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INTRODUZIONE
Il processo di integrazione economica si è si è sviluppato di pari passo a
quello di integrazione europea sin dagli anni Cinquanta. Al di là della cooperazione
in materia di carbone e acciaio inaugurata con la Comunità Europea del Carbone e
dell’Acciaio, si celava un desiderio comune tra i Paesi fondatori di avviare
un’integrazione parallela nel settore economico. Il rapporto tra politica ed economia
costituisce un binomio che si è consolidato nel corso dei decenni, per cui l’Unione
Economica e Monetaria non può essere compresa senza considerare le scelte e gli
interessi politici degli attori nazionali. La politica, infatti, ha modellato tale
processo, creando le condizioni, e talvolta gli ostacoli, per realizzare questo
ambizioso progetto. Gli attori nazionali e le istituzioni comunitarie hanno giocato
un ruolo cruciale, e gli accordi politici intrapresi rispecchiano giochi di
negoziazione tra gli attori nazionali nell’ambito dei poteri negoziali statali. Lo si è
visto negli intensi negoziati che hanno condotto alla ratifica del Trattato
sull’Unione Europea, il quale ha istituito le basi per la creazione dell’Unione
Economica e Monetaria. A Maastricht, infatti, si è raggiunto un accordo per
un’integrazione che ha segnato il destino permanente del binomio tra economia e
politica inaugurato qualche decennio prima.
L’UEM rappresenta un esperimento senza precedenti, la manifestazione di
una chiara volontà politica di approfondire l’integrazione in un ambito sensibile alla
sovranità nazionale, l’unione indissolubile di Paesi con diverse tradizioni
economiche. Il binomio tra politica ed economia è stato quindi ulteriormente
rafforzato, subordinando il processo di integrazione europea all’adesione
dell’Unione Economica e Monetaria. Ciò che rende questo progetto un esperimento
senza precedenti è la concezione asimmetrica tra un pilastro di politica monetaria
fortemente centralizzato in seno a un’istituzione sovranazionale indipendente, e un
pilastro economico e fiscale che rimane di competenza degli Stati Membri e che
viene coordinato attraverso un approccio intergovernativo a livello sovranazionale.
Durante i negoziati politici, gli allora dodici membri dell’Unione europea
delegarono la sovranità delle politiche monetarie nazionali alla Banca Centrale
Europea in favore dell’introduzione di una politica monetaria e di una moneta
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unica. Diverso è stato il caso delle politiche economiche e fiscali, ritenute un ambito
ancora troppo sensibile da rinunciarne al pieno controllo. I compromessi
intergovernativi si sono perciò esplicitati in un coordinamento volontario tra gli
Stati Membri nel rispetto di semplici – e talvolta blandi – parametri quantitativi che
si esplicitano nell’accordo intergovernativo del Patto di Stabilità e Crescita. Alla
luce di queste premesse, l’Unione Economica e Monetaria è stata istituita nel 1999.
La natura asimmetrica sembrava portare benefici per l’intera Eurozona, la
quale ha registrato una crescita economica nei primi anni di operatività. Lo stesso
vale per il coordinamento intergovernativo delle politiche di bilancio nazionali,
seppure con qualche incidente di percorso in merito all’applicazione dei vincoli di
bilancio per deficit e debito pubblico. La situazione divenne più seria nel 2008,
quando una crisi finanziaria originata negli Stati Uniti si diffuse rapidamente in
Europa mettendo in luce lacune strutturali dell’Eurozona. Dalla rivelazione dei
bilanci falsificati, la Grecia si pose in prima linea di una serie di Paesi che
mostrarono ingenti difficoltà finanziarie, e ciò diede origine a un effetto domino
che evidenziò la mancanza di strumenti all’interno dell’Unione Economica e
Monetaria che potessero far fronte a questa Grande Crisi senza precedenti,
minacciando seriamente la stabilità e integrità dell’Eurozona. Di fronte alla
concreta possibilità di bancarotta da parte di alcuni Stati dell’Europa meridionale, i
capi di Stato e di Governo presero il comando della situazione e si accordarono per
l’istituzione di strumenti in grado di fornire assistenza finanziaria ai Paesi in
difficoltà. Mai prima d’ora nella storia dell’UEM si era presentata una situazione
simile, per cui la possibilità concreta di disintegrazione dell’Unione Monetaria
spinse i leader europei ad accantonare le divergenze esistenti per salvare quei Paesi
gravemente colpiti dalla crisi economica e finanziaria originatasi negli Stati Uniti.
