INTRODUZIONE
L‟elaborato qui presentato si propone l‟obiettivo di descrivere quali siano gli strumenti a
servizio degli enti locali al fine di promuovere l‟interazione dei cittadini immigrati con il
territorio pisano, prestando particolare attenzione al valore che possono assumere i luoghi,
pubblici e privati, nell‟iter che porta lo straniero dal primo approdo alla permanenza nella
città.
L‟idea di trattare tale argomento è nata grazie alla possibilità offertami dalla Dott.ssa
Giuseppina Trimarchi, Responsabile dell‟Unità Funzionale Consultoriale della Zona
Pisana, Asl 5, di collaborare all‟attività del Consultorio Immigrati di Via Cilea, giacché
volontaria del Servizio Civile Nazionale.
Il servizio prestato all‟interno della struttura, la visione quotidiana del lavoro degli
operatori sanitari e sociali, delle associazioni che ruotano intorno a questa realtà, e
soprattutto il contatto con l‟utenza immigrata, hanno innestato una serie di riflessioni
sfociate nell‟analisi qui riportata.
Tutte le dinamiche vissute in prima persona, sono state un input per avviare una
valutazione su quale sia la qualità della vita degli immigrati nella città di Pisa, come
l‟amministrazione comunale gestisca il momento dell‟accoglienza dei nuovi arrivati, quali
siano i servizi messi a disposizione al fine di promuovere l‟integrazione dello straniero
nella società pisana, come gli immigrati reagiscano a questi sforzi e cosa facciano per
collaborare nella riuscita di tale percorso.
E‟ stato importante tracciare fin dall‟inizio il quadro della presenza straniera nella città, sia
per capire quale fosse l‟immigrato “tipo” presente sul territorio (età, sesso, provenienza,
modello insediativo, importanza della comunità d‟appartenenza nel panorama cittadino),
sia per rendersi conto della realtà dei fatti, visto l‟uso demagogico che la politica fa di
questo tema e i dati da invasione che i media propongono.
Il primo capitolo è dunque prettamente descrittivo: un breve excursus sulla storia delle
migrazioni dal primo „900 a oggi fa luce sulle difficoltà del nostro Paese nell‟affrontare il
fenomeno migratorio, lasciato in balia di sanatorie e respingimenti, trattato più come
sintomo d‟insicurezza nazionale che come parte di un processo di ristrutturazione sociale
obbligatoria nell‟età contemporanea. Da qui, la reazione delle amministrazioni locali, in
termini di politica, a una legislatura poco chiara e poco incline a mettere l‟uomo e i suoi
bisogni al centro della propria dialettica.
La Regione Toscana in generale, e la Provincia e il Comune di Pisa in particolare, si sono
rivelate un unicum in Italia, dotandosi di provvedimenti e organismi che mettano la
persona al centro di qualsiasi azione in tema d‟immigrazione, in quanto essere sociale e
portatore di diritti fondamentali, quali salute, casa, lavoro e assistenza sociale.
Dopo aver chiarito quali siano i numeri reali riferibili alla zona pisana, si è proceduto con
l‟analizzare quali siano i bisogni primari di un immigrato appena approdato e chi si occupa
di soddisfarli.
La ricerca è stata condotta adottando il metodo dell‟intervista: è stato fondamentale
rintracciare e parlare con i rappresentanti degli enti che propongono i servizi e verificare
l‟efficacia di questi attraverso lo sguardo multifocale degli operatori stranieri che operano
nel medesimo settore. Questi “operatori ponte”, consapevoli degli sforzi sostenuti
dall‟amministrazione pubblica per favorire gli immigrati nell‟accesso ai servizi, sono
anche in grado di cogliere le problematiche vissute dal migrante e capaci di mediare fra le
due parti. Ne viene fuori una visione costruttivamente critica di quali siano le concrete
necessità degli utenti e su quali strade si debba muovere il terzo settore per soddisfarle e
avviare così un progetto che sia prima di tutto d‟accoglienza del diverso.
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Durante gli incontri con la responsabile dell‟Ufficio Immigrazione della Società della
Salute, con le operatrici di associazioni interculturali come Batik e Dim, e soprattutto
osservando l‟attività ambulatoriale, è emersa l‟importanza che assumono i luoghi nel
momento dell‟accoglienza dell‟immigrato e nel processo d‟integrazione.
E‟ stato dunque opportuno riservare un terzo capitolo all‟approfondimento del ruolo degli
spazi nei quali sono ospitati i servizi e alla rilevanza che può assumere una sala d‟attesa, la
sede di un‟associazione o una casa privata, nell‟immaginario di chi i suoi punti di
riferimento spaziali originari li ha perduti per sempre e deve lavorare alla creazione di una
nuova mappa per potersi orientare nel territorio sconosciuto.
