INTRODUZIONE
II
Nello scenario in cui le imprese si trovano a competere, caratterizzato da una sempre
maggiore rilevanza delle risorse intangibili, dalla smaterializzazione dei processi produttivi,
dalla presenza di nuove tecnologie informatiche che permettono una maggiore interazione tra i
differenti attori, diventa necessario riflettere sul ruolo che ha e che potenzialmente potrebbe
avere il bilancio di esercizio.
Le organizzazioni internazionali – l’AICPA, il FASB, l’EAA – si chiedono ormai da tempo
se si tratti di uno strumento informativo superato oppure di uno strumento indispensabile che è,
però, necessario ed opportuno integrare fornendo informazioni complementari. In particolare, è
forte l’esigenza di fornire agli utilizzatori del bilancio informazioni forward-looking che
permettano agli stessi di formulare un giudizio attendibile sulla prevedibile evoluzione della
gestione.
Le tendenze più evidenti che sembrano emergere riguardano l’ampliamento della varietà di
informazioni diffuse, l’accorciamento dei tempi di erogazione delle informazioni, l’aumento
della gamma di strumenti di comunicazione impiegati e l’utilizzo di nuovi canali di
divulgazione dei prospetti informativi.
Queste tendenze creano, peraltro, nuovi problemi per le aziende e per gli organismi di
regolamentazione.
Per le aziende, infatti, sorge l’esigenza di definire un’efficace politica di comunicazione,
ponderando attentamente i benefici e i sacrifici connessi all’ampliamento della portata
dell’informativa economico-finanziaria; si tratta, quindi, di stabilire i principi e i criteri da
seguire nel processo comunicativo e di selezionare i contenuti informativi da divulgare
all’esterno.
Gli organismi di regolamentazione, poiché mirano a ridurre l’asimmetria informativa e a
tutelare la parte debole del processo comunicativo, vale a dire i destinatari, sono chiamati a
valutare l’opportunità di un intervento normativo su profili informativi tradizionalmente lasciati
alla comunicazione volontaria d’azienda e a promuovere il rispetto dei principi di attendibilità e
correttezza delle informazioni. I fatti di cronaca recenti, che hanno svelato clamorosi casi di
frode contabile da parte di aziende di rilevanza internazionale (si veda ad esempio il caso
Enron), hanno ulteriormente contribuito a portare alla ribalta il tema della tutela dei destinatari
e, più in generale, della riduzione dell’asimmetria informativa esistente tra i soggetti che fanno
appello al pubblico risparmio e gli investitori.
Prendendo in considerazione gli scenari sinteticamente delineati, il lavoro si pone
l’obiettivo di indagare sui contenuti informativi che dovrebbero essere trasmessi agli
INTRODUZIONE
III
interlocutori aziendali e di riflettere circa la necessità di considerare proprio quelle misure non
finanziarie, che ad oggi sono utilizzate per finalità interne, quali nuovi parametri ed indici da
comunicare all’esterno agli stakeholder e ai terzi in generale, soprattutto nel corso di
un’operazione straordinaria qual è l’offerta pubblica d’acquisto.
Riferendosi alla situazione italiana, il tema pare di grande interesse soprattutto se si pensa
che la relazione sulla gestione redatta dagli amministratori debba, in base alla legge, essere in
grado di fornire informazioni sulla prevedibile evoluzione della gestione e che, solo raramente,
tale scopo può dirsi raggiunto. In tale sede, nella nota integrativa e in eventuali allegati (come
già accade all’estero) potrebbero pertanto trovare naturale collocazione le informazioni in
oggetto; così come nel corso di un’OPA, il promotore potrebbe affiancare la pubblicazione dei
comunicati obbligatoriamente previsti dal Regolamento Emittenti della CONSOB con una
comunicazione volontaria sulle performance prospettiche (il cosiddetto piano industriale). Ciò
permetterebbe di arricchire notevolmente il contenuto dei citati documenti.
Nel primo capitolo si analizza il ruolo della comunicazione economico-finanziaria
nell’economia d’azienda, i suoi profili evolutivi, le sue finalità, i destinatari ed i loro fabbisogni
informativi, le tipologie di comunicazione ed i fattori causali in grado di incidere sulle politiche
comunicative.
Nel secondo capitolo si cerca di affrontare alcune questioni di fondo inerenti alle
motivazioni dell’esistenza degli obblighi informativi e le tipologie di informazioni obbligatorie,
alla natura ed al ruolo dell’informativa contabile nel sistema di comunicazioni economico-
finanziarie. L’esistenza di aziende i cui confini appaiono sempre più sfumati sembrerebbe,
almeno in prima approssimazione, rendere inefficace un modello quale il bilancio, focalizzato
sulle transazioni reali compiute con economie esterne ed incapace di cogliere adeguatamente i
processi di creazione di valore dovuti all’instaurazione di legami aggregativi, all’innovazione,
allo sviluppo del capitale intellettuale, alla creazione di nuove opzioni reali e così via.
Considerati i rilevanti cambiamenti recentemente verificatisi nel contesto ambientale e
nell’economia delle aziende, pare dunque doveroso chiedersi se l’informativa contabile è ancora
il «cuore» della comunicazione economico-finanziaria o se, in ragione dei limiti sempre più
evidenti che gravano sulla stessa, è da ritenere obsoleta. La questione può avere anche rilevanti
risvolti, visto che, in relazione alle differenti prospettive assunte, si delineano diversi possibili
scenari futuri per la comunicazione economico-finanziaria.
