riordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in attuazione degli artt. 11, co. 1 lett. a) e
12 della legge 15 marzo 1997 n. 59”, pubblicato sul Sup. ord. 167/L alla G.U. n. 205 del 1°settembre
1999.
13
annuale di semplificazione che il Governo deve presentare al Parlamento
entro il 31 gennaio di ogni anno
15
.
La legge n. 59 contiene, inoltre, tutta una serie di deleghe di settore,
attribuite al Governo, dirette a riformare particolari profili dell’apparato
amministrativo fra le quali: la delega in materia di privatizzazione del
pubblico impiego
16
(art. 11, co. 4); la delega in materia di contrattazione
collettiva e di rappresentatività sindacale nel settore del pubblico impiego
17
(art. 11, co. 4); la delega per la riforma della Scuola della Pubblica
Amministrazione e degli Istituti di formazione delle amministrazioni
centrali
18
(art. 11, co 4, lett. a); le deleghe relative alla riforma del mercato
del lavoro
19
(art. 4, co. 4, lett. c), del trasporto pubblico locale
20
(art. 4, co.
4, lett.a), del commercio interno
21
(art. 4, co. 4, lett. c).
Complementare alla legge n. 59 in questa operazione di radicale
riforma è la legge 15 maggio 1997, n. 127 che prevede ulteriori misure di
semplificazione e reca fondamentali innovazioni alla struttura ed al
funzionamento degli enti locali
22
. Tra queste spicca la riforma del regime
dei controlli sulle Regioni e sugli enti locali (art. 17, commi 31-45).
I controlli sugli enti locali rappresentano un aspetto di fondamentale
importanza nella definizione della sfera di autonomia degli enti stessi,
infatti dalla molteplicità e dalla profondità dei controlli è determinato il
grado di autonomia che si vuole riconoscere e garantire non essendo
sufficiente solo l’attribuzione di un numero maggiore di funzioni.
15
La prima legge di semplificazione e delegificazione è stata la legge 8 marzo 1998 n. 50
“Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi. Legge di
semplificazione”.
16
L’attuazione della delega è avvenuta con il D.lgs. 31 marzo 1998 n. 80.
17
Delega attuata con il D.lgs. 4 novembre 1997 n. 396.
18
Deleghe attuate rispettivamente con il D.lgs. 30 luglio 1999 n. 287. e D.lgs. 30 luglio 1999 n. 285.
19
Delega attuata con il D.lgs. 23 dicembre 1997 n. 469.
20
Delega attuata con il D.lgs. 19 novembre 1997 n. 422.
21
Delega attuata con il D.lgs. 31 marzo 1998 n. 114.
22
Tra le innovazioni introdotte dalla legge n 127 del 1997 abbiamo la riforma della dirigenza e dei
segretari comunali e provinciali, la ridefinizione delle strutture degli enti locali, le innovazioni in materia
di personale degli enti locali, i correttivi in materia di dimissioni e surroga dei consiglieri degli enti locali,
le innovazioni in materia contabile e finanziaria e, infine, le nuove attribuzioni al difensore civico
comunale e provinciale.
14
In tema di controlli, la legge n. 127 (cd. Bassanini-bis) delinea una
quasi totale abolizione dei controlli di legittimità sugli atti di Regioni e enti
locali
23
. Gli articoli 125 e 130 della Costituzione, disciplinanti i controlli,
vengono svuotati di significato, ciò non solo a causa della riduzione del
numero degli atti sottoposti al controllo di legittimità ma anche per il tipo
di atti che per loro natura non si prestano se non in misura esigua ad una
verifica di legittimità.
Nel nuovo assetto così delineato dalla legge Bassanini le Regioni
hanno l’occasione di vedere rivalutato il loro ruolo, non più semplici
diramazioni del potere centrale ma vere protagoniste del governo delle
rispettive comunità territoriali.
Non va però dimenticato che la legge n. 59 è sostanzialmente una
legge di principio che richiede di essere esplicitata dal legislatore delegato;
sarà la normativa di attuazione
24
a dare il segnale che per l’ordinamento
regionale qualcosa sta cambiando.
§ 1. 2. La legge Bassanini come legge ad attuazione partecipata.
La legge n. 59, come si è detto, è una legge di delega
25
; a norma
dell’art. 76 Cost. leggi delega sono quelle leggi con cui il Parlamento
trasferisce la potestà legislativa su di una determinata materia delegandola
al Governo che è tenuto ad esercitarla entro un tempo limitato e nel rispetto
dei principi e criteri direttivi fissati.
23
Il tema dei controlli sugli atti di Regioni ed enti locali sarà trattato in maniera più approfondita nel
Cap. III.
