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Prefazione – Perché ho scelto questo argomento.
Il trattamento economico sociale delle lavoratrici madri è sempre
stato per me oggetto di interesse specifico, facendo parte, appunto
di questa categoria. La conciliazione tra mondo del lavoro e mura
domestiche è da ritenere quella più difficile, l’armonizzazione tra i
due compiti che si prefiggono le donne lavoratrici madri è impresa
ardua. Essere allo stesso tempo madre - responsabile di una
famiglia con le proprie esigenze e necessità e lavorare alle
dipendenze di un’altra persona sembra quasi inconciliabile.
Da tempi memorabili, però, le donne hanno avuto la necessità di
lasciare la casa per andare a lavorare fuori. Questa necessità è nata
essenzialmente da problemi economici, legati alla sopravvivenza
della propria famiglia. Così le donne si sono incamminate, in punta
di piedi, verso l’irto cammino di lavoratrici. Le necessità economiche
di ogni microcosmo ristretto di una famiglia non ha interessato il
macrocosmo del campo lavorativo, nel quale le donne non sono
state introdotte con entusiasmo. Le categorie di lavori svolti dalle
donne sono gradatamente passate da lavori considerati prettamente
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“femminili” come parrucchiera, badante, etc ad operaie inserite nelle
fabbriche, popolate essenzialmente da compagini maschili. Gli
operai si sono visti togliere posti di lavoro dalle donne che per alcuni
versi ed in alcuni campi erano sicuramente più adatte ed esperte.
Dall’altro lato i datori di lavoro, invece, hanno trovato nella
manodopera femminile un motivo di risparmio economico non
indifferente. Le donne erano meno pagate, lavoravano di più ed
erano certamente più docili e plasmabili dell’uomo. Questa spirale di
diversità di trattamento economico si è ripercosso anche nel settore
sociale, nel quale la donna è stata per lungo tempo trattata con astio
e con sentimenti di rivalsa e sottomissione. Le donne non
esistevano socialmente erano soltanto delle graziose “macchine”
per fare figli e meravigliose curatrici del focolare domestico.
Questo andava bene fino a che l’uomo era capace di sostentare la
famiglia soltanto con il proprio lavoro, ma quando per motivi da
attribuire a cataclismi naturali (carestie), cattive gestioni o
cambiamenti nelle tecniche di lavoro si é reso necessario far entrare
nel campo lavorativo anche le donne. La dicotomia moglie/ madre si
è trasformata in lavoratrice/madre/moglie costringendo la donna a
ricoprire contemporaneamente i tre ruoli. Il meccanismo contorto
innescato dal cambiamento di ruoli ha portato la donna a dovere
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essere presente in tre campi diversi ma complementari: casa, lavoro
e maternità.
Nel campo del lavoro l’integrazione della donna non è stata facile e
ancor più resa difficile se la lavoratrice è madre. La tutela sociale, di
vitale importanza in una società civile, le è stata per lungo tempo
negata. Nessuno voleva occuparsi dei problemi legati ad una
gravidanza durante lo svolgimento di un lavoro, né lo Stato né i
datori di lavoro. Fortunatamente questa tendenza è andata contro
avvalorata da scelte statali idonee e consapevoli sulla necessità di
tutela della donna sul lavoro. Lo Stato in prima persona è diventato il
garante della tutela della donna lavoratrice ed ha “obbligato” i datori
di lavoro a considerare una donna lavoratrice madre come un
qualsiasi lavoratore e no come un peso da sopportare o da negare.
Il potenziamento di questa tutela, dalle prime regolamentazioni ad
oggi ha portato a considerare una donna lavoratrice madre allo
stesso modo di un lavoratore maschio ma bisognoso di maggiori
attenzioni. Il tasso di natalità arrivato quasi a zero, ha indotto lo
Stato ad incentivare le gravidanze, fornendo le tutele più adeguate.
In questa logica di potenziamento della tutela si inserisce il mio
lavoro, che vuole dare uno sguardo al passato scuro ed incerto su
questo argomento, una luce nuova sfavillante di novità e di
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consapevolezza. La donna anche quando è lavoratrice, ha l’obbligo,
ma anche il piacere, di essere madre e in questo suo bisogno deve
essere garantita dallo Stato con un’adeguata politica di tutela, per
permettere che la gravidanza sia considerata il più bello dono che la
donna possa ricevere ed insieme a lei anche la società lo deve
vedere come tale.
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CAPITOLO I
LA DONNA ED IL LAVORO DALLE ORIGINI DEL MONDO AI
GIORNI NOSTRI
1.1 Analisi storica della concezione della donna e del suo
lavoro.
La società, il raggruppamento d’individui che interagiscono per
raggiungere degli obiettivi in comune, è caratterizzata dalla
presenza di due tipologie diverse di persone: l’uomo e la donna.