La città si trasforma con l‟arrivo dei cittadini stranieri, che devono trovare il modo di
riconoscersi in essa, avere un ritorno che sia familiare di fronte alla visione dei suoi scorci
e non un perturbante disorientamento.
Il luogo abbandonato, i punti di riferimento spaziali lasciati alle spalle, simbolo di
un‟identità culturale prima indiscutibile, poi divenuta minoranza - non sempre accettata -
in un Altrove sconosciuto e proprietà di Altri, sono elementi traumatici nel progetto
migratorio dell‟individuo.
Trovare un luogo familiare nel quale veder riflettere la propria identità è un bisogno
essenziale dell‟uomo, che si manifesta nell‟elementare necessità di una casa all‟arrivo nel
paese straniero e che si trasforma nel desiderio di interagire e sentirsi parte di qualcosa di
più grande in un secondo momento.
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CAPITOLO 1 Il fenomeno migratorio nella città di Pisa.
1.1. Italia: da terra di migranti a meta dei progetti migratori odierni.
In materia di migrazioni il caso italiano si rivela emblematico: da terra a tradizione
emigratoria, nel giro di venticinque anni si è trasformata nella meta del progetto migratorio
di un numero crescente di individui, provenienti soprattutto dall‟est europeo e dai paesi a
forte pressione migratoria dell‟Asia e dell‟Africa. Qui di seguito saranno analizzati i fattori
che hanno fatto del nostro paese una terra d‟arrivo e non più di partenza, come sia
cambiato il modello di migrazione e la percezione del migrante nel corso degli anni.
Sono lontani i tempi in cui gli italiani, agli inizi del „900, abbandonavano la loro terra, di
solito meridionale, per avventurarsi alla ricerca della fortuna attraverso i grandi viaggi
transoceanici o spostandosi verso i vicini stati europei, più ricchi dell‟Italia e bisognosi di
manodopera.
Negli anni a venire le circostanze storiche produssero movimenti migratori non continuati:
se dapprima durante il Ventennio fascista l‟abbandono del Paese fu frenato da una politica
nazionalista, negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, lo spostamento verso i
brandelli di un‟Europa da ricostruire fu pienamente incoraggiato dai governi e salutato
come l‟unica soluzione plausibile di fronte alle molteplici difficoltà prodotte dal conflitto.
Questo periodo di migrazioni inter-europee è compreso tra il 1945 e il 1973, anni in cui la
migrazione non era dunque solo favorita dai governi attraverso veri e propri patti, ma il
lavoro dell‟immigrato aveva assunto un carattere strutturale all‟interno dell‟attività
produttiva, divenendo la base della ripresa economica.
Possiamo dire che questa fase delle migrazioni, che vide gli italiani tra i protagonisti, fu
caratterizzata da quelli che si definiscono “pull factors”: in altre parole, i paesi meta della
migrazione erano particolarmente attrattivi, soprattutto per ciò che concerneva la
possibilità di trovare un impiego.
A partire dal 1980, invece, si produsse una forte controtendenza: l‟Italia era ormai
considerato uno stato fra i grandi del mondo, l‟economia era in ripresa, il livello di
benessere era aumentato e le sue coste erano facilmente raggiungibili e valicabili, a
differenza dei confini di Francia e Germania, che da questi anni bloccarono gli accessi e
incentivarono una comune politica di “stop” agli ingressi, che mal si coniugava con il
crescente favore dei governi del terzo mondo all‟emigrazione dai loro paesi, già bacino di
manodopera dalle imprese del Nord del mondo in fase di iniziale decentramento
produttivo.
Tra il 1945 e il 1980 le differenze furono molte e sostanziali e riguardarono il fenomeno
migratorio in tutte le sue componenti: progetto migratorio, provenienza del migrante,
aspettative, paese di provenienza, paese d‟arrivo, ecc.
Nei venticinque anni successivi a cambiare fu anche l‟intero assetto del pianeta a causa di
una serie di fattori che determinarono il processo di globalizzazione: le diverse strategie
d‟investimento volute da multinazionali e governi, la rivoluzione microelettrica, la
scomparsa delle occupazioni manuali, la maggiore espansione del settore terziario, l‟
aumento del lavoro precario e il diffondersi della differenziazione del lavoro, non solo più
a livello di genere, ma anche per etnia d‟appartenenza. Tutti questi elementi hanno
cambiato il volto non solo dei paesi sviluppati, ma soprattutto di quelli divenuti in via di
sviluppo e quelli del così detto Terzo Mondo. La riorganizzazione del mondo, con
l‟abbattimento delle distanze e la creazione della “new economy” hanno generato dei
cambiamenti socio economici che hanno profondamente mutato la figura del migrante e il
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suo ruolo all‟interno della società d‟arrivo. Considerando il caso italiano: in un tempo
mediamente breve il nostro territorio ha visto l‟arrivo d‟individui provenienti dai luoghi
più diversi, non più solo alla ricerca di un impiego e con l‟intenzione di trasferirsi in Italia
temporaneamente, ma soprattutto costretti a lasciare la loro terra d‟origine per ragioni
politiche, economiche, sociali, che ne mettevano a rischio l‟incolumità, e disposti a
soggiornare per tempo indeterminato.
