Premessa 
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di ricerca, ma concordi sul sistema di riferimento da offrire al 
loro paese in transizione. 
     Il fisico e filosofo Horia – Roman Patapievici rappresenta la 
principale rivelazione intellettuale della Romania 
postcomunista: il coraggio e il tono in cui si esprime lo 
rendono unico sul palcoscenico culturale romeno sempre 
accondiscendente e pacato. Patapievici osserva criticamente il 
passato storico della Romania ed esorta il suo popolo a reagire 
e a collaborare per un futuro governato dalle leggi della 
morale, del progresso e del capitalismo. Tutto questo fa di 
Patapievici un intellettuale “scomodo” in un paese 
democraticamente fragile: le sue invettive scagliate contro il 
Presidente Ion Iliescu, lo hanno reso protagonista di un 
tentativo di intimidazione da parte dei servizi segreti ancora 
legati alla Securitate. 
     I problemi riguardanti l’identità romena sono affrontati da 
un punto di vista storico da Lucian Boia, al quale va 
riconosciuto il merito di aver avviato il riesame del passato 
attraverso un’opera di decostruzione della storia. Boia ha 
ottenuto un successo mediatico in Romania grazie ad un libro 
che ha messo in discussione le vecchie nozioni sulle origini, la 
continuità della storia nazionale e il mito dell’unità dei romeni. 
Il deprezzamento dell’identità consente di sfuggire ad una 
retorica chiusa ad ogni analisi critica: il superamento dei cliché 
   Premessa 
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e dei miti permette al popolo romeno di responsabilizzarsi per 
quanto è avvenuto in passato e di dominare il presente. 
     Prigioniero politico e scrittore free-lance durante il 
comunismo, oggi Adrian Marino si pone sul piano culturale 
romeno come promotore di un progetto culturale e ideologico 
di fattura liberale. La soluzione di A. Marino consiste nel 
recupero dell’identità europea che permette alla Romania 
l’integrazione nell’Unione: una politica basata sul pluralismo e 
sul riconoscimento dei diritti dell’uomo e del cittadino, insieme 
all’affermazione di una libera iniziativa intellettuale, 
assicurerebbero un solido futuro per la Romania post-ceausista. 
Cap. I                           Storiografia sulla costruzione dell’identità romena 
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CAPITOLO I 
STORIOGRAFIA SULLA COSTRUZIONE 
DELL’IDENTITA’ ROMENA 
 
 
 
     In prospettiva della globalizzazione e dell’Europa unita, la 
Romania continua a interrogarsi sul problema della sua identità 
storico-culturale. 
L’identità si richiama al vago concetto di un passato storico 
comune, proponendosi di definire lo spazio culturale di un 
gruppo di individui accomunati dalle stesse affinità. 
Lo storico britannico Eric Hobsbawm ha parlato a ragione di 
un processo di "invenzione della tradizione" per definire questo 
ardente entusiasmo collettivo per il passato della nazione, 
mentre a sua volta, lo storico americano Benedict Anderson, ha 
mostrato come le nazioni, inventando un comune passato, 
inventarono loro stesse le "comunità immaginate". Secondo 
Anthony D. Smith è invece fondamentale comprendere le 
nazioni ed il nazionalismo trattandoli come fenomeni culturali 
e non come semplici ideologie o forme politiche. 
Cap. I                           Storiografia sulla costruzione dell’identità romena 
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L’antropologa americana Katherine Verdery ritiene che 
nell’Europa Orientale il termine “nazione” significhi innanzi 
tutto “nazione etnica”, e perciò non una popolazione 
politicamente unita che basa il proprio senso di nazione sulla 
sovranità comune prodotta attraverso la partecipazione politica 
generale. Pertanto, aggiunge Verdery, abbiamo due concetti 
piuttosto diversi sotto la stessa etichetta, divisi dal significato 
che sta proprio al centro della parola "nazione", la "comunità di 
nascita". La nozione di nascita è fondamentale per legittimare 
tutti i generi di unità sociali, per naturalizzare la loro sede 
nell'ordine politico. 
Secondo Verdery, l'idea di nazione presente in un testo del XV 
sec. non può essere assolutamente corrispondente al concetto di 
nazione attuale, soprattutto quando ci si riferisce al concetto 
etnico dell’Europa Orientale. Dobbiamo essere consapevoli 
della moltitudine di significati che la nazione come struttura ha 
e ha avuto, proprio a causa della nozione di nascita. Occorre 
osservare ogni caso e le condizioni che lo hanno prodotto come 
un elemento politicamente significativo di discussione in un 
mondo governato dall'idea dello Stato-nazione. Non importa 
quale sia la sua storia, in qualche modo uno Stato ha dovuto 
produrre una "nazione" in base alla partecipazione nell'arena 
internazionale nel XX secolo. 
Cap. I                           Storiografia sulla costruzione dell’identità romena 
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I.1. Dalle origini al comunismo. 
 
