In questa tesi verranno presentate una serie di argomentazioni che cercheranno di capire
meglio il rapporto “conflittuale” tra ambiente naturale e attività di impresa, in particolare,
attraverso un approccio sociologico di taglio neo-istituzionalista, verranno indagate: la di-
mensione politica, attraverso l’analisi delle politiche ambientali messe in atto dalle Istituzioni
pubbliche e il loro impatto sull’impresa, la dimensione economica, considerando l’impresa
come “soggetto economico” finalizzata al profitto, e infine la dimensione culturale
dell’individuo sia nel ruolo di “cittadino” destinatario delle politiche, sia nel ruolo di “con-
sumatore” attivo sul mercato.
INTRODUZIONE
Il rapporto Uomo-Ambiente è per sua natura complesso e bidirezionale: si tratta, infatti, di
due sistemi autonomi che interagiscono in una ripetuta relazione dinamica tanto che la stessa
definizione “ambiente naturale”, nel corso dell’epoca moderna, si è paradossalmente trasfor-
mata in “definizione culturale”, risultato dell’interpretazione filtrante operata dalle categorie
conoscitive. L’ambiente infatti, nel corso dei secoli, è andato mutando, perdendo le caratteri-
stiche “naturali” per acquistare quelle di un ambiente progressivamente “umanizzato”, in cui
cioè appaiono sempre più visibili le impronte e i segni dell’intervento umano tanto che la “na-
turalità” dei tre elementi che lo costituiscono ovvero suolo, aria ed acqua, nel tempo hanno
subito profonde modificazioni includendo altri elementi come edifici, campi coltivati, strade,
dighe, e fabbriche.
Nel tentativo di superare o almeno di rendere meno insormontabili i limiti posti da condizioni
naturali avverse infatti, l’uomo ha messo in atto una serie di azioni con l’intento di trasforma-
re, e spesso, purtroppo, anche distruggere, l’ambiente naturale: un’azione sempre più intensa e
vistosa, grazie all’evoluzione e al perfezionamento dei mezzi tecnici a propria disposizione,
finalizzata a rendere il proprio “habitat” più ospitale e meno ostile, ma spesso con l’effetto
indesiderato di modificarne e stravolgerne alcune delle peculiarità essenziali per l’equilibrio
uomo-natura. E’ vero che fin dalla sua comparsa sulla Terra, l’uomo ha plasmato l’universo
che lo circonda per farne il suo ambiente di vita, ma solo negli ultimi decenni si è avuta la
chiara percezione di quanto sia delicato il rapporto tra uomo e ambiente e di come esso sia in
serio pericolo.
Le grosse concentrazioni industriali che rischiano di compromettere irreversibilmente le con-
dizioni bio-ecologiche, la crescita smisurata degli agglomerati urbani, il progresso esponen-
II
ziale e squilibrato delle economie orientali, l’incontrollato boom demografico, il labile senso
della cura della società consumistica, costituiscono delle minacce reali per il suo equilibrio.
La pratica della deforestazione, ad esempio, è stato uno dei primi esempi di modificazione
del’ambiente naturale, l’uomo con costanza e regolarità e con mezzi prima rudimentali e poi
sempre più sofisticati, si è sostituito a quelle foreste, modificandone profondamente la morfo-
logia e il paesaggio; anche se, questo mutamento globale in termini di “umanizzazione” del
paesaggio, in realtà ha cominciato a manifestarsi diecimila anni fa con la nascita
dell’agricoltura e della pastorizia.
In un primo tempo le coltivazioni hanno convissuto con la foresta, poi l’uomo ha cominciato
ad alterare il manto forestale per fare posto a nuova terra coltivabile e a nuovi pascoli. Succes-
sivamente, in quella che il sociologo urbano Lewis Mumford ha definito periodo eotecnico,
(Mumford, 1961) i primi sviluppi della tecnologia hanno consentito di utilizzare l’acqua ed il
legno (sempre ricavato a spese delle risorse forestali) quali fonti di energia. Con il disbosca-
mento, la terra dei monti non più protetti dalla vegetazione, è stata convogliata verso le pianu-
re e il mare; i rilievi ne sono risultati impoveriti; si sono avuti i primi fenomeni di dissesto i-
drogeologico e, a lungo andare, si sono verificate profonde ed irreversibili alterazioni anche
nella composizione della fauna e nello sviluppo delle popolazioni.
