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C a p i t o l o 2
IL MERCATO AZIONARIO E IL MERCATO VALUTARIO
2.1 Introduzione
Quasi tutti i giornali e telegiornali, nazionali ed esteri, oggi prestano molta
attenzione all’andamento dei corsi azionari. Negli anni novanta, infatti, si è
assistito ad una crescita dell’importanza dei mercati azionari, non solo nei
paesi anglosassoni, dove peraltro i sistemi finanziari sono per tradizione
orientati al mercato, ma anche e soprattutto nell’area dell’euro. La crescita è
evidenziata dall’aumento delle capitalizzazioni nei mercati azionari naziona-
li rispetto al Pil e dall’accresciuto numero di imprese nazionali quotate nelle
borse valori. Da una parte, quindi, un numero crescente di imprese decide
di rastrellare fondi ricorrendo all’emissione di azioni (quotate o non quota-
te), dall’altra un numero crescente di famiglie destina i propri risparmi in
titoli azionari di imprese del proprio paese o di imprese estere. Per dare al-
cune cifre, nel 1995 le transazioni transfrontaliere in titoli a reddito fisso
dentro e fuori gli Stati Uniti ammontavano al 110% del Pil degli Stati Uniti,
più di cinque volte il corrispondente rapporto per i flussi azionari. Nel
1999, invece, le transazioni transfrontaliere in titoli salirono al 126% del
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Pil, mentre le transazioni in azioni sono triplicate e hanno raggiunto il 75%
del Pil.
L’andamento delle quotazioni azionarie può avere effetti ragguardevoli
sull’attività economica e, in generale, sulle dinamiche economiche, compre-
so il meccanismo di determinazione del tasso di cambio. Il compito di que-
sto capitolo è proprio quello di analizzare quale ruolo svolge il mercato
azionario nelle fluttuazioni dei mercati valutari. Il capitolo sarà diviso in
due parti. Nella prima vedremo come il mercato azionario può influenzare
la domanda e, attraverso di essa, il tasso di cambio. Definiremo questo ca-
nale di trasmissione “indiretto”, appunto perché la reazione del tasso di
cambio a variazioni nelle quotazioni azionarie passa attraverso cambiamen-
ti nei mercati reali. Nella seconda parte analizzeremo un altro canale di tra-
smissione, che definiremo “diretto”, perché le variazioni del tasso di
cambio, in seguito a variazione del mercato azionario, avvengono attraver-
so i mercati finanziari.
2.2 Che cosa determina i prezzi delle azioni?
Come primo passo, presentiamo l’approccio economico standard per la va-
lutazione dei titoli azionari, che permette agli economisti e agli analisti fi-
nanziari di calcolare il cosiddetto “valore fondamentale” di un’azione, cui il
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suo prezzo deve tendere. Ovviamente è sempre possibile che il prezzo di
un’azione si discosti da questo valore. In tal caso gli economisti parlano di
inefficienza del mercato, una situazione in cui appunto i corsi azionari non
rispecchiano completamente tutte le informazioni disponibili rilevanti per
la valutazione dei titoli
17
.
La valutazione dei titoli azionari è fatta tramite il modello dei dividendi
attualizzati. Secondo tale modello, le azioni possono essere valutate tramite
il valore attualizzato dei flussi di cassa futuri, composti da dividendi e
guadagni attesi in conto capitale, cui essi danno diritto. Il metodo più
semplice, per descrivere come, in mercati efficienti, le quotazioni azionarie
corrispondono al valore attualizzato dei dividendi futuri, è ricorrere
all’arbitraggio tra azioni e titoli. Supponiamo che un investitore debba
decidere se investire i propri euro in titoli del debito a scadenza annuale o
in azioni per un anno. Se l’investitore decide di detenere titoli del debito,
allora per ogni euro che investe in questi, l’anno successivo otterrà (1 + i1t)
euro. Se invece decide di detenere azioni per un anno, acquisterà azioni
oggi ad un prezzo €Qt, riceverà l’anno successivo un dividendo pari a
€D
e
t+1, e poi rivenderà l’azione ad un prezzo di €Q
e
t+1. Dato che con un
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Come vedremo i prezzi delle azioni sono inerentemente orientati al futuro, quindi è sempre
possibile che si verifichino casi di inefficienza, che possono condurre a bolle speculative con
effetti devastanti per l’economia.
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euro che investe può comprare €1/€Qt di azioni e che per ogni azione che
acquista riceverà (€D
e
t+1 + €Q
e
t+1), per ogni euro che investe in azioni deve
aspettarsi di ricevere (€D
e
t+1 + €Q
e
t+1)/€Qt. Detto questo, se i due titoli
sono considerati sostituti perfetti, l’investitore dovrà scegliere l’attività
finanziaria con maggior rendimento atteso. In questo caso, l’equilibrio
richiede che il tasso di rendimento atteso derivante dal detenere azioni per
un anno deve essere uguale al tasso di rendimento sui titoli del debito
annuali:
[2.1] (€D
e
t+1 + €Q
e
t+1)/€Qt = (1 + i1t)
Risolvendo l’equazione per €Qt otteniamo:
[2.2] €Qt = (€D
e
t+1 + €Q
e
t+1)/(1 + i1t)
L’equazione [2.2] afferma che il prezzo dell’azione oggi deve essere uguale
al valore attuale della somma del dividendo atteso e del prezzo l’anno pros-
simo.