Ciò avvenne con pesanti condizioni, nel senso che l’assistenza finanziaria richiese
in cambio la messa in atto di rigidi controlli di rientro dei parametri di bilancio e
severi piani di aggiustamento di riduzione della spesa pubblica nazionale. Questo
ha inevitabilmente alimentato sentimenti di malcontento e di avversione nei
confronti dell’integrazione europea, dell’Unione Economica e Monetaria e delle
istituzioni comunitarie. La duplice crisi economica e del debito sovrano ha messo
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in luce i limiti strutturali dell’UEM, primi fra tutti il morbido coordinamento
intergovernativo delle politiche di bilancio e i limiti della natura asimmetrica tra
pilastro monetario ed economico. La Grande Crisi ha influito fortemente
sull’architettura istituzionale di governance economica dell’UEM, alterandone i
ruoli e le responsabilità tra attori nazionali e comunitari. Il quadro istituzionale è
stato rivisto, senza però intaccare l’originaria asimmetricità che contraddistingue
l’Unione Economica e Monetaria.
Proprio nel periodo in cui l’esecutivo europeo stava concretizzando i
dibattiti sulla riforma dell’architettura istituzionale dell’Unione Economica e
Monetaria, l’Europa si è trovata ad affrontare una grave emergenza sanitaria che ha
costretto i paesi europei a interrompere le attività economiche, andando incontro a
una delle recessioni più gravi dalla Seconda Guerra Mondiale. Da marzo 2020 la
pandemia di COVID-19 si è propagata rapidamente in tutta Europa, causando una
repentina contrazione dei PIL nazionali e un aumento esponenziale della
disoccupazione. Una nuova crisi economica colpiva l’Europa nemmeno un
decennio successivo dalla crisi economica e del debito sovrano. Il carattere esogeno
di questa congiuntura, così come la necessità di intervenire con una risposta
commisurata all’entità di questo evento ha permesso di raggiungere un accordo,
dopo lunghi ed intensi negoziati, per uno strumento di ripresa economica. Per la
seconda volta nella storia dell’UEM, l’architettura istituzionale di governance
economica si vede al centro di ulteriori revisioni che ancora una volta cercano di
rimediare all’originaria asimmetria tra pilastro economico e monetario.
Nei tempi più recenti, l’architettura istituzionale è tornata ad essere oggetto
di ulteriori mutamenti in seguito alla pubblicazione della proposta della
Commissione nell’aprile 2023 di revisione delle normative fiscali, e questo
inevitabilmente comporterà nuovi equilibri e definizioni delle competenze tra attori
nazionali e comunitari.
Alla luce delle riflessioni qui riportate, il quadro istituzionale di governance
dell’Unione Economica e Monetaria ha subito profondi e continui cambiamenti nel
corso dei decenni, perlopiù in corrispondenza delle grandi crisi che hanno
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minacciato l’integrità e stabilità dell’Eurozona. Pertanto, le domande di ricerca che
si intendono esplorare nel corso di questo elaborato sono le seguenti: ‘Come le
grandi crisi economiche hanno impattato sull’evoluzione e revisione del quadro
istituzionale di governance economica stabilito dal Trattato di Maastricht negli anni
Novanta?’, ‘Quali sono le prospettive future in merito all’evoluzione
dell’architettura istituzionale in seguito ai grandi eventi degli ultimi tempi?’
Il primo quesito verrà analizzato utilizzando una metodologia qui di seguito
riportata. Le teorie dell’integrazione europea vengono definite come concetti e
modelli teorici che aiutano a identificare ed esplicare il processo di integrazione
politica, economica e sociale d’Europa. Gli studi di scienza politica e relazioni
internazionali nel corso dei decenni hanno cercato di analizzare come gli Stati
potessero dare vita a una cooperazione europea e allo stesso trasferire la sovranità
in alcuni settori ad istituzioni sovranazionali. In questo contesto, teorie e approcci
forniscono il quadro interpretativo per studiare l’evoluzione dell’integrazione
economica europea dagli inizi del processo di integrazione ai giorni nostri. Questi
costituiranno pertanto il quadro concettuale per la prima domanda di ricerca al fine
di interpretare i cambiamenti osservati nell’architettura istituzionale di governance
economica in corrispondenza delle grandi crisi economiche.