Il terzo capitolo si prefigge l’obiettivo di analizzare quella che è considerata sempre più la
nuova “frontiera” della comunicazione periodica d’azienda: l’informativa volontaria, vale a dire
INTRODUZIONE
IV
il complesso delle informazioni che sempre più le società decidono di comunicare ai propri
stakeholder per renderli maggiormente informati non solo dei risultati raggiunti, ma anche e
soprattutto dell’evoluzione della gestione aziendale. Dalle proposte presenti nel mondo
operativo ed accademico si evince il tentativo di trasporre nell’ambito della comunicazione
esterna alcuni degli strumenti adottati nel reporting per l’alta direzione, anche se, ovviamente,
con un minor livello di analisi e con il filtro delle informazioni che, per esigenze competitive o
sociali, dovrebbero rimanere riservate. Si riconosce, cioè, che gli investitori esprimono attese
per certi versi vicine a quelle del management ed hanno quindi la necessità di apprezzare la
performance dell’azienda nelle sue diverse dimensioni. I valori contabili tendono a
rappresentare il processo di realizzazione del valore, ma i portatori di capitale e, più in generale,
tutti gli stakeholder vorrebbero essere eruditi anche sul processo di creazione di valore,
desumibile, almeno in parte, soltanto con l’interpretazione congiunta degli andamenti
riguardanti le diverse dimensioni finalistiche. L’analisi è affrontata in base alla concezione
secondo cui il miglioramento non può che essere conseguito tramite una ponderata integrazione
tra informativa contabile, insita nel bilancio, ed informativa extracontabile, di natura qualitativa
e quantitativa, contenuta nei suoi allegati e negli altri strumenti di comunicazione.
Successivamente, si esaminano i contenuti di singole categorie informative a carattere
extracontabile: le performance realizzate, il profilo attuale dell’azienda, le prospettive future ed
i riflessi socio-ambientali dell’attività effettuata. L’analisi viene al contempo rivolta verso alcuni
strumenti di comunicazione, proposti in dottrina o diffusi nella realtà operativa, che sono
focalizzati su specifici profili informativi di natura non contabile; in particolare, vengono
sottolineati i tratti caratterizzanti il rapporto sul capitale intellettuale, la relazione annuale sulla
corporate governance, il piano strategico, il rapporto sui rischi, il bilancio sociale ed il
rendiconto ambientale.
Nel quarto capitolo si approfondiscono i contenuti della comunicazione, obbligatoria e
volontaria, delle società quotate in relazione ad una particolare operazione a carattere
straordinario: l’Offerta Pubblica di Acquisto (OPA). L’OPA, generalmente intesa, costituisce
uno strumento di acquisto di strumenti finanziari potenzialmente impiegabile per il
perseguimento di molteplici scopi. Gli importanti effetti che essa è in grado di produrre
sull’economia delle aziende coinvolte, sulle scelte degli investitori e sulla dinamica dei mercati
finanziari, sono i presupposti alla base della peculiare regolamentazione ad essa dedicata. Per
disposizione di legge, il lancio di un’OPA comporta la comunicazione di un contenuto
informativo obbligatorio rivolto a diverse categorie di soggetti: i portatori dei titoli oggetto
INTRODUZIONE
V
dell’offerta, i quali devono essere posti in condizione di esprimere un fondato giudizio
sull’operazione; le autorità di controllo, chiamate a garantire il corretto funzionamento del
mercato; la società emittente, che deve poter diffondere al pubblico le proprie valutazioni
sull’offerta. Ciò premesso, dopo aver fornito una necessaria, seppur sintetica, descrizione della
tecnica in questione, si esaminano i contenuti specifici della comunicazione obbligatoria. Si
evidenzia, infine, come la rilevanza dell’operazione richiede non di rado la diffusione anche di
una disclosure volontaria, volta a realizzare una «comunicazione di indirizzo» funzionale alla
ricerca di consenso che è condizione indispensabile per il buon esito dell’operazione.
- 1 -
CAPITOLO PRIMO
“PROFILI DI COMUNICAZIONE SOCIETARIA”
SOMMARIO: 1.1. La comunicazione economico-finanziaria: profili evolutivi. – 1.2. I destinatari e l’analisi dei
fabbisogni informativi. – 1.3. L’utilità della comunicazione finanziaria. – 1.4. Le tipologie e le politiche di
comunicazione.
1.1. La comunicazione economico-finanziaria: profili evolutivi
Negli ultimi anni la comunicazione aziendale ha acquisito notevole rilevanza, tanto da
essere considerata parte integrante della strategia d’impresa. Al suo interno, un ruolo primario è
detenuto dalla comunicazione economico-finanziaria, la quale – mediante l’impiego di
informazioni rilevanti volte ad esprimere in modo sintetico fenomeni complessi ed articolati
frutto di un ampio numero di interrelazioni spazio-temporali – si propone di ricercare il
consenso da parte del sistema finanziario per l’ottenimento delle risorse finanziarie
qualitativamente e quantitativamente necessarie al finanziamento dei progetti di investimento e
di sviluppo delle imprese medesime. Un’informativa ampia ed esaustiva è il presupposto per
impostare su basi solide e durature il rapporto tra l’impresa ed i soggetti che vi apportano
capitale di credito e capitale di rischio. In questo senso, un’efficace strategia di comunicazione
deve consentire un dialogo proficuo con i diversi soggetti interessati a fornire capitali, che, da
un lato, privilegi i principi della completezza documentale e della trasparenza informativa e,
dall’altro, sia attuata con modalità differenziate a seconda della tipologia dell’apporto.