     Secondo la storiografia nazionale, i romeni sarebbero i 
discendenti di due grandi popoli dell’antichità: i geto-daci ed i 
romani. Sconfitti e colonizzati dalle armate imperiali di 
Traiano, la popolazione daca si mescolò ai coloni romani senza 
sovvertire la propria identità etnica autoctona. L’influenza 
civilizzatrice del popolo latino trasformò la provincia daca 
nella Dacia Felix. 
La Colonna Traiana, i cui bassorilievi narrano le guerre daciche 
e le opere pacifiche realizzate da Traiano, è un monumento 
importante per la coscienza del popolo romeno poiché 
rappresenta un certificato in pietra della sua nascita. 
Dopo il ritiro dell’Impero Romano, gli antenati dei romeni 
sarebbero rimasti sul posto e, spinti sulle montagne dalle 
invasioni dei popoli migratori, avrebbero avuto la forza di 
assorbire l’elemento slavo senza perdere la loro identità 
linguistica. Il popolo, rifugiatosi nelle impenetrabili foreste, 
resistette con straordinaria vivacità a tutte le tempeste delle 
invasioni: “I monti e le foreste diedero un enorme contributo al 
mantenimento della continuità daco-romana in Dacia.”
1
 
     I romeni affermano di provenire da Roma e nello stesso 
tempo considerano il terzo e ultimo grande re daco, Decebalo, 
                                                 
1
 Eliade, Mircea, Breve storia della Romania e dei Rumeni, Roma, Settimo Sigillo, 1997, 
p. 24 
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il loro padre. Ancora oggi nella storiografia romena resta 
aperto il dibattito, spesso strumentale, sulle due origini: la 
latinità e la dacità permettono ai romeni, al momento 
opportuno, di sentirsi parte dell'Occidente o di rifiutarlo 
categoricamente. 
Le due definizioni concorrenti sull’identità romena, 
“occidentalista” e “autoctonista”, si riferiscono entrambe ad un 
passato mitico e idealizzato che può o non può coincidere con 
la vera storia del paese, ciononostante, esse hanno 
rappresentato in Romania ideali potenti e motivo di 
controversie che durano da secoli. 
In realtà le componenti culturali illirica e romana non sono le 
uniche nella formazione del popolo romeno poiché esso ha 
subito per secoli l’influenza religiosa e politica ellenica: 
l’appartenenza dei romeni alla comunità greco-ortodossa li fa 
assimilare agli ortodossi ucraini e agli ortodossi russi, bulgari e 
serbi. 
Attualmente la coscienza romena consente di tenere insieme i 
due elementi dominanti, poiché il romeno di oggi non è 
fondamentalmente né daco e né romano. 
     Il carattere nazionale romeno si è fondato anche sulla 
confessione religiosa: il cristianesimo della popolazione daco-
romana era d’origine latina, ma con l’ondata slavo-bulgara si 
assistette alla penetrazione del bizantinismo nel cristianesimo e 
nella cultura romena. 
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Zigu Ornea ci rammenta cosa scriveva Nichifor Crainic, in 
Politica si ortodoxie nel 1926: “Se i nostri istinti profondi 
hanno le radici nella latinità, avremmo dovuto scegliere il 
cattolicesimo, perché la latinità è cattolica, ma scegliendo 
l’ortodossia significa che i nostri istinti profondi hanno le 
radici nello slavismo, essendo l’ortodossia soprattutto la 
religione della razza slava. O nel grecismo che ha creato la 
cultura bizantina. Ma se è problematico che il ritualismo 
ortodosso corrisponde ai nostri istinti di razza, è certo che esso 
corrisponde alla mentalità primitiva del popolo.”
2
 
