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INQUADRAMENTO DELLA
PROBLEMATICA
I. Il principio di laicità dello Stato: contenuto, declinazioni e applicazioni. – II.
La libertà religiosa nella Costituzione italiana: oggetto e limiti. – III. La libertà
religiosa nella Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
I. IL PRINCIPIO DI LAICITÀ DELLO STATO:
CONTENUTO, DECLINAZIONI E APPLICAZIONI.
Il modello di Stato pluralista descritto dalla Costituzione
repubblicana rinviene nel principio di laicità una delle sue peculiari
manifestazioni
1
.
Il paradigma superprimario da cui quest’ultimo scaturisce è
consacrato dal combinato disposto degli artt. 7, I c., e 8, I c., della
nostra Carta costituzionale, a norma del quale l’eguaglianza delle
confessioni religiose tutte e l’indipendenza dell’ordine statuale
dall’ordinamento canonico conferiscono allo Stato italiano una
1 In tal senso, S. BERLINGÒ, Autonomia e pluralismo confessionali, eguale libertà e sistema
normativo, in AA. VV., Studi per la sistemazione delle fonti in materia ecclesiastica, a cura di
V. TOZZI, Salerno 1993, 62 ss.
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connotazione sostanzialmente aconfessionale, e implicano
aggiuntivamente la garanzia di ampi margini d’autonomia in capo
alle diverse forme cultuali esistenti.
Il pluralismo – derivante dalla constatazione dell’esistenza di
ordinamenti ulteriori rispetto a quello statuale, parimenti meritevoli
di tutela e legittimati all’autoregolazione delle proprie dinamiche
interne (attraverso l’esercizio di un potere normativo tanto piø
ampio quanto piø intenso risulti il grado di riconoscimento della
specifica formazione sociale considerata) – è acquisizione oramai
consolidata dello Stato costituzionale, e presidio di salvaguardia
delle istanze partecipative dell’individuo, nonchØ di ampliamento
dei sui spazi di libertà.
Nell’ambito qui analizzato, tuttavia, la riconosciuta pluralità
ordinamentale si presta tanto alla tutela dell’istituzione
confessionale, quanto alla parimenti rilevante protezione dei suoi
aderenti, che in essa rinvengono la modalità di soddisfacimento di
loro interessi – costituzionalmente fondati – di matrice religiosa e
spirituale
2
.
2 In tal senso, C. MIRABELLI, L’appartenenza confessionale, Padova 1974, 85 ss., nonchØ C.
CARDIA, Pluralismo (dir. eccl.), in Enc. dir., XXXIII, Milano 1983, 984 ss., e G. DALLA
TORRE, La questione scolastica nei rapporti fra Stato e Chiesa, Bologna 1989, 59 ss., ma
anche A. RAVÀ, Diritti individuali e collettivi di libertà religiosa nella Costituzione italiana,
Milano 1959, 54 ss.
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A tale constatazione è agevole pervenire, ove si pensi al postulato
personalistico su cui riposa l’intera architettura costituzionale dello
Stato, e senz’altro prevalente su qualsiasi dimensione istituzionista
(ossia basata sulla preferenza sistematica dell’istituzione rispetto
all’individuo) e finanche normativa.
¨ noto, infatti, che le formazioni sociali – fra le quali vanno
senz’altro annoverate le confessioni religiose – costituiscono un
luogo privilegiato d’espressione della persona, e uno strumento
efficace di contenimento di pretese invasive dell’Autorità statuale,
prestandosi alla realizzazione di bisogni umani non devoluti (nØ
devolvibili) alla cura dello Stato, e conseguentemente impermeabili
a tentativi di costrizione da quest’ultimo eventualmente avanzati:
anche per le religioni, dunque, vale il principio di sottoposizione
alla sovranità della persona umana, ogniqualvolta per loro tramite
l’individuo ottenga un arricchimento del proprio vissuto
3
.
D’altra parte – pur acclarata la preordinazione del pluralismo alla
promozione della persona umana, qui considerata nella sua
dimensione religiosa – l’Assemblea costituente non ritenne di
optare per l’enunciazione di riferimenti espressi alla laicità dello
Stato, per contro esplicitamente richiamata da molte Costituzioni
europee (fra cui quella francese).
3 Lo rammenta S. LARICCIA, Diritto Ecclesiastico, Padova 1986, 54 ss.
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Pur essendosi, quindi, perseguito – a mezzo dell’art. 8 della
Costituzione – il riequilibrio della posizione rivestita dalle diverse
confessioni religiose, l’abbandono del favore prerepubblicano nei
confronti di un sistema tendenzialmente confessionistico risultò
storicamente piuttosto complesso, al punto che soltanto in sede di
revisione dei Patti lateranensi avrebbe avuto luogo la formale
abrogazione della norma attributiva alla religione cattolica della
qualifica di “religione di Stato”.
