L’Insider Trading e l’Insider di Se Stesso nel Regno Unito
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CAPITOLO I
DALL’INSIDER TRADING ALL’ “INSIDER DI SE STESSO”
IN ITALIA
1.1. Premessa definitoria.
Gli studiosi del diritto si sono a lungo interrogati sulla possibilità di
considerare insider trading la condotta di chiunque sfrutti una notizia
auto- elaborata per agire sul mercato finanziario prima che questa,
diventata un’informazione pubblica, dispieghi i propri effetti sui titoli
dell’emittente alla quale la notizia si riferisce. Questa condotta differisce
da quella tipica da insider trading in particolare per l’identità del
soggetto fonte dell’informazione e del soggetto informato e quindi
agente. Si parla infatti di notizia auto-elaborata: notizia e, si direbbe, non
informazione perché obiettivo di questo studio è anche capire se un
semplice intento possa essere ricompreso nel concetto di informazione,
necessariamente dilatato; auto-elaborata proprio per sottolineare
quell’identità soggettiva fonte- utilizzatore.
La criminalizzazione della condotta di abuso di informazione privilegiata
rappresentò una svolta nel diritto societario italiano, contaminato da una
logica di non trasparenza. Su questa linea evolutiva si inseriscono una
serie di obblighi imposti alle società, in particolare il duty of disclosure
che le società per azioni devono adempiere nei confronti della Consob,
ente che opera a tutela del mercato finanziario e di ogni singolo
investitore. Una informazione in grado di alterare gli equilibri del
mercato deve essere necessariamente di pubblico dominio, in quanto
proprio il suo essere price-sensitive la rende determinante ai fini decisori,
qualunque investitore in grado di comprenderla la utilizzerebbe come
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parametro decisorio; per questa ragione è necessario garantire la
simmetria informativa tra i vari investitori, ancor meglio l’asimmetria
informativa fisiologica di un apparato in cui si confrontano esperti
finanziari e semplici risparmiatori. Perché si abbia il c.d. Market
Egalitarianism è sufficiente una trasparente trasmissione delle
informazioni così da garantire ad ogni operatore finanziario gli stessi
strumenti, la capacità o meno di comprenderli ed utilizzarli dipende da
differenze soggettive legate al ruolo ricoperto nel mercato finanziario e
perciò non colmabili.
La criminalizzazione dell’insider trading ha continuato ad arginare i casi
di operazioni finanziarie che sfruttano un indebito privilegio conoscitivo,
ma esiste una categoria di condotte che, per caratteristiche peculiari, è
secondo alcuni rimasta fuori dall’area di tutela dell’art. 184 t.u.f.,
secondo altri è inclusa o comunque meriterebbe di essere criminalizzata.
Si tratta dell’insider di se stesso la cui peculiarità, rispetto alla figura
comune di insider trading, consiste nell’assumere come dato informativo
fondante la posizione di privilegio una notizia auto-elaborata, non
presupponendo un rapporto di alterità soggettiva tra creatore
dell’informazione e percettore della medesima e per alcuni questo può
valere ad escludere l’elemento “informazione” dalla fattispecie,
ribadendone l’estraneità rispetto all’art 184 t.u.f. Inoltre, anche a voler
includere la decisione nel concetto di informazione, questa non
riguarderebbe più un fatto del presente, come nel reato comune, bensì un
evento futuro ed in quanto tale non certo, ma dipendente dal suo
verificarsi, sebbene di certo prevedibile.
Nel tentativo di qualificare ed insieme definire l’insider di se stesso
qualche studioso lo ha ricondotto allo scalping, che sebbene contempli la
stessa condotta, differisce da questo per lo sfruttamento di un privilegio
conoscitivo non frutto di un’acquisizione, bensì di una valutazione, di
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un’analisi economica dell’agente stesso. Si dia il caso di un analista
finanziario che operi sul mercato in base ai risultati di un proprio studio.
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Sul tema insider di se stesso ancora oggi si registrano opinioni
fortemente contrastanti sia in dottrina sia in giurisprudenza.
1.2. Le posizioni dottrinali.
1.2.1. Gli argomenti a sostegno della illiceità penale. L’art.
2 c. 2 della Direttiva 2003/6/CE, il criminal insider ed il c.d.
Safe Harbour.