Il soggetto migrante oggi, nell‟immaginario collettivo e nella stessa struttura economica
dei paesi d‟arrivo, non ha più quella funzione di supporto che era riconosciuta al lavoratore
straniero tra il 1945 e il 1973. Si è radicata invece una visione che ne fa un “tappabuchi”,
un elemento che va a coprire i vuoti lasciati dagli autoctoni in determinati comparti
produttivi.
Oltre a tutte le difficoltà che comporta il fenomeno migratorio in un periodo nel quale di
esso non c‟è più bisogno nei paesi industrializzati e nel quale i singoli che si spostano sono
sempre di più e i governi dei paesi d‟arrivo hanno difficoltà nella gestione del flusso
migratorio, l‟Italia deve fare i conti anche con le proprie dinamiche interne.
Il principale problema italiano è l‟irrisolto divario economico fra nord e sud: esiste un
settentrione produttivo e un meridione che fatica a stare al passo coi tempi, afflitto dalle
piaghe della disoccupazione e della criminalità organizzata. In questo scenario
s‟inseriscono gli immigrati: privilegiano i grandi centri urbani del nord, vanno ad occupare
i posti di lavoro che i giovani del sud rifiutano, o perché troppo umili rispetto alla loro
qualifica o perché il trasferimento verso il Po‟ comporterebbe eccessivi costi e ridotti
profitti. Questi elementi si ripercuotono nella gestione del fenomeno migratorio e nelle
dinamiche che spingono gli immigrati a preferire una zona rispetto all‟altra dell‟Italia.
A parte le complessità insite nel tessuto socio-economico italiano, l‟Italia è una meta
appetibile per gli immigrati del nuovo millennio.
Oltre alla posizione-ponte fra le coste dell‟Africa, l‟Oriente e il resto dell‟Europa, è la
valicabilità dei confini e l‟assenza di una politica chiara in materia d‟ingresso nel paese che
ne ha fatto obiettivo dei progetti migratori a lungo termine. In un primo tempo, lo stato
italiano era considerato luogo di transito, ma le attuali leggi restrittive, per ciò che
concerne i permessi di soggiorno, e la crescente difficoltà a spostarsi da un luogo all‟altro,
hanno talvolta costretto i migranti a stanziarsi per un tempo indeterminato nei luoghi
d‟arrivo. Una volta giunti in Italia, dunque, coloro che riescono ad ottenere un lavoro e a
inserirsi regolarmente nel tessuto socio-economico dello Stato, non possono che seguire
l‟onda degli andamenti interni e trasferirsi nei centri urbani delle regioni settentrionali o
centrali, dove hanno più probabilità di trovare un impiego.
Gli immigrati dunque tendono a concentrarsi nelle grandi città, anche se oggi le zone
rurali stanno riscoprendo un forte valore attrattivo, sono disposti a impegnarsi anche nei
lavori più modesti, specie in quelli domestici, la cui richiesta è sintomo della maggiore
prosperità italica, e ad accettare di vivere in condizioni precarie e talvolta poco igieniche.
Nel corso degli ultimi decenni gli ingressi nel nostro paese sono aumentati rispetto al
passato, come nel resto dei paesi sviluppati: i mass media mostrano in ogni parte del
mondo il benessere italiano, sempre più persone hanno accesso al web, gli spostamenti
sono facilitati dai nuovi mezzi di trasporto, più veloci ed economici, e il miglioramento
generale delle condizioni di vita ha prodotto aspettative maggiori nell‟individuo, che non
esita a lasciare il suo paese per garantirsi un‟esistenza migliore altrove. Ad essere
cambiato è anche il volto del migrante: oggi sono sempre di più le donne che arrivano per
cercare lavoro, provenienti anche dai paesi a tradizione migratoria maschile. Il
cambiamento di genere ha dato forte impulso ai ricongiungimenti familiari: si tende
maggiormente a far trasferire l‟intera famiglia nel paese ospitante, piuttosto che mantenerla
a distanza e soffrire la solitudine della nostalgia da casa e dagli affetti.
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