L’attenzione dedicata allo studio dei fenomeni connessi alla diffusione delle informazioni
economiche è riconducibile a diversi fattori tra i quali, e in primo luogo, la funzione sociale
delle imprese, sempre più riconosciuta dalle diverse categorie di interlocutori aziendali
(investitori, intermediari finanziari, autorità pubbliche, ecc.) i quali manifestano istanze di una
più ampia e puntuale diffusione di informazioni tali da soddisfare le loro attese conoscitive. In
secondo luogo, lo sviluppo costante dei mercati finanziari e della competizione tra le imprese
nella raccolta dei capitali su tali mercati genera una tensione all’innalzamento dei livelli quali-
quantitativi dell’informativa societaria offerta dalle società emittenti, volta in particolare agli
stockholder (o azionisti).
Risulta chiara, quindi, l’importanza dell’informativa societaria per realizzare le operazioni
di investimento e di disinvestimento dei capitali amministrati nei mercati mobiliari (funzione
informativa), ma anche per svolgere una valutazione dei risultati di un determinato investimento
(funzione di rendiconto). Ogni investitore potrà conoscere, attraverso le informazioni sui
risultati economici e finanziari di una data società emittente, il rendimento del capitale investito
e le prospettive del complesso aziendale da cui dipendono i redditi futuri.
PROFILI DI COMUNICAZIONE SOCIETARIA
- 2 -
L’azienda è un sistema
1
aperto e, interagendo con l’ambiente circostante, acquisisce
contributi, risorse ed informazioni di vario genere da differenti soggetti esterni, restituendo loro
prodotti e servizi, remunerazioni, risorse ed informazioni
2
. Il processo di comunicazione che si
instaura tra l’azienda e l’ambiente è caratterizzato da flussi informativi di varia natura e
includono sia le informazioni che promanano dall’azienda, sia quelle in cui, invece, l’azienda è
il destinatario.
Considerando che l’azienda opera, secondo modalità e criteri parzialmente differenti, nel
sistema competitivo, nel sistema finanziario e nel sistema degli interlocutori sociali
3
, si viene a
delineare un sistema composito di comunicazioni esterne, caratterizzato da flussi informativi
specifici per ciascuna macro-categoria di stakeholder. Difatti, esso comprende:
• la comunicazione commerciale, che è rivolta prioritariamente agli attori del sistema
competitivo e, in particolare, ai clienti attuali e potenziali ed è legata all’offerta del
sistema di prodotto;
• la comunicazione economico-finanziaria, che è indirizzata prevalentemente ai portatori
di capitale (proprio e di terzi) attuali e potenziali e concerne la diffusione di
informazioni volte a favorire l’interpretazione della dinamica economico-finanziaria
passata e prospettica. Nell’accezione più ampia, essa comprende i flussi informativi
riguardanti sia aspetti patrimoniali, finanziari e reddituali, sia profili qualitativi
dell’azienda, come la struttura, le strategie, le attività operative, che possono riflettersi
sui risultati futuri
4
. Per comunicazione economico-finanziaria si intende, pertanto,
l’attività attraverso la quale la direzione aziendale trasmette informazioni a tutte le
categorie di interlocutori sociali, i cui contenuti riguardano principalmente l’evoluzione
dell’assetto patrimoniale, reddituale e finanziario dell’impresa e non si limita a
descrivere l’andamento economico trascorso (quale può evincersi dai bilanci consuntivi
1
Sul concetto di sistema in economia aziendale, Bertini scrive: «Il carattere sistematico dell’azienda dipende dalla stessa natura
delle operazioni di gestione che risultano intimamente legate tra loro da un rapporto del tipo ‘da causa a effetto’. Nel loro insieme
tutte le manifestazioni del mondo aziendale costituiscono un corpo unico di fenomeni retti da leggi identiche e orientate verso fini
comuni. Si delinea pertanto una struttura di ordine superiore alla quale è possibile dare il nome di sistema. Tale struttura è dinamica,
nel senso cioè che si rinnova continuamente per effetto del mutare dei vincoli interni e delle condizioni ambientali» (BERTINI U., Il
sistema d’azienda, Schema di analisi, Torino, Giappichelli, 1990, p. 29).
2
Coda evidenzia come l’azienda offra all’ambiente circostante un «sistema di prodotto» ed una «proposta progettuale» inclusiva di
richieste di contributi e consensi e di prospettive di ricompensa. Queste due variabili costituiscono, insieme ad altri fattori, gli
elementi costitutivi della «formula imprenditoriale» (CODA V., Orientamento strategico, Torino, Utet, 1988, p. 72).
3
Coda distingue, nell’ambito delle relazioni azienda-ambiente, il sistema degli interlocutori sociali dal sistema competitivo (CODA,
Orientamento strategico, op. cit., p 13 e ss.). Talora, dal sistema degli interlocutori sociali viene enucleato il sistema finanziario,
costituito dall’insieme dei portatori di capitale, per meglio enfatizzare le relative peculiarità. Cfr. GALEOTTI M., Governo
dell’azienda e indicatori di performance, Pisa, Il Borghetto, 2001, p. 8 e ss.
