9
consumatori verso le colture biologiche, da una parte, e il fast food
dall’altra, nonché l’affermarsi di nuovi circuiti distributivi, in
particolare quelli riguardanti la grande industria.
L’integrazione dell’agricoltura e dell’allevamento con
l’industria alimentare ha costituito un fattore chiave per il settore
agro-industriale. La volontà di innovare, unita alla consapevolezza
di quanto fosse necessario mantenere anche gli aspetti socio-
culturali, la tradizione e la valorizzazione delle produzioni tipiche,
hanno portato l’Italia in una posizione di leadership a livello
nazionale e internazionale in campo agroalimentare.
Le prospettive di crescita del sistema dipendono da un
continuo processo di aggiustamento nell’allocazione dei fattori
produttivi e delle produzioni ai fini del mantenimento di adeguati
livelli di competitività. Fondamentale in tali osservazioni sta
diventando il concetto di filiera, una sorta di percorso “dal campo
alla tavola” del prodotto alimentare: dalla produzione della materia
prima, passando per la prima commercializzazione e la
trasformazione, fino alla distribuzione all’ingrosso e al dettaglio. Per
filiera generalmente si intende un’articolazione di attività
economiche integrate; si tratta in sostanza di attività
sequenzialmente logiche, ognuna delle quali preordinata alla
successiva, ma al tempo stesso autoregolata.
Per l’analisi di un contesto competitivo avente implicazioni
in ambito agricolo, industriale e commerciale, l’approccio di studio
della filiera presenta indubbi vantaggi in termini di opportunità
interpretative dei fenomeni e della relazione degli operatori: è un
itinerario che consente di tenere in considerazione gli effetti delle
10
interconnessioni tra attività produttive, fasi di trasformazione e
modalità di collegamento con i mercati di consumo. L’approccio di
filiera può essere utilmente integrato con lo studio dei canali di
distribuzione, definiti dagli attori economici che intervengono dal
momento della “produzione” fino al consumatore finale.
In un mercato moderno ed evoluto la sicurezza è l’obiettivo
prioritario, ed è strettamente collegata ai temi della salubrità, della
qualità e della genuinità degli alimenti.
Ebbene, va sottolineato che l’Italia è oggi all’avanguardia,
nel mondo, per le garanzie che offre al consumatore in materia di
sicurezza alimentare
1
. L’importanza dell’impresa agroalimentare nel
nostro sistema economico è indissolubilmente legata all’attività che
l’impresa svolge; questa deve essere fatta in modo da non ledere la
salute dei consumatori e le regole poste a tutela della sicurezza
alimentare.
Nel corso degli ultimi anni la fiducia dei consumatori nella
qualità e nella sicurezza dei prodotti alimentari è stata talvolta messa
a dura prova dalle crisi sanitarie verificatesi nel settore alimentare.
La risposta dell’Unione europea è stata una strategia globale
adottata in materia di sicurezza alimentare che ha lo scopo di
assicurare un alto livello di sicurezza alimentare, salute e benessere
degli animali e delle piante attraverso misure coerenti “dalla fattoria
alla tavola” e di effettuare un monitoraggio adeguato, garantendo al
tempo stesso un’efficace funzionamento del mercato interno.
L’applicazione di questa strategia coinvolge lo sviluppo di azioni
legislative e tende a:
1
Consultabile sul sito http://www.comune.cremona.it/PostCE-display-ceid-
2240.phtml.
11
- garantire efficaci sistemi di controllo e valutare la conformità
con le norme UE in materia di scurezza e qualità alimentare,
di salute e di benessere degli animali, di nutrizione degli
animali e di salute delle piante all’interno dell’UE e nei paesi
terzi rispetto alle loro esportazioni verso i paesi dell’UE;
- garantire rapporti internazionali con paesi terzi e organismi
internazionali in materia di sicurezza alimentare, salute e
benessere degli animali, nutrizione e salute delle piante;
- gestire rapporti con l’Autorità europea per la sicurezza
alimentare (EFSA) e garantire una gestione dei rischi su base
scientifica.
2
Questa strategia si basa su una combinazione di requisiti
elevati per i prodotti alimentari e per la salute e il benessere degli
animali e delle piante, requisiti che si applicano sia ai prodotti
all’interno dell’UE che a quelli importati.
Questa strategia poggia su tre pilastri:
- la legislazione sulla sicurezza dei prodotti alimentari e dei
mangimi per animali;
- una consulenza scientifica valida a fondamento delle
decisioni;
- attuazione e controllo della normativa
3
.
2
Consultabile sul sito http://ec.europa.eu/food/intro_it.htm.
