Gli sforzi che la Spagna ha dovuto fare per raggiungere gli obiettivi che si
era preposta alla fine però sono stati premiati partecipando pienamente alla
costruzione del mercato interno dell’Unione Europea ed aderendo all’Unione
Monetaria fin dalla sua creazione.
Queste traguardi che chiudono il ventesimo secolo sono una pietra
miliare della storia economica della Spagna.
Il mondo ha vissuto negli ultimi venti anni un processo di globalizzazione
dei mercati che ha generato importanti benefici per le economie causando però
anche frequenti turbolenze finanziarie che si sono diffuse rapidamente da un
paese all’altro attraverso i movimenti di capitale.
Gli errori delle politiche economiche nazionali, i cui costi si sono
intensificati con le crisi finanziarie, sono stati pagati cari e hanno aumentato la
vulnerabilità delle economie di medie dimensioni e con una scarsa tradizione di
stabilità.
La creazione di una unione monetaria è stata una solida risposta europea
ai rischi della globalizzazione ed ha offerto alla Spagna un’opportunità unica.
Infatti la creazione in Europa di un’ampia area monetaria e con un
considerevole peso economico ha portato ad una revisione critica del ruolo delle
monete nazionali nel contesto di una sempre maggiore interconnessione dei
mercati.
La riduzione del numero di valute indipendenti è considerata oggigiorno
da molti analisti un provvedimento necessario in un futuro scenario di stabilità
del sistema finanziario internazionale e senza frontiere.
L’esperienza europea ci ha mostrato il grande sforzo che la costituzione
di un unione monetaria richiede in termini di convergenza e stabilità.
La partecipazione al Mercato Unico Europeo e all’Unione Monetaria ha
aperto nuove prospettive per la Spagna; allo stesso tempo offre protezione all’
economia spagnola di fronte alle costose turbolenze che caratterizzano un
mondo con un alto grado di interazione finanziaria.
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Questi sono tutti fattori favorevoli affinché l’economia spagnola possa
mantenere tassi di crescita alti e sostenuti che le permettano di convergere in
termini reali con gli altri paesi dell’area della Unione Europea: bisogna
annullare gradualmente quella differenza di venti punti percentuali che ancora
la separano dalla media dei paesi dell’area europea in termini di quantità
prodotta per abitante.
È necessario inoltre, affinché questo succeda, che l’ economia spagnola
si adatti definitivamente ai criteri di stabilità che hanno presieduto la creazione
dell’area monetaria comune; è altresì necessario che l’economia spagnola
aumenti la flessibilità del mercato dei beni, dei servizi e del lavoro, sforzo che
dovrà essere condiviso con gli altri paesi dell’area dell’euro dal momento che il
problema affligge in misura minore o maggiore tutti i paesi.
Viviamo in un mondo fortemente concorrenziale e dove i cambiamenti
tecnologici e organizzativi sono e continueranno ad essere molto importanti.
In un mondo con queste caratteristiche, le attitudini difensive e la
resistenza al cambiamento possono solo portare ad un allontanamento rispetto
alle economie più dinamiche e quindi ad una minore crescita economica e ad un
tasso sempre più alto di disoccupazione.
L’Europa e la Spagna devono trovare strategie che rendano più dinamica
la loro economia in un clima di stabilità sociale; solo così una economia
moderna potrà aspirare ad occupare un posto rilevante nel mondo per il
ventunesimo secolo.
Ecco perché la capacità di sviluppo dimostrata dall’economia e dalla
società spagnola negli ultimi decenni permettono di essere fiduciosi, sicuramente
più fiduciosi di quanto lo erano stati coloro che hanno vissuto le congiunture di
fine secolo dai tempi della Spagna di Cervantes.
Questo lavoro di ricerca inizia con un capitolo dedicato all’analisi di
quella che può essere definita la svolta che ha dato inizio al processo di
modernizzazione della Spagna: la fine della dittatura e l’approvazione di un
testo costituzionale.
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Si prosegue analizzando le tappe dell’integrazione spagnola all’interno
dell’Unione Europea per poi dedicare tre capitoli ai cambiamenti che si sono
avuti nei tre settori chiave dell’ economia spagnola: il mondo impresariale,
quello statale e quello del lavoro.
L’ultimo capitolo tratta invece del nuovo ruolo delle politiche
macroeconomiche nell’ambito dell’Euro e del margine di azione rimasto ai
singoli paesi.
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Capitolo I
LA FINE DELLA DITTATURA E L’INIZIO DEL PROCESSO DI
DEMOCRATIZZAZIONE
1.1. INTRODUZIONE
Uno dei grandi problemi della passata storia della Spagna è stato quello di
una carenza di tenacia democratica dei dirigenti politici, delle istituzioni e della
società spagnola.