4
Corvi adotta un’impostazione più restrittiva e definisce la comunicazione economico-finanziaria come: «[...] il complesso delle
comunicazioni effettuate attraverso qualsiasi canale di diffusione dalla direzione aziendale alle varie classi di interesse in essa
convergenti sull’evoluzione dell’assetto reddituale, finanziario e patrimoniale dell’impresa» (CORVI E., Economia e gestione della
comunicazione economico-finanziaria d’impresa, Milano, Egea, 1997, p. 19). Zavani definisce la comunicazione economico-
finanziaria come: «[...] quella categoria di informazione, che l’azienda trasmette ai vari ordini di interlocutori che sono interessati a
conoscere l’andamento storico e prospettico della situazione reddituale, finanziaria e patrimoniale dell’azienda» (ZAVANI M., Il
valore della comunicazione aziendale. Rilevanza e caratteri nell’informativa sociale e ambientale, Torino, Giappichelli, 2000, pp.
23-24).
PROFILI DI COMUNICAZIONE SOCIETARIA
- 3 -
di esercizio), ma cerca di spiegarlo e di fornire dunque elementi utili a comprendere le
prospettive economiche future d’azienda
5
;
• la comunicazione socio-ambientale, che è diretta, perlopiù, agli altri interlocutori sociali
(dipendenti, sindacati, fornitori, pubblica amministrazione, comunità locale, collettività
in generale) ed illustra le relazioni istituite con i vari stakeholder, in termini di risorse
ricevute e distribuite, di impatto sull’eco-sistema e di esternalità generate, ed il grado di
sostenibilità dell’azienda, vale a dire la capacità di creare valore per tutti gli
interlocutori sociali, attuali e futuri.
La classificazione riportata ha carattere relativo, in quanto si può ritenere che le
informazioni concernenti la dimensione sociale ed eco-ambientale possono risultare di interesse
per tutte le classi di stakeholder, compresi i portatori di capitale attuali e potenziali e gli attori
del sistema competitivo, così come la comunicazione economico-finanziaria interessa
certamente anche ad altre categorie di interlocutori sociali e non soltanto ai portatori di capitale.
Nell’ambito della comunicazione economico-finanziaria, il bilancio d’esercizio pubblico
può essere considerato lo «strumento informativo» per eccellenza
6
; pur non potendo, infatti,
soddisfare completamente le necessità di conoscenza degli operatori economici esterni
all’azienda, svolge un ruolo fondamentale all’interno dell’informativa societaria.
In questi ultimi anni, tale prospetto è stato oggetto di numerosi ed approfonditi studi proprio
in seguito al riconoscimento, ormai generalizzato, dell’importanza che, nella nostra società
economicamente progredita, riveste l’informazione aziendale esterna.
In particolare, come si avrà modo di analizzare nel corso del lavoro, è nata l’esigenza di
integrare l’informativa obbligatoria con ulteriori informazioni di natura extracontabile, al fine di
rendere più trasparenti sia i risultati che le politiche aziendali (come accade nell’operazione
straordinaria qual è l’OPA).
L’informazione attualmente, a differenza di quanto accadeva in passato, è vista come un
diritto attribuito non solo agli azionisti, ma anche ai terzi
7
e alla collettività in generale, a causa
della sempre maggiore rilevanza che l’impresa assume come fenomeno sociale
8
.
La strada che ha portato a riconoscere a soggetti esterni all’azienda il diritto
all’informazione è stata lunga e tortuosa, in quanto questa tendenza «all’apertura» da parte delle
aziende è stata strenuamente contrastata, oltre che dalle imprese, anche da una parte della
5
CODA V., Comunicazione e immagine nella strategia dell’impresa, Milano, Giappichelli, 1991.
6
«L’informazione esterna è costituita essenzialmente dal bilancio ordinario d’esercizio o meglio dalle notizie – e solo da quelle –
che esso può fornire». CAPALDO, Qualche riflessione sull’informazione esterna d’impresa, in Rivista dei Dottori Commercialisti,
1975, p. 835.
7
Questo principio è ormai consolidato a livello non solo dottrinale, ma anche giurisprudenziale. Infatti, nella maggior parte delle
sentenze si può rinvenire, esplicitamente o implicitamente, il concetto che «il bilancio della società è uno strumento conoscitivo
della situazione economica e patrimoniale delle società diretto ad informare i soci e i terzi, che hanno o potranno avere rapporti con
la società». Trib. Milano, 9/6/1975, in Giur. comm., 1976, II, p. 563.
8
RANALLI F., Sulla capacità informativa delle strutture di bilancio, Padova, Cedam, 1984, pp. 3-4.
PROFILI DI COMUNICAZIONE SOCIETARIA
- 4 -
dottrina e, in particolare, dalla maggioranza degli studiosi che sostenevano la c.d. concezione
istituzionalistica della società
9
.
Com’è noto, secondo la visione dell’Unternehmen an sich (teoria fondata in Germania, nel
primo dopoguerra, da Walter Rathenau) l’interesse sociale trascende quello personale dei soci e
si identifica nell’interesse «dell’impresa in sé», ossia nell’interesse (preminente rispetto a
qualsiasi altro) dell’efficienza produttiva della società, considerata quest’ultima, non come
mezzo per massimizzare il profitto, ma come strumento di sviluppo economico generale.
La concezione base della teoria istituzionalistica è stata sottolineata, in maniera
particolarmente significativa, dallo stesso Rathenau con la ormai celeberrima frase, attribuita ad
un amministratore della Nord-Deutscher Lloyd, il quale avrebbe dichiarato che «lo scopo della
società non era di distribuire dividendi agli azionisti, ma di far navigare i battelli sul Reno»
10
.