Bisogna rilevare che l’ortodossia e quindi l’influenza slava, 
isolarono la Romania dai grandi movimenti culturali 
dell’Occidente latino con la conseguente restrizione della loro 
cultura in fieri. 
L’elemento unificatore religioso potrebbe portare a pensare che 
i romeni siano un popolo balcanico, come le altre stirpi 
ortodosse. 
La perplessità è spontanea di fronte a quegli aspetti che non 
fanno dei romeni una comunità balcanica, innanzi tutto perché i 
Principati non hanno mai subito una dominazione diretta dei 
turchi, svolgendo soltanto atti di vassallaggio verso la Sublime 
Porta. Pertanto, l’elemento islamico, che configura la cultura 
balcanica in generale, non è presente nelle terre romene. Inoltre 
si è sempre manifestata nella coscienza dei romeni l’idea della 
                                                 
2
 Ornea, Zigu, Formula sufleteasca a romanului, in “Dilema”, n. 396, 2000 
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loro missione storica in quanto baluardo del cristianesimo 
occidentale contro gli attacchi musulmani. 
Alla luce di tutto ciò è possibile rintracciare un filo rosso che 
percorre tutta la storia dei romeni: di fronte ai Turchi essi si 
dichiarano cristiani, di fronte agli austro-ungheresi cristiani ma 
di tradizione bizantina, e di fronte ai Russi latini e non slavi. 
   Tutto ciò sembra confermare la tesi del politologo 
americano Samuel Huntington, esposta ne Lo scontro delle 
civiltà (1996), secondo la quale le culture si identificano in 
larga parte con alcune religioni universali, ed a proposito dei 
romeni egli parla di una nazione scissa, perché porta nella 
propria coscienza una sorta di dualismo: da una parte accettano 
elementi di una zona culturale, dall’altra, hanno interiorizzato 
elementi di una regione culturale diversa. 
     La coscienza nazionale romena è talmente forte che non si 
basa unicamente sulla religione per giustificarsi, ma fa appello 
ad un mito nazionale elaborato nel ‘600, ossia, l’idea della 
romanità dei romeni. I romeni si distinguono da tutti gli altri 
popoli circostanti, ortodossi e non ortodossi, 
indipendentemente dalla religione, proprio in virtù di queste 
radici etniche, della lingua e della discendenza diretta da 
Roma. 
Sebbene la compagine territoriale e popolare romena possano 
apparire scisse tra una zona culturale ortodossa e 
mitteleuropea, molti elementi la distanziano dalla Media 
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Europa poiché gli Asburgo, a parte la Transilvania, non hanno 
mai avuto una diretta influenza in Moldavia e in Valacchia. 
Secondo Katherine Verdery, l’identità romena caratterizzata 
dal radicato mito della romanità conservata attraverso i secoli, 
offre l’immagine di un popolo animato da un forte sentimento 
nazionale, quindi tutt’altro che scisso. 
La Chiesa greco-cattolica nel 1600 seppe mediare tra Oriente 
ed Occidente, assumendo da una parte i valori promossi in 
Transilvania dalla Santa Sede, e comunicando, dall'altra, a tutta 
la cattolicità i valori dell'Oriente cristiano, che a causa della 
divisione esistente, erano poco accessibili. L’elemento 
ecclesiale, meglio noto come la Scuola Transilvana di Blaj, 
contribuì in modo decisivo all’affermazione della romanità: i 
giovani studiosi romeni trovarono negli archivi delle capitali 
europee dei documenti appartenenti in modo particolare ad 
umanisti italiani, in cui veniva riconosciuta la latinità del 
popolo del Danubio e dei Carpazi. Tornati in patria, essi 
portarono questi contributi e, conducendo studi storico-
filologici per dimostrare la loro origine, crearono un trend teso 
a rimuovere dal linguaggio romeno tutti gli elementi di origine 
slava. 
La coscienza della romanità dei romeni, affermatasi sin dal 
Medio Evo, viene prelevata dagli umanisti e dai cronisti del 
XVII sec. fino a essere trattata scientificamente dagli 
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illuministi per integrarla nella lotta di emancipazione 
nazionale. 
Il mito storico della romanità costituisce una componente 
importante dell’ideologia nazionale moderna dei secoli XVIII e 
