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Capitolo II
2. INTERAZIONE CON I TESSUTI
2.1 MECCANISMI D’AZIONE
Sono stati individuati quattro principali meccanismi di azione (Orgill et al. 2009):
1 macrodeformazione o restringimento della lesione;
2 microdeformazione;
3 rimozione di fluidi;
4 stabilizzazione dell’ambiente della lesione.
Per macrodeformazione s’intende un restringimento della lesione causato dal collasso
dei pori e dalla forza centripeta esercitata sulla superficie della lesione dalla spugna.
L'estensione della contrazione dipende dalla deformabilità della lesione.
Tramite la macrodeformazione, la terapia a pressione negativa permette di avvicinare i
lembi della ferita, distribuire uniformemente la pressione, eliminare l'essudato e il
materiale infetto (Orgill et al. 2009).
La microdeformazione è la deformazione a livello cellulare, che porta a uno stiramento
delle cellule con conseguente aumento della proliferazione e migrazione cellulare e
promuove la formazione di tessuto di granulazione (Saxena et al. 2004).
Altro meccanismo d’azione della terapia a pressione negativa è la rimozione dei fluidi.
Nel corpo i fluidi sono divisi fra tre compartimenti: intravascolare, intracellulare ed
extracellulare. Eccessivo fluido in quest’ultimo compartimento è definito edema.
Il fluido extracellulare è drenato dal sistema linfatico e la distruzione di questo può
portare a linfedema. Spesso le lesioni croniche e l’edema sono concomitanti. L’eccesso
di fluido è un fattore sfavorente la guarigione, dovuto all’effetto compressivo sui tessuti
e sulle cellule impedendo a esse di generare una tensione intrinseca e di indurre una
risposta proliferativa (Huang et al. 2014). Applicando la terapia a pressione negativa si
riduce il fluido extracellulare. Il fluido rimosso, riduce la compressione sulla
microvascolarizzazione, ottimizzando la perfusione tissutale e aumentando l’afflusso di
sangue nella lesione (Orgill et al. 2009).
Inoltre, la terapia a pressione negativa stabilizza l’ambiente della lesione (Orgill et al.
2009). La schiuma in poliuretano e la pellicola semiocclusiva hanno un’azione
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d’isolamento termico e mantengono il calore ottimale sulla ferita. La medicazione è
impermeabile alle proteine e microorganismi, riducendo il rischio di contaminazione e la
pellicola è poco permeabile al vapore acqueo e altri gas aiutando così a mantenere uno
stabile ed umido ambiente della lesione (Huang et al. 2014).
2.2 LA TERAPIA A PRESSIONE NEGATIVA E LA GUARIGIONE DELLE FERITE
La terapia a pressione negativa si è sviluppata dai principi base della guarigione delle
ferite (Orgill et al. 2009).
La guarigione delle ferite può essere suddivisa in quattro fasi.
1. La fase emostatica è caratterizzata dall'azione dei trombociti e l'attivazione dei fattori
tissutali della coagulazione con successiva formazione del coagulo, struttura costituita
da fibrina (Gurtner et al. 2008). In questa fase la terapia a pressione negativa genera
pressione nel tessuto sottostante il letto della ferita e comprime piccoli vasi sanguigni
(Huang et al. 2014).
L‘applicazione della terapia a pressione negativa richiede che l’emostasi sia quasi
terminata, ponendo attenzione nei pazienti con coagulopatie (Banwell 2005).
2. La fase infiammatoria provvede all’eliminazione dell'agente microbico, degli eventuali
corpi estranei, ma anche all'attivazione dei fattori che sono alla base dei processi
proliferativi. Comporta vasodilatazione ed essudazione plasmatica e la proliferazione di
leucociti polimorfonucleati che provvedono alla detersione della ferita. La reazione
infiammatoria dura 4-6 giorni (Gurtner et al. 2008). La terapia a pressione negativa
modula l’infiammazione della ferita, mentre rimuove leucociti infiltrati rimuovendo
l’essudato (Nuutila et al. 2013).
3. Segue la fase proliferativa che dura circa 21 giorni, caratterizzata dalla proliferazione
cellulare delle strutture epiteliali, endoteliali e connettivali che formano il tessuto di
granulazione (Gurtner et al. 2008).
Dall'endotelio, prende avvio la produzione di abbozzi cellulari che, seguendo
l'impalcatura formata dalla rete di fibrina, si portano verso la zona centrale dove si
saldano con quelli provenienti dal lato opposto in vasi sanguigni; si costituisce, in tal
modo, una nuova rete vascolare.
Dal connettivo avviene la proliferazione dei fibroblasti che secernono acido ialuronico,
elemento attivo nella formazione delle fibre di collagene, strutture che prenderanno il
posto dei filamenti di fibrina avvicinando i margini della ferita. Dai fibroblasti originano,
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inoltre, le miofibrille, fibre dotate di elevata capacità contrattile attive nel ridurre il volume
della ferita. Intorno alla terza settimana, i fibroblasti scompariranno dando avvio
all'ultima fase, quella del rimodellamento. Contemporaneamente alle altre, inizia anche
la proliferazione delle cellule dello strato basale dell’epitelio che ha l’importante funzione
di copertura della ferita. In questa fase la terapia a pressione negativa con la
deformazione delle cellule e lo stiramento aumenta la proliferazione e la crescita del
tessuto di granulazione (Saxena et al. 2004). Stimola l’angiogenesi rimuovendo i fattori
inibenti, aumenta la pressione nel tessuto al di sotto della superficie della ferita e
comprime i piccoli vasi sanguigni (Erba et al. 2011).