Si è giunti così al paradosso che l’uomo, sempre alla spasmodica ricerca di nuovi spazi e nuo-
ve risorse per fronteggiare il continuo accrescimento demografico, ha provocato, e continua a
provocare, la diminuzione della produttività della terra abbandonando i terreni ai danni
dell’erosione.
L’intenso ed irrazionale disboscamento dei secoli scorsi, ma anche di tempi recenti, ha reso
danni incalcolabili, danni che, anche nell’ipotesi di porre rimedio a questa situazione, dovre-
mo subire per moltissimo tempo, dal momento che la ricostituzione di condizioni di equilibrio
è un’operazione lunga e molto difficile: basta pensare al fatto che, per riportare l’Italia a con-
dizioni forestali di equilibrio, continuando con l’attuale ritmo di rimboschimento, occorrereb-
bero almeno trecento anni.
E’ noto, poi, come anche l’industrializzazione che, domina il processo evolutivo delle società
contemporanee, abbia modificato vistosamente l’ambiente, sia quello cosiddetto socioecono-
mico, sia quello più propriamente naturale. E’ proprio su quest’ultimo che le modificazioni
risultano più vistose perché l’industria (specialmente quella “pesante”) si è progressivamente
insediata e si insedia tuttora nel paesaggio, ne diventa una componente, trasformandolo sino a
dargli una sua impronta, agendo in maniera più o meno profonda sull’utilizzazione del suolo,
sul popolamento e la fisionomia dei corsi d’acqua e, addirittura, sul clima delle zone di inse-
III
diamento. Attraverso questi correttivi e modificazioni apportati all’ambiente, l’uomo ha eser-
citato, e oggi più che mai sta esercitando, il suo impatto sulla natura, con un’azione sempre
più intensa e profonda.
Fig.1 – L’attività dell’uomo tra utilità e inquinamento
(Fonte:elaboraz. da Pearce D., Turner R. (1991))
Da queste azioni perpetrate dall’uomo sulla natura derivano però delle conseguenze sull’uomo
stesso, sulla sua fisiologia, sulla sua salute e sul suo comportamento: il clima dei grossi ag-
glomerati urbani è ormai ben diverso da quello delle campagne, l’elevato tasso di rumore,
l’aria e l’acqua inquinate contribuiscono a formare una sorta di “patologia” degli abitanti delle
grandi città.
Per questi motivi, per un’analisi ed una riflessione sulla relazione tra l’uomo e l’ambiente, di-
venta necessario considerare il ruolo giocato nel mutamento ambientale nei confronti della
società e degli individui che la compongono nel compimento delle loro attività in particolar
modo quelle produttive.
IV
L’impatto dell’uomo sull’ambiente naturale, come è stato descritto, si è rivelato nei secoli
sconvolgente; in particolare con l’avvento della rivoluzione industriale l’uomo ha ampliato a
dismisura il proprio ecumene, ovvero quell’ambiente “umanizzato” che è diventato spazio a
sua disposizione. Con la seconda metà del XVIII secolo, infatti, i mezzi tecnici a disposizione
per intervenire e addomesticare ambienti “ostili”, diventano più sofisticati e l’urbanizzazione
comincia a crescere con ritmi rapidissimi, segnando di fatto l’inizio del processo di inquina-
mento, che non si è più arrestato, e che anzi, negli ultimi decenni è aumentato a dismisura.
Ovviamente sarebbe troppo facile e frettoloso liquidare queste osservazioni con un rapporto
deterministico che identifica industria uguale inquinamento anche se, in realtà, il rapporto tra
impresa ed ambiente è stato sempre complicato, bisognerebbe sottolineare, infatti, che nel
comportamento sostanzialmente inquinante dell’industria non vi è nulla di ineluttabile, imma-
nente ed inevitabile. Piuttosto sembra più corretto affermare che non è l’industria ad essere
necessariamente inquinante, quanto i modi di produzione suggeriti dal desiderio di realizzare
il massimo profitto nel minor tempo possibile.
Esiste però oggi la possibilità che le industrie “sporche” producano in modo pulito (ancorché
più costoso) ed esistono le industrie “pulite” che consentono di realizzare un migliore rappor-
to industria/ambiente capace di non incidere negativamente sulla qualità dell’ambiente e sulla
estensione dello spazio “umanizzato”.
Pertanto il problema non risiede tanto nell’industria come entità astratta o nella rivoluzione
industriale che l’ha prodotta, ma va più correttamente ricercato nei metodi di produzione i
quali, pur potendo essere, specialmente oggi, più “puliti” e rispettosi dell’ambiente, continua-
no ad avere su quest’ultimo un impatto negativo perché produrre “sporco” costa meno e fa re-
alizzare maggiori profitti.
