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Capitolo 1
L’acquisizione della L2
Ciascun individuo può avvalersi di uno strumento fondamentale per poter
esprimersi ed interagire con gli altri, ossia il linguaggio. Il processo di acquisizione
linguistica si sviluppa in maniera graduale e spontanea a partire dalla nascita. Ogni
bambino, dunque, segue un percorso che si articola in diverse tappe, alla fine del
quale sviluppa una piena padronanza della propria lingua materna. Tuttavia, nel
corso della sua esistenza, l’essere umano può entrare in contatto con più di una
lingua attraverso modalità e tempi diversi. Un apprendente potrebbe essere esposto
ad una lingua diversa da quella materna già in tenera età oppure in età scolare. Si
pensi ai casi di bambini i cui genitori sono di diversa madrelingua, oppure a quei
casi di bambini immigrati che con la loro famiglia si sono trasferiti in una nuova
nazione. Ancora, anche in età adulta un individuo potrebbe avere la possibilità di
apprendere una nuova lingua. Per esempio, se per ragioni lavorative deve trasferirsi
in un altro paese oppure se dovesse decidere di seguire un corso di lingua allo scopo
di raggiungere un determinato obiettivo, come quello di migliorare la propria
posizione sociale o lavorativa. Naturalmente, queste sono solo alcune delle
modalità attraverso le quali un apprendente potrebbe approcciarsi ad una nuova
lingua. L’interesse degli studiosi nei confronti del processo di acquisizione di
un’altra lingua all’infuori di quella materna è gradualmente accresciuto nel corso
degli anni. Ad aumentare l’interesse nei confronti di questo oggetto di studio è stato
soprattutto il desiderio di comprendere come un essere umano possa acquisire altre
lingue e in che modo questo processo possa differire da quello che riguarda
l’acquisizione della lingua materna.
1.1 Alcuni chiarimenti terminologici
Prima di presentare alcuni dei più importanti modelli teorici relativi al processo di
acquisizione linguistica, è stato ritenuto utile fare alcune precisazioni
terminologiche. In questo modo, si cercherà di fare maggiore chiarezza su un tema
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così complesso quale l’acquisizione di una L2. In primo luogo, verranno trattati due
concetti che spesso sono utilizzati in maniera distinta, ossia quello di lingua seconda
e di lingua straniera. In secondo luogo, si parlerà di due fenomeni che tendono a
causare alcuni fraintendimenti, considerato che sono usati sia in maniera
interscambiabile che distinta. Si tratta dei fenomeni di acquisizione e
apprendimento che, nell’ambito della linguistica e della glottodidattica, necessitano
un maggiore chiarimento.
1.1.1 Lingua seconda vs lingua straniera
Innanzitutto, è importante precisare a cosa fa riferimento il concetto di L2 e per
quale motivo non si sceglie di utilizzare altri termini presenti in letteratura, quali
quello di lingua seconda o lingua straniera. Tali termini implicano, comunque,
l’esistenza di una lingua con la quale l’individuo viene in contatto fin dalla nascita,
ossia la cosiddetta lingua materna o L1 (Pallotti, 2000). Quindi, si tratta della lingua
che il bambino acquisisce per prima, generalmente nel nucleo famigliare, per poter
comunicare con il mondo circostante. La seconda lingua, invece, viene definita
come “ogni lingua che viene appresa dopo la prima” (Pallotti, 2000: 13). Essa viene
solitamente appresa nel paese in cui viene usata. Si pensi, ad esempio, al caso di un
bambino immigrato la quale lingua materna è diversa rispetto a quella che viene
usata nel paese in cui vive. Quindi, ha la necessità di acquisire quella lingua per
poter comunicare con le persone che lo circondano. Infine, il concetto di lingua
straniera fa riferimento a quella lingua che invece viene appresa nel contesto
scolastico e che normalmente non viene usata nel paese in cui si vive (Pallotti,
2000). A tal proposito un esempio potrebbe essere quello di un apprendente italiano
che studia l’inglese in una scuola o in un’università italiana. In tal caso, l’inglese è
per l’apprendente una lingua straniera perché viene appresa in un contesto formale
e non viene abitualmente parlata nel paese in cui vive. Quindi, il contesto nel quale