Il secondo quesito verrà analizzato prevalentemente nella parte finale di
questo elaborato; si avvarrà delle teorie dell’integrazione per evidenziare gli
elementi che possono definire la traiettoria di evoluzione del quadro istituzionale,
ma anche di interviste svolte a funzionari delle istituzioni europee e ricercatori in
studi europei, con l’obiettivo di delineare i principali cambiamenti osservati
nell’ultimo decennio nell’architettura istituzionale di governance economica
dell’UEM. La parte empirica di questo elaborato includerà anche osservazioni
emerse dalla mia esperienza come tirocinante presso il Segretariato Generale del
Consiglio nella Direzione Generale degli Affari Economici e dell’Eurogruppo. Nel
complesso, le considerazioni emerse forniscono una prospettiva per delineare i
possibili scenari futuri di evoluzione dell’architettura istituzionale dell’Unione
Economica e Monetaria.
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Alla luce dei quesiti appena illustrati, il presente elaborato prenderà in
esame i tre principali eventi del processo di integrazione dell’Unione Economica e
Monetaria, primo fra tutti la sua istituzione negli anni Novanta, con l’obiettivo di
presentare una panoramica dettagliata del quadro istituzionale istituito per la
nascente Unione Economica e Monetaria. Questo fornirà il contesto iniziale, da cui
successivamente si prenderà in esame la prima grande crisi che ha determinato una
prima revisione dell’architettura istituzionale dagli anni Novanta. Infine, la crisi
economica generata dall’emergenza sanitaria agli inizi del 2020 costituisce il terzo
elemento di analisi, poiché tale shock esogeno ha richiesto un intervento senza
precedenti, che ha portato ancora una volta a una revisione degli equilibri e dei ruoli
istituzionali.
Pertanto, questo elaborato offre una panoramica dettagliata dei principali
eventi che nel corso dei decenni hanno definito il progetto iniziale di Unione
Economica e Monetaria e successivamente revisionato profondamente gli equilibri
istituzionali. Occorre sottolineare che l’analisi condotta in questo elaborato esclude
volutamente altri eventi altrettanto rilevanti nel corso dell’evoluzione dell’UEM -
quali la crisi dei rifugiati del 2015 e l’uscita dalla Gran Bretagna dall’Unione
Europea ufficialmente avvenuta il 31 gennaio 2020 -, trattandosi perlopiù di
avvenimenti che hanno impattato altri aspetti non considerati in questo elaborato,
rispetto all’evoluzione dell’architettura istituzionale di governance economica.
Il suddetto elaborato si sviluppa nel seguente modo. Il Capitolo I fornisce
una raccolta completa della letteratura - teorie e approcci – per l’inquadramento
teorico dei principali eventi che verranno analizzati nel corso dei capitoli. Si passa
in rassegna la narrazione delle Grandi Teorie che interpretano l’evoluzione
dell’integrazione economica dagli albori del processo di integrazione fino alla
costituzione dell’Unione Economica e Monetaria negli anni Novanta. Si presentano
gli studi di Politica comparata e l’approccio della Governance, i quali dagli anni
Novanta spostano l’attenzione dal processo di integrazione allo studio dei processi
politici decisionali. Infine, si presentano le nuove versioni
dell’Intergovernamentalismo alla luce delle risposte alla crisi economica e del
debito sovrano, così come gli studi sul cambio di paradigma e le versioni
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dell’istituzionalismo che analizzano il processo di cambiamento e la dipendenza dal
percorso per inquadrare gli eventi più recenti.
Il Capitolo II illustra l’evoluzione dei progetti di integrazione economica
che si sono susseguiti in concomitanza all’avvio del processo di integrazione
europea sino all’istituzionalizzazione dell’Unione Economica e Monetaria. Questo
illustra inoltre l’architettura istituzionale di governance economica e monetaria, il
ruolo degli Stati Membri e delle istituzioni sovranazionali, mettendo in evidenza la
peculiarità asimmetrica tra la componente monetaria ed economica e fiscale.