Questa incapacità collettiva di fare propri i meccanismi del sistema
democratico è stata uno degli elementi chiave non solo del ritardo economico e
sociale della Spagna nei tempi passati, ma anche della mancata convergenza con
l’Europa, specialmente riguardo alla difesa della libertà.
La difesa ed il recupero della libertà furono le principali cause che
portarono all’inizio del processo di transizione democratica in Spagna, processo
che si concluse con un esito storico globale che non si può mettere in dubbio
[Mayor Oreja, 2003].
Il 2003 è stato il venticinquesimo anniversario della Costituzione
spagnola, approvata con il referendum del 6 Dicembre 1978 dopo un lungo
periodo di dittatura conclusosi con la morte del Generale Francisco Franco, il cui
regime era letteralmente vuoto dal punto di vista politico-economico.
Gli spagnoli non si vedevano per nulla rappresentati nei testi costituzionali
scritti fino al 1975; vi era il chiaro proposito di non voler accettare la loro
capacità e maturità politica.
Il recupero della democrazia coincise con l’instaurazione della monarchia
e con la promulgazione di una nuova Costituzione.
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Non si può affermare che la morte di Franco e l’inizio del processo di
democratizzazione avvennero in un momento economico favorevole [González,
2003].
Le aspettative che hanno sempre accompagnato un cambiamento di
regime di questa portata si scontrarono con la dura situazione economico-sociale
causata dalla grande crisi economica degli anni settanta.
Gli ultimi anni di dittatura vennero caratterizzati dalle tipiche
contraddizioni di un sistema autoritario spaventato dai primi sintomi di crisi.
Mentre nei paesi europei già integrati nel Mercato Comune venivano
adottate tutte le necessarie misure economiche e strutturali, il Governo di Franco
di stava lentamente sfaldando intorno al dittatore malato.
Con la sua morte e con la messa in moto del processo di transizione, si
fece sempre più chiaro che la lotta contro la crisi economica non poteva essere il
solo obiettivo; bisognava agire immediatamente sulla politica interna soprattutto
per quanto riguardava la stesura di una nuova Costituzione che permettesse di
affrontare i gravi problemi derivanti dalla questione sulle autonomie locali, dal
rapporto tra Stato e Chiesa, dalla minaccia del terrorismo e dalla preparazione
delle prime elezioni democratiche.
1.2. UNA STORICA SVOLTA: LA COSTITUZIONE DEL 1978
Una Costituzione è la pietra fondamentale di tutto l’edificio giuridico di
un paese.
I testi costituzionali spagnoli che si succedettero fino al 1975 erano il
frutto di una determinata corrente di pensiero politico; questo rendeva
difficoltoso il raggiungimento di un duraturo equilibrio tra gli schieramenti
politici allora esistenti.
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In questo modo la Costituzione di turno, invece di risultare veramente
aperta a tutte le innovazioni, risultava più adatta per essere completamente
sostituita da altre di orientamento opposto.
Lungo tutta la storia costituzionale della Spagna, che inizia nei primi anni
del diciannovesimo secolo, si sono susseguite diverse Costituzioni in un arco di
tempo relativamente corto.
Dalla Carta di Bayona fino alla Costituzione del 1931, sono stati in tutto
nove i tentativi degli spagnoli di dotarsi di una Costituzione che servisse loro
come accordo di convivenza; tutte si caratterizzarono per l’incapacità di fornire
al paese una stabilità sufficientemente duratura.
L’attuale Costituzione spagnola, approvata nel 1978, è l’alternativa ad una
Costituzione ideologizzata; i suoi redattori impararono dagli errori passati ed è
principalmente per questo che è differente [Tamanes, 2003].
La Carta Magna spagnola ha una determinata polarizzazione politica ma
con l’idea generale della democrazia e dei diritti umani: per questo stesso motivo
può essere oggetto di correzioni.
In poche parole, la più importante novità della Costituzione spagnola del
1978 fu il fatto di poter essere accettata da tutti e riuscì a combinare l’unità della
nazione, come patria comune, con l’esistenza delle autonomie, il laicismo con il
riconoscimento del mondo religioso e la piena democrazia con il ruolo
costituzionale assegnato alle forze armate.
Un aspetto innovatore e molto importante è che questa Costituzione è stata
scritta e pensata in modo da avere una certa ambiguità per poterne così avere
differenti letture e interpretazioni; un governo di visione avanzata ne può dare
una interpretazione aperta verso il progresso, così come un esecutivo di taglio
conservatore può interpretarla con una lettura più rigida; in ogni caso vi è sempre
la presenza e la possibilità di intervento del Tribunale Costituzionale per
risolvere eventuali conflitti.