Fu, pertanto, a partire da queste embrionali acquisizioni positive,
integrate dalla stipulazione delle prime intese con confessioni
acattoliche, che l’opera pretoria della Corte costituzionale pervenne
all’enucleazione del principio di laicità dello Stato, quale supremo
valore immanente all’intero ordinamento giuridico
4
.
Il giudice delle leggi, con successive pronunce, sancì la
spendibilità del principio in discorso a titolo di parametro di
costituzionalità oltrechØ di criterio interpretativo valevole in ogni
4 Il riconoscimento dell’interdipendenza tra forma di Stato e ossequio dovuto al principio in
commento giunse con la sent. n°203 del 12 aprile 1989, la quale richiamò il legislatore ad
un’attitudine non già aprioristicamente indifferente al fenomeno religioso, bensì attivamente
mirata alla «salvaguardia della libertà di religione», attraverso la predisposizione di forme di
collaborazione con le diverse manifestazioni cultuali, non ultime le sovvenzioni di tipo
economico: in tal senso, G. FLORIDIA – S. SICARDI, Dall’eguaglianza dei cittadini alla laicità
dello Stato. L’insegnamento confessionale nella scuola, in Giur. cost., XXXIV/1989, 1086 ss.
e N. COLAIANNI, Il principio supremo di laicità dello Stato e l’insegnamento della religione
cattolica, in Foro it., CXIV/1989, 1340 ss.
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ambito ordinamentale, altresì rinvenendo in esso un vincolo (anche
positivo) alla discrezionalità legislativa dello Stato e delle Regioni
5
.
Fu, ancora, a seguito di un’accurata ricognizione
giurisprudenziale della portata dell’art. 8 Cost. che la laicità dello
Stato venne posta al servizio dell’effettività della libertà –
individuale e collettiva – di professare il proprio culto, e ricondotta
sotto l’egida dell’intangibile principio d’eguaglianza, come
risultante dal complessivo statuto normativo delineato, per le
formazioni sociali aventi finalità ecclesiastica e cultuale, dalla
lettura sistematica degli artt. 3 e 20 della Legge fondamentale
6
.
Nucleo fondativo del concetto di laicità è senz’altro il principio di
separazione degli ordini, il quale – ancorchØ formalmente
riconducibile prima facie al (solo) rapporto tra Stato e Chiesa
cattolica, come lascerebbe intendere il precetto cristallizzato all’art.
7 Cost. – è stato esteso a tutte le relazioni intercorrenti fra la
Repubblica e qualsivoglia confessione religiosa insistente sul
territorio di essa, in quanto finalizzato ad arginare eventuali forme
5 In argomento, v. N. ZANON, Premesse ad uno studio sui principi supremi di organizzazione
come limiti alla revisione costituzionale, in Giur. cost., XLIII/1998, 1895 ss., nonchØ M.
CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano 1995, 141 ss., e F. MODUGNO, I
principi costituzionali supremi come parametro nel giudizio di legittimità costituzionale, in
AA. VV., Il principio di unità del controllo sulle leggi nella giurisprudenza della Corte
costituzionale, a cura di F. MODUGNO,Torino 1991, 247 ss.
6 L. GUERZONI, Problemi della laicità nell’esperienza giuridica positiva: il diritto
ecclesiastico, in Ripensare la laicità. Il problema della laicità nell'esperienza giuridica
contemporanea, a cura di G. DALLA TORRE, Torino 1993, 108 ss.
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di reciproca e indebita ingerenza, piø familiari a regimi
confessionistici, come tali incompatibili con la Costituzione
italiana
7
.
Dall’enunciata rilevanza del principio in commento, la Consulta
ha tratto spunto per dar corso a una copiosa giurisprudenza
costituzionale, preordinata alla riaffermazione – a livello primario –
della laicità dell’ordinamento, e consistita nell’espunzione di istituti
e disposizioni non rispettosi della posizione di neutralità dovuta
dallo Stato nei riguardi di tutte le confessioni religiose
8
.
Emblematica, a tal proposito, la declaratoria d’illegittimità
costituzionale del giuramento del rito civile (nella sua originaria
formulazione), in quanto evocativo di una responsabilità del suo
autore innanzi a Dio, reputata censurabile dalla Corte siccome
impositiva per l’interessato d’un obbligatorio riferimento spirituale
7
Lo chiariscono G. CASUSCELLI, Le proposte d’intesa e l’ordinamento giuridico italiano.