Il Capitolo III affronta il primo grande evento senza precedenti che ha
minacciato l’integrità dell’Eurozona, in corrispondenza del quale la concezione
asimmetrica che fa dell’UEM un esperimento innovativo ha posto in luce le lacune
strutturali di un’unione monetaria incompleta. Oltre a descrivere le fasi di crisi e le
strategie di risposta con gli strumenti e le politiche introdotte, si darà ampio spazio
alla descrizione della revisione dell’architettura istituzionale in seguito alla risposta
alla Grande Crisi. Esso inoltre illustrerà i primi dibattiti di revisione
dell’architettura istituzionale preesistente al fine di completare l’UEM e di
migliorarne la resilienza del sistema di fronte a eventuali crisi future.
Il Capitolo IV prende in esame l’avvento di un’emergenza pandemica che
ha colpito in modo alquanto uniforme l’Unione Europea e che ha provocato
l’interruzione immediata delle attività economiche, con conseguenze drammatiche
senza precedenti. Si tratta di una crisi sanitaria che ha provocato a catena una grave
e repentina recessione economica, minacciando ancora una volta l’integrità
dell’Eurozona. In questo contesto, la risposta europea è stata commisurata all’entità
della crisi. Un piano di ripresa economica di portata senza precedenti viene
introdotto nel 2020, adottando una nuova strategia di attuazione, che allo stesso
tempo comporta un’ulteriore revisione del quadro istituzionale di governance
economica dell’Unione Economica e Monetaria.
Infine, il Capitolo V propone una raccolta di osservazioni emerse da
interviste al fine di arricchire la narrazione teorica illustrata nei capitoli precedenti.
Queste permettono di presentare sotto una lente empirica i principali cambiamenti
istituzionali che hanno modellato la risposta alle due crisi prese in esame, le ragioni
per le diverse risposte sulla base delle circostanze del contesto e, infine, gli scenari
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possibili di evoluzione del quadro istituzionale di governance economica nel
prossimo futuro.
L’obiettivo dell’elaborato sarà, in conclusione, di tracciare la traiettoria di
evoluzione della governance economica dell’Unione Economica e Monetaria per
effetto dei cambiamenti posti in atto per affrontare le principali sfide dalla sua
istituzionalizzazione ai giorni nostri. L’asimmetria tra pilastro monetario
centralizzato e il decentramento della componente economica e fiscale è il risultato
delle volontà politiche nazionali di procedere all’integrazione, ma è anche il chiaro
segnale di divergenze in merito alla direzione politica dell’integrazione economica.
Tale elemento sarà cruciale nel modellare il quadro istituzionale nel corso dei
decenni.
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CAPITOLO I
L’evoluzione dell’integrazione e della governance economica
europea attraverso le teorie dell’integrazione
Il presente capitolo si propone di passare in rassegna la letteratura al fine di
fornire un quadro analitico ed esplicativo per illustrare l’evoluzione
dell’integrazione economica europea attraverso le teorie dell’integrazione. Teorie e
modelli elaborati dagli studiosi sia di Relazioni Internazionali sia di Politica
Comparata forniscono modelli interpretativi al fine di comprendere i processi
politici, istituzionali ed economici che hanno caratterizzato l’integrazione europea
nel corso dei decenni. Il capitolo fornirà pertanto una prospettiva analitica che
permetterà di interpretare nel corso di questo elaborato l’evoluzione
dell’integrazione economica europea e della sua architettura istituzionale.
1. L’evoluzione dell’integrazione economica europea: il periodo
1950-1990 e le grandi teorie
Non esiste un’unica definizione comunemente accettata di integrazione
europea, poiché essa dipende in larga misura dall’approccio teorico adottato e dal
relativo campo di indagine. Per molti decenni, lo studio accademico delle Comunità
Europee - come venivano chiamate negli anni Cinquanta-Sessanta - è stato
praticamente sinonimo di studio dell’integrazione europea. Gli studiosi si
dedicarono infatti allo studio del fenomeno dell’integrazione europea attingendo in
larga misura, ma non esclusivamente, alle teorie delle Relazioni Internazionali,
mentre a partire dagli anni Ottanta anche la Politica Comparata cominciò a
dimostrare il proprio interesse in questo campo.