Da queste brevi osservazioni si può comprendere come, fra le diverse caratteristiche che
presenta la teoria dell’Unternehmen an sich, ci sia anche la tendenza a ridurre al massimo i
diritti, compresi naturalmente quelli d’informazione, degli azionisti o, per essere più precisi,
quelli degli azionisti di minoranza. E ciò è dovuto alla convinzione che i soci, dominati da
egoistici scopi di profitto personale, se possedessero ampi poteri non farebbero prevalere
l’interesse superiore della società (verso la quale, questi soggetti, hanno l’obbligo di assoluta
fedeltà), ma, al contrario, cercherebbero di perseguire i propri obiettivi individuali.
Contrapposta alla concezione istituzionalistica, vi è la c.d. teoria contrattualistica, secondo
la quale l’interesse sociale si pone, non come interesse di un’entità distinta e contrapposta ai
soci (cioè l’interesse dell’impresa in sé della visione dell’Unternehmen an sich), ma come
interesse comune di questi ultimi.
«Il concetto di interesse sociale inteso quale “interesse comune dei soci” viene utilizzato
(pertanto) da questa teoria (al contrario di quanto accade nella tesi istituzionalistica) come limite
al prepotere della maggioranza e (dunque) come limite posto a tutela della minoranza»
11
.
È evidente che accogliere la teoria contrattualistica di Blackstone, il quale riteneva che «a
corporation has no soul», oppure sostenere la concezione istituzionalistica di Gierke, secondo
cui la società non solo ha un’anima, ma possiede anche una volontà, pensieri e sentimenti
propri, comporta delle conseguenze molto rilevanti anche a livello di informazione verso
l’esterno.
Da queste concezioni sulla società dipendono, infatti, tuttora le teorie circa la trasparenza e
la riservatezza riguardo l’impresa; la prima tesi è generalmente propugnata da chi non
attribuisce alcuna «anima» alla società, mentre la seconda è di solito appoggiata da chi invece,
quell’«anima» loro riconosce.
9
Si veda AVI M. S., Il Bilancio come strumento di informazione verso l’esterno, Padova, Cedam, 1990, p. 14 e ss.
10
«… quell’amministratore confessava agli azionisti che egli tradiva in quel momento il mandato che gli era stato conferito».
GRAZIANI A., Nominatività obbligatoria dei titoli azionari, in Rivista delle società, 1957, p. 632.
11
GALGANO F., Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, 1984, vol. VII, Le spa, p. 64.
PROFILI DI COMUNICAZIONE SOCIETARIA
- 5 -
Malgrado potesse contare sull’appoggio di noti operatori economici e di numerosi studiosi
di varie discipline, la teoria dell’Unternehmen an sich non riuscì a contrastare l’evoluzione
naturale che si stava verificando nell’ambito della problematica dell’informativa verso l’esterno:
quanto più, infatti, le economie dei diversi Paesi si sviluppavano e diventavano complesse, tanto
più forte era la sensazione della necessità che anche soggetti esterni all’impresa potessero
entrare in possesso di informazioni sufficientemente esaurienti circa l’andamento e la situazione
delle società.
Malgrado quindi le forti opposizioni provenienti da più parti, nel 1933-34, per la prima
volta vennero emanate negli Stati Uniti d’America delle disposizioni giuridicamente
obbligatorie che prevedevano l’attuazione di una vera e propria politica di disclosure.
Il legislatore americano, infatti, riconoscendo implicitamente il fondamento della tesi
avanzata dagli economisti, secondo i quali la causa della crisi del 1929 era da ricercarsi
nell’esistenza di un mercato borsistico caotico, disordinato e, soprattutto, caratterizzato dalla
completa mancanza di informazione verso l’esterno, intervenne con due leggi (la Security Act
nel ’33 e la Security Exchange nel ’34) per disciplinare il fenomeno del collocamento azionario
e della negoziazione degli strumenti finanziari sui mercati, il cui obiettivo era proprio quello di
apportare un sensibile miglioramento in tema di disclosure.
Gli anni 1933 e 1934 possono essere sicuramente ritenuti pietre miliari nell’ambito della
problematica dell’informazione societaria verso l’esterno. La vera e propria rivoluzione nel
campo dell’informativa sociale verificatasi in USA nei primi anni ’30 rimase, però, un caso
isolato. In tutti gli altri Paesi la riservatezza costituì, infatti, ancora per molto tempo, un
principio particolarmente radicato a livello sia legislativo che di prassi aziendale. Negli anni
’30, quindi, una caratteristica che contraddistingueva anche le nazioni industrialmente più
evolute era sicuramente la notevole scarsità di informazioni che le società fornivano agli
operatori economici esterni.
Praticamente ovunque, il diritto dell’azionista di essere messo al corrente di notizie
sull’impresa era negletto sia dalla dottrina prevalente che dal legislatore e tanto meno tale diritto
veniva attribuito ad altri operatori esterni all’azienda. E, nella maggior parte dei casi, questo
comportamento era giustificato proprio dal richiamo dell’esistenza di «un interesse della
società» (i cui unici «interpreti» erano gli amministratori e, conseguentemente, il gruppo di
comando al quale gli amministratori stessi dovevano la propria nomina) giudicato preminente
rispetto al diritto di informazione dei soci.
Anche nel nostro Paese si poteva riscontrare una condizione analoga a quella esistente negli
altri stati europei in quanto le società italiane, aiutate da una legislazione estremamente
lacunosa, agivano facendo della segretezza il loro motto.
Alla fine degli anni ’30, però, questa situazione divenne insostenibile e, anche in seguito
alle vivaci critiche provenienti da studiosi di materie sia aziendalistiche sia giuridiche, il nostro
PROFILI DI COMUNICAZIONE SOCIETARIA
- 6 -
legislatore apportò delle sostanziali modifiche in tema di informazione societaria verso
l’esterno, introducendo, nel codice civile del 1942, specifiche norme riguardanti il bilancio e le
informazioni da esso ritraibili
12
.