Emigrare per Allah/emigrare con Allah, in Musulmani in Italia. La condizione giuridica delle
comunità islamiche, a cura di S. FERRARI, Bologna 2000, 88 ss., e V. ONIDA, La ricognizione
dei principi costituzionali in materia di religione, in AA. VV. Studi per la sistemazione, op.
cit., a cura di V. TOZZI, Salerno 1993, 37 ss.
8
Oltre che in materia d’insegnamento della religione cattolica (sentt. 203/1989 e 13/1991), la
Corte ha richiamato le Istituzioni all’osservanza del principio de quo nell’ambito delle
pronunce sull’autonomia confessionale (259/1990), sulla nullità del matrimonio concordatario
(421/1993 e 329/2001), sulla tutela penalistica del sentimento religioso (ex multis, 440/1995 e
178/1996), nonchØ sulla questione dell’accesso delle confessioni religiose a sovvenzioni e
contributi economici (ex plurimis, 195/1993 e 178/1996).
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che presidiasse l’importanza dell’atto processuale cui il medesimo
si stesse prestando
9
.
La Corte puntualizzò, in proposito, come allo Stato sia inibito il
ricorso a precetti etico-religiosi in vista del rafforzamento della
persuasività dei propri comandi, a ciò ostando il principio di laicità,
qui declinato come «aconfessionalità» dell’ordinamento, cui non
può concedersi alcuna intromissione nell’ambito della dimensione
piø intima della persona.
La laicità di cui alla pronuncia in commento, pertanto, implica
inevitabilmente la «separazione dell’ordine delle questioni civili e
di quelle religiose», e riconduce l’istituto de quo sotto l’egida dei
valori costituzionali
10
.
9
Nella pronuncia in argomento, la Corte trasse spunto dalla ritenuta incompatibilità
costituzionale dell’originaria formula del giuramento reso nel processo civile – provocata dalla
sua gratuita interferenza con la coscienza personale del giurante, coartato dallo Stato a
conferire all’atto processuale un significato quodammodo soprannaturale e mistico – per
affermare che l’adesione ad un credo religioso possa configurarsi esclusivamente come
estrinsecazione della libertà individuale, sottratta a qualsivoglia «prescrizione obbligante» che
promani da un pubblico potere, e ferma restando (a tal proposito) l’indisponibilità per
l’ordinamento statuale di una differenziazione tra credenti e non credenti, in ragione
dell’estraneità della componente spirituale di ognuno all’ingerenza, piø o meno marcata, dello
Stato medesimo.
Con la sentenza qui rammentata, dunque, è riproposta dal giudice delle leggi la validità del
principio di separazione degli ordini, inteso come impermeabilità reciproca della sfera
temporale e spirituale a tentativi d’invasione provenienti dal di fuori: in tema, v. J. PASQUALI
CERIOLI, L’indipendenza dello Stato e delle confessioni religiose. Contributo allo studio del
principio di distinzione degli ordini nell’ordinamento italiano, Milano 2006, passim.
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L’esperienza religiosa attiene al valore “persona”, e non rappresenta terreno idoneo al
sindacato dell’ordinamento statuale: lo rammenta S. BERLINGÒ, Spunti per una fenomenologia
della rilevanza dell’ordinamento confessionale e dell’ordine pubblico matrimoniale, in Scritti
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Nondimeno, il significato eventualmente religioso del giuramento
non venne, per questa via, integralmente escluso, ma
semplicemente rimesso alla determinazione del singolo giurante,
libero di ricondurre all’atto ogni piø ampia valenza cultuale, se
conforme alla sua non eterodiretta sensibilità religiosa
11
.
Successiva alla sentenza sul giuramento processuale civile fu la
giurisprudenza costituzionale in materia di reati offensivi del
sentimento religioso.
La Corte ebbe gioco facile nell’evidenziare la doverosità di un
trattamento egualmente protettivo nei confronti dei fedeli
professanti qualsiasi culto, mediante estensione generalizzata dei
reati a suo tempo concepiti a tutela dell’allora esclusiva religione di
Stato.
D’altra parte, alla praticabilità dell’opzione additiva fu dalla
stessa Corte ritenuto ostativo l’insuperabile cardine della riserva di
legge in materia penale, che non avrebbe permesso alla Consulta
per Fedele, Perugia 1984, 818 ss., nonchØ V. TOZZI., Società multi-culturale, autonomia
confessionale e questione della sovranità, in AA.VV., Integrazione europea e società multi-
etnica, a cura di V. TOZZI,Torino 2000, 143 ss.
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Sulla separazione degli ordini, e sulla configurabilità di un diritto soggettivo e costituzionale
al rispetto, da parte dello Stato, della propria libertà di coscienza in sede religiosa, v. G. DI
COSIMO, La Corte, il giuramento e gli obiettori (nota alla sent. 334/1996), in Giur. Cost.,
XLI/1996, 2935 ss.