In generale, gli studiosi dell’integrazione sostengono che l’Unione europea
e i processi di integrazione sono complessi per poter essere catturati in un unico
prospetto teorico, dovuto all’unicità del progetto stesso. Nel corso di questo
capitolo verranno prese in esame quelle teorie e quegli approcci che intendono
9
mettere in luce l’evoluzione dell’integrazione economica ancorata al processo di
integrazione europeo, i quali permetteranno di interpretare concettualmente gli
eventi che hanno influito sul percorso di integrazione economica e monetaria dagli
anni Cinquanta sino ai giorni nostri. Il rapporto tra politica ed economia fu a lungo
oggetto di studio da parte di teorici che arrivarono a sostenere che, mentre
l’integrazione economica potrebbe procedere indipendentemente dall’integrazione
politica, le due cose non possono essere separate dal tutto (Mutimer, 2007, 78). In
questo contesto, il Neofunzionalismo, sviluppatosi a partire dal 1955 per opera di
Ernst Haas
1
costituisce la prospettiva più esaustiva che fornisce un quadro analitico
dell’integrazione economica europea negli anni Cinquanta. Si tratta di una teoria
che pone enfasi sulle dinamiche interne in specifici settori, le quali possono creare
le condizioni per avviare un processo di integrazione più ampio che trasferisce
competenze a istituzioni sovranazionali in aree politiche funzionalmente
strategiche. In chiave neofunzionalista, l’integrazione rappresenta un processo
incrementale che evolve nel tempo ed acquisisce una dinamica propria, con la guida
delle istituzioni sovranazionali in risposta alle richieste provenienti dai gruppi di
interesse nazionali (Niemann, Ioannou, 2015, 197). I neofunzionalisti rimarcano la
distinzione tra high
2
e low politics per sottolineare che i primi tentativi di
integrazione economica coinvolgono quei settori appartenenti alla seconda
categoria, per cui i governi nazionali sono disposti a cederne la sovranità (Øhrgaard,
1997, 5). L’integrazione è quindi una risposta politica distintiva degli attori sociali,
economici e politici alla crescente interdipendenza economica, per cui sono
persuasi a spostare la loro lealtà (shift of loyalty), le loro aspettative e le loro attività
politiche verso un nuovo centro di cui le istituzioni sovranazionali ne richiedono la
giurisdizione (Leška, 2013, 435). L’aspettativa è che, nel momento in cui alcune
funzioni economiche vengono affidate ad organismi centrali, i benefici ottenuti
inducono i governi a centralizzare le relative politiche ed istituzioni (Moravcsik,
2005, 351). Questo concetto permette ai neofunzionalisti di prevedere che
l’integrazione economica europea si sarebbe autoalimentata per effetto del concetto
1
Philippe Schmitter, Leon Lindberg, Stuart Scheingold, Donald Puchala, Joseph Nye sono altri
principali esponenti di questa teoria.
2
I settori di alta politica includono tutte quelle tematiche di natura strategica per gli Stati, come la
politica interna, la sicurezza e la giustizia.
10
di spillover funzionale, secondo il quale le fasi iniziali di integrazione inducono
dinamiche economiche e politiche endogene che alimentano ulteriormente il
processo di integrazione in settori affini (Moravcsik, 1993, 475). Tuttavia, lo
spillover funzionale non è sufficiente a garantire l’avanzamento dell’integrazione,
i neofunzionalisti lo affiancano infatti al concetto di spillover politico, per cui si
verifica la sopracitata shift of loyalty che induce lo spostamento dell’attenzione al
nuovo centro sovranazionale per effetto dei benefici derivanti dall’integrazione
(Wallace et al, 2005, 16). Tale concetto permette di definire il collegamento tra
economia e politica – assunto centrale nella prospettiva neofunzionalista - poiché il
proseguire dell’integrazione economica si riverserà sempre più nella sfera politica,
per cui le istituzioni centrali si estenderanno fino a dare forma a una comunità
politica (Mutimer, 2007, 80). Da queste premesse i neofunzionalisti espongono gli
assunti teorici che giustificano la cooperazione nei settori di carbone e acciaio tra i
Sei mediante la costituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio
(CECA) nel 1951 e l’evoluzione nella Comunità Economica Europea (CEE) del
1957 (Howarth, Quaglia, 2020, 430). Il Neofunzionalismo attribuisce alle
istituzioni sovranazionali e alle spinte sovranazionali il ruolo di principali
promotori dell’integrazione, ne deriva che l’integrazione economica contribuisce
alla proliferazione di istituzioni sovranazionali, quali la Commissione, la Corte di
Giustizia dell’UE e, più recentemente, la Banca Centrale Europea, che si posero
alla guida del processo di integrazione in settori affini creando un nuovo centro
politico tra Bruxelles e Strasburgo (Øhrgaard, 1997, 5). Di conseguenza, i
neofunzionalisti richiamano il concetto di spillover coltivato, generato dalle
preferenze e dagli sforzi attivi degli attori sovranazionali per favorire il processo di
integrazione in settori affini (Howarth, Quaglia, 2020, 435).