3
Consultabile sul sito http://europa.eu/pol/food/overview_it.htm.
12
La disciplina dell’agroalimentare ha da tempo individuato il
mercato come luogo essenziale di regolazione dei contratti in cui si
sovrappongono norme di diversa origine e formulazione, ed in cui
sia il diritto comunitario sia il commercio internazionale hanno
giocato un ruolo essenziale nel definire il quadro e le regole del
gioco.
In qualche modo – potrebbe dirsi – alla semplificazione
(talvolta peraltro solo dichiarata, più che effettivamente praticata)
della legislazione, si accompagna la crescente complessità di una
disciplina di fonte contrattuale, che si articola con caratteristiche
peculiari lungo le diverse fasi della filiera agro-alimentare
4
.
Fasi che devono – comunque – tutte concorrere ad assicurare
un elevato livello di protezione della salute umana in base ai dettami
della sicurezza alimentare e la protezione che ad essa può dare il
principio di precauzione.
4
I contratti del mercato agroalimentare – CIBUS – Parma, 8 maggio 2008
13
2 – I contratti dall’impresa agricola all’industria di
trasformazione: i contratti di integrazione
verticale
Una riflessione aggiornata in ordine tanto alla disciplina dei
rapporti contrattuali mediante i quali i prodotti agricoli di base sono
convogliati verso le industrie di trasformazione, quanto
all’esperienza che è dato di registrare nel nostro paese, si rivela
significativamente eloquente per mettere a fuoco il ruolo che spetta
al diritto nel contribuire, quasi si trattasse di un ulteriore fattore della
produzione, allo strutturarsi e, al tempo stesso, al conformarsi di
concreti fenomeni socioeconomici
5
.
In particolare, “la presenza di un quadro giuridico adeguato
può da un canto permettere lo sviluppo spontaneo di fenomeni,
limitandosi a porre le premesse stesse per il loro sorgere e
fortificarsi sulla base della iniziativa delle forze sociali, dall’altro
orientare e favorire nella realtà effettuale alcune dinamiche in luogo
di altre”
6
.
Questa considerazione ha un certo significato dove
l’indagine della realtà italiana è comparata con ciò che si reperisce in
altre realtà che, come la nostra, sono alle prese da tempo con la
modernizzazione delle relazioni economiche tra settore primario e
altri settori.
5
Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di diritto
alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 5.
6
Cfr. Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di
diritto alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 5.
14
“Una delle manifestazioni più significative dello sviluppo di
un moderno sistema agro-alimentare è che si accresce sempre di più
la percentuale delle produzioni agricole di base sottratta alla
destinazione ai mercati all’ingrosso dai quali giunge poi a quelli
finali ovvero alle industrie di trasformazione”
7
.
La percentuale delle produzioni agricole di base è oggetto di
dirette relazioni contrattuali tra produttori agricoli ed imprese di
trasformazione e/o di distribuzione. Queste relazioni intervengono
ben prima che i prodotti siano venuti alla luce, secondo una
modulistica che varia da comparto a comparto.
Il riferimento è ai cosiddetti contratti di integrazione
verticale, ovvero ai contract farming ed ai production contracts
propri dell’esperienza nord-americana, con i quali le relazioni aventi
ad oggetto la fornitura di prodotti agricoli di base alle imprese di
trasformazione si arricchiscono di impegni e di vincoli ulteriori
rispetto al mero scambio tra prodotto e corrispettivo monetario
8
.
In tal modo, prendendo in considerazione la posizione
dell’operatore agricolo, il produttore agricolo è tenuto non solo a
dare il prodotto promesso all’acquirente, ma anche ad assumere una
serie di impegni, in termini di obbligazioni di fare, riguardanti le
modalità di svolgimento della propria attività produttiva al fine di
conformarla alle richieste della controparte.
In questo senso, “ogni produttore agricolo vede la propria
struttura inserita in un programma elaborato dall’impresa
industriale, sua controparte: ciò che il produttore agricolo
7
Cfr. Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di
diritto alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 5.
8
Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di diritto
alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 5.
15
guadagna in termini di sicurezza, quanto alla collocazione
dell’intera produzione conseguita, il più delle volte sulla base di
prezzi preventivamente fissati e, dunque, sottratti ad oscillazioni
congiunturali
9
, è peraltro bilanciato, talora pesantemente, dai costi
aggiuntivi che il contratto genera a suo carico, legati all’impegno
assunto dal produttore agricolo di adeguare la propria azienda o le
proprie scelte organizzative alle aspettative della controparte
industriale”
10
.
