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Consumi e pubblicità, per chi non si limita ad una lettura elementare e
superficiale, rappresentano delle cartine di tornasole di eccezionale
trasparenza per riflettere quella struttura di valori che in ogni cultura alberga
ma soprattutto evidenziare quelle dinamiche sottese al cambiamento sociale.
Nell’ambito degli studi sulla comunicazione la pubblicità rappresenta una
dimensione di interesse estremamente significativa del processo di
autosignificazione dei media, una sorta di meta-genere che taglia
trasversalmente tutti i grandi mezzi di comunicazione di massa.
Questa dimensione, seppur con i suoi toni vivaci e molte volte irriverenti, è
e resterà sempre uno specchio della società e della cultura nella quale si
sviluppa oltre a contribuire alla formazione della cultura stessa.
Se da un lato è sicuramente specchio delle brame che riflette a chi lo guarda
un’immagine gratificante e consolatoria, deve sempre sottostare a regole
non solo etiche. Queste sono diverse da cultura a cultura, a volte studiate a
tavolino, perché questa immagine possa trovare la luce o rimanere bloccata
allo stadio embrionale.
La scelta di questo argomento deriva in primo luogo dalla volontà di
esplorare un mercato in fortissimo sviluppo, come è quello dell’Est Europa,
che mai come in questi ultimi anni è diventato terreno fertile per
investimenti pubblicitari non solo nazionali ma provenienti da tutto il
mondo.
In secondo luogo l’idea trova origine da alcune domande, ognuna delle quali
può essere considerata come una matrioska, racchiudendo in sé ulteriori
quesiti e molteplicità di significati. Come si è evoluto il rispettivo scenario
socio-culturale di consumo e valoriale? Attraverso quali immagini e
stereotipi culturali è rappresentata la figura femminile nelle rispettive
culture? Quali sono i diversi ostacoli che a livello normativo, ma non solo,
un messaggio pubblicitario di questo tipo deve sormontare per arrivare al
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suo pubblico? Quali sono e se ci sono i diversi tabù presenti all’interno di
queste realtà?
La scelta di accostare una piccola realtà come quella bielorussa al gigante
economico russo, si dispiega nella sua visibile dipendenza socio-culturale e
politico-economica che ancora oggi li accomuna.
Ciò che in questa sede intendo inoltre evidenziare è, come precedentemente
asserito, il diverso modo di questi paesi di rappresentare la figura femminile
e come e se quest’ultima sia tutelata da parte dei rispettivi stati.
Il primo capitolo del presente lavoro di tesi, visto il contesto di confronto, si
apre con una breve premessa sulla dimensione pubblicitaria ed il suo
funzionamento; continua con un doveroso excursus normativo considerando
in primis le linee guida fornite dall’EASA (European Advertising Standard
Alliance/Alleanza Europea per l’Etica in Pubblicità) per la costruzione di un
sistema di autodisciplina.
In seguito si analizzerà il modello italiano attraverso il Codice di
Autodisciplina Pubblicitaria emanato dallo IAP (Istituto dell’Autodisciplina
Pubblicitaria), per passare poi alla Legge Federale Russa ed infine alla
Legge sulla pubblicità della Repubblica Bielorussa.
Tre testi di legge diversi per vedere come sia regolamentata e tutelata la
pubblicità.
Nel caso italiano particolare attenzione verrà data agli articoli 9 e 10 del
Codice di Autodisciplina Pubblicitaria. Questo per evidenziare i codici e la
normativa ai quali ogni pubblicità deve attenersi e quindi cercare di
comprendere quali siano i procedimenti sottesi alla costruzione di un simile
messaggio.
Il secondo capitolo vuole essere espressione concreta di quanto indicato
nella sezione precedente, nonché cuore del presente lavoro di tesi, attraverso
esempi ed immagini proposte quotidianamente dai mass media negli Stati in
esame.
Il terzo capitolo è ancora un confronto.
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L’attenzione si sposterà su un argomento assolutamente collegato a quello
precedente.
Considererò se e come il corpo femminile sia strumentalizzato per
trasmettere messaggi legati all’alcol, alla sessualità ed al successo a tutti i
costi.
Il quarto capitolo è una succinta analisi sui profili costituzionali della
comunicazione commerciale.
Il quinto capitolo che conclude il lavoro di tesi è dedicato ad alcune
conclusioni e riflessioni personali che, pur non volendo ergermi ad esperto
analista pubblicitario in vista di quanto espresso all’interno di questo studio
comparativo, cercherò di proporre come possibile ed eventuale direzione di
intervento valida per il nostro paese.
All’interno del secondo e terzo capitolo verranno trattate campagne
pubblicitarie a mezzo stampa e tv, il cui materiale (immagini, dati, interviste
e relativa documentazione) è stato da me recuperato durante un seppur breve
soggiorno, diviso tra Bielorussia (Minsk) e Russia (San Pietroburgo).
In parte proprio durante questo viaggio ho potuto, non solo conoscere una
realtà profondamente diversa da quella italiana ma, soprattutto entrare in
contatto con chi lavora quotidianamente nel mondo della pubblicità.