E’ proprio a causa di motivi come questo che la biosfera ha subito da parte dell’uomo, negli
ultimi cinquant’anni, danni di notevole entità, tanto che si parla di degrado ambientale in sen-
so generalizzato e ci si interroga sia sulla capacità della natura di sopportare il peso
dell’economia globale sia sullo stato attuale che sul futuro della biosfera stessa.
Vi è ormai una chiara consapevolezza del problema socio-ambientale e della necessità di non
danneggiare in modo irreversibile il mondo che ci circonda, anche perché si è assunta presso-
ché generalmente la filosofia, e il conseguente modo di operare, secondo il quale non essendo
l’umanità dotata di risorse illimitate, un uso spropositato delle ricchezze naturali può avere
conseguenze fatali sulla sopravvivenza stessa della specie umana.
Ecco quindi emergere l’urgenza, ormai economicamente e storicamente non più rinviabile, di
innescare processi di costruzione graduale di progetti di mutamento culturale e socio-
V
economico dell’attuale modello di sviluppo, progetti magari parziali ma che comincino a dare
risposte in chiave di ridefinizione del rapporto tra patrimonio collettivo, interessi economici
privati d’impresa e rispetto dei diritti socio-economici della collettività.
L’inquinamento ambientale è un problema sentito dalle popolazioni di tutti i paesi industria-
lizzati e vi è una presa di coscienza delle problematiche legate all’ambiente presente ormai in
tutti i ceti della società, anche per questo è diventata ormai improrogabile la necessità di co-
struire e diffondere in misura sempre maggiore un nuovo paradigma culturale in grado di por-
si come base fondante di una nuova “cultura d’impresa”, che consideri il rispetto
dell’ambiente come variabile ineluttabile nel processo.
L’obiettivo di questa tesi è quello di dimostrare che attraverso un analisi multilivello e interdi-
sciplinare a questo problema, con gli strumenti politici, legislativi, economici, sociali, cultura-
li oggi disponibili, sia possibile intraprendere un percorso che ridefinisca il rapporto Uomo-
Ambiente, soprattutto nelle attività di impresa, declinandolo verso una dimensione di maggio-
re sostenibilità che tuttavia non precluda lo sviluppo economico.
Per indagare questo rapporto si è scelto di adottare un approccio sociologico di taglio neoisti-
tuzionalista, in quanto tale prospettiva consentirà di introdurre unità di analisi sovra indivi-
duali in grado di modellare l’interazione fra le singole parti.
Il neoistituzionalismo afferma l’identità fra istituzioni e regole di comportamento, capaci di
condizionare le scelte degli agenti ad esse soggette. Istituzioni e regole sono in grado di vin-
colare il comportamento degli agenti in base a ciò che è considerato normativamente corretto
circa i compiti e le attività connesse a ruoli specifici, nelle organizzazioni e nei sistemi sociali
(Ostrom 2000).
Il neoistituzionalismo implica quindi un’attenzione ai modelli di spiegazione culturali e com-
portamentali e una ricerca delle unità d’analisi sovra individuali (Powell e DiMaggio 1991).
Un aspetto particolarmente rilevante che merita di essere segnalato, inoltre, riguarda il fatto
che le istituzioni non si limitano a vincolare le opzioni degli agenti, ma sono il criterio attra-
verso cui gli agenti stessi individuano le loro preferenze (ibidem).
Esse sono uno dei mezzi attraverso cui gli agenti dotati di razionalità riducono l’incertezza.
Gli agenti costruiscono le istituzioni e nello stesso tempo le istituzioni vincolano il compor-
tamento degli agenti, in una reciproca interazione che si esplicita in reti di relazioni attraverso
le quali il capitale sociale si fonda e si trasmette (Rhodes 1997).
Sul piano teorico questo significa che le preferenze individuali degli agenti non sono date e
che queste possono avere certamente un correlato nell’assetto istituzionale, sottolineando di
nuovo la struttura relazionale dell’interazione tra individuo e istituzione.
VI
Ed è proprio insistendo sia su questa dimensione relazionale, sia sulla dimensione più stretta-
mente culturale che forse, oggi più che mai, diventa possibile coniugare competitività, occu-
pazione, profitto e attenzione verso l’ambiente nell’ottica di uno sviluppo sostenibile che
permetta di riconquistare un equilibrio armonico con l’ambiente naturale in grado di arginare
la deriva catastrofista a cui l’umanità sta puntando senza preoccuparsene troppo.