la lingua viene acquisita o appresa è un fattore fondamentale da tenere in
considerazione per fare questa distinzione. Un altro fattore che potrebbe essere
interessante è quello della competenza (Edmondson, 1999). Se l’apprendente ha
una buona padronanza della lingua, allora essa potrebbe essere da lui considerata
come una lingua seconda, altrimenti come una lingua straniera. Nell’accezione
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comune spesso ci si riferisce a questa distinzione anche in questi termini. Tuttavia,
sebbene all’apparenza sembri molto semplice distinguere una lingua seconda da
una straniera, in realtà si tratta di un tema controverso, poiché in alcuni casi risulta
difficile capire se si possa trattare dell’una o dell’altra. Per esempio, si pensi a uno
studente che trascorre un determinato periodo di studi nel paese di cui conosce la
lingua, per poter consolidare le competenze linguistiche che ha acquisito in un
contesto formale o istituzionale. In questo caso, né il concetto di lingua seconda né
quello di lingua straniera sembrano adeguati (Bosisio, 2012). Balboni (2013) opera
una distinzione in termini spaziali tra lingua seconda e lingua straniera. La prima,
indicata con la sigla L2, viene intesa come una lingua non materna appresa nel paese
dei parlanti nativi di quella lingua, mentre la seconda, definita LS, è una lingua non
materna appresa nel proprio paese. Quindi, pur indicando i concetti di lingua
seconda e di lingua straniera attraverso il ricorso ad altri termini, è comunque
possibile andare in contro a dei fraintendimenti. Pertanto, per ovviare le ambiguità
che tali definizioni potrebbero comportare, generalmente si preferisce ricorrere
semplicemente alla sigla L2 per fare riferimento a qualunque lingua che non sia
quella materna (Bosisio, 2012). A questo proposito, quindi, nel presente elaborato
si utilizzerà il termine L2 per fare riferimento alla lingua acquisita dall’apprendente
oltre a quella materna, a prescindere dal contesto.
1.1.2 Distinzione tra acquisizione e apprendimento: uno sguardo alla teoria
di Krashen
Un’ulteriore distinzione che necessita un chiarimento è senza dubbio quella che
concerne i concetti di acquisizione e di apprendimento. Si tratta di due termini che
sono spesso utilizzati in modo interscambiabile, ma che in realtà, nell’ambito della
linguistica e della didattica delle lingue, richiedono un maggiore approfondimento.
Un contributo importante a tal proposito è stato sicuramente quello di Krashen
(1977), grazie al quale è stata elaborata una delle prime teorie che riguardano la
lingua dell’apprendente, formulando in particolare cinque ipotesi, tra le quali quella
che riguarda la distinzione tra acquisizione e apprendimento. L’acquisizione fa
riferimento a un processo inconscio e spontaneo, che ha luogo in un ambiente
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naturale e che non richiede particolari sforzi. Si pensi, ad esempio, al processo di
acquisizione della lingua materna, ma anche a quei casi in cui l’apprendente utilizza
la lingua per scopi comunicativi, senza soffermarsi in modo esplicito sugli aspetti
formali. Un apprendente che si trasferisce in un paese in cui viene parlata una lingua
diversa dalla propria lingua materna, per esempio, acquisirà quella lingua
gradualmente interagendo con i parlanti nativi. Non si soffermerà sulle forme di
quella lingua ma le utilizzerà in modo spontaneo e inconsapevole, proprio come fa
un bambino che acquisisce la sua lingua materna comunicando con le persone che
lo circondano. Dunque, se l’apprendente non condurrà uno studio esplicito della
lingua che sta acquisendo, non avrà di conseguenza una conoscenza esplicita di tale
lingua e quindi, in questo caso, il termine acquisizione appare appropriato. Al
contrario, infatti, l’apprendimento è un processo consapevole e sistematico, che si
verifica in un contesto formale, come quello scolastico. In questo caso,
l’apprendente presta attenzione alle forme della lingua poiché è consapevole delle
regole che sta usando o che dovrebbe usare. Secondo Krashen (1993)
l’apprendimento ha un ruolo limitato dato che la conoscenza esplicita che
