Questa impostazione originaria ha subito però una decisa svolta 
a seguito della lettura delle prime opere sull’argomento
2
 le quali 
hanno indirizzato la mia attenzione verso un diverso periodo 
storico da quello originariamente prescelto, verso cioè il 
quindicennio precedente il conflitto europeo nel quale, come 
vedremo in seguito, maturarono le condizioni che avrebbero 
portato alla guerra di trincea. 
Le riviste militari pubblicate in quegli anni, ed in particolar 
modo la “Rivista militare italiana”, hanno rappresentato da 
subito la fonte primaria della ricerca. Questa scelta, almeno 
inizialmente, era stata imposta dalla scarsità di opere storiche 
sull’evoluzione della tattica nel periodo precedente la guerra, ma 
la sua opportunità è stata confermata dalla ricchezza delle 
informazioni che da esse si sono potute ricavare. Le riviste 
infatti, oltre che ad occuparsi di tattica ed a commentare i 
conflitti del tempo, trattavano anche di tutti gli svariati aspetti 
del mondo militare: dai problemi di avanzamento a quelli di 
istruzione, dal ruolo dell’esercito nella società ai rapporti con il 
movimento socialista, dal problema delle spese militari a quello 
del rinnovo dei materiali, dal problema della leva a quello delle 
scuole di reggimento per gli analfabeti. Non vi era insomma 
                                                           
2
 Tra queste, due sono risultate particolarmente determinanti: Evoluzione della tattica 
durante la grande guerra, di Salvatore Pagano, Torino, SD (1928?) e Note sul pensiero 
militare italiano da fine secolo XIX all’inizio della prima guerra mondiale, di Ferruccio 
Botti, in “Studi Storico militari 1985” e “studi storico militari 1986” Roma, Uff. Storico 
S.M.E., 1986 e 1987. La prima è servita a richiamare la mia attenzione sulle guerre anglo-
boera e russo-giapponese le quali, oltre ad aver avuto rilevanza sull’evoluzione della tattica 
nel periodo prebellico, sembravano aver anche anticipato alcuni caratteri della Grande 
Guerra. La seconda mi ha invece mostrato quale preziosa fonte di informazioni avrebbero 
potuto essere le riviste militari per lo studio del dibattito tattico sorto a seguito di quei due 
conflitti. 
 aspetto del mondo militare che non trovasse eco nelle pagine 
delle riviste
3
 il cui utilizzo ha dunque consentito di ricavare le 
informazioni necessarie per inquadrare il problema 
dell’evoluzione tattica in maniera completa, salvaguardando il 
legame tra l’aspetto materiale e quello umano, tra quello teorico 
e quello pratico. La scelta delle fonti e la decisione di retrodatare 
il periodo coperto dalla ricerca si sono rivelate subito ricche di 
risultati interessanti poiché proprio l’esame dei dibattiti svoltisi 
ad inizio secolo sulle pagine delle riviste ha permesso di stabilire 
una necessaria ed importante premessa. La guerra di trincea, con 
le sue particolari caratteristiche, non fu affatto un avvenimento 
imprevisto ed imprevedibile, o almeno non avrebbe dovuto 
esserlo, poiché essa fu l’inevitabile conseguenza di una lunga e 
costante evoluzione della tattica determinata dagli effetti 
combinati del progresso tecnologico degli armamenti e dello 
sviluppo dei moderni eserciti a coscrizione obbligatoria. Tale 
realtà fu ampiamente conosciuta e discussa negli anni prebellici 
grazie alle esperienze dei conflitti anglo-boero e russo-
giapponese che rappresentarono le tappe più importanti di questa 
evoluzione.
4
 