L’art. 2 c.2 della Direttiva 2003/6/CE getta luce sulla questione insider di
se stesso, sebbene non in maniera univoca. Letteralmente l’articolo
stabilisce che nei casi in cui sia una persona giuridica ad utilizzare
l’informazione privilegiata sarà anche la persona fisica, in qualità di suo
organo decisionale, ad essere perseguita in base alla disciplina anti-
insider. Proprio l’aggiunta di quella congiunzione anche, assente nella
direttiva del 1989, ha portato la dottrina
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a ritenere che vi fosse un
qualche riferimento all’ipotesi di insider di se stesso. Due le
argomentazioni contrarie, una basata sull’interpretazione del
Considerando n. 30, di cui al paragrafo 1.2.2. ed una basata
sull’ingiustificabilità della discriminazione fra il soggetto agente come
organo della società e la persona fisica operante sul mercato come
autonoma entità. In entrambi i casi la persona fisica si troverebbe ad
utilizzare una propria decisione costituente un vantaggio conoscitivo
indebito, ma solo qualora agisse come organo societario sarebbe
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F. MUCCIARELLI, Speculazione
mobiliare,
cit., 32-33.
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Cfr. S. SEMINARA, Disclose or abstain, cit., 349 in nota.
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perseguibile: proprio sotto questo profilo si nota la discriminazione
ingiustificata ed ingiustificabile e per questa ragione la teoria
sull’illiceità penale dell’insider di se stesso basata sull’art. 2(2) della
Direttiva del 2003 si rivela non fondata.
La nuova figura del criminal insider rappresenta un più decisivo
argomento a favore della rilevanza penale dell’insider di se stesso,
sebbene anche questa tesi risulta ribaltabile. La riconosciuta illiceità
penale del criminal insider, inteso come sfruttamento del piano
criminoso in procinto di essere attuato, e l’eliminazione del termine
“ottenute” dall’art. 184 t.u.f. farebbe propendere per la configurabilità
penale dell’insider di se stesso, essendo non più necessaria la traslazione
informativa e rientrando nel concetto di informazione anche il piano
criminoso, in tutto assimilabile alla notizia auto-elaborata alla base della
condotta di insider di sé. Secondo altri studiosi
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, invece, risiederebbe
proprio nell’illiceità dell’intento tipico del criminal insider il disvalore
della condotta, così escludendo a contrario casi di sfruttamento di intenti
leciti, come il caso di insider di se stesso.
Ulteriore argomento da cui a contrario si può dedurre la rilevanza penale
dell’insider di se stesso consiste nella previsione nell’art. 183 t.u.f. di una
serie di cause di esclusione dell’antigiuridicità della condotta, il c.d.
Safe Harbour di derivazione europea
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, come lo stato di necessità degli
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Cfr. V. NAPOLEONI, Insider trading, cit., 583.
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L’art 183 t.u.f. in conformità a quanto previsto dagli artt. 7 e 8 della Direttiva
2003/6/CE, ritaglia uno spazio di non operatività delle disposizioni di cui al titolo I-
bis, stabilendo che esse non si applicano : “a) alle operazioni attinenti alla politica
monetaria, alla politica valutaria o alla gestione del debito pubblico compiute dallo
Stato italiano, da uno Stato Membro dell’Unione europea, o da qualsiasi altro ente
ufficialmente designato, ovvero da un soggetto che agisca per conto degli stessi;
b) alle negoziazioni di azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari propri quotati,
effettuate nell’ambito di programmi di riacquisto da parte dell’emittente o di società
controllate o collegate, ed alle operazioni di stabilizzazione di strumenti finanziari che
rispettino le condizioni stabilite dalla CONSOB con regolamento”.
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organi pubblici
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ed il caso, più rilevante, di operazioni di privati
astrattamente integranti il reato di insider trading, ma che svolte nei
limiti giuridici risultano associabili all’esercizio di un diritto, esimente ex
art. 51 c.p.
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In merito all’insider di se stesso il Safe Harbour di cui alla
lett. b) dell’art. 183 t.u.f. non sembra argomento determinante ai fini
dell’affermazione della illiceità penale di tutte quelle operazioni sulle
azioni proprie non contenute nell’esimente, in primis perché il
Considerando n. 2 del Regolamento (CE) n. 2273/2003 chiarisce la non
automatica illiceità dei casi esclusi dagli artt. 7 e 8 della Direttiva del
2003 ed inoltre perché tra i casi esclusi non necessariamente rientrano i
casi di notizia auto-elaborata, ma potrebbero intendersi le semplici
condotte di insider trading, come abuso di informazione etero-
generata.
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Nessuno degli argomenti descritti sembra quindi univocamente a favore
della illiceità penale dell’insider di se stesso.
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Anche A, MARTINI, Art. 183 t.u.f. in leg. pen., 2006, 63, e A. DI AMATO, Gli
abusi di mercato, in Trattato di diritto penale dell’impresa, cit., 95-96.
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F. SGUBBI, voce Abusi di mercato, 39.
14
A.F. TRIPODI, Informazioni privilegiate e statuto penale del mercato finanziario,
CEDAM, 2012, pagg. 310-311.