l’apprendente va a sviluppare non garantisce l’acquisizione della regola. Per
esempio, l’apprendente che studia la L2 nel contesto scolastico conosce le regole di
quella lingua perché le apprende in modo esplicito. Tuttavia, può capitare che
trascuri tale regola nel momento in cui ci sono altri fattori in gioco, come la
stanchezza o la necessità di parlare velocemente. La mancata applicazione della
regola indicherebbe, pertanto, che essa è stata appresa dall’apprendente e non
acquisita (Pallotti, 2000). Come possiamo notare, dunque, l’apprendimento ha
effetti meno duraturi rispetto all’acquisizione. Alla luce di queste considerazioni, la
distinzione tra acquisizione e apprendimento potrebbe risultare scontata, ma in
realtà l’ipotesi formulata da Krashen è stata soggetta a delle critiche secondo le
quali si tratta di un tema non riducibile ad una semplice dicotomia. Si pensi, ad
esempio, ai casi in cui l’apprendente utilizza una determinata struttura non solo per
soffermarsi sulla sua forma, ma anche per scopi comunicativi. Dunque, potrebbe
essere prodotta sia in modo spontaneo durante l’interazione con un interlocutore,
sia in modo consapevole, prestando attenzione alla sua forma (Pallotti, 2000). Wode
(1981) propone, a questo riguardo, una teoria integrata dell’acquisizione delle
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lingue, secondo la quale non esiste una distinzione netta tra questi due processi
poiché ci sono alcuni fenomeni che si verificano in entrambi i casi.
L’interdipendenza tra questi due processi, che non possono sempre essere distinti
in modo netto, può essere notata qualora si faccia riferimento a concetti come
“apprendimento spontaneo, guidato e misto”. De Marco (2000) infatti, distingue
queste tre tipologie di apprendimento, riferendosi, nel caso dell’apprendimento
spontaneo, ad una situazione in cui l’apprendente impara la L2 in un contesto
naturale. A questo proposito, possiamo riconsiderare l’esempio già presentato che
si riferisce a quei casi in cui l’apprendente si trasferisce in un altro paese e impara
la lingua locale venendo in contatto con i parlanti nativi. In tal caso partecipa a delle
situazioni comunicative autentiche e impara la lingua non sviluppando una
conoscenza esplicita delle sue strutture. Quando si parla di apprendimento guidato,
invece, ci si riferisce generalmente a quelle situazioni in cui si apprende la lingua
nel contesto scolastico, all’interno del quale l’apprendente si focalizza sulle
strutture della lingua. Infine, quando si parla di apprendimento misto ci si riferisce
ad un tipo di apprendimento che coinvolge entrambe le tipologie di apprendimento
menzionate. Un bambino immigrato che è inserito in una scuola italiana, ad
esempio, apprenderà l’italiano attraverso due diverse modalità. In primo luogo, i
suoi compagni di classe si rivolgeranno a lui come se si trattasse di un parlante
nativo, non fornendo correzioni che riguardano la forma, quanto piuttosto
correzioni che si riferiscono al contenuto, laddove sia necessario per la buona
riuscita della comunicazione. In secondo luogo, il rapporto tra l’apprendente e
l’insegnante sarà di natura diversa poiché quest’ultimo, a differenza dei compagni
di classe, tenderà a orientare la sua interazione sulla competenza imperfetta
dell’apprendente. Quindi, cercherà, per esempio, di semplificare l’input che
fornisce all’apprendente o di correggere gli errori formali commessi da
quest’ultimo (Solarino, 1992). In questo tipo di scenario ha luogo, quindi, un tipo
di apprendimento definito “misto”. Come si può notare, il concetto di
apprendimento spontaneo può essere paragonato a quello di acquisizione, mentre
quello di apprendimento guidato sembra far riferimento al processo che Krashen
definisce “apprendimento”. Infine, per ciò che concerne il concetto di
apprendimento misto, esso presuppone la coesistenza del processo di acquisizione
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e di apprendimento. Alla luce di quanto esposto finora, quando nel presente
elaborato si utilizzeranno in modo interscambiabile i termini acquisizione e
apprendimento, si terrà in considerazione non tanto l’opposizione tra questi due
concetti, quanto piuttosto la loro interrelazione.