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L’attuale Carta Magna spagnola fornisce un quadro giuridico e politico al
passo con i tempi in grado di favorire la costruzione di una grande nazione
democratica e piena di possibilità, con una società aperta, libera e plurale.
Oggi la società spagnola è più moderna, con più coesione al suo interno,
più libera, più solidale e più plurale di quella società che un 6 Dicembre del 1978
disse si alla Costituzione.
Fin dal primo momento, questa nuova Carta Magna è sempre stata al
servizio di un progetto comune e accettato da tutti: raggiungere la riconciliazione
tra tutti gli spagnoli con idee e punti di vista diversi.
Il risultato fu una transizione politica senza traumi, senza rotture e, con la
terribile eccezione del terrorismo, senza violenza, una transizione modello fino al
punto di essere stata oggetto di ammirazione nei circoli politici di tutto il mondo
[Piqué, 2003].
Per questo, la Spagna di oggi è una nazione che fa della sua pluralità una
ricchezza, un successo, e mai un problema o un insuccesso.
Ciò è stato possibile grazie a una idonea formula che permette di limare le
differenze, avvicinare le distinte posizioni e riunire le diverse volontà in
concordia e sotto il potere della legge, in uno stato di diritto, come un vero
popolo unito.
E questa formula non è altro che la formula del consenso, un consenso che
apre la porta a una permanente stabilità.
Certo è che questa Costituzione ha permesso la consacrazione di questi
ultimi venticinque anni di storia spagnola come il periodo di maggiore prosperità,
nonostante rimanga sempre attuale il problema del terrorismo perpetuato dall’Eta
e dai suoi seguaci che praticano e tollerano l’assassinio come arma politica.
Con la Costituzione del 1978 vi è stato un cambiamento decisivo e
qualitativamente importante che ha aperto le porte ad una nuova epoca di
convivenza senza tumulti e di riconquista delle libertà grazie alla supremazia
della legge e alla volontà sovrana del popolo spagnolo.
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1.3. LA COSTITUZIONE DELLA “STABILITÀ”
Per un paese come la Spagna che si è sempre caratterizzato per una
tormentosa storia costituzionale, il fatto di poter finalmente contare su una Carta
Magna nata dall’accordo di una immensa maggioranza è una caratteristica
enormemente positiva.
É un testo costituzionale che ha risolto positivamente i conflitti che hanno
lacerato la Spagna per svariati decenni.
Ciò non solo per il suo contenuto e per i meccanismi democratici che da
allora regolano lo stato, ma per lo stesso fatto si essere una Costituzione di
consenso e no di imposizione di una società su un’altra.
Venticinque anni dopo l’approvazione della Costituzione se possiamo
affermare qualcosa con certezza è che funziona bene; la Spagna si è consolidata
come nazione democratica, nella quale libertà e diritti individuali sono
solidamente protetti.
Mai come negli ultimi secoli la Spagna è stata tanto integrata nel contesto
internazionale, mai aveva avuto una società così attiva e imprenditoriale, mai
aveva goduto della attuale stabilità economica e mai le sue istituzioni erano state
così solide; tutto ciò si deve al grande patto politico contenuto nella nuova
Costituzione.
Si sono volute creare delle regole di gioco accettate da tutti e si è posto
rimedio al principale problema che ha lacerato la storia della Spagna per tutto il
novecento: l’assenza di un efficace testo costituzionale.
Senza dubbio uno degli elementi più importanti dell’accordo istituzionale
del 1978 è il principio delle autonomie: venticinque anni dopo, diciassette regioni
e due città autonome hanno cambiato quasi completamente il paesaggio politico
della Spagna [Aznar, 2003].
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La divisione territoriale del potere ha sperimentato un vero rovesciamento,
non solo mediante la decentralizzazione amministrativa, ma anche attraverso
l’autogoverno politico.
Il grande numero di competenze trasferite alle regioni ha configurato il
paese come uno dei più decentralizzati del mondo: poche persone tra quelle che
nel 1978 scelsero di iniziare questo processo sognavano di poter raggiungere un
tale livello di autonomia.
Il sistema delle autonomie è idoneo per poter creare una Spagna delle
pluralità, perché suppone un equilibrio molto ragionevole tra l’unità della Spagna
e uno straordinario livello di autogoverno per parte delle regioni.