Sebbene il Neofunzionalismo si consideri come una delle teorie che fornisce
un quadro concettuale dei primi tentativi di integrazione economica, a partire dagli
anni Sessanta gli studiosi non riuscirono a spiegare il procedere dell’integrazione
europea. Difatti, l’assunto teorico prevedeva che l’imperativo tecnocratico avrebbe
condotto ad una graduale, automatica e profonda integrazione, così come una
maggiore influenza sovranazionale (Moravcsik, 1993, 476). Quello che si osservò
11
fu invece un rallentamento dello slancio integrativo e la riaffermazione del
sentimento nazionalista, che culminò con l’episodio della Crisi della Sedia Vuota
del 1965 ad opera del presidente francese Charles de Gaulle che mise in questione
la veridicità della teoria proposta da Haas e aprì una nuova fase di carattere
intergovernativo con il Compromesso di Lussemburgo raggiunto nel 1966
3
(Rosamond, 2000, 75).
L’Intergovernamentalismo emerge come teoria alternativa al
Neofunzionalismo di Haas per enfatizzare il protagonismo degli Stati Membri nel
processo di integrazione
4
. L’episodio della Crisi della Sedia Vuota indusse gli
intergovernamentalisti a criticare gli assunti generali del Neofunzionalismo,
affermando che gli Stati partecipano all’integrazione europea per perseguire gli
interessi nazionali, per questa ragione occorre porre attenzione prima al ruolo delle
istituzioni e poi anche a quello degli interessi economici sociali, ma senza
dimenticare il ruolo degli Stati
5
. Infatti, gli assunti principali di questa teoria
ribadiscono la centralità degli Stati Membri come unici attori protagonisti nel
processo di integrazione, i quali agiscono in ambito internazionale sulla base dei
loro obiettivi ed interessi nazionali. Gli intergovernamentalisti inoltre sottolineano
che la portata dell’integrazione europea è limitata dall’interesse statale,
dall’interesse all’autoconservazione delle burocrazie degli Stati nazionali, dal
predominio delle identità nazionali e da attori e influenze esterne (Rosamond, 2000,
78). Pertanto, essi, a differenza dei neofunzionalisti, rifiutano l’automaticità del
processo di integrazione per effetto del meccanismo di spillover e ne attribuiscono
gli esiti ai governi nazionali sulla base dei loro interessi (Verdun, 2020, 1).
3
L’accordo raggiunto venne letto come un momento in cui le premesse fondamentali del progetto
di integrazione vennero rinegoziate in favore degli Stati Membri, facendo prevalere il principio
dell’intergovernamentalismo rispetto al carattere sovranazionale custodito nel Neofunzionalismo.
4
L’intergovernamentalismo, i cui pionieri furono Stanley Hoffman e Alan Milward, riprende dalla
teoria del realismo il protagonismo degli Stati nella politica mondiale. Tuttavia, quest’ultima, ai fini
degli interessi di questo elaborato, non viene presa in esame.
5
Nello specifico, l’intergovernamentalismo fino agli anni Settanta non dedica grande interesse
all’integrazione europea poiché considerata come una cooperazione tra Stati dettata da interessi
ingenti e del momento. Pertanto, Hoffman ribadisce che non c’è necessità di spiegare
l’integrazione poiché viene intesa come normale politica internazionale. Solo a partire dagli anni
Ottanta gli intergovernamentalisti iniziano a interrogarsi sul motivo per cui questa cooperazione si
rafforza.