Essenzialmente la società è raggruppata in famiglie, di tipo
patriarcale, dove, appunto, la figura predominante è l’uomo. Alla
donna spetta un ruolo di secondo piano, di completamento alla
figura principale.
Nel momento in cui Dio creò la donna, lo fece dopo che aveva
creato l’universo, le piante, i mari, gli animali e l’uomo, scelse di
crearla per ultimo allo scopo di completare la sua opera con un
essere non inferiore, ma per mettere alla luce la sua creazione
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migliore. Dio creò entrambi, uomo e donna, per farli regnare sul
mondo al quale aveva dato vita, in assoluta parità.
“Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e
domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su
tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra".
“Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò”.
1
“Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si
addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo
posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta
all'uomo, una donna e la condusse all'uomo”.
Allora l'uomo disse: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e
osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata
tolta".
“Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a
sua moglie e i due saranno una sola carne”.
2
Se prestiamo attenzione all’etimologia della parola “uomo” usata
nella Bibbia, ci accorgiamo che Dio ha usato questa parola per
indicare sia il maschio che la femmina e lo stesso Adamo usa la
parola donna per distinguerla da lui. In ebraico il nome “donnaYsh” e
1
Bibbia ( Genesi 1; 26,27)
2
Bibbia ( Genesi 2 ; 18,25)
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il nome “uomo ishà”si dovrebbero tradurre con “uoma” e “uomo”
poiché stanno ad indicare l’essere umano.
Dio, quindi, non creò la donna come essere inferiore o da
sottomettere, ma “come una che gli sta di fronte con una marcia in
più: l’essere stata creata per dare aiuto e sostegno all’uomo.
3
Al momento della disobbedienza da parte “dell’uomo” che gli costò
la cacciata dal Paradiso Terrestre, tutta la colpa fu attribuita alla
donna che fu gravosamente punita.
“Io moltiplicherò le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con
dolore partorirai i tuoi figli, i tuoi desideri si volgeranno verso tuo
marito ed egli dominerà su di te”.
4
Da quel momento la donna perse la dignità, fu considerata un
essere inferiore, in grado soltanto di procurare danni e di insinuare
negli uomini sentimenti “cattivi”. Questo stato d’inferiorità non si è
mai più potuto annientare e niente e nessuno ha potuto modificare
questa disparità. Con gli anni, anzi la donna ha perso oltre che la
dignità anche la parità.
3
Brill E. J., Hebräisches und Aramäisches Lexicon zum Alten Testament, Leiden, 1967
4
Bibbia genesi 3; 16
12
Presso gli Antichi Romani, la figura della donna era incarnata dalla
“matrona univera”che si realizzava svolgendo il ruolo prestabilito di
moglie e madre. Certo godeva della libertà di uscire da casa, di
frequentare le terme, di sedere a tavola con il marito, ma non
godeva di alcun diritto politico e neanche civile, "Feminas, etsi
perfectae aetatis sint, in tutela esse, exceptis virginibus Vestalibus",
e cioè: “E’ stabilito che, sebbene siano di età adulta, le donne
devono essere sotto la tutela, eccettuate le vergini Vestali”. (che
erano sotto la tutela del pontefice massimo). La donna non poteva
né alienare le proprie cose, né fare testamento e neanche
testimoniare o essere tutrice dei suoi figli minori. Giuridicamente la
donna romana era costantemente sotto la tutela protettiva della
manus del padre e dopo il padre, del marito al quale era legata “cum
manu” (potestà totale su di essa ) o in ogni caso di un parente di
sesso maschile. Tutto ciò perché era considerata ignorante della
legge, di capacità intellettive inferiore, di leggerezza d’animo e di
debolezza sessuale. La donna, anche se lavorava, era sempre
considerata come un essere inferiore. Le cose cambiarono in età
imperiale dove la tutela obbligatoria venne meno quando la donna
partoriva 3 o 4 figli. Riguardo al lavoro, vediamo in questo periodo
un proliferare di lavori prettamente femminili quali la parrucchiera, la
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balia, la portinaia, la filatrice, la sarta ma sempre senza alcuna tutela
verso le madri lavoratrici. Le donne incinte potevano essere anche
cedute.
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La situazione della donna socialmente e politicamente non cambia
neanche durante il Medioevo, anzi gli stessi intellettuali
s’interrogavano e intavolavano capziose discussioni per stabile se la
donna possedeva un’anima. La maggior parte delle donne
trascorreva la propria infanzia o addirittura l’intera vita, rinchiusa in
monasteri, ricevendo un’educazione bigotta e conservatrice atta a
far rispettare i ruoli tra uomo e donna. Non mancano in questo
periodo donne che svolgevano qualsiasi tipo di lavoro o aiutando il
marito ad accudire alla fattoria o lavorando in città come
miniaturiste, rilegatrici di codici, tintori, farmaciste ma
essenzialmente erano considerate come un completamento del
lavoro dell’uomo o del marito.
