3
Nel secondo capitolo insisteremo in primo luogo sulla
problematica costituita dal passaggio dalla letteratura al cinema,
avvenuto nel 1961. Dopo un breve esame dei precedenti
cinematografici pasoliniani, maturati soprattutto nell’ambito della
scrittura di sceneggiature, si cercherà di evidenziare quanto il
“mutamento di tecnica” ha mantenuto stretti legami con la
produzione letteraria precedente: il mondo indagato nei film che
intendiamo analizzare, il sottoproletariato romano, si configura
come prolungamento del mondo contadino presentato nelle prime
poesie friulane, nonché come continuazione del discorso sui ragazzi
di vita dei romanzi precedenti.
Passeremo dunque all’analisi della trilogia del
sottoproletariato, dedicando ad ogni film un paragrafo particolare.
In Accattone, primo lungometraggio pasoliniano,
evidenzieremo nuovamente l’importanza dell’apprendistato
bolognese. La figura del sottoproletario viene qui presentata dal
neoregista, alle prime armi con la tecnica cinematografica,
ricorrendo a figurazioni che, come si vedrà, scaturiscono
dall’interpretazione longhiana di artisti quali Masaccio e Giotto.
In Mamma Roma, metteremo in evidenza come, rispetto al
film del 1961, si innesti una componente “morale”: il desiderio di
riscatto sociale da parte della prostituta Mamma Roma. Se nel
primo film, canto tragico, tutto giocato all’interno della periferia
romana, i protagonisti hanno la consapevolezza, seppur inconscia,
di non poter porre rimedio alla condizione cui sono destinati se non
con la morte - « Ah! Mò sto bene! » sussurra Accattone morente
allo scadere del film - ecco che in Mamma Roma si inserisce lo
spiraglio, destinato inesorabilmente a fallire, del riscatto sociale.
Tale componente si riverserà anche sull’impianto figurativo del film:
noteremo infatti che se la prima opera presenta un impianto
4
figurativo formale scarno ed essenziale, memore della pittura del
Trecento e del Quattrocento italiano, costruito mediante piani
frontali e fissi, con l’ausilio di pochissimi movimenti di macchina,
nel secondo lungometraggio subentreranno modalità più
“melodrammatiche”, individuabili nella lunga carrellata notturna
che precede Mamma Roma e nella tanto discussa scena finale con la
morte di Ettore, interpretata da una parte della critica come
citazione del Cristo Morto di Mantegna.
Passeremo così all’analisi de La ricotta, geniale
mediometraggio in cui il protagonista, Stracci, è nuovamente
prelevato dal sottoproletariato romano. La ricotta, noteremo, si
qualifica come sintesi delle problematiche rappresentate dai primi
due film, anticipando quelle che porteranno alla realizzazione de Il
Vangelo secondo Matteo. Presenteremo quindi la figura di Stracci,
borgataro che vive facendo la comparsa in una fastosa produzione
cinematografica che si propone di inscenare la Passione di Cristo
mediante ricercati tableaux vivants. L’analisi cercherà di ritrovare un
motivo dominante, sul piano figurativo, nella rappresentazione dei
personaggi tratti dal sottoproletariato, che individueremo nella
tecnica di ripresa “sacrale” pasoliniana. Sullo sfondo: Longhi.
Ne La ricotta si presterà poi particolare attenzione alla
problematica dei tableaux vivants, inscenati con l’uso del technicolor:
se da un lato la rappresentazione, basata sulla sacralità tecnica, tende
a cogliere il divino dei personaggi umili, con la traduzione in termini
cinematografici dell’austerità degli affreschi di Masaccio per mezzo
di obiettivi che tendono a staccare le figure dal fondo,
chiaroscurandole come in un dipinto, dall’altro le riproduzioni delle
opere pittoriche - in particolare due opere simbolo del Manierismo
italiano - sottolineano la falsità della vita rappresentata dalla
borghesia e dal suo “mostruoso” prodotto: l’ uomo medio.