                                                           
3
 Esse recensivano inoltre molti libri che si pubblicavano in Italia ed all’estero riservando 
anche delle rubriche dedicate ai commenti degli articoli apparsi sulla stampa militare 
straniera. 
4
 La prima guerra mondiale fu preceduta anche da due altri importanti avvenimenti bellici, 
la guerra italo turca e le due guerre balcaniche che però non sono state qui prese in 
considerazione in quanto meno determinanti per lo studio dell’evoluzione tattica. La 
campagna libica del 1911-1912 ebbe infatti un carattere del tutto atipico poiché la 
tradizionale azione militare si dimostrò insufficiente ad ottenere, da sola, una rapida e sicura 
occupazione del territorio ed in nessun caso si ebbe mai una vera battaglia campale tale da 
poter essere paragonata a quelle che si sarebbero verificate nel corso della guerra europea. 
Le due guerre balcaniche furono invece troppo vicine allo scoppio della grande guerra 
perché potesse svilupparsi una seria ed approfondita analisi sulle riviste militari. I primi 
 Dal primo di essi gli studiosi militari europei poterono constatare 
gli effetti derivanti dall’impiego delle moderne armi a tiro rapido 
e delle polveri senza fumo con un’evidenza che non era mai stata 
raggiunta prima di allora. Ne scaturì un immediato e vivace 
dibattito svoltosi attorno al tema dell’apparente superiorità della 
difensiva e dei mezzi più idonei per ridare efficacia all’azione 
offensiva. La guerra russo giapponese, invece, oltre a costituire 
una verifica delle nuove teorie da poco elaborate, introdusse due 
nuovi ed importanti elementi di discussione: l’efficacia della 
fortificazione campale e la conseguente possibilità che il futuro 
conflitto assumesse i caratteri della guerra di posizione. 
Considerati come possibili antecedenti della guerra di trincea, i 
due conflitti sono serviti da modello per analizzare e spiegare i 
passaggi attraverso i quali la tattica approdò a quella particolare 
fase caratteristica della Prima Guerra Mondiale. 
Ma a questo punto la ricerca si apriva a nuove ed interessanti 
questioni. Se realmente le guerre di inizio secolo avevano 
indicato i caratteri della guerra di trincea e se questi erano stati 
accuratamente analizzati e descritti sulle più importanti riviste 
militari del tempo, perché queste conoscenze non furono 
adeguatamente sfruttate per sviluppare una teoria  ed una pratica 
                                                                                                                                                    