12
L’integrazione viene in questo modo assimilata alla politica internazionale, per cui
avviene tramite negoziati intergovernativi che richiedono il consenso di tutti i
partecipanti e riflettono le preferenze comuni (Rosamond, 2000, 77). Pertanto, alla
luce di quanto appena espresso, gli interessi nazionali costituiscono il fattore
principale per avviare la cooperazione internazionale (Leška, 2013, 437).
Analogamente al Neofunzionalismo, anche l’Intergovernamentalismo si avvale
della distinzione tra alta e bassa politica per spiegare la possibilità di integrazione
in settori tecnocratici e non controversi, noti come quelli di bassa politica, e la
suscettibilità di conflitti in quei settori che coinvolgono l’autonomia dei governi
(Rosamond, 2000, 77). Il caso della rimozione delle barriere per il funzionamento
dei mercati rientra nella categoria di low politics poiché non costituisce una
minaccia per le élite e per gli interessi nazionali; i governi sono quindi disposti a
cooperare in quegli ambiti di bassa politica poiché ciò comporta il mantenimento
del controllo su aree in cui le transazioni interstatali stanno diventando la norma
(Ibidem, 77). Pertanto, l’integrazione settoriale è limitata al settore economico
6
,
Hoffman riconosceva la possibilità di integrazione ma, a differenza del
Neofunzionalismo, questa non avrebbe mai potuto evolvere in integrazione politica
poiché gli Stati non sono disposti a perdere la propria autonomia in alcuni settori
(Ibidem, 79). Per quanto concerne il ruolo delle istituzioni sovranazionali, gli
intergovernamentalisti affermano che le istituzioni europee sono e rimarranno
deboli, poiché non dotate di competenze, risorse, o di sostegno popolare per
espandere il loro potere a spese degli Stati Membri.
Se il decennio degli anni Settanta si caratterizzò per uno stallo nei progressi
della costruzione istituzionale europea, a partire dalla seconda metà degli anni
Ottanta gli studiosi osservarono un’accelerazione del processo di integrazione
economica
7
. La rimozione delle barriere tariffarie, combinata con la ratifica
dell’Atto Unico Europeo
8
(AUE) del 1987 e con la proposta di creazione di un
6
L’integrazione, secondo l’intergovernamentalismo, è limitata al settore economico e in generale
a tutti gli ambiti di low politics.
7
Questa fase del processo di integrazione verrà analizzata nel dettaglio nel capitolo successivo, in
questo ci si limita a menzionare alcuni eventi al fine di presentare il dibattito teorico.
8
L’AUE è un evento importante per comprendere il sovranazionalismo tipico di quel periodo in
Europa, oltre ad essere considerato come lo zenit del Metodo Comunitario poiché precisa
13
Mercato Unico Europeo, così come l’insediamento di una nuova e propositiva
Commissione guidata da Jacques Delors e il nuovo attivismo istituzionale del
Parlamento Europeo posero le basi per un’accelerazione dell’integrazione
economica
9
tra gli Stati Membri, che sfociò in concomitanza con la rinascita della
teoria neofunzionalista
10
(Verdun, 2020, 7). Essa, infatti, fornì la risposta teorica
all’accelerazione che caratterizzò questo periodo mediante il concetto di spillover
11
.
Infatti, ciò che nel ventennio precedente venne identificato come obsoleto, in questo
periodo il Neofunzionalismo si liberò di questa etichetta grazie alla rivisitazione del
vecchio dibattito. A tal fine, durante gli anni Ottanta le due grandi teorie sino ad ora
utilizzate per illustrare il processo di integrazione – Neofunzionalismo e
Intergovernamentalismo – cominciarono ad interrogarsi sul futuro dell’esperimento
europeo e sulla traiettoria di evoluzione. I neofunzionalisti conferiscono
all’evoluzione del processo di integrazione l’etichetta di stato sovranazionale,
mentre gli intergovernamentalisti continuano a vedere l’UE come
un’organizzazione intergovernativa (Rosamond, 2000, 105).