5
Vedremo come La ricotta, in cui comincia ad esprimersi in
modo più complesso la tematica del “pastiche”, la commistione,
anche per contrasto, di diversi elementi, viene citata per
esemplificare “l’effetto quadro”, definizione coniata da Antonio
Costa.
Concluderemo con l’analisi del Vangelo secondo Matteo: se con
La ricotta Pasolini realizza un’opera per contrasti, in cui, in ultima
analisi, la sinergia tra pittura e cinema volutamente non si realizza
per l’introduzione, in chiave ridicolizzante, dei tableaux, nel Vangelo
Pasolini riesce ad armonizzare in unità stilistica l’esplosione
magmatica delle citazioni tratte dal mondo della musica, del cinema
e della pittura.
Col Vangelo si chiude la prima fase del cinema pasoliniano:
nella successiva produzione l’equilibrio tra la tecnica e il mito, le
due componenti del cinema pasoliniano, verrà risolta a favore di
quest’ ultimo. Analizzeremo le differenze sostanziali che
intercorrono tra l’opera del 1964 ed i precedenti film: vedremo
infatti come l’introduzione della materia sacra, indagata da Pasolini
non in termini storici, bensì mitici, condizionerà lo stile nonché la
sua tecnica di ripresa. Pasolini nel Vangelo non può ricorrere alla
tecnica con cui i precedenti personaggi erano stati affrescati, in
quanto si propone di affrontare una tematica evangelica: raffigurare
il Cristo con la sacralità tecnica avrebbe prodotto un inevitabile
scarto verso una rappresentazione estetizzante della realtà. Per
scongiurare tale pericolo, in antitesi al regista interpretato da Orson
Welles ne La ricotta, vedremo come la “sacralità tecnica” verrà
integrata dal “magma stilistico”. Il Vangelo, creato mediante
l’ausilio di tecniche diverse, (agli obiettivi precedentemente usati,
capaci di chiaroscurare le figure esaltandone la matericità, verranno
affiancati obiettivi utilizzati per realizzare documentari) racchiude in
6
sé un elevatissimo numero di prestiti culturali, tra i quali
analizzeremo i rimandi pittorici. Noteremo come nel Vangelo
convivono due componenti: quella realistica, che porterà alla
realizzazione di “grandi quadri di genere”, nonché
all’umanizzazione del Redentore, insieme alla componente pittorica.
Insisteremo ancora sull’importanza di Longhi e in particolare dei
suoi studi dedicati a Piero della Francesca. Il pittore di Borgo San
Sepolcro verrà infatti inglobato nel magma stilistico che caratterizza
il Vangelo, costituendo il collante tra la visione pittorica e quella
realistica presenti senza stridere nell’opera.
7
I. FORMAZIONE ARTISTICA
I.1. Roberto Longhi e la “fulgurazione
figurativa”.
Cosa faceva Longhi in quell’ auletta appartata dell’ Università di via
Zamboni? Della “storia dell’arte”? Il corso era quello memorabile sui
Fatti di Masolino e Masaccio. Non oso qui entrare nel merito. Vorrei solo
analizzare il mio ricordo personale di quel corso: il quale ricordo è, in
sintesi, il ricordo di una contrapposizione o netto confronto di “forme”.
1
Così Pier Paolo Pasolini nel 1974, a un anno dalla tragica
scomparsa, scrive, nella recensione all’antologia longhiana Da
Cimabue a Morandi, del suo incontro con il critico piemontese,
personaggio di spicco all’interno del panorama della critica storico-
artistica del Novecento, avvenuto tra le aule dell’Università
bolognese nell’inverno del « 1938-39 (o 1939-40?) »
2
. Tracce del
magistero del maestro, che solo in un secondo momento si sarebbe
rivelato tale, grazie alla mediazione di Gianfranco Contini
3
, sono
riscontrabili in tutta la sua sterminata opera, a partire dalle giovanili
Poesie a Casarsa. I due critici compaiono nella poesia La ricchezza del
sapere, inserita nella raccolta La religione del mio tempo, in cui Pasolini
sottolinea:
1
PIER PAOLO PASOLINI, Descrizioni di descrizioni, Torino, Einaudi, 1979, p. 331.