Una diminuzione della perfusione locale comporta un gradiente d’ipossia nel tessuto
della lesione. L’ipossia stimola la produzione del VEGF (fattore di crescita dell’endotelio
vascolare). L’aumento del VEGF aumenta la crescita vascolare (Gurtner et al. 2008).
4. L’ultima fase è il rimodellamento che coinvolge il rinnovo del collagene con le fibre
orientate lungo le linee di forza, aumentando la resistenza della ferita (Gurtner et al.
2008).
In questa fase la terapia a pressione negativa aumenta la produzione e la maturazione
del collagene (Saxena et al. 2004).
2.2.1 FATTORI CHE POSSONO INFLUENZARE LA GUARIGIONE
L'elemento chiave nella scelta della terapia appropriata per la gestione di una ferita,
consiste nel compiere un’approfondita valutazione iniziale. Bisogna tener conto, infatti,
che la velocità di guarigione di una ferita varia da individuo a individuo ed è influenzata
da numerosi fattori (www.ewma.org):
• fattori relativi al paziente;
• fattori relativi alla ferita;
• abilità e conoscenze dell’operatore sanitario;
• risorse e fattori relativi al trattamento.
E' stato dimostrato che fattori fisici relativi al paziente come il diabete mellito, l'obesità,
la malnutrizione, l'età avanzata, la perfusione ridotta, la vasculopatia periferica, le
neoplasie, l'insufficienza d'organo, la sepsi e le restrizioni della mobilità, possono
influenzare fortemente il processo di guarigione (www.ewma.org).
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Il processo infiammatorio è parte integrante della guarigione delle ferite acute e
l’alterazione di tale processo è una delle cause primarie di cronicizzazione della ferita.
Condizioni di immunodeficienza, uso di farmaci immunosoppressori (corticosteroidi o
metotressato) o la presenza di malattie come il diabete mellito, sono tutte circostanze
che possono influire negativamente sulla guarigione e aumentare il rischio di sepsi della
ferita (Burns e Pieper 2000).
Anche fattori psicologici possono influenzare la guarigione. Uno studio di Cole King et
al. del 2001 ha dimostrato che ansia e depressione possono essere associate ad un
ritardo di guarigione nelle ulcere degli arti inferiori. In questo studio è emerso che su 16
pazienti con diagnosi di ansia, 15 hanno avuto una guarigione ritardata, una guarigione
lenta è stata riscontrata anche in tutti e 13 i pazienti colpiti da depressione.
Fattori relativi alla ferita che possono influenzare la guarigione sono: le dimensioni
(superficie e profondità della ferita), condizioni del letto della ferita, presenza di
infezione/infiammazione e ischemia (www.ewma.org).
Studiando le ulcere venose degli arti inferiori, Margolis et al. nel 1999 hanno rilevato
l’importanza della superficie e della profondità nel determinare l’esito di guarigione.
Studiando pazienti con ulcere del piede diabetico, hanno concluso che le dimensioni
dell'ulcera maggiori di 2 cm
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, la durata maggiore di 2 mesi e la profondità (penetrazione
fino a strutture esposte, tendini, legamenti, ossa) erano i tre più importanti fattori
predittivi dell’esito. I pazienti che presentavano tutti e tre i fattori avevano solo il 22% di
probabilità di guarigione a 20 settimane.
Per la natura fisiologica del processo di guarigione è inevitabile che le ferite più estese
necessitino di più tempo per guarire. Più a lungo rimane aperta la ferita maggiore è il
rischio di complicanze, come l’infezione (Gurtner et al. 2008).
Altro fattore relativo alla ferita è la condizione del letto della ferita, dove, la presenza di
tessuto necrotico rappresenta un ostacolo nella valutazione della lesione, oltre ad
essere un fattore predittivo di guarigione ritardata e possibile focolaio di infezione
(www.ewma.org).
La presenza di batteri nel tessuto della ferita stimola l’infiammazione cronica, l‘aumento
di citochine proinfiammatorie e di enzimi proteolitici. L’eccessiva attività di questi enzimi
provoca la distruzione della matrice extracellulare e l’inattivazione dei fattori d crescita.
Terzo fattore che può influire sulla guarigione delle lesioni è l’abilità dell’operatore
sanitario e la sua capacità di giudicare la complessità della ferita (www.ewma.org).
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Uno studio di Morgan e Moffatt del 2008 riguardava le reazioni del personale nei
confronti di ferite che non guarivano. Dallo studio è emerso che gli operatori sanitari
spesso non riuscivano ad accettare a livello emotivo il fatto di non essere in grado di
guarire la ferita. Questo senso d’impotenza può indurli ad adottare strategie di difesa:
ad esempio, non fornire continuità di trattamento o a responsabilizzare il paziente.
Anche le risorse disponibili sono un fattore importante. La presenza di protocolli relativi
alle cure delle ferite finalizzati ad un trattamento adeguato di esse riduce le decisioni
prese in base alle abitudini e alle informazioni soggettive, molto spesso non appropriate
(www.ewma.org).