Mi riferisco, in primo luogo, alla Sig.ra Natalia Rodionova, General
Manager dell’agenzia “Mediapub”
1
di Minsk, dalla quale ho potuto avere
informazioni molto importanti, a seguito di un’intervista, soprattutto per la
stesura del secondo capitolo. A lei è rivolto un particolare ringraziamento
considerando come, con il suo prezioso contributo, il seguente lavoro di tesi
ha potuto acquistare una discreta rilevanza vista la possibilità di avere
informazioni importanti da chi in pubblicità lavora quotidianamente.
Un secondo ringraziamento è rivolto al Sig. Badalov Dmitry Stepanovitch,
Direttore Generale dell’agenzia “Fennek1”.
1 www.mediapub.by
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Intendo inoltre ringraziare il prof. Federico Unnia per la sua pazienza e
disponibilità dimostrata durante l’intera stesura del progetto.
Last but not least
2
un ringraziamento speciale è rivolta alla Sig.ra Fiona
Apitsonak che, con il suo impegno, ha fornito un contributo veramente
importante nel reperire la documentazione necessaria al presente lavoro di
tesi. Grazie a lei, in quanto cittadina russa e poi bielorussa, ho potuto avere
un riscontro diretto sulla veridicità di tutte le fonti e loro informazioni.
2
Terminologia anglosassone per indicare qualcosa posto alla fine di un discorso ma per questo non meno importante
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Capitolo Primo
1. LA PUBBLICITÀ, IL SUO FUNZIONAMENTO ED I
CODICI NORMATIVI DI RIFERIMENTO
PREMESSA
Quello mediale non costituisce un ambiente a sé stante ma è diventato parte
integrante dell’intero tessuto sociale che, con maestria ed esperienza, ha
saputo costruire un proprio linguaggio con peculiari contenuti, logiche e
immagini.
Questo concetto trova la sua più completa concretizzazione all’interno
dell’immenso panorama pubblicitario che, mai come in questi ultimi anni,
ha saputo farsi strada tra tutte le tipologie di propaganda spesso con
strumenti poco leciti.
La pubblicità sotto qualsiasi forma è per sua stessa natura istantanea e
racchiude in un’immagine oppure in uno slogan l’intero messaggio.
Quindi non può spiegare o far riflettere ma parla agli istinti.
Inoltre, soprattutto per la sua efficacia, arriva a tutti.
A chi sa interpretare e archiviare quell’immagine come sottile, ma anche a
chi da un tale massiccio bombardamento ricava unicamente modelli
comportamentali, stili di vita, immagini sociali.
La comunicazione commerciale ha il compito di stupire, sfuggendo
all’omologazione, per presentare i prodotti con originalità. Questo concetto
che, probabilmente, è davvero alla base della pubblicità, precipita giorno
dopo giorno in una sempre più dilagante banalizzazione.
Le motivazioni sono varie e contorte. Si possono credere responsabili le
aziende che non investono abbastanza in tempo e denaro; i pubblicitari per
mancanza di creatività; la stessa utenza per non essere matura e capace di
autodifendersi.
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Al contrario sono chiare le conseguenze che si traducono in degradazione
della componente artistica e in perdita di credibilità aziendale.
È pur vero che la pubblicità attingendo dalla realtà non presenta nulla che la
società già non conosca, ma lo è altrettanto il fatto che ne amplifica ed
enfatizza solo alcuni aspetti formando stereotipi.
Anche se sta ai consumatori decodificare, selezionare e tradurre nella
concretezza delle loro esigenze i significati promossi dalla pubblicità,
difficilmente riescono a sottrarsi a quei messaggi che offendono il loro
senso del pudore.
Ecco perché è stato ritenuto necessario regolamentare i contenuti
pubblicitari.
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1.1 COME FUNZIONA LA PUBBLICITÀ
Qualsiasi stimolo pubblicitario – in un’unità di comunicazione o in una
campagna completa di molti mezzi in un certo periodo – segue un itinerario
che, nel tempo e in funzione della sua forza di penetrazione in un dato target
e frequenza della ripetizione, prevede diversi passaggi.
Attraverso l’azione dei mass media, una volta superate le difficoltà
ambientali (i cosiddetti rumori fisici) e quelle soggettive del pubblico, il
messaggio è esposto al soggetto prescelto.
È un primo effetto che potrebbe sembrare minimo, ma che in realtà
costituisce già un successo dato l’odierno affollamento di messaggi, la
conseguente confusione e gli effetti alone fra concorrenti; il tutto in un
clima di disinteresse del pubblico verso la maggior parte della pubblicità.
All’esposizione segue l’elaborazione. Un altro effetto non cosi scontato
perché molto dipende dal soggetto e dalla strategia adottata dalla marca.
Da questo momento in poi alla pubblicità si uniscono tutte le altre politiche
aziendali, mentre ovviamente continuano le influenze di tutta la restante
industria culturale e della soggettività dell’individuo.