2
Ivi, p. 330.
3
Ivi, p. 331. A Gianfranco Contini sono dedicate le poesie che compongono la raccolta La meglio
gioventù, scritte tra il 1941 e il 1953.
8
Mi appartengono, invece, biblioteche,
gallerie, strumenti d’ ogni studio: c’era
dentro la mia anima nata alle passioni,
già, intero, San Francesco, in lucenti
riproduzioni, e l’affresco di San Sepolcro,
e quello di Monterchi: tutto Piero,
quasi simbolo dell’ ideale possesso,
se oggetto d’ amore di maestri,
Longhi o Contini, privilegio
d’ uno scolaro ingenuo, e, quindi,
squisito…
4
Fine di questo studio è l’analisi della produzione
cinematografica pasoliniana che si colloca tra il 1961, data che segna
l’uscita del primo lungometraggio, Accattone, ed il 1964, anno in cui
l’evoluzione della tecnica cinematografica insieme all’evoluzione del
pensiero del neoregista Pasolini portano alla realizzazione de Il
Vangelo secondo Matteo. Le opere racchiuse tra questi anni
rappresentano il terreno in cui il germe metodologico longhiano si
manifesta in tutta la sua evidenza, come si cercherà di evidenziare
nei seguenti capitoli. Ai fini della tesi proposta, si ritiene tuttavia
necessario analizzare alcuni altri punti sui quali la filiazione
longhiana è pure palpabile. Il giovane Pasolini, che fin da precoce
età dà prova delle sue spiccate qualità artistiche - risalgono infatti al
periodo delle elementari le prime poesie dedicate alla natura e alla
4
PIER PAOLO PASOLINI, La ricchezza, in La religione del mio tempo, in Bestemmia, vol. I, Milano,
Garzanti, 1999.
9
madre, illustrate da disegni e scritte in un tono selettivo ed
aristocratico -
5
[…]si forma in un’ Italia povera e stretta, coi suoi prelittoriali tenuti in
vita mentre pigramente, ottusamente si entra in guerra. Pier Paolo legge
quel che può, scopre da sé Freud e Hölderlin e i greci di Quasimodo,
l’esistenzialismo, Il portico delle nebbie, La piccola città… E’ commovente
questo difficile apprendistato tra Bologna e Casarsa…6
Nella lunga intervista condotta in due tempi, nel 1965 e nel
1975, da Jean Duflot, parlando del periodo dell’adolescenza,
Pasolini rivela:
Sono nato nel 1922. Quindi non ho conosciuto il fascismo allo stesso
modo della precedente generazione. La società fascista in cui vivevo la
accettavo ingenuamente, immaginando appena che ne potesse esistere
un’ altra. Ciò di cui ho sofferto fu, all’età in cui ho cominciato a farmi
una cultura, a leggere i primi libri, di avvertire con quanta generale
indifferenza, con quanto ufficiale disprezzo veniva considerata la cultura.
Qualsiasi cosa scoprissi e amassi era allora tenuta sotto silenzio, o
schiettamente messa al bando dai fascisti: Rimbaud, i poeti simbolisti,
ermetici, i grandi autori drammatici…La mia reazione nei riguardi del
fascismo si manifestò dunque attraverso una passione per tutta la cultura
che era allora passata sotto silenzio. Anche nei cineguf, i cineclub
dell’università fascista di allora, intavolavo ingenuamente discussioni
letterarie o artistiche che erano proprio inconcepibili. Così più che il
fascismo violento, quello dei manganelli e degli assassinii politici, è stato
piuttosto il fascismo stupido e incolto quello che ho scoperto per primo.
Più culturale che non politico era il mio antifascismo da adolescente.