L’industria, non potendo procedere in prima persona alla
produzione agricola di base, così da renderla conforme alle proprie
specifiche esigenze di lavorazione e di trasformazione, assumendone
tutti i relativi rischi, si assicura, mediante i contratti, una rete di
fornitori di tale produzione di base, con la conseguente allocazione
di una parte dei rischi all’esterno, verso i partners contrattuali.
In questo modo, i produttori agricoli, nelle veste di fornitori
della materia prima, dal punto di vista economico risultano
“integrati” nel programma produttivo dell’industria alimentare e, dal
punto di vista giuridico, risultano a loro volta meno autonomi
9
Una sterminata letteratura ha chiarito che, attraverso i contratti di integrazione, i
produttori agricoli possono sottrarsi ai rischi legati sia alle oscillazioni dei prezzi
dai rischi sia alle difficoltà di collocazione sul mercato di prodotti altamente
deperibili in presenza di annate con raccolti abbondanti. Indubbiamente l’esigenza
di “sicurezza” degli agricoltori si salda con quella di cui si fanno portatori gli
operatori industriali interessati ad acquistare grandi quantità di prodotti agricoli
che presentino le caratteristiche richieste dai processi di trasformazione: il che non
toglie che al di là della convergenza nella stipula di siffatti contratti, l’ equilibrio
giuridico dello scambio è d’altra parte condizionato dalla diversa posizione
assunta dai contraenti nella quale gli agricoltori rappresentano la parte più debole
in ragione sia delle peculiarità proprie dei mercati agricoli sia del gap di
informazioni di cui il singolo operatore agricolo soffre rispetto alla controparte
industriale.
10
Cfr. Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di
diritto alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 5.
16
rispetto ad alcune decisioni relative all’esercizio della propria
attività e all’organizzazione della struttura produttiva. Da ciò le
relazioni giuridiche descritte prendono il nome di contratti di
integrazione verticale.
17
2.1 – La carenza di strutturazione giuridica del sistema
agro - alimentare italiano
Il nostro ordinamento giuridico risulta ancora carente di
risposte disciplinari specifiche rispetto ai fenomeni di integrazione
verticale, considerando un quadro in cui da un lato il sistema agro-
alimentare nazionale risulta tuttora debole, a dispetto delle proprie
potenzialità, dall’altro, sul piano giuridico, la relativa strutturazione
è tuttora inadeguata.
Infatti, nelle esperienze giuridiche che hanno affrontato
queste problematiche con largo anticipo rispetto alla nostra è emerso
che il carattere di massa che assumono le relazioni economiche tra
produttori agricoli ed imprese di trasformazione e, al tempo stesso,
l’indubbia diversità di forza economica tra il singolo imprenditore
agricolo e le imprese industriali coinvolte, che si manifesta anche in
termini di asimmetria informativa a svantaggio della parte agricola
circa i rischi aggiuntivi posti a loro carico, esigono risposte precise
sul piano giuridico
11
.
Ciò, sia al livello delle situazioni microeconomiche, relative
alle singole relazioni di integrazione verticale, sia di quelle
macroeconomiche. Infatti, in presenza di poche imprese industriali, e
di un bacino sempre più ampio di imprenditori agricoli che
specializzano la propria azienda, nella veste di fornitori di materia
prima già “conformata” secondo le richieste dell’industria, “è
11
Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di diritto
alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 6.
18
inevitabile che si giunga da un lato all’emersione progressiva di
forme di associazionismo tra i produttori, chiamati ad intervenire
come bargaining power nella contrattazione e nell’elaborazione di
contratti tipo, dall’altro all’avvento di una contrattazione collettiva
destinata ad incidere nella programmazione stessa dei rapporti di
scambio tra il settore primario e quello industriale interessato alla
trasformazione, prevalentemente in alimenti, delle commodities
agricole di base”
12
.
Il ritardo accumulato dall’Italia rispetto all’esperienza
americana e in Europa, rispetto all’esperienza francese, si sarebbe
potuto colmare se si fossero presi in considerazione i trend storici a
livello di politica del diritto verificatesi appunto in America e in
Francia.
Si riscontra, quindi, il fallimento del quadro disciplinare
adottato nella legge n. 88 del 1988, sugli accordi interprofessionali
in agricoltura; legge che è stata sostituita dal D.Lgs. n. 102 del
2005
13
.
Già a quel tempo, invero, proprio sulla scorta sia delle
corrispondenti esperienze maturate in altri paesi, sia, più in generale,
dell’esempio offerto dallo sviluppo delle relazioni industriali
riguardanti i rapporti di lavoro, risultava evidente che la fissazione di
una tutela contrattuale minima al livello microeconomico della
singola relazione negoziale a favore dell’operatore agricolo
14
fosse
indispensabile per favorire lo sviluppo di una contrattazione
12
Cfr. Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di
diritto alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 6.