Ciò nonostante, si ascoltano spesso anche voci favorevoli a una revisione
oppure a una riforma costituzionale per una organizzazione territoriale simile a
quella di uno stato, anche se oggi non esiste ancora in assoluto il consenso
necessario per intraprendere una simile riforma costituzionale.
I grandi risultati raggiunti dalla società spagnola negli ultimi venticinque
anni si devono in gran parte a questo quadro politico: mettere in discussione la
Carta Magna può mettere in pericolo il progresso raggiunto, un grande rischio da
non correre.
1.4. IL CONTESTO INTERNAZIONALE
Risulta sorprendente la scarsa attenzione che, da un punto di vista
internazionale, è stata prestata fino ad oggi sul fenomeno della transizione
spagnola.
Ciò si potrebbe spiegare grazie al fatto che la transizione e le prospettive
immediate della democrazia politica variano in funzione della forza e della
capacità della nazione, dal momento che gli attori esterni tendono a svolgere un
ruolo indiretto e generalmente marginale.
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Nonostante ciò, molti studiosi sono soliti includere l’esistenza di un
contesto internazionale favorevole tra i fattori che possono spiegare l’esito
positivo del processo di transizione spagnola [Powell, 1996].
Così come era successo durante la transizione dalla dittature di Primo de
Rivera alla Seconda Repubblica, anche negli anni settanta la transizione dal
franchismo alla democrazia avvenne in un contesto di gravissima crisi economica
internazionale.
Come noto, dopo aver beneficiato di un periodo di crescita economica
europea, l’economia spagnola, molto dipendente dall’importazione delle fonti
energetiche, sofferse in pieno l’impatto della crisi del petrolio del 1973-74;
fortunatamente l’esistenza di un sistema economico altamente integrato permise
di ammortizzare in una certa misura l’impatto della crisi, che altrimenti avrebbe
potuto causare conseguenze molto più sfavorevoli.
Anche il contesto diplomatico e politico internazionale contribuirono
positivamente all’esito della transizione politica.
Nonostante il fatto che la Guerra Fredda del dopo guerra continuasse a
dominare le relazioni internazionali, l’inizio della transizione spagnola avvenne
in un contesto di un imminente disgelo.
L’appartenenza della Spagna al blocco occidentale, a causa delle sue
relazioni con gli Stati Uniti, era un fatto universalmente riconosciuto nel periodo
antecedente la morte di Franco.
La Spagna era un pezzo di una certa importanza nel puzzle geo-strategico
occidentale, infatti poteva avere un ruolo importante in caso di una invasione
sovietica in Europa.
Allo stesso tempo dalle sue coste si poteva controllare l’accesso al
Mediterraneo occidentale, teatro di operazioni decisivo in qualsiasi conflitto su
grande scala.
La Spagna occupava un posto periferico rispetto al centro di gravità
europeo ma, nonostante ciò, il suo futuro politico era di fondamentale importanza
sia per la Nato che per la Comunità Europea.
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Data l’appartenenza della Spagna al blocco occidentale, per gli Stati Uniti
l’obiettivo principale era di evitare che la morte di Franco si traducesse in una
sostanziale alterazione dell’equilibrio a favore dell’Urss.
Per fare ciò si richiedeva di garantire la presenza delle basi militari
americane sul territorio spagnolo e di rendere possibile l’ingresso della Spagna
nella Nato, nonostante l’opposizione di diversi governi europei che non
ritenevano democratico il regime di Franco.
Per Henry Kissinger, segretario di stato americano dal 1973 al 1976, “il
contributo nordamericano nell’evoluzione spagnola durante gli anni settanta fu
uno dei principali successi della nostra politica estera”.
In realtà, gli Stati Uniti furono disposti a favorire questa evoluzione solo e
se non veniva messa in pericolo la contribuzione spagnola al sistema difensivo
occidentale.
Quando dovettero scegliere tra difendere i propri interessi geo-strategici e
favorire il cambiamento politico, gli Stati Uniti non ebbero mai nessuna
incertezza [Stanley, 1995].
Date le buone relazioni con Franco, rimane da chiedersi se gli Stati Uniti
avevano veri motivi per potersi augurare un cambiamento di regime.
Una Spagna democratica poteva integrarsi nella Nato, rinforzando così la
parte sud europea che tanto preoccupava Kissinger ma bisognava però chiedersi
anche come si sarebbe comportato un futuro governo democratico al momento di
rinnovare gli accordi sulle basi militari strategiche degli americani presenti sul
territorio.
Allo stesso tempo, nonostante il fatto che così potevano essere
pregiudicati i suoi interessi commerciali, gli Stati Uniti erano favorevoli al fatto
che la Spagna facesse il suo ingresso nella Unione Europea, e ciò richiedeva
obbligatoriamente un cambio politico profondo.