7
5
« Quindi contrariamente a ciò che sarei stato da uomo, da bambino ero selettivo e aristocratico
linguisticamente: petrarchesco.» in PIER PAOLO PASOLINI, Il sogno del centauro, a cura di Jean
Duflot, Roma, Editori Riuniti, 1982, p. 22.
6
NICO NALDINI, Pasolini, una vita, Torino, Einaudi, 1986, p. 25.
7
PIER PAOLO PASOLINI, Il sogno del centauro cit., p. 26.
10
Inserito in un clima culturale di questo tipo, la “Rivelazione”
Longhi appare agli occhi del giovane Pier Paolo come opposizione
al grigiore degli anni fascisti. In un testo inedito, scritto in occasione
della morte di Roberto Longhi, così Pasolini riflette:
La cultura che il maestro rivelava e simboleggiava si poneva come valida
alternativa all’intera realtà fino a quel momento conosciuta.
8
Il magistero longhiano, che si rivela “insieme etico e
intellettuale”, viene mediato da Gianfranco Contini, personaggio al
quale si devono molti scritti dedicati al critico piemontese,
conosciuti e assimilati da Pasolini. Nel 1949 compare, sul fascicolo
n. 2 di Belfagor , un saggio Sul metodo di Longhi :
Contini evidenzia nel metodo longhiano la connessione stretta tra
filologia e giudizio, e la scelta di considerare le personalità artistiche
come prodotti di rapporti storici piuttosto che come individualità da
valutare sul metro di una “qualità” astratta. Elementi che sembrano adatti
a suggestionare gli interessi del giovane Pasolini.
9
Il saggio continiano si sviluppa come recensione allo scritto
Giudizio sul Duecento, edito solo nel 1948, anche se presente in forma
compiuta fin dal 1939. Per l’immaginario pasoliniano il Duecento
rappresenta un tema estremamente ricco di stimoli. Non sono
infatti rare le volte in cui, all’interno dei suoi scritti o della sua
produzione cinematografica, compaiono suggestioni tratte dall’arte
romanica:
8
MARC WEIS, I primi film di Pasolini tra realismo e interpretazione dell’arte, in A.A.V.V, P.P.Pasolini,
Organizzar il transumanar, a cura di Giuseppe Zigaina, Christa Steinle,Venezia, Marsilio, 1996, p. 215.
9
FRANCESCO GALLUZZI, Pasolini e la pittura, Roma, Bulzoni, 1994, p. 16
11
Un solo rudere, sogno di un arco,
di una volta romana o romanica,
in un prato dove schiumeggia un sole
il cui calore è calmo come un mare:
lì ridotto il rudere è senza amore. Uso
e liturgia, ora profondamente estinti,
vivono nel suo stile - e nel sole -
per chi ne comprenda presenza e poesia.
10
Numerosi sono anche i richiami a Giotto « tutto
convinzione plastica e spaziale »
11
, che trasporta « in pittura l’ideale
degli scultori romanici »
12
:
Quello che ho in testa come visione, come campo visivo sono gli
affreschi di Masaccio, di Giotto che sono i pittori che amo di più,
assieme a certi manieristi (per esempio il Pontormo). E non riesco a
concepire immagini, paesaggi, composizioni di figure al di fuori di questa
mia iniziale passione pittorica, trecentesca, che ha l’uomo come centro
di ogni prospettiva.
13
E ancora:
[…] Accattone, per quanto la cosa non sia direttamente visibile, ha la
nudità, l’austerità di Masaccio o della scultura romanica . Nel Vangelo
l’amalgama è più complesso […]. E c’è poi, a sua volta, sullo sfondo,
Giotto, la scultura romanica.
14
10
PIER PAOLO PASOLINI, Poesie mondane, in Poesia in forma di rosa, in Bestemmia, vol. II, p. 636.
11
ROBERTO LONGHI, Breve ma veridica storia della pittura italiana, Firenze, Sansoni, 1992, p. 35 .
12
Ibidem.
13
PIER PAOLO PASOLINI, Mamma Roma, Milano, Rizzoli, 1962, p. 145.