6
Il lavoro femminile era molto diffuso ma non era preso in
considerazione né giuridicamente né socialmente.
Anche il Rinascimento un’epoca storica segnata dallo sviluppo di
nuove forme e tecniche nel campo delle arti figurative, ricco di una
5
Gourevitch D., Raepsaet-Charlier M.T. “La donna nella Roma antica.” Firenze, 2003
6
Alunni ISIS in www.delfo.forlì-cesena.it
14
letteratura che esaltava la bellezza femminile, il saper discutere
d’ogni argomento che riguardasse la famiglia, la casa, il suo ruolo
all’interno del matrimonio, che potesse esaltare la benevolenza del
marito, continua a discriminare le donne.
7
Scriveva Ludovico Dolce nell’opera “Consigli ad una giovane
moglie”: “ la donna deve riconoscere il marito come suo unico punto
di riferimento e vivere in sua funzione, ha come dovere primario
l’adattarsi ad ogni situazione e di amare sempre il consorte, non
considerando come si comporta. Lei non gestisce il suo corpo, esso
è di proprietà del marito che ne usufruisce a suo piacimento.”.
E se la letteratura “maschile” o “maschilista” declassa e svuota
d’ogni sembianza d’essere umano intelligente la donna, nel campo
lavorativo era previsto che le donne delle classi economicamente
disagiate si mantenessero da sole sia prima che dopo il matrimonio
ma che non dovessero mai raggiungere una completa
indipendenza, infatti, erano meno pagate rispetto agli uomini e
nessuna tutela le spettava come madre lavoratrice.
8
La donna dell’Illuminismo continua ad essere considerata inferiore,
lei si può occupare soltanto della casa e dei figli e quando lavora
deve dare tutto al marito che “sa gestire in maniera più saggia le
7
Burke P. , Il Rinascimento, Bologna, 2001
8
A A. V.V., Nuove Questioni Medievali, Milano 1964
15
entrate della famiglia”. Ancora una volta il matrimonio è l’unica via
che si prospetta alla figlia per avere una vita dignitosa e ricoprire
così il ruolo assegnatole dalla società, determinando una sorta di
schiavitù per la donna.
Ma nonostante ciò si assiste nell’epoca dei lumi ad una crescente
voglia da parte delle donne, nelle classi più abbiente, di riscossa e i
salotti di donne benestanti diventano il fulcro per parlare di cultura e
di moda.
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Lo scoppio della rivoluzione francese e il seguente sconvolgimento
nella gestione del potere politico ed amministrativo che ne
conseguirà, dà una svolta decisiva nell’affermazione dei principi di
“parità, uguaglianza e fraternità”.
Con la presa della Bastiglia 14/07/1789, il popolo francese
innescherà quel meccanismo di ribellione al potere monarchico che
si ripercuoterà in tutti i paesi occidentali.
Il 26 agosto dello stesso anno, fu promulgata la “Dichiarazione dei
diritti dell’uomo e del cittadino”, nella quale si elencarono i
fondamentali diritti dell’uomo e il rapporto tra il cittadino e le
istituzioni, e si assistette alla nascita dei principi di legalità, di libertà
della persona, di sicurezza, di resistenza all’oppressione, concetti
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Italia Donna, Il portale delle donne in www.italiadonna.it
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rivoluzionari ed innovatori. Questa dichiarazione rompe tutti gli
schemi anteriori di rapporto tra cittadino ed istituzione e getta le basi
per tutte le future Costituzioni che verranno emanate.
( Nel 2003 l’Unesco l’ha inserita nelle Memorie del mondo.)
Tale Dichiarazione, però, non contiene nemmeno un piccolo
esplicito riconoscimento della parità tra uomo e donna, concetto
ancora una volta ritenuto inutile e privo di riconoscimento. Le donne
non sono citate e sono escluse dal diritto di voto. A questo punto
alcune loro si mobilitano seriamente e rivendicano il proprio diritto a
partecipare alle elezioni, attraverso il voto, dei propri rappresentanti.
In una Francia libera, creata ed ottenuta anche con il loro coraggio e
sacrificio, non c’è posto per una legislazione che garantisca i
fondamentali diritti politici, civili e di tutela delle donne. Molte donne
lottarono e morirono per ottenere questi diritti.
Fra tutte spicca la figura di Olympe de Gouges, figlia illegittima di un
barone, drammaturga, libellista autodidatta che redige la
“Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” nel 1791,
riprendendo gli stessi articoli della Dichiarazione dei diritti dell’uomo
e del cittadino del 1789, portandoli al femminile per dimostrare che
la bisessualità della società sta soltanto nel sesso, ma che ciò non
può produrre discriminazioni in campo politico e sociale.