XIX. 
Il nazionalismo romeno insiste su questa specificità storica e 
culturale che gli permette di aver affinità con tutte le culture 
europee. 
     Ogni nazione s’identifica con la sua denominazione che 
raramente è unica: di solito un nome corrisponde con la 
denominazione che la nazione dà a se stessa, mentre un altro le 
viene conferito dagli stranieri. Il popolo romeno, in conformità 
con le più antiche testimonianze, ha conservato il nome etnico 
roman, dal latino romanus per denominare se stesso; gli 
stranieri lo hanno chiamato vlac, termine che contiene due 
significati di parentado: uno genetico che designa i popoli di 
origine romanica, ed uno speciale che si riferisce 
esclusivamente al popolo romeno. 
Di conseguenza, i due nomi, roman e vlac, hanno lo stesso 
significato e confermano entrambi il mito nazionale della 
romanità dei romeni: la parola roman porta in sé il ricordo di 
Roma in senso lato, e denomina una parte dell’eredità romana 
in senso stretto. 
Cap. I                           Storiografia sulla costruzione dell’identità romena 
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     La costruzione dell'identità romena ha posto in particolare 
rilievo la latinità della lingua, epurata dei suoi elementi slavi e 
trascritta in alfabeto romano a partire dal 1848. 
Tuttavia, la lingua romena attuale presenta una serie di 
stratificazioni che non lasciano dubbi circa l’effetto di cinque 
secoli di convivenza con gli slavi: oltre ad una modesta 
presenza illirica, è riscontrabile un notevole patrimonio 
lessicale proveniente dalle lingue slave. 
   Nel 1918, si compie un momento particolarmente 
importante per il destino del popolo romeno: la Transilvania 
proclama l’unione alla Romania e si crea la cosiddetta 
Romania Mare. Il periodo tra le due guerre mondiali (1920-40) 
è il più bello e il più ricco di tutta la storia romena: è il 
momento in cui la Romania manifesta la sua romanità entrando 
nel circuito delle idee, della cultura e della civiltà dell'Europa a 
pieno titolo, senza alcun senso di inferiorità. 
La realizzazione di Romania Mare ha significato nella 
coscienza romena il recupero della Grande Dacia: la Romania 
ha sempre considerato suoi figli gli abitanti delle terre che, pur 
non facendo parte dei principati romeni, vivevano nell'area 
dell'ex regno di Decebalo. 
     Venuta la seconda guerra mondiale, il clima di grande 
pericolo portò alla convinzione generale che la lingua romena 
fosse una lingua slava, non in base a risultati scientifici, ma 
perché richiesto dal Cremlino. Gheorghiu-Dej ha coltivato 
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prima ancora del marxismo il sentimento nazionale, ma il 
riconoscimento della latinità è opera di Ceausescu, che entra 
nella ribalta della storia romena, e poi europea, con 
l'affermazione di due concetti fondamentali: il riconoscimento 
della religiosità, sebbene il suo partito affermasse l'ateismo, e 
l'affermazione della latinità del suo popolo. Evidenziare gli 
elementi che distinguevano la Romania dall’Unione Sovietica, 
permetteva al Conducator di difendersi dalla tendenza russa di 
rendere il suo paese una delle Repubbliche dell’Unione. 
Analizzando le relazioni esistenti tra etnicità, nazioni, e 
nazionalismo, alcuni studiosi hanno asserito che il comunismo 
non ha avuto alcuna influenza sul nazionalismo corrente in 
Europa Orientale. Dal punto di vista di Katherine Verdery 
simili affermazioni si basano su un'idea certamente restrittiva 
di "nazione" in cui la componente etnica non è adeguatamente 
presa in considerazione. 
     Sulle polemiche e i dibattiti culturali che hanno animato 
l’attualità romena comunista, non si è scritto né prima e né 
dopo il 1989 alcun libro romeno. Si devono a Katherine 
Verdery gli unici studi su alcuni fra i confronti ideologici degli 
anni ’70 e ’80, tra i quali il protocronismo. L’orientamento 
nazional-comunista si riflette sul piano culturale mediante il 
protocronismo, che secondo Verdery consiste in un “sintomo 
evidente della situazione delle culture subalterne dominate dai