14
PIER PAOLO PASOLINI, Il sogno del centauro cit., p. 116.
12
Per evidenziare ulteriormente quanto la visione di Pasolini sia
impregnata e dipenda dalla visione di Longhi, proponiamo un
confronto di testi. In Poesia in forma di rosa il regista dipinge l’eroe
antimoderno de La ricotta con mezzi tipicamente giotteschi, ereditati
dalla lettura longhiana:
Il Santo è Stracci. La faccia di antico camuso
che Giotto vide contro i tufi e ruderi castrensi,
i fianchi rotondi che Masaccio chiaroscurò
come un panettiere una sacra pagnotta.
15
Le parole del poeta di Casarsa riecheggiano in modo evidente
quelle del maestro. Così Longhi presenta gli affreschi giotteschi di
Padova:
Dentro quegli spazi si assesta inesorabilmente una composizione solida
massiccia di masse che si bilanciano ai lati o si raccolgono a pesare sul
centro: agisce un’ umanità tozza greve eppure solenne e grave, di gesti e
di panni semplici e robusti, dimorante sotto semplici edifici.
16
Stracci, “antico camuso”, rientra a pieno titolo nel girone
dell’ “umanità tozza greve eppure solenne” di cui parla Longhi ed è
inserito in un paesaggio arcaico e brullo come quello affrescato da
Giotto nel Sogno di Gioacchino
17
:
Nel Gioacchino tra i pastori potete assuefarvi al senso del paesaggio
creato da un pittore plastico: roccioso per eccellenza, desolato e come
invernale sebbene qualche ciuffo arcigno punga fuor dalla terra, e
15
PIER PAOLO PASOLINI, Pietro II, in Poesia in forma di rosa, in Bestemmia, vol. II, p. 693.
16
ROBERTO LONGHI, Breve ma veridica storia della pittura italiana cit., pp. 35-36.
17
Nel testo Longhi, parlando del ciclo di affreschi conservato a Padova nella Cappella degli
Scrovegni, cita il Gioacchino tra i pastori riferendosi al Sogno di Gioacchino.
13
qualche albero tozzo, spaccando il suolo, cresca pochi palmi buttando un
pugno compatto di fronde spesse.
18
Come non ricordare poi la scena del Decameron? Il film viene
proiettato al XXI Festival di Berlino il 29 giugno del 1971, e
introduce la “trilogia della vita”, completata da I racconti di
Canterbury del 1972 e Il fiore delle mille e una notte del 1974
19
. Nel
Decameron Pasolini stesso presta corpo, e occhi soprattutto, alla
rappresentazione del tanto amato pittore. Si identifica con l’artista
medioevale: il set cinematografico è infatti messo in parallelo con il
lavoro sulle impalcature per la realizzazione dell’affresco. L’episodio
si conclude con la visione di Giotto-Pasolini, sogno “più bello della
realtà”, realizzato con la tecnica del tableau vivant, già sperimentata
ne La ricotta
20
:
La visione di Giotto è l’Aldilà. E’ una visione frontale, ingenua, ma pure
terribile e affascinante. Al centro la Madonna tiene fra le braccia il
Bambinello, alla sua destra e alla sua sinistra Angeli in coro e beati che la
contemplano.
Più sotto c’è l’Inferno, dove ne succedono di tutti i colori; schiere di
dannati aspettano di essere giudicati, con la disperazione negli atti e negli
occhi, sorvegliati da Diavoli pelosi come scimmie. Ancora più sotto ci
18
Ivi, p. 36.
19
« Poi ho fatto questo gruppo che io chiamo “trilogia della vita”, cioè i film sulla fisicità umana e
sul sesso. Questi film sono abbastanza facili, e io li ho fatti per opporre al presente consumistico un
passato recentissimo dove il corpo umano e i rapporti umani erano ancora reali, benché arcaici,
benché preistorici, benché rozzi, però tuttavia erano reali, e opponevano questa realtà all’irrealtà
della civiltà consumistica » in NICO NALDNI, Pasolini, una vita cit., p. 348.