1.2 Uno sguardo teorico agli studi acquisizionali
Il processo di acquisizione del linguaggio è sempre stato un tema che ha suscitato
un particolare interesse da parte di molti studiosi, i quali hanno proposto svariate
ipotesi sul suo sviluppo. Le teorie che sono state elaborate a partire da tali ipotesi
sono state prese in considerazione anche nell’ambito degli studi sull’acquisizione
della L2. In questa sezione verranno trattati in primo luogo due modelli di pensiero
che senza dubbio sono di fondamentale importanza nell’ambito degli studi
sull’acquisizione del linguaggio. Si tratta del modello comportamentista e di quello
innatista, che hanno spiegato questo processo in termini decisamente contrapposti
tra loro. Sebbene si tratti di teorie proposte per fornire una spiegazione sul modo
attraverso il quale il bambino acquisisce il linguaggio, hanno comunque
rappresentato dei punti di partenza per la formulazione di ipotesi riguardanti
l’acquisizione della L2, in particolare per quanto riguarda il concetto di errore.
Inoltre, verrà presentato un altro modello che si riferisce esclusivamente al processo
di acquisizione della L2. Si tratta di una delle prime teorie che ha preso in
considerazione l’importanza che i fattori emotivi e sociali rivestono nel processo di
apprendimento. Considerato il fatto che, nel presente elaborato, verranno anche
trattati i fattori che influenzano l’acquisizione della L2, si è ritenuto opportuno
introdurre questo modello di pensiero.
1.2.1 L’acquisizione del linguaggio come formazione di abitudini: il modello
comportamentista
Tra le teorie avanzate a proposito dell’acquisizione linguistica figura quella
comportamentista che, in ambito psicologico, appare dominante fino agli anni
Cinquanta circa. Tale approccio conferisce all’ambiente un ruolo preminente per
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quanto riguarda lo sviluppo del linguaggio, poiché l’apprendente viene concepito
come un organismo modellabile dall’ambiente esterno. In altri termini, è proprio
grazie all’interazione con l’ambiente che l’apprendente acquisisce il linguaggio. In
particolare, esso può essere acquisito attraverso un processo imitativo che si verifica
mediante un meccanismo di “stimolo-risposta-rinforzo”, così come avviene per il
comportamento (Skinner, 1957). Il principio fondamentale su cui si basa il modello
comportamentista sull’acquisizione del linguaggio è infatti il condizionamento
operante, secondo il quale un comportamento, se stimolato da un rinforzo positivo,
avrebbe più possibilità di essere ripetuto. A questo proposito, per quanto riguarda
l’acquisizione della L1, se l’adulto rinforza in modo positivo le risposte del
bambino, quest’ultimo tenderà a ripeterle fin quando riuscirà ad acquisire le parole
che ha utilizzato. Tuttavia, non è sempre sufficiente stimolare un comportamento
verbale attraverso un rinforzo positivo per ottenere risultati soddisfacenti. Quando
l’apprendente, per esempio, è privato di un oggetto a cui deve associare una
determinata parola, entra in gioco un operante verbale che prende il nome di mand.
A tal proposito, l’apprendente ha bisogno di pronunciare la parola associata
all’oggetto di cui è privato per poter ottenerlo. Quindi, la deprivazione dell’oggetto
lo renderà un rinforzo efficace per spingere l’apprendente a pronunciare la parola a
cui deve associarlo. Se, per esempio, la madre identifica un biscotto attribuendogli
la parola biscotto, quando il bambino avrà fame, pronuncerà quella parola per
ottenere quel che vuole. Quindi, il mand è un operante verbale di cui il parlante si
serve quando, in uno stato di deprivazione, ha bisogno di formulare una risposta
che sia rinforzata da una condizione esterna (Skinner, 1957). Dunque, il modello
comportamentista attribuisce un’importanza fondamentale al ruolo assunto
dall’ambiente esterno. Tuttavia, sarà proprio la posizione passiva assunta
dall’apprendente uno dei principali punti critici della teoria, poiché l’acquisizione
del linguaggio viene ridotta a una serie di abitudini che vengono riprodotte e di
conseguenza si sottovaluta l’aspetto creativo e produttivo del linguaggio
(Camaioni, 2001).