articoli di descrizione degli avvenimenti comparvero sulle riviste militari nel 1913 senza 
però che ad essi facesse seguito un dibattito tattico paragonabile a quello succeduto alle 
guerre anglo-boera e russo-giapponese. Le caratteristiche della moderna guerra di 
logoramento ebbero modo di manifestarsi anche durante la guerra di Secessione americana 
ma bisogna considerare che essa fu poco conosciuta e studiata negli anni prebellici sicché 
non poté essere di alcun insegnamento per gli stati maggiori dell’epoca. Negli anni 1900-
1914 si cercherà invano nel più importante periodico militare del tempo, la “rivista militare 
italiana”, un articolo dedicato agli avvenimenti di quel conflitto. 
 militare adeguate? 
La complessità della domanda mi ha consigliato di impostare la 
ricerca su un duplice piano. Da una parte ho esaminato la 
concezione teorica della tattica italiana per verificarne la 
rispondenza rispetto ai nuovi caratteri dell’arte militare emersi 
dal dibattito di quegli anni. E’ stato così possibile appurare che 
la teoria tattica, per quanto rinnovatasi a un livello tale da essere 
considerata equivalente a quella delle altre nazioni europee, non 
fu però in grado di cogliere i veri caratteri della guerra moderna 
ne’ di comprendere le reali difficoltà dell’azione offensiva. Ma 
ancora più rilevante fu l’incomprensione dell’importanza relativa 
ormai assunta dalla battaglia campale, il cui esito incideva assai 
meno che in passato sulle sorti della guerra. Non fu compreso 
che, con l’introduzione della coscrizione obbligatoria e con lo 
sviluppo della produzione industriale di massa, gli eserciti 
disponevano ormai di mezzi sufficienti per riprendersi 
rapidamente da una eventuale sconfitta campale e quindi, in 
assenza di una dottrina militare realmente nuova, la guerra 
avrebbe potuto trascinarsi indefinitivamente concludendosi solo 
attraverso l’esaurimento morale o materiale di uno dei due 
contendenti. 
Il secondo piano di ricerca ha analizzato invece i rapporti tra la 
concezione teorica, espressa dal dibattito tattico e dalla 
normativa ufficiale, e la realtà dell’esercito italiano del periodo 
prebellico. E’ stata questa la fase in cui, individuando i legami 
che uniscono la tattica agli altri aspetti dell’organizzazione 
 militare, è stato possibile mettere in luce una serie di limiti e di 
oggettive difficoltà che impedirono un’adeguata preparazione 
militare rispetto alle esigenze della guerra moderna. Si tratta di 
una questione molto complessa poiché coinvolge svariati aspetti 
del mondo militare come, per citarne solo alcuni, il grado di 
cultura e preparazione del corpo ufficiali e la loro 
predisposizione ad accettare le sfide ed i cambiamenti, la 
disponibilità di mezzi finanziari e di aree addestrative necessarie 
per le esercitazioni, la ridefinizione del ruolo dei sottufficiali, la 
qualità, piuttosto bassa sotto molti punti di vista, delle reclute 
che formavano i ranghi dell’esercito.  
Questi aspetti sono stati colti nella loro relazione con le 
esperienze delle guerre precedenti, con le conclusioni del 
dibattito tattico e con le esigenze che si sarebbero 
successivamente mostrate nel corso del primo conflitto mondiale 
allo scopo di fornire un quadro completo della preparazione 
tattica italiana alla vigilia della Grande Guerra.  
 
Prima di affrontare l’analisi delle questioni appena enunciate mi 
sia consentito di esprimere il mio riconoscimento alle persone 
che mi hanno aiutato in questo lavoro. Desidero ringraziare 
innanzitutto la mia famiglia, che in questi lunghi anni di 
Università mi ha sempre permesso di trovare quella tranquillità 
senza la quale sarebbe stato impossibile conciliare gli impegni di 
studio e di lavoro. Altrettanto riconoscente sono verso il il Dott. 
Andrea Saccoman che mi hanno consigliato ed indirizzato 
 nell’impostazione e nella stesura del presente lavoro. Nè posso 
dimenticare il personale della Biblioteca del Presidio Militare di 
Milano che mi ha oltremodo agevolato nella ricerca e nello 
studio dei libri in essa conservati. Un grazie particolare va anche 
al mio ex-capo Mario sul cui Pc portatile ho scritto questa tesi, 
ed a tutti i miei colleghi di lavoro, che con simpatia ed affetto mi 
hanno sempre spronato a continuare nello studio. In ultimo mi 
sia permesso di rigraziare Francesca che, con pazienza e amore 
ha corretto i miei scritti emendandoli da tutti gli errori che ho, 
purtroppo, qua e là disseminato. 
 CAPITOLO I 
La guerra anglo-boera. 
 
 
I.1 - Le caratteristiche del conflitto. 
 