Gli assunti del Neofunzionalismo sembrarono offrire una nuova legittimità
a questa teoria man mano che si manifestarono le logiche del progetto del Mercato
Unico. Dalla metà degli anni Ottanta si osservarono infatti le tre varianti di
spillover. Il progetto di rimozione delle barriere e dei controlli normativi ai fini
della costruzione di un Mercato Unico integrato può essere identificato come
spillover funzionale poiché richiese un’armonizzazione giuridica, nonché una
cooperazione rafforzata in determinati settori e la prospettiva di un’Unione
Economica e Monetaria permetteva di massimizzare l’efficienza economica
ulteriormente il quadro istituzionale sovranazionale definito dal Trattato di Roma (Bickerton et al,
2015, 4).
9
Nell’elaborato si cita solamente l’area di interesse, ovvero la cooperazione economica, sebbene
l’accelerazione dell’integrazione europea interessò anche altri ambiti – dalla politica di coesione,
alla politica ambientale e all’accordo sulle prospettive finanziarie pluriennali.
10
I fautori del Neofunzionalismo riconobbero i limiti epistemologici ed ontologici di questa teoria;
si parla infatti di rinascita del Neofunzionalismo poiché negli anni Ottanta i neofunzionalisti
cercano di analizzare la traiettoria dell’integrazione europea e di capire se il Neofunzionalismo
possa assumere lo status di grande teoria così come avvenne durante il ventennio precedente.
11
È importante rimarcare che il Neofunzionalismo è insufficiente nella spiegazione del processo di
integrazione che si osserva dagli anni Ottanta, poiché comprende anche fattori che possono essere
trattati più adeguatamente con gli elementi chiave dell’intergovernamentalismo.
14
(Ibidem, 100). A questo seguono gli orientamenti positivi in seno al Programma del
1992 per effetto dei diversi gruppi di interesse che diedero prova di uno spillover
di tipo politico (Ibidem, 101). In chiave neofunzionalista, si tratta quindi di
collegamenti funzionali che creano continue pressioni per una maggiore
integrazione e queste ricadute politiche derivano dalle preferenze dei gruppi di
interesse economici in favore alla sovranazionalizzazione delle relative politiche.
Un ulteriore fattore rilevante riguarda l’intervento degli attori sovranazionali, come
il contributo della Commissione Delors ai fini dell’integrazione economica, che
rientra nella categoria di spillover coltivato (Ibidem, 101). In questo contesto,
diversi teorici esaminarono approfonditamente l’iniziativa del Mercato Unico e il
contributo delle istituzioni sovranazionali
12
, rimarcando la rinnovata spinta
all’unificazione per effetto della leadership esercitata dalla Commissione, nonché
l’interazione della stessa con i gruppi interessati al fine di mobilitare le élite
nazionali in favore della creazione del Mercato Unico (Ibidem, 102). Ulteriori
studi
13
evidenziarono che i progressi compiuti a partire dalla seconda metà degli
anni Ottanta non possono essere interamente compresi senza considerare i
cambiamenti strutturali nell’economia internazionale che si riversarono nelle
economie nazionali e fecero sì che le istituzioni sovranazionali si attivassero in
favore di una maggiore integrazione. Infatti, per tutti gli anni Ottanta e Novanta la
Commissione promosse l’integrazione dei mercati insieme all’integrazione
monetaria, insistendo sul fatto che i vantaggi del Mercato Unico non potevano
essere ottimizzati senza l’introduzione di una Moneta Unica
14
(Howarth, Quaglia,
2020, 435).
12
Lavoro di Wayne Sandholtz e John Zysman.
13
Ibidem.
14
In questo caso lo spillover neofunzionalista si sovrappone alla path dependency
dell’istituzionalismo storico, che verrà analizzato nell’ultima parte di questo capitolo. Il lavoro di
Pierson (1996) mise in luce un processo di cambiamento costituito da due fasi. In primo luogo, gli
Stati Membri perdono il controllo del processo di integrazione come conseguenza involontaria
delle ricadute delle attività delle istituzioni sovranazionali. In secondo luogo, gli Stati Membri
possono non riuscire a riaffermare il controllo sulla direzione dell’integrazione a causa
dell’interdipendenza endogena creata dagli sviluppi delle politiche a livello sovranazionale, che
comporterebbero costi di uscita che possono superare i benefici che si possono ottenere
dall’abbandono o dall’inversione di una politica integrata. In tal caso, i governi degli Stati Membri
potrebbero anche accettare un’ulteriore integrazione per ridurre le inefficienze e le esternalità
negative create dall’area politica integrata (Howarth, Quaglia, 2020, 435).