Il codice del 1942 ha rappresentato un notevole passo in avanti nell’ambito della
problematica della trasparenza aziendale. Per la prima volta, infatti, si riconobbe la rilevanza del
bilancio come strumento informativo per i terzi, circostanza che veniva invece, in precedenza,
implicitamente negata dal sostanziale disinteresse del legislatore del 1882.
Il legislatore del 1942 si limitò a disciplinare lo stato patrimoniale omettendo qualsiasi
disposizione riguardo al conto economico. L’aver stabilito le poste che obbligatoriamente
dovevano comparire nello stato patrimoniale (insieme ai criteri di valutazione dell’art. 2425 del
codice civile), migliorò notevolmente la posizione degli operatori esterni interessati al bilancio
della società, in quanto le informazioni che questi soggetti potevano trarre dal documento in
questione erano senza dubbio più numerose e precise di quelle che potevano attingere dal
bilancio prima dell’entrata in vigore del codice del 1942.
Le sole poste dello stato patrimoniale però, pur mettendo in evidenza un dato importante
qual è la composizione attuale del patrimonio, non fornivano notizie sull’andamento economico
della gestione, in quanto tali informazioni possono essere attinte principalmente dal conto
profitti e perdite.
La mancanza di norme disciplinanti analiticamente la struttura di tale conto consentì il
radicarsi di prassi di estremo ermetismo dei conti economici pubblicati. Negli anni ’50 e ’60,
infatti, molte aziende stilarono dei conti profitti e perdite estremamente sintetici, che ponevano
in evidenza il reddito netto d’esercizio come somma algebrica tra il risultato lordo di gestione e
pochissimi altri componenti di reddito distintamente indicati, con la conseguenza che era
difficile, o addirittura impossibile, attingere da tali conti informazioni significative
sull’andamento gestionale.
L’assenza di una disciplina analitica della struttura del conto economico rese, quindi,
praticamente impossibile l’interpretazione del bilancio in quanto, così strutturato, questo
documento non forniva alcuna informazione sull’andamento economico della gestione sociale.
Tale lacuna era ulteriormente aggravata dalla circostanza che, in mancanza di una disciplina
specifica riguardante la relazione degli amministratori, si era instaurata, presso le società, la
prassi di redigere delle relazioni che non fornivano alcuna informazione sull’andamento
gestionale dell’impresa.
L’obbligo di redigere la relazione degli amministratori è stato introdotto, per la prima volta,
dal codice del 1942, in quanto il codice di commercio del 1882 non prevedeva che gli
amministratori dovessero stilare tale documento. Tuttavia, bisogna sottolineare come,
12
In Italia, quindi, il primo passo verso la trasparenza venne disciplinato – a differenza di quanto accadde nel 1933 e 1934 in USA –
da una legge che riguardava, non i titoli e dunque indirettamente le società quotate in borsa, ma tutte le S.p.A.
PROFILI DI COMUNICAZIONE SOCIETARIA
- 7 -
nonostante la mancanza di una precisa norma giuridica, anche prima dell’attuale codice si fosse
venuta, per la verità, via via manifestandosi una tendenza, almeno nelle società di grandi
dimensioni, in base alla quale gli amministratori accompagnavano il bilancio con una propria
relazione illustrativa.
La mancanza di precise indicazioni legislative sul contenuto della relazione favorì,
analogamente a quanto accadde per il conto economico, il formarsi di una prassi di relazioni del
tutto o quasi prive di ogni significato informativo.
Tali relazioni, scarsamente espressive, furono vivacemente criticate sia dagli aziendalisti
(per i quali, le relazioni erano dei documenti di primaria importanza che dovevano
necessariamente contenere l’illustrazione dei principi seguiti nella formazione del bilancio e
delle caratteristiche della gestione dell’impresa, in modo da poter interpretare e giudicare
correttamente le cifre ed i risultati rilevati in bilancio), che da una parte della dottrina giuridica,
la quale riteneva che la genericità dell’art. 2423 cod. civ. non giustificasse l’ermetismo delle
relazioni, in quanto la relazione, dovendo illustrare l’andamento della gestione, non poteva
prescindere dalla considerazione, ad esempio, dei diversi settori di attività della società,
dell’apporto fornito dalle partecipazioni, degli investimenti, dei costi, dei prezzi praticati e dei
criteri seguiti nella valutazione dei beni. Tali elementi, pertanto, secondo gli autori appartenenti
a questa corrente dottrinale, indipendentemente da una precisa disposizione di legge, dovevano
essere evidenziati nelle relazioni degli amministratori.
A partire dalla seconda metà degli anni ’60, però, la prassi caratterizzata dall’ermetismo
nell’informativa di bilancio cominciò ad incorrere in numerose sentenze sfavorevoli da parte
della magistratura. L’effetto scaturito da tale indirizzo giurisprudenziale fu sicuramente una
prima spinta al miglioramento dell’informativa di bilancio.
Nel 1974 il legislatore intervenne in materia di informazione societaria emanando precise ed
analitiche disposizioni riguardanti il contenuto del conto economico (art. 2425/bis cod. civ.) e
della relazione degli amministratori (art. 2429/bis cod. civ.), che potenzialmente permettono ai
terzi di entrare in possesso di informazioni dettagliate riguardo l’andamento della gestione
sociale.