La quotazione azionaria attesa per il periodo (t + 1) può essere ottenuta
portando avanti di un periodo la precedente equazione. L’anno successivo,
infatti, gli investitori dovranno ancora scegliere se tenere azioni o titoli e,
quindi, dovrà valere la stessa condizione di arbitraggio. Per cui il prezzo
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atteso per l’anno successivo è:
[2.3] €Q
e
t + 1 = (€D
e
t + 2 + €Q
e
t + 2)/(1 + i1t+ 1)
Sostituendo quest’equazione alla [2.2] otteniamo:
[2.4] €Qt = €D
e
t+1/(1+i1t) + €D
e
t+2/(1+i1t)(1+i
e
1t+1) + €Q
e
t+2/(1+i1t)(1+i
e
1t+1)
Secondo la [2.4] il prezzo dell’azione è il valore attuale della somma del di-
videndo atteso l’anno prossimo, del dividendo atteso tra due anni e del
prezzo atteso tra due anni. Omettendo l’unità di misura e presumendo, per
semplicità, che gli investitori scontino ad un tasso costante i, con sostitu-
zione ricorsiva otteniamo la formula standard per il modello dei dividendi
attualizzati:
[2.5] Qt = t D
e
t+i/(1 + i)
i
+ limT [1/(1 + i)
T
]Q
e
t+T
Escludendo bolle dei corsi azionari, all’aumentare di T il secondo termine
tende a zero. Infatti, se le persone si attendono che il prezzo delle azioni
converga ad un qualche valore Q in un futuro remoto, il secondo termine
diventa Q/(1 + i)
T
. Se il tasso di interesse è costante e positivo, questo
termine va a zero all’aumentare di T. Per cui la [2.5] diventa:
[2.6] Qt = t D
e
t + i /(1 + i)
i
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se lim T [1/(1 + i)
T
]Q
e
t + T = 0
La [2.6] è soddisfatta se non ci sono aspettative di un aumento delle quota-
zioni azionarie più rapide del tasso di sconto, il che è garantito fintantoché
gli investitori scontano al rendimento atteso nel periodo di investimento. Il
modello dei dividendi attualizzati, quindi, prevede che i prezzi delle azioni
aumenteranno se gli investitori si attendono dividendi futuri maggiori e/o
se applicano un tasso di sconto minore, e che diminuiscono nel caso oppo-
sto.
Ipotizziamo ora che il tasso di crescita atteso dei dividendi sia costante e
pari a g, inferiore al tasso di sconto, i. In tal caso la soluzione dell’equazione
[2.6] si avvicina al limite:
[2.7] Qt = t Dt(1 + g)
i
/(1 + i)
i
= Dt(1 + g)/(i - g)
La [2.7] rappresenta il modello di crescita di Gordon. Manipolando la [2.7]
e presumendo che una frazione degli utili G sia corrisposta sotto forma
di dividendi, Dt = Gt, il modello può essere risolto per il rapporto divi-
dendo/prezzo, Dt/Qt, e il rapporto prezzo/utili, Qt/Gt, due indicatori
dell’andamento del mercato azionario ampiamente utilizzati:
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[2.8] (Dt/Qt) = (i - g)/(1+g)
[2.9] (Qt/Gt) = (1+g)/(i - g)
L’equazione [2.1], tuttavia, è incompleta, poiché le azioni sono considerate
più rischiose dei titoli a reddito fisso. Per poter trattare questa situazione
d’incertezza, possiamo scomporre il tasso di sconto nel tasso di interesse i
e in un premio azionario . La condizione di arbitraggio diventerà:
[2.10] (€D
e
t+1 + €Q
e
t+1)/€Qt = (1 + i1t + )
Per cui il prezzo dell’azione sarà:
[2.11] Qt = t D
e
t+i /(1 + i + )
i
La precedente ci dice che il prezzo delle azioni aumenta se gli investitori si at-
tendono una maggiore crescita di lungo periodo dei dividendi, un maggior rapporto
utili/dividendi, minori tassi di interesse e/o un minore premio per il rischio
azionario.
2.3 Il mercato azionario e la domanda aggregata
Molti credono che il crollo della Borsa di New York del 1929 sia stata una
delle cause della Grande depressione, così come molti sono convinti che il
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brusco e prolungato declino dell’indice Nikkei, dopo l’ascesa iniziale negli
anni ottanta (dovuta probabilmente a una bolla speculativa), sia una delle
cause della recessione giapponese dei primi anni novanta. Questi due epi-
sodi sono indicativi di una credenza diffusa che esista una forte correlazio-
ne tra le fluttuazioni del mercato azionario e l’attività economica nel suo
complesso. In questo paragrafo e nel seguente vogliamo analizzare come le
fluttuazioni delle quotazioni azionarie incidono sulle dinamiche economi-
che.