La guerra anglo-boera ebbe un ruolo importante nello studio 
dell’evoluzione tattica perché ripropose all’attenzione dei 
militari il problema dell’accresciuta efficacia delle moderne armi 
da fuoco e del vantaggio che il loro impiego poteva assicurare 
alla difensiva. Tale effetto, come vedremo più avanti, si era già 
mostrato sia nella guerra franco-prussiana del 1870 che in quella 
russo-turca del 1877, ma non era emerso del tutto chiaramente 
perché offuscato dalle vittorie che gli eserciti attaccanti avevano 
alla fine conseguito. Il valore della difesa, se pur aveva brillato 
in qualche episodio, come il combattimento davanti a Saint 
Privat del 18 agosto 1870, non aveva però incrinato la fiducia 
riposta nell’atteggiamento offensivo che, in fondo, aveva ancora 
permesso, sia ai prussiani che ai russi, di ottenere il successo 
finale. La guerra anglo-boera cambiò invece la prospettiva; la 
vittoria inglese non riuscì a cancellare il risultato che i boeri 
erano riusciti a conseguire adottando una tattica difensiva, e cioè 
tenere a lungo in scacco l’esercito della prima Potenza mondiale 
del tempo. L’efficacia delle armi moderne, sapientemente usate 
dai boeri, apparve allora in tutta la sua evidenza così come 
apparve chiara la necessità di modificare la tattica per le truppe 
 attaccanti se si voleva ridare all’offensiva quella supremazia che 
sembrava aver perso.  
La guerra ebbe inizio nell’ottobre del 1899 e vide contrapposte 
le forze dell’impero inglese, intenzionate a rafforzare ed 
ampliare il protettorato della Colonia del Capo, alle forze delle 
libere repubbliche di Transvaal e Orange, zone anch’esse abitate 
da coloni di origine europea, soprattutto olandese. Gli eserciti 
che si fronteggiavano erano molto diversi per composizione e 
struttura. Il corpo di spedizione inglese era formato da soldati a 
lunga ferma, con una organizzazione ed una teoria tattica molto 
simile a quella in uso presso tutti gli eserciti europei ed era 
composto soprattutto da truppe di fanteria. L’esercito boero, 
invece, era più simile ad una milizia popolare, senza una vera 
struttura militare organizzata fin dal tempo di pace; i comandanti 
dei vari commando (unità base dell’esercito boero, che 
inquadravano ciascuno tra i cinquecento e i duemila uomini) 
erano dei capi civili elettivi, e l’addestramento del tempo di pace 
si limitava solo a delle periodiche istruzioni di tiro. 
L’organizzazione era talmente approssimativa che i soldati non 
disponevano di una uniforme, ma combattevano in abiti civili; 
un’altra caratteristica di questo esercito era quella di essere 
composto da soldati a cavallo; non si trattava di una vera 
cavalleria, ma piuttosto una fanteria montata.
1
 