Si colmava, in tal modo, una lacuna legislativa la cui presenza nel nostro ordinamento
pregiudicava la possibilità da parte dei terzi di entrare in possesso di notizie inerenti le società,
che fossero sufficientemente dettagliate e quindi intellegibili. Per garantire una corretta
informativa societaria, il legislatore del 1974, oltre a disciplinare il grado di analiticità del
bilancio, introdusse anche delle norme (riguardanti in particolar modo le società quotate in
borsa) mediante le quali impose un controllo pubblico sulle società, al fine di apportare un
ulteriore miglioramento in tema di trasparenza.
Sebbene nel nostro ordinamento giuridico il controllo pubblicistico sulle società risalga
solamente al 1974, già dagli anni ’60 si era avvertita l’esigenza di una vigilanza sulle imprese
PROFILI DI COMUNICAZIONE SOCIETARIA
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aperte al pubblico risparmio e, infatti, le prime proposte per introdurre in Italia un organo
pubblico che svolgesse tale compito ci riportano ai progetti della disciplina della S.p.A.
Con la legge 216 del 1974 venne costituita la CONSOB, organo la cui opera è rivolta alla
vigilanza sia delle società per azioni quotate in borsa sia del mercato borsistico (inizialmente era
stato previsto che l’organo di controllo dovesse essere la Banca d’Italia).
Dal testo della legge 216 si può comprendere come lo scopo che il legislatore del 1974 si
propose sia stato quello di garantire un’adeguata informazione agli azionisti-risparmiatori.
È per questo motivo che con tale legge sono stati attribuiti alla CONSOB una serie di
particolari poteri, in base ai quali la Commissione può imporre che determinate società od enti
forniscano ai soci, o ai terzi in genere, un supplemento di documentazione in aggiunta a quanto
già indicato dal codice civile
13
.
Nel 1983 si attribuì alla CONSOB la funzione di controllo su ogni forma di sollecitazione
del pubblico risparmio. In tal modo si apportò in tema di disclosure un deciso miglioramento,
facendo sì che la Commissione divenisse il vero e proprio fulcro del controllo pubblico in
relazione a tutto il settore del mercato dei valori mobiliari.
Con questa disposizione, pertanto, ampliando il potere di vigilanza della Commissione, si
assicurò ai soggetti che intendevano investire una maggiore e più completa informativa
societaria.
Malgrado i notevoli progressi registrati, l’informativa societaria non è comunque ancora
giunta ad una situazione «ottimale».
Nonostante, però, vi sia ancora spazio per un ulteriore miglioramento della trasparenza, si
deve riconoscere come in questi ultimi anni – non solo in Italia, ma nella maggior parte dei
Paesi economicamente progrediti – nell’ambito della problematica dell’informazione aziendale
si sia verificata una notevole evoluzione, con un conseguente sensibile vantaggio nei rapporti fra
l’impresa e l’ambiente.
Infatti, alcune aziende hanno iniziato ad elaborare e a pubblicare, in aggiunta alle
informazioni economiche e finanziarie tradizionali, indicatori di altro genere idonei a misurare il
raggiungimento di finalità sociali ed il soddisfacimento dei valori umani
14
.
Tale nuova forma di rendicontazione non costituisce un fenomeno nuovo poiché già
presente, seppur con finalità e ruoli diversi, nel contesto aziendale statunitense dagli inizi degli
anni ’50.
La concezione della «responsabilità sociale» dell’impresa si afferma inizialmente come
forma di filantropia; nel corso degli anni, si è poi assistito ad un’evoluzione culturale del
13
Si veda POTITO L., Le funzioni della CONSOB di controllo sull’informazione delle Società, in Rivista dei Dottori Commercialisti
n. 1/1976, p. 27 e ss.
14
Si veda PROVASI R., La nuova frontiera dell’informativa societaria: dalla social accountability alla sustainability accountability,
in Rivista dei Dottori Commercialisti n. 3/2005, p. 465 e ss.
PROFILI DI COMUNICAZIONE SOCIETARIA
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fenomeno che ha portato tale concezione ad essere considerata uno strumento per la crescita
sostenibile
15
.
Dopo la caduta dei sistemi socialisti si sono succeduti numerosi fenomeni, fra cui il
processo della «globalizzazione selvaggia», che hanno contribuito alla crisi dello stesso sistema
capitalistico ed ai correlati casi di bancarotta. Da qui l’esigenza di tornare all’origine del
capitalismo in cui prevalevano gli aspetti etico-sociali, di ricercare un equilibrio inteso come
equa divisione per far crescere la ricchezza. La massimizzazione del profitto, così come la
creazione di valore per gli azionisti negli attuali scenari economici, non sono più obiettivi in
grado di permettere alle imprese di restare competitive nel lungo periodo. Solo le imprese che si
impegnano in una produzione socialmente responsabile determinano un valore da incorporare
nella qualità del prodotto che permette di soddisfare la creazione di valore per tutti gli
stakeholder.
Nuovi modelli di rendicontazione, indicatori di performance socio-ambientali, criteri di
rilevazione dell’impatto sociale sono stati individuati dal sistema imprenditoriale e sperimentati
dalle aziende. L’intenzione è stata duplice: da un lato sviluppare strumenti idonei per rispondere
alle richieste di informazioni interne del management e, dall’altro, soddisfare le nuove e più
raffinate esigenze conoscitive provenienti dai sempre più numerosi interlocutori sociali.
Nell’ambito di questa rinnovata attenzione alle relazioni che si instaurano fra l’azienda, la
società civile e l’ambiente che la circonda, la comunicazione istituzionale d’impresa di fatto
amplia i suoi obiettivi sperimentando nuovi strumenti comunicativi definiti di social
accountability.