Il presente elaborato si costruisce intorno ad una struttura che prevede una parte introduttiva,
tre parti centrali e una parte conclusiva per un totale di sette capitoli. Facendo accenno agli
aspetti metodologici che hanno caratterizzato questa tesi si evidenzia che a supporto di alcune
argomentazioni sono state riportati dati secondo livello e sono stati esposti alcuni casi di espe-
rienze concrete come quella italiana del CNEL riguardante la costruzione degli indicatori di
sviluppo sostenibile. Per quanto riguarda le fonti e la letteratura disponibile, sono stati consul-
tati testi, documenti, saggi, articoli, rapporti, statistiche, ricerche, atti di convegni, siti internet
molto differenziati tra loro. Questa esigenza si è presentata nel momento in cui è stato neces-
sario rendere conto, nel modo più esaustivo possibile, delle implicazioni che il tema della so-
stenibilità ambientale riflette sulla società contemporanea intrecciando, inevitabilmente, la
dimensione economica, politica e culturale.
Nella parte introduttiva, composta da due capitoli, viene preso in esame, nel primo capitolo, il
trend di richiesta energetica dei prossimi quindici anni attraverso l’analisi dei dati e le previ-
sioni del “World Energy Outlook 2007” e le conseguenti implicazioni ambientali esposte nel
quarto rapporto ONU sul clima, realizzato dall’ Intergovernamental Panel on Climate Change
(Ipcc).
Nel secondo capitolo, invece, si definisce cos’è lo “sviluppo sostenibile”, rilevandone alcuni
aspetti retorici prima, per poi passare a identificarne le tre dimensioni costituenti, ed infine
scoprire quali sono e come si costruiscono gli indicatori in grado di fornirne una misura og-
gettiva.
La prima parte, che affronta il “livello macro”, si occupa di indagare il rapporto tra Politica e
Ambiente.
Il capitolo tre prende in analisi gli elementi distintivi che compongono la formazione della de-
cisione nelle politiche ambientali, per affrontare, un’indagine sulle politiche dell’Unione Eu-
ropea prima, e quelle italiane poi.
Nella seconda parte, l’attenzione si sposta sul “livello meso”, ovvero sul rapporto tra Econo-
mia e Ambiente.
Il quarto capitolo, infatti, inizia affrontando il non facile rapporto tra ambiente ed impresa, in-
tesa come “soggetto economico”, per poi affrontare il discorso di come includere, contabiliz-
VII
VIII
zare e certificare la variabile ambientale all’interno della gestione manageriale dell’impresa,
rilevando infine, l’opportunità innovativa di farne una scelta strategica di business.
La terza parte, considera il “livello micro”, prendendo in esame il rapporto tra Cultura e Am-
biente.
Il quinto capitolo, si occupa di analizzare la possibilità di costruire, attraverso la cultura, una
“coscienza ambientale individuale”, affrontando poi “la coscienza ambientale collettiva” dei
movimenti ambientalisti, e infine l’influenza delle politiche ambientali sull’individuo “citta-
dino” e l’influenza dell’individuo “consumatore” sul mercato e quindi sull’impresa.
Infine, la parte conclusiva, composta dal sesto capitolo, vorrebbe tentare di gettare alcune basi
per una riflessione sulla possibilità di rilanciare la “sfida” che si possibile coniugare sviluppo
e tutela ambientale, mettendo in evidenza come in realtà questa competizione non debba ne-
cessariamente avere un perdente.
Prendendo in esame il concetto di “Capitalismo naturale” elaborato da A. Lovins agli inizi
degli anni ’90, si vuole mostrare come un’alternativa realizzabile a questa strada che
l’umanità ha imboccato e sta portando lentamente verso l’autodistruzione sia in realtà possibi-
le. Tuttavia per riuscire a fare di “necessità virtù” serve oggi più che mai una netta revisione
del paradigma consumistico imperante, netta revisione che non può altro che essere in primo
luogo culturale.
Nel settimo e conclusivo capitolo, si cercherà di trarre delle conclusioni generali sul rapporto
tra Uomo e Natura in prospettiva futura, cercando di indagare la possibilità di una relazione
tra sociologia ed ecologia e, soprattutto, indicando la possibilità di come la stessa sociologia
possa ritagliarsi un ruolo da protagonista nella costruzione culturale di una coscienza ambien-
tale in grado di orientare le scelte della società verso un futuro più sostenibile.