                                                           
1
 Thomas Packenam, La guerra anglo boera, Milano, Rizzoli, 1982. (Weidenfeld and 
Nicolson Ltd, UK, 1979) pagg. 136-137. 
 Dal punto di vista strettamente militare, gli avvenimenti di 
questa guerra possono essere distinti in tre periodi: una fase 
iniziale (ottobre 1899), che vide i boeri penetrare nei territori 
della Colonia del Capo e porre l’assedio alle città di Kimberley, 
Mafeking e Ladysmith, difese dalle truppe inglesi. Già in questa 
prima fase vi furono degli scontri a fuoco (Talana, Elandsgate, 
Ladysmith) durante i quali si manifestarono le caratteristiche 
della nuova guerra. Una seconda fase (novembre - febbraio) 
iniziò con l’arrivo di una parte del corpo di spedizione inglese al 
comando del generale Buller, il quale mosse in soccorso delle 
città assediate dividendo l’esercito in due colonne: una da lui 
direttamente dipendente puntò in direzione di Ladysmith, l’altra, 
agli ordini di Lord Methuen, puntò in direzione di Kimberly. La 
colonna di Buller venne fermata sulla linea del fiume Tugela 
(battaglie di Colenso, Spion Kop e Vaal Krantz), quella di 
Methuen venne fermata invece nei pressi del fiume Modder 
(battaglie del Modder river e Magersfontein). Questa seconda 
fase è quella durante la quale vennero combattute le battaglie più 
discusse che ebbero larga eco in Europa scatenando l’ampia 
discussione in campo tattico che esamineremo più avanti. La 
terza fase infine iniziò con l’arrivo dei rinforzi comandati da 
Lord Roberts (gennaio 1900) ed ebbe una svolta con la sconfitta 
dell’esercito boero del generale Cronje a Paardeberg. Questa 
vittoria inglese aprì la via all’occupazione dell’Orange (maggio 
1900) e del Transvaal (ottobre 1900). La guerra, continuò ancora 
 fino al 1902, assumendo però l’aspetto di una guerriglia 
partigiana. 
Gli avvenimenti della guerra anglo-boera ebbero immediata eco 
in Italia già a partire dal 1900, dando vita, sulle riviste che si 
occupavano di argomenti militari, a vivaci discussioni  circa la 
validità degli insegnamenti che se ne potevano trarre. 
Caratteristica di queste discussioni è che la parte riservata 
all’analisi ed al commento dei fatti appare di gran lunga 
preponderante rispetto a quella più propriamente descrittiva. Ciò 
può essere spiegato dal fatto che le fonti di informazioni non 
erano dirette, come possono essere ad esempio i rapporti di 
addetti militari, di giornalisti, di reduci o comunque di testimoni 
oculari dei fatti, ma indirette, cioè articoli comparsi sulla stampa, 
soprattutto straniera, in cui gli avvenimenti erano già descritti ed 
a volte anche commentati; ne risultava quindi che, nelle riviste 
italiane,  la descrizione era molto breve, quasi un riassunto per 
sommi capi, o addirittura  veniva omessa del tutto, dando per 
scontato la conoscenza dei fatti da parte del lettore.
2
 Maggior 
spazio veniva dato invece allo studio degli avvenimenti, 
cercando di isolare, tra i vari episodi di quella guerra, quegli 
                                                           
2
 La situazione era ancora tale ad oltre due anni dagli avvenimenti se così poteva scrivere il 
capitano Roberto Segre in un articolo dal titolo Attorno all’impiego dell’artiglieria in 
relazione alle nuove esigenze del combattimento di fanteria e a un più intimo legame fra le 
due armi, Rivista di Artiglieria e Genio, luglio-agosto 1903 (pag. 8) “Così accade proprio 
adesso in cui più fervono gli studi e le polemiche sugli avvenimenti della recente guerra 
anglo-boera. A dire il vero le sorgenti pure alle quali hanno attinto e attingono i ragionatori 
non sono moltissime, per cui si può sperare, almeno, che il limitato numero si compensato 
dalla sincerità”. 
 elementi che erano ritenuti caratteristici e che potevano servire 
per capire le nuove forme che l’arte militare andava assumendo. 
Quasi unica eccezione a questo tipo di approccio furono gli 
articoli di Tristano Fabris apparsi, a partire dal 1899, sulla 
“Rivista militare italiana” che, utilizzando come fonte i resoconti 
ed i commenti apparsi sulla stampa inglese, fornirono alcune 
dettagliate ed interessanti notizie circa la guerra sudafricana. Nel 
numero di Giugno 1900
3
 ad esempio, venne descritto il 
combattimento del Modder River svoltosi nel novembre 
dell’anno precedente tra la divisione inglese comandata da Lord 
Methuen e le forze boere stimate in circa 8.000 uomini. Questo 
articolo è particolarmente interessante perché durante la battaglia 
del Modder, spesso citata nella pubblicistica del tempo, si ebbero 
modo di vedere molte di quelle che poi furono ritenute le 
principali caratteristiche della guerra anglo-boera, e cioè: 
l’efficacia delle nuove armi a tiro rapido, l’invisibilità delle 
sorgenti di fuoco causata dell’impiego della polvere infume, 
l’efficacia dei ripari forniti dalla fortificazione campale 
provvisoria (trincee) e l’apparente superiorità che l’insieme di 
questi elementi dava alla difensiva nei riguardi dell’offensiva. 
La battaglia del Modder River cominciò il mattino del 28 
novembre 1899, con i boeri schierati in difensiva sul fiume Riet, 
al riparo dalla vista e dal fuoco nemico nelle trincee scavate in 
                                                           
