L’astrologia e il potere nella Roma repubblicana e imperiale 
Introduzione 
 4
Ma gli insegnamenti di Posidonio e i sottili calcoli politici degli uomini che si 
giocavano i destini di Roma contribuirono enormemente alla sua diffusione. Usata nella 
lotta per la successione e come strumento di propaganda politica, l’astrologia diventò 
persino uno strumento diplomatico: i principes se ne servirono, talvolta con profitto, nei 
loro rapporti con le dinastie orientali, spesso con l’aiuto di consiglieri-astrologi, di cui la 
storiografia imperiale è piena. 
 
Ma per spiegare le trasformazioni che l’astrologia subì a contatto con la cultura romana, 
metodologicamente è prima necessario analizzare la genesi e lo sviluppo di questa 
disciplina in altre realtà storiche con cui il mondo romano entrò in contatto. 
 L’astrologia nacque nella regione meridionale della Mesopotamia, nota come 
Caldea, e qui fu al completo servizio del potere. Il tratto caratteristico dell’astrologia 
mesopotamica fu l’ufficialità: i sacerdoti-astrologi traevano i presagi astrologici in 
maniera sistematica e li raccoglievano in archivi che poi erano messi a disposizione del 
sovrano. 
 Anche l’Egitto fu considerato dalle fonti classiche come patria dell’astrologia; 
tuttavia le testimonianze archeologiche ed epigrafiche non ci danno motivi per sostenere 
l’esistenza di una tradizione astrologica egizia antica quanto quella mesopotamia. 
Probabilmente si tratta di un equivoco, dovuto al fatto che in Egitto esisteva una scienza 
astronomica avanzatissima, mentre l’interesse per l’astrologia si diffuse solo a partire 
dall’età ellenistica, sotto il dominio greco. 
 In effetti, il periodo di massima diffusione dell’astrologia nel mondo greco fu 
proprio l’ellenismo. In seguito alle conquiste di Alessandro Magno, che abbatterono le 
barriere linguistiche e culturali tra Oriente e Occidente, la scienza del cielo divenne di 
L’astrologia e il potere nella Roma repubblicana e imperiale 
Introduzione 
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gran moda, come testimoniano le numerose pubblicazioni a contenuto astronomico che 
videro la luce nel corso del III sec. a.C.: su tutte, spiccano le Storie Babilonesi di Beroso 
e i Fenomeni e i pronostici di Arato. 
 Infine l’astrologia ricevette dallo Stoicismo una propria dignità filosofica, alla 
stregua delle altre forme di divinazione, sulla base del concetto di simpatia universale e 
di interdipendenza tra i vari settori della realtà. Non tutti però credevano nell’astrologia: 
le altre scuole filosofiche attaccarono su più fronti i postulati fondamentali di questa 
disciplina. Ma grazie a queste critiche e soprattutto grazie al contributo determinante 
della scuola di Alessandria, il cui massimo esponente fu Claudio Tolomeo, l’astrologia 
poté raffinare le proprie tecniche e definire i propri metodi e il proprio statuto. 
 Una peculiarità della cultura greca fu quella di non interessarsi tanto dei rapporti 
tra l’astrologia e il potere, ma piuttosto alla speculazione pura, a differenza di quanto era 
avvenuto in Mesopotamia. Inoltre, mentre i presagi astrologici mesopotamici 
riguardavano esclusivamente il sovrano e la collettività, i primi oroscopi individuali a 
noi noti furono redatti per individui greci. 
 
Fu solo dopo questo lungo percorso che l’astrologia giunse a Roma, dove, dopo essere 
stata rielaborata sulla base delle esigenze locali e delle esperienze precedenti, ritornò al 
servizio del potere
3
. Se la cultura romana non accettò mai ufficialmente l’astrologia, 
valutò attentamente i benefici ideologici che da essa poteva trarne e i pericoli che da 
essa poteva aspettarsi. 
                                                          
3
 Non trascurabile fu il contributo dato alla causa dell’astrologia da un culto particolarmente diffuso a 
Roma e nelle province occidentali durante l’età imperiale: il culto di Mitra, i cui misteri e in generale tutta 
l’iconografia ebbero una forte connotazione astrologica. 
L’astrologia