Secondo tale approccio, l’azienda integra e adatta i suoi processi di comunicazione
estendendoli anche agli aspetti di gestione di carattere non strettamente economici e finanziari,
al fine sia di garantire una più ampia comprensione dei suoi risultati attuali e prospettici, sia per
ottenere la piena legittimazione del suo operato. La social accountability, da intendersi nel
duplice senso di comunicazioni finanziarie ed economiche e comunicazioni etico-sociali,
diventa uno strumento idoneo a fornire le performance di un sistema integrato di valori
evidenziati tramite la triple bottom line
16
: al risultato economico conseguito dall’azienda si
affiancano anche la rendicontazione degli aspetti ambientali e degli aspetti sociali.
Negli anni il processo di diffusione delle comunicazioni di tipo socio-ambientale, in
aggiunta a quelle più tradizionali di tipo economico-finanziario, si è notevolmente evoluto,
assumendo la configurazione della corporate accountability, intesa non solo come insieme di
15
L’espressione sviluppo sostenibile è stata definita per la prima volta nel Rapporto Bruntland (WCED, 1987) come «lo sviluppo
che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare le proprie necessità».
16
Fino ad alcuni anni fa l’impresa otteneva «fiducia» attraverso i suoi risultati economici. Oggi questo non è più sufficiente. Si
parla sempre più spesso di un triplice approccio, la «triple bottom line». L’approccio si propone di incorporare il concetto di
sviluppo sostenibile nella misurazione dei risultati d’impresa mediante l’introduzione di un nuovo modello espressivo della
«creazione del valore sostenibile» quale «evoluzione del valore creato per gli azionisti». Il modello concettuale è stato sviluppato da
ELKINGTON J., Cannibals with Forks. The Triple Bottom Line of 21st Century Business, Capstone Publishing Limited, Oxford,
1997.
PROFILI DI COMUNICAZIONE SOCIETARIA
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rendiconti, ma anche come strumento di governo per la gestione dell’immagine aziendale e,
soprattutto, del sistema delle relazioni sociali.
Le comunicazioni ambientali e sociali venivano inizialmente integrate nel bilancio
d’esercizio stesso o inserite in specifici paragrafi delle relazioni accompagnatorie ai bilanci e,
solitamente, nella Relazione sulla gestione. In un secondo momento, le aziende iniziarono ad
avvertire la necessità di individuare strumenti specifici ed autonomi per rendicontare gli aspetti
sociali ed ambientali della gestione aziendale, da predisporre parallelamente al bilancio
d’esercizio. A partire dal 1970 si iniziò a redigere i bilanci sociali, primi documenti annuali
redatti volontariamente ad integrazione del fascicolo di bilancio. A seguire furono elaborati altri
documenti, fra cui il bilancio ambientale per rendere conto delle politiche ecologiche intraprese
dalle aziende a tutela dell’ambiente, i prospetti informativi relativi alla Corporate Governance
richiesti dai nuovi regolamenti previsti per l’informativa societaria (D. Lgs. n. 58/1999) e dal
Codice di Autodisciplina (Codice Preda 2000), la Relazione Trimestrale prevista dal
Regolamento Consob n. 11971/1999.
Il sistema informativo assume così sempre più la struttura complessa di «bilancio-relazioni-
prospetti» per rispondere alle esigenze conoscitive riferite all’impresa nel suo complesso.
Recentemente, le aziende hanno avvertito l’esigenza di razionalizzare i numerosi documenti
di comunicazione che costituiscono la corporate accountability, mediante un processo di
graduale integrazione delle informazioni rilevate in un unico documento. Questa tendenza rivela
quanto sia sentita l’esigenza di disporre di un unico bilancio in grado di sintetizzare le strategie
perseguite ed i risultati ottenuti dall’impresa a tutto campo.
Il bilancio di sostenibilità dovrebbe quindi rappresentare la naturale evoluzione della social
accountability ed il ricongiungimento delle più importanti informazioni di tipo ambientale,
sociale ed economico fornite dall’impresa.
Al fine di soddisfare le esigenze informative delle diverse categorie di stakeholder e,
soprattutto, per fronteggiare le ridotte capacità del sistema di bilancio
17
di assolvere alle proprie
funzioni informative, alcune imprese hanno iniziato, a partire dagli anni ’90, a produrre, accanto
ai fascicoli di bilancio, ulteriori e sempre più esaurienti documenti annuali che fornissero notizie
su aree tradizionalmente non approfondite nel bilancio d’esercizio.
Il primo documento annuale redatto volontariamente ad integrazione del bilancio
d’esercizio è stato, come già indicato, il bilancio sociale a cui altri sono seguiti.
L’esigenza da parte delle aziende di diffondere, in aggiunta al bilancio d’esercizio, altre
informazioni societarie è stata determinata da alcuni fattori.
17
Il sistema di bilancio è considerato uno strumento: 1) utilizzato dalle imprese esclusivamente per comunicare il risultato
economico-finanziario ai portatori di capitale di rischio e di credito; 2) elitario, essendo redatto utilizzando un linguaggio tecnico per
addetti ai lavori, non comprensibile a tutti e, pertanto, non in grado di focalizzare l’attenzione e convogliare gli interessi dei suoi
potenziali utilizzatori; 3) di scarsa efficacia, in quanto non permette di differenziare la comunicazione ai vari portatori di risorse in
ragione degli interessi specifici di ciascuno, in RIVA P., Informazioni non finanziarie nel sistema di bilancio, Milano, Egea, 2001, p.
61.