3
 Tristano Fabris, La guerra nell’Africa australe, in “Rivista Militare”, giugno 1900, pagg. 
1028-1055. 
 precedenza.
4
 Dopo un primo scontro di avanguardie gli inglesi 
fecero immediatamente entrare in azione la propria artiglieria 
che però riuscì ad ottenere effetti piuttosto scarsi. 
 
durante questo duello gli artiglieri delle due batterie non vedevano 
esattamente le posizioni occupate da Boeri, tanto esse erano bene nascoste 
dagli alberi e cespugli, ne erano svelate dal fuoco di fucileria in causa della 
polvere senza fumo. I cannonieri puntavano all’azzardo i loro pezzi e 
tirarono sulle case del villaggio Modder River, che erano quasi abbandonate, 
mentre le trincee boere rimasero incolumi dalle granate e dagli shrapnels 
degli inglesi.
5
 
 
Nel frattempo il grosso delle forze inglesi, giunto in prossimità 
del nemico, cominciò lo schieramento della propria forza ed 
avanzò verso la zona occupata dai Boeri ma la loro azione fu 
immediatamente bloccata dall’efficacia del fuoco difensivo. 
 
A un tratto, alle 8,10’, le trincee nemiche si animarono da un capo all’altro, 
e ne scoppiò un violentissimo fuoco di fucileria. I proiettili dei Mauser, a 
migliaia, solcavano il piano su cui manovravano le truppe, e queste sorprese, 
falciate da quella inaspettata foga di offese nemiche, oscillarono e finirono 
col fermarsi gettandosi a terra, come in attesa che passasse sulla loro testa la 
micidiale bufera. 
Le compagnie di testa del battaglione scozzese, che trovavansi più vicino ad 
una delle terribili sorgenti di morte, ne furono decimate; la scorta della 
mitragliera di quel battaglione rimase uccisa tutta intorno ad essa (…) 
Quella povera gente (…) rimase per dodici ore rannicchiata o sdraiata su 
quel campo su cui le circostanze l’avevano condotta. Non poteva né 
avanzare, né retrocedere, né muoversi.(...) 
Per meglio ripararsi i soldati erano costretti a scavare colle baionette la terra 
intorno a loro per seppellirsi e diminuire il bersaglio. (...) 
                                                           
4
 “Erano tanto ‘bene nascosti’ scrive il corrispondente del Times, il quale era con gli inglesi, 
‘da non far vedere né uomini, né cavalli, né bandiere, né trincee; i dintorni del fiume 
parevano abbandonati’ “. Ibid., pag. 1031. 
5
 Ibid., pagg. 1032-1033. 
 E’ inutile l’aggiungere che non era possibile il far arrivare ordini su quel 
campo di manovra; il movimento era interamente arrestato, il numero dei 
proiettili boeri, congiunto alla favorevole combinazione del terreno, aveva 
condannato all’inerzia gli assalitori, fiaccato l’impeto del loro fiducioso 
attacco. Nulla di simile erasi veduto nemmeno sotto le trincee turche di 
Plevna, e solo può somigliarvi un momento solo della battaglia di 
Gravelotte, quello in cui la Guardia Prussiana (…), fu falciata nel salire le 
pendici di Saint Privat, su cui stavano schierate le fanterie francesi.
6
  
 
La battaglia si risolse poi a favore degli inglesi, grazie 
all’intervento di una nuova batteria d’artiglieria, e ad un riuscito 
assalto condotto contro l’ala destra Boera che abbandonò, senza 
motivo apparente, il settore che doveva difendere.
7
 
Già da questo primo resoconto emergono quelli che furono, e 
che parvero essere, gli effetti delle nuove armi sul campo di 
battaglia.  
                                                           