Quindi, si può affermare che gli Stati Uniti d’America fossero favorevoli a
un cambiamento di regime nella misura che questo portasse alla piena e
definitiva incorporazione della Spagna nel cosiddetto blocco occidentale.
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Sul versante sovietico bisogna sottolineare che, per motivi storici e
politici, la quantità e la qualità di informazioni disponibili sulla politica estera
dell’Urss durante la transizione politica spagnola è decisamente minore rispetto a
quella degli Stati Uniti.
Durante la Guerra Fredda, l’Urss si era oramai rassegnata all’appartenenza
della Spagna al blocco occidentale, così come alla permanenza di Franco al
potere.
I sovietici erano favorevoli a un cambiamento di regime in Spagna a patto
che ciò potesse ovviamente portare vantaggi a loro favorevoli dal punto di vista
dell’equilibrio globale delle forze: innanzitutto l’Urss voleva evitare che la morte
di Franco portasse a una maggiore contribuzione alla difesa occidentale, essendo
così contraria all’instaurazione di una democrazia di taglio occidentale.
L’ingresso della Spagna nella Nato e nella Comunità Europea portava
sicuramente ad un incremento dell’influenza americana sull’Europa occidentale.
Il comportamento sovietico nei confronti della Spagna fu sempre
condizionato da due grandi paradossi: le relazioni tra il regime di Franco e i
regimi comunisti erano molto migliorate durante i primi anni settanta ma le
relazioni tra il partito comunista russo e il suo corrispondente spagnolo si erano
incrinate dopo la condanna di quest’ultimo dell’invasione sovietica in
Cecoslovacchia nel 1968.
Dopo la morte di Franco, l’Unione Sovietica fece di tutto per ristabilire
piene relazioni diplomatiche con Madrid soprattutto con il fine di incrementare
gli scambi commerciali, aspetto al quale i sovietici davano molta importanza.
I sovietici avrebbero potuto influire sul processo di democratizzazione
negando il riconoscimento della nuova democrazia fino a quando in Spagna non
fosse stato legalizzato il partito comunista ma, invece, preferirono rinforzare
prima possibile le relazioni diplomatiche.
Il governo sovietico aveva bisogno più del governo spagnolo di ristabilire
piene relazioni dal momento che per quest’ultimo era solo fondamentale il
riconoscimento delle democrazie occidentali.
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Le principali potenze europee, in vista dell’imminente morte di Franco,
presero invece posizioni qualitativamente diverse da quelle degli Stati Uniti
d’America: mentre per quest’ultimi era fondamentale il problema della sicurezza,
per i governi europei era più rilevante la dimensione politica.
Già a partire degli anni sessanta, negli ambiti governativi europei, si
diffuse la teoria secondo la quale la forma migliore per contribuire alla
democratizzazione spagnola fosse quella di favorire il suo sviluppo socio-
economico; un suo continuato isolamento sarebbe solo stato pagato dalla
popolazione.
Negli anni settanta, in contrasto con la posizione americana, i governi
europei intervennero più volte in appoggio ai dirigenti dell’opposizione
democratica.
Dal punto di vista del regime, questa posizione significò un aumento
notevole di spese per la repressione, e ciò si tradusse in una sempre maggiore
tolleranza verso la opposizione moderata, solitamente in buone relazioni con gli
altri governi europei.
Gia nel 1970, il ministro degli esteri e vice cancelliere tedesco Walter
Scheel, volle che gli si permettesse di ricevere i rappresentanti dell’opposizione
spagnola durante una sua visita ufficiale a Madrid.
Il regime permise l’incontro per non perdere l’appoggio tedesco su delle
negoziazioni in corso ma ciò permise ai tedeschi di rendere noto a tutte le
potenze europee il loro riconoscimento all’esistenza di una alternativa
democratica al regime di Franco.
I governi europei continuarono a dimostrare la loro condanna alla dittatura
franchista rifiutandosi di inviare rappresentanti dei rispettivi governi al funerale
di Franco; al contrario presenziarono tutti durante la cerimonia di proclamazione
della monarchia che si celebrò poco dopo.
Dopo la morte di Franco aumentò notevolmente la libertà di manovra dei
governi europei e le loro possibilità di influire direttamente sul processo di
democratizzazione della Spagna; il governo più “attivo” risultò essere quello
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della Germania che, cercando una via di uscita al franchismo, favorì la creazione
di un partito socialista su un ampia base in modo da creare una vera alternativa di
governo.
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