24
FALCON vede nell’attuazione della legge n. 59 la possibilità della formulazione di una nuova idea di
Regione, di che cosa deve essere e di che cosa deve fare, così nel suo intervento al forum: Le autonomie
regionali e locali alla prova delle riform.. op. cit., p. 147.
25
PIZZETTI, sostiene che l’utilizzo di questo strumento legislativo costituisca un’evoluzione della prassi
costituzionale volta all’intensificazione degli strumenti di raccordo tra Governo e Parlamento. Così nel
suo intervento al forum: Le autonomie regionali e locali alla prova delle riform,. op. cit., p. 161.
15
La legge Bassanini, discostandosi da tale disposizione che attribuisce
solo al Governo il potere delegato di legiferare, prevede che l’attuazione
delle deleghe in essa contenute debba avvenire con un’ampia
partecipazione del Parlamento, delle Regioni e degli enti locali.
Il Governo, infatti, nell’emanare i decreti legislativi è tenuto ad
acquisire, attraverso un iter complesso, il parere ora delle commissioni
parlamentari, ora delle varie conferenze di raccordo, ora delle
organizzazioni sindacali.
Per ciò che attiene alla partecipazione del Parlamento al processo di
attuazione delle varie deleghe, questa si realizza in due distinte sedi: la
prima è la Commissione parlamentare per gli affari regionali, prevista
dall’art. 126 Cost.; la seconda è la Commissione parlamentare consultiva
sull’attuazione della legge n. 59 (c.d. Bicameralina) istituita dall’art. 5,
composta da venti senatori e venti deputati, nominati dai Presidenti delle
Camere su designazione dei gruppi parlamentari.
I compiti attribuiti alla Commissione c.d. Bicameralina sono di
esprimere i pareri richiesti dalla legge e di verificare lo stato di attuazione
delle riforme previste, riferendone ogni sei mesi alle Camere.
E’ stato evidenziato
26
come l’istituzione di questa Commissione, e
l’attribuzione ad essa della formulazione di tutti i pareri riguardanti i
decreti delegati, sia andata a mutare il ruolo delle varie Commissioni
permanenti del Senato e della Camera, restringendone le competenze. Per
ovviare a questo problema il legislatore è intervenuto con la legge 16
giugno 1998 n. 191 sul testo dell’art. 4 della legge n. 59 introducendovi un
ulteriore comma in cui si dispone che: “Gli schemi di decreto legislativo di
cui al comma 4
27
sono trasmessi alla Camera dei Deputati e al Senato della
26
PIZZETTI, nel suo intervento al forum: Le autonomie regionali e locali alla prova delle riforme, op.
cit., p. 39.
27
I decreti legislativi in parola non sono altri che quelli con cui il Governo deve provvedere al
conferimento in forza dell’art. 1 della legge n. 59.
16
Repubblica per l’acquisizione del parere delle Commissioni competenti
per materia, che si esprimono entro trenta giorni dalla data di assegnazione
degli stessi” (art. 4, co. 4-bis); in forza di questa previsione le varie
Commissioni delle Camere riacquistano il loro ruolo nell’ambito del
processo di riforma.
A norma dell’art. 6, il Governo è tenuto ad acquisire, sugli schemi dei
decreti legislativi, il parere di entrambe queste Commissioni. I pareri, che
non sono vincolanti per il legislatore delegato, devono essere pronunciati
entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli schemi stessi,
decorsi i quali i decreti possono essere emanati.
Vi sono anche casi in cui il legislatore delegato è tenuto ad acquisire il
parere di una sola delle due Commissioni: a norma dell’art. 7 deve essere
acquisito il parere della Commissione parlamentare per l’attuazione della
legge n. 59 sugli schemi dei provvedimenti attuativi dei decreti delegati,
mentre è richiesto il parere della sola Commissione parlamentare per le
questioni regionali sugli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni
regionali delegate, che il Governo intenda adottare pur in mancanza
dell’intesa con la Conferenza Stato, Regioni e Province Autonome (art. 8,
co. 2).
La partecipazione del Parlamento nell’opera di attuazione della legge
n. 59, soprattutto attraverso la Commissione bicamerale
28
di cui all’art. 5,
persegue lo scopo sia di assicurare che “tutto il processo riformatore
avvenga in modo partecipato e auspicabilmente condiviso tra il legislativo
ed esecutivo”
29
, sia di favorire il più ampio consenso nei confronti di una
riforma di così ampia portata.
28
La decisione di istituire la Commissione e di assegnare ad essa i compiti previsti nel co. 4 dell’art. 5 è
stata assunta durante l’esame alla Camera dei Deputati e successivamente confermata al Senato.
29
. PIZZETTI, nel suo intervento al forum: Le autonomie regionali e locali alla prova delle riforme, op.
cit., p. 39.