6
 Ibid., pagg. 1034-1035. 
7
 Un ulteriore descrizione della battaglia del Modder  può essere trovata in: Thomas 
Pakenham, op. cit., pagg. 233-243. La situazione, descritta nell’articolo di Fabris, in cui si 
trovarono le truppe inglesi a causa del fuoco boero e  l’invisibilità dei loro avversari vi è 
confermata. “Come descrivere, nell’ottica del soldato, le dieci ore di duello? Da parte 
britannica, il materiale per ricostruire la scena non manca. Scrisse Methuen alla moglie. 
‘pensavo, come tutti, che il nemico se la fosse battuta: invece, Kronje e de la Ray (sic) e 
novemila uomini se ne stavano saldamente attestati ad aspettarmi. Di boeri non ne ho visto 
manco uno; ma, anche cavalcando un miglio lontano, mi pioveva attorno una gragnuola di 
pallottole.’ (...). Entrambe le brigate - a est della ferrovia, quella della Guards capeggiata 
dal maggior generale Colvile; a ovest, la 9^, capeggiata dal maggior generale Reggie Pole-
Carew - rimasero inchiodate al veld sotto il fuoco di una schiera invisibile di Mauser e di 
qualche Martini-Henry ‘se uno chiedeva a un compagno un sorso d’acqua’ scrisse Ralph ‘si 
vedeva la borraccia o la mano in atto di passarla, perforata da una dum-dum...E se, per il 
dolore, il soldato alzava la testa, una fucilata gli faceva saltare l’elmetto’. Affamati e 
assetati, tormentati dalle formiche, i soldati rimasero ventre a terra per dieci ore, con una 
temperatura di trentadue gradi all’ombra e con un sole che scottava le gambe degli 
Highlanders in gonnella. Il bisogno di bere divenne tale, che ci fu chi, contravvenendo 
all’ordine di non muoversi, tentò di tornare strisciando ai carri d’acqua. Il tentativo costò la 
pelle a parecchi. Altri esausti o annoiati, s’addormentarono sul posto. Questa la battaglia 
vista dalla parte britannica: dieci ore di fucilate in faccia da un nemico rimasto invisibile”. 
.Sempre a proposito di efficacia del fuoco e invisibilità dei boeri vedasi la descrizione della 
battaglia di Colenso, Ibid. pagg. 271-287. 
 La divisione di Lord Methuen è fermata prima che possa 
avvicinarsi troppo alle linee di difesa boere ed è messa in una 
condizione di immobilità. Può controbattere con difficoltà il 
fuoco nemico perché, a causa della polvere da sparo infume, non 
vede da dove partono i proiettili che la colpiscono e quindi non 
riesce a localizzare le posizioni dell’avversario che inoltre 
costituisce un ben scarso bersaglio essendo riparato dalle trincee. 
Anche l’artiglieria ha difficoltà ad inquadrare e colpire i propri 
obiettivi perché questi sono celati alla sua vista e protetti. I 
vecchi ordini di combattimento mostrano tutta la loro 
inadeguatezza di fronte alla realtà della nuova guerra. I plotoni e 
le compagnie, avanzanti verso il nemico in ordine chiuso, su un 
terreno scoperto, offrono un bersaglio ben visibile anche da 
lontano e fin troppo facile per i moderni fucili a tiro rapido, 
capaci di colpire a distanze ben superiori al chilometro. Il 
risultato è che la fanteria attaccante viene bloccata quando si 
trova ancora molto lontana dal nemico ed è costretta a subire 
notevoli perdite senza poterne infliggere altrettante ai difensori. 
Gli attaccanti, per sfuggire alla loro non invidiabile situazione, 
cercano di trincerarsi, scavando con l’unico strumento di cui al 
momento dispongono, la baionetta, una buca intorno a sè in cui 
ripararsi. Attacco e difesa cercano entrambe nel terreno una 
protezione contro l’offesa del fuoco avversario.