20
Nel mediometraggio La ricotta Pasolini ricostruisce in modo puntiglioso, con la tecnica del
tableau vivant, due tra i più noti dipinti del Manierismo italiano: la Deposizione di Rosso Fiorentino e il
Trasporto di Cristo al sepolcro di Pontormo.
14
sono i Dannati che hanno già cominciato le loro pene: i tormenti sono i
più crudeli.
21
Pasolini trasporta su pellicola il Giudizio Universale della
cappella degli Scrovegni.
22
Nel delinearsi della visione ruolo
importante spetta al saggio longhiano comparso su Paragone nel
1952, poi compreso in Giudizio sul Duecento del 1955, di cui si è
detto. Il saggio verte sull’attribuzione a Giotto dei due coretti
dipinti ai lati dell’apertura dell’abside, realizzati imbastendo un
effetto illusionistico di notevole qualità, e che, secondo la lettura del
critico piemontese, intervengono sulla generale architettura in cui si
trovano inseriti, instaurando con essa un dialogo che sfocia
nell’apparente estensione del luogo, abilmente ricreata.
Qui, in queste “marginalità” è lecito veramente parlare di prospettiva in
toto, in accezione, intendo, quattrocentesca. Sarà forse che le divagazioni
subsective di un’epoca diventano le occupazioni fondamentali di una
altra?
23
Questa geniale intuizione colloca il fiorentino che « nacque
per dar luce alla pittura »
24
sul filo rosso teso, per un centinaio di
anni, verso Masaccio. Giotto nella visione di Longhi è colui che
anticipa spunti sviluppati, in una seconda fase storica, in primis da
Masaccio, ma anche da Piero della Francesca.
21
PIER PAOLO PASOLINI, Trilogia della vita, Milano, Garzanti, 2005, p. 64.
22
Va notato che nella riproduzione di Pasolini il giottesco Cristo giudice, inserito nella mandorla di
luce, è sostituito dalla figura della Vergine.
23
ROBERTO LONGHI,Giotto spazioso , in « Paragone », 1952, n.31, pp. 18-19.
24
VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori,scultori e architetti, Roma, Newton, , 2001, p. 157.
15
Da Giotto la corrente plastica si trasmette senza soluzioni di continuità a
Masaccio, un secolo dopo.
25
Masaccio è visto come il personaggio al quale vengono
trasmesse le preziose innovazioni giottesche. Parlando
dell’affascinante affresco raffigurante la Guarigione del paralitico e la
Resurrezione di Tabita, inserito nella Cappella Brancacci al Carmine di
Firenze, nel quale è perfettamente intuibile lo scontro tra due
epoche, dove il Quattrocento nascente oscura con la sua plasticità
vigorosa il sottile Trecento in declino, Longhi così, retoricamente, si
interroga:
Chi può essere che lavora qui; e nella scena del paralitico a sinistra se non
Masaccio, l’erede arricchito di Giotto?
26
Spazio, plasticità, assenza di particolari, sono le categorie che
accomunano, stringendoli nella stessa tipologia stilistica, Giotto e
Masaccio. Ma se il primo rende monumentali le sue figure
chiaroscurandole abilmente, il secondo dona plasticità, talvolta
terribile e drammatica - si pensi alla rappresentazione dei
Progenitori cacciati dal Paradiso Terrestre, tanto più emblematica se
ricordata in contrapposizione alle eleganti figure, « corpi diafani
senza rotondità »
27
, eseguita da Masolino - mediante l’utilizzo di
una luce più violenta. L’origine delle inquadrature di film come
Accattone, Mamma Roma e La ricotta è da ricercarsi quindi nella
produzione di Giotto e Masaccio, riletti seguendo l’interpretazione
di Longhi, per cui Masaccio è il continuatore di Giotto. Pasolini
25
ROBERTO LONGHI, Breve ma veridica storia della pittura italiana cit., p. 40.
26
Ivi, p. 46.
27
Ivi, p. 47.