All’elaborazione segue un terzo effetto, l’apprendimento, di cui la
pubblicità può essere da sola la maggiore (ma non esclusiva) responsabile.
Il soggetto apprende e quindi si costruisce una sua immagine del prodotto,
acquisisce una certa conoscenza e forza sull’oggetto reclamizzato.
Alla struttura di un’immagine o di un atteggiamento segue idealmente un
quarto effetto, cioè un’azione . Un atto preparatorio alla scelta.
Ed infine l’acquisto vero e proprio.
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1.2 L’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE
COMMERCIALE
Un recente studio francese (M. Nayaradou, Advertising and economic
growth, 2004) ha riscontrato attraverso l’analisi di dati relativi ad alcune
economie avanzate (Stati Uniti, Regno Unito, Russia, Italia, Germania,
Spagna, Giappone), l’effetto positivo che l’investimento in comunicazione
ha sull’economia nazionale attraverso quattro meccanismi:
ξ Stimolazione del consumo: i settori con investimenti pubblicitari più
alti contribuiscono in maniera più significativa all’aumento dei consumi;
ξ Accelerazione dell’innovazione: i settori industriali che, allo stesso
tempo, investono maggiormente in innovazione (innovazione/fatturato)
e in comunicazione commerciale godono di un livello di dinamismo
superiore ai settori che, in proporzione, investono meno in
comunicazione;
ξ Promozione della concorrenza: i mercati dove l’investimento in
comunicazione commerciale è alto si sono dimostrati i più dinamici.
Nel 75% dei settori inclusi nello studio le imprese che hanno
aumentato l’investimento in comunicazione commerciale in periodi di
recessione hanno aumentato la propria quota di mercato
ξ Effetto leva ‹‹di settore››: l’industry della comunicazione commerciale
si dimostra un moltiplicatore della crescita economica, poiché il valore
aggiunto del settore è cresciuto due volte più velocemente di quello
generale dell’economia.
Tuttavia le ragioni alla base del ritardo italiano sono molteplici, ma un
fattore emerge come preponderante, e cioè la mancanza di una cultura della
comunicazione presso le piccole e medie imprese e presso la Pubblica
Amministrazione.
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Infatti, se da un lato nella categoria d’impresa caratterizzante il tessuto
industriale italiano, la comunicazione sembra vissuta come una mera
appendice del processo produttivo e non come un asset competitivo,
dall’altra, la comunicazione non sembra essersi radicata presso la Pubblica
Amministrazione italiana come un processo comunicativo ininterrotto con la
cittadinanza, ma piuttosto come il confezionamento di singole e sporadiche
iniziative.
Inoltre, degna di nota, è sicuramente la diffusa tendenza tutta italiana di
pensare che la pubblicità sia solo, o soprattutto, la televisione.
Altrettanto infondata è l’ipotesi che la crescita degli investimenti
pubblicitari coincida con il predominio della televisione “generalista”.
In Italia, fin dagli anni ’50, la stampa è sempre stato il mezzo dominante.
Per esempio nel 1962 si stimava che la stampa avesse il 52 % del totale
della pubblicità e la televisione il 14 %.
A quell’epoca avevano percentuali più alte di oggi le pubblicità esterne (e
che ancora hanno una quota rilevante) e il cinema (che è sceso a una
proporzione molto più bassa).
Negli anni seguenti aumentò la stampa più della televisione, mentre
diminuivano in percentuale gli altri mezzi compresa la radio, che in anni più
recenti ha avuto una nuova fase di sviluppo.
Il suo passato predominio, nel nostro paese, era in parte dovuto a una
limitata disponibilità di pubblicità televisiva.
La situazione è ovviamente cambiata negli anni ’80 con lo sviluppo delle
emittenti private e una maggiore spinta commerciale della Rai, ma solo
inizialmente questa “apertura” ha contribuito a una crescita degli
investimenti pubblicitari.
In alcuni periodi sembrava che la stampa stesse riprendendo quota, ma
rimaneva ancora dominante la vecchia televisione “generalista”, nonostante
la sua ripetitiva banalità, mancanza di innovazione, incapacità di evolversi e
quindi diventare più selettiva.
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Questo è uno dei tanti aspetti di un mercato abitudinario, involuto e poco
innovativo, e ritengo che siamo ancora lontani da una vera e profonda
evoluzione e maturazione della comunicazione d’impresa nel nostro paese.
Le aziende italiane non potendo affidarsi a grandi quantità di investimenti
hanno secondo me una sola via di uscita e cioè puntare sulla qualità ed
efficacia della comunicazione pubblicitaria e strategia di marketing.
Credo infatti che per una più solida ripresa degli investimenti pubblicitari, e
in generale della comunicazione d’impresa, in Italia si imponga la necessità
di una seria verifica sull’efficienza delle strategie, dei metodi e dei contenuti
oltre a una ridefinizione del concetto di “creatività”.
Tutti i dati statistici presenti all’interno del suddetto paragrafo sono stati estratti dal “Libro Bianco”
(edizione 30-10-2008) di Assocomunicazione.