È difficile, tuttavia, sostenere che esista una relazione causale tra le
fluttuazioni dei prezzi delle azioni e l’attività economica. Questa
correlazione può essere dovuta semplicemente al fatto che i prezzi delle
azioni incorporano informazioni circa la crescita futura dell’output, la quale
può derivare da molti fattori, come, ad esempio, uno shock alla
produttività del lavoro. In questo senso, quindi, le quotazioni azionarie
sono soltanto “indicatori anticipatori” di cambiamenti futuri dell’attività
economica. Questa proprietà deriva dalle principali assunzioni fatte nel
modello dei dividendi attualizzati discusso sopra, in cui i prezzi correnti
rappresentano il valore scontato della crescita dei dividendi attesi. Se le
azioni sono scambiate in mercati efficienti, le aspettative circa la crescita
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dei dividendi futuri tendono ad essere razionali. Da questo punto di vista,
quindi, il comportamento del mercato azionario può essere considerato un
avvenimento di minore importanza (side-show), poiché non esiste nessun
nesso causale tra le fluttuazioni azionarie e l’attività economica.
Da un altro punto di vista si ritiene che il mercato azionario possa influen-
zare l’attività economica direttamente. Per quanto riguarda la domanda ag-
gregata, il meccanismo di trasmissione opera principalmente attraverso
cinque canali: gli effetti sul costo del capitale, sulla ricchezza, sul livello di
fiducia, sulle situazioni patrimoniali e sui saldi di bilancio. Cerchiamo ora di
individuare come questi effetti provochino una variazione del livello degli
investimenti, del consumo e del bilancio governativo.
2.3.1 Effetti sugli investimenti
Fluttuazioni del prezzo delle azioni possono causare una variazione degli
investimenti. Il primo canale opera attraverso l’impatto che le quotazioni
azionarie possono avere sul costo del capitale proprio delle imprese e, per-
tanto, sulle loro decisioni di spesa per gli investimenti. Per capire meglio
come opera questo canale è utile descrivere come avvengono le decisioni
di spesa per investimenti nell’economia.
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La semplice relazione keynesiana tra investimento e tasso di interesse non
è sufficiente a spiegare le decisioni di investire delle imprese. Tobin [1977],
nella “teoria della q”, legò la spesa per investimenti delle imprese al valore
presente scontato dei profitti futuri (per unità di capitale). La q di Tobin
indica il rapporto tra il valore presente scontato dei profitti attesi
dall’installazione di un nuovo macchinario, V(
e
t), e il prezzo d’acquisto
del macchinario, pk:
[2.12] q = [V(
e
t)]/pk
Secondo Tobin, se il valore della q è minore di 1, con [V(
e
t)] < pk, cioè se
il valore attuale dei profitti attesi dall’acquisto di un nuovo macchinario è
minore del prezzo d’acquisto, l’impresa deciderà di non acquistarlo. Se è
maggiore di 1, [V(
e
t)] > pk, cioè se il valore attuale dei profitti attesi è
maggiore del costo d’acquisto, l’impresa lo acquisterà. Quest’ipotesi può
essere estesa all’intera economia se, invece di studiare la decisione di acqui-
stare un singolo macchinario, ragioniamo in termini di unità di capitale e
analizziamo la decisione di investire installando un’unità addizionale di ca-
pitale, dato il capitale già installato. Per decidere se accrescere lo stock di
capitale, le imprese devono valutare di quanto il nuovo investimento farà
crescere il flusso dei profitti futuri. Diventa quindi rilevante il rapporto tra
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la variazione nel valore attuale dei profitti (
e
t+1,
e
t+2, …) e il costo
d’acquisto del capitale. Questa quantità è chiamata q marginale e può essere
interpretata come il rapporto tra il valore di un’unità addizionale di capitale
installato e il suo costo d’acquisto. Anche in questo caso, le imprese inve-
stiranno se la q marginale è maggiore di 1, cioè se l’aumento nel valore at-
tuale dei profitti è maggiore del costo dell’investimento addizionale; invece,
se la q è minore di 1, ridurranno gli investimenti. La q marginale, tuttavia,
non è direttamente osservabile. Quello che invece è misurabile è la q me-
dia, uguale al rapporto tra il valore del capitale complessivamente installato
- cioè la capacità del capitale esistente di generare profitti ora e in futuro - e
il suo prezzo. Ovviamente, se l’impresa non dispone inizialmente di uno
stock di capitale, la q media e la q marginale coincidono.
Indicando con V(
e
t) il valore presente scontato dei profitti futuri per uni-
tà di capitale, possiamo scrivere la funzione d’investimento in questo mo-
do:
[2.13] I = I [V(
e
t) ]
I/ V(
e
t) > 0
La [2.13] stabilisce che quanto più elevati sono i profitti correnti o attesi,