13
Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di diritto
alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 7.
14
Considerato un contraente debole nei rapporti di integrazione verticale.
19
collettiva, con il conseguente rafforzamento anche della presenza dei
relativi soggetti collettivi.
In altre parole, “lo sviluppo dell’associazionismo agricolo,
quale premessa per l’avvento di un moderno sistema di relazioni
contrattuali tra imprese agricole ed imprese industriali e per la
stessa evoluzione delle tecniche contrattuali relative alle relazioni
nella filiera agro-alimentare, in tanto avrebbe potuto attuarsi, fuori
dalle logiche puramente congiunturali legate alla gestione di
provvidenze finanziarie comunitarie e nazionali di breve periodo, in
quanto il diritto avesse fornito una prima tutela minima ai singoli
operatori agricoli. Al riguardo, bastava tener conto di ciò che era
stato consapevolmente adottato in Francia nel 1964, a correzione
degli interventi legislativi del 1960, per non parlare della “lezione
americana” legata al pacchetto dei provvedimenti legislativi
risalenti anche a prima del New Deal Roosveltiano tra cui il
Packers and Stockyards Act del 1921 riguardante il settore
dell’allevamento di bestiame”
15
.
15
Cfr. Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di
diritto alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 7.
20
2.2 – Esperienza italiana legata alla legge n. 88 del 1988
L’esperienza italiana legata alla legge n. 88 del 1988, nella
quale si citano i “contratti di coltivazione e vendita” senza che però
ci sia una reale previsione disciplinare a tutela degli operatori
agricoli, e ancora il richiamo di questi contratti solo alla presenza di
un accordo collettivo interprofessionale, a sua volta non assoggettato
ad alcuna originale e specifica normativa privatistica rispetto a
quella di diritto comune, hanno di fatto lasciato immutato il quadro
normativo preesistente
16
.
In particolare, da un lato i contratti di integrazione verticale
hanno continuato a restare assoggettati alle regole di diritto comune,
dall’altro gli accordi interprofessionali erano troppo legati agli aiuti
pubblici o di origine comunitaria che esigevano una gestione
contrattata a livello collettivo.
Nella nostra esperienza, la carenza di una disciplina
privatistica specifica destinata a regolare i contratti tra operatori
agricoli ed industrie di trasformazione
17
è legata anche alle scelte
legislative, non sempre consone, adottate nel nostro paese a
proposito dell’associazionismo agricolo, a riguardo cioè di quei
soggetti collettivi che costituiscono i protagonisti, insieme alle
controparti industriali, di quegli accordi interprofessionali destinati
in primo luogo a normare, nell’esercizio dell’autonomia privata
16
Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di diritto
alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 8.
17
Rimasti in bilico tra il modello della vendita (di bene futuro) ed il contratto di
appalto.
21
collettiva, le relazioni interprofessionali e, dunque anche i contratti
di integrazione verticale in agricoltura.
In definitiva, se le strutture giuridiche fondamentali di un
moderno sistema agro-alimentare sono rappresentate sia dalla
specificità dei soggetti privati protagonisti
18
sia da particolari
modelli disciplinari destinati alle relazioni economiche che
intervengono nella filiera, non è difficile constatare l’arretratezza del
nostro sistema sia sul piano giuridico, sia su quello economico
19
.
In particolare, l’associazionismo economico tra i produttori
agricoli italiani è tuttora fragile e, soprattutto, scarsamente diffuso
nella realtà dei fatti.
Le relazioni contrattuali tra agricoltori ed imprese industriali
nel nostro paese non solo continuano a restare in prevalenza
orientate in termini economici e giuridici a vantaggio della parte
industriale ma, proprio per questo motivo, favoriscono situazioni di
rendita che vanno a danno dell’intera economia italiana, non solo dei
produttori agricoli; tutto ciò è causato sia della debolezza degli
operatori agricoli legata alla piccola dimensione delle strutture
aziendali agricole e del mancato decollo delle organizzazioni dei
produttori, sia della mancata spinta offerta dalle carenze della
legislazione
20
.
18
Nella fattispecie le organizzazioni dei produttori agricoli e le loro controparti.
19
Jannarelli A., “I contratti dall’impresa agricola all’industria”, Rivista di diritto
alimentare Anno II, numero 2 - Aprile-Giugno 2008, pag. 8.
20
Infatti, tale situazione ha “premiato” oltre misura le industrie alimentari,
condizionandone i comportamenti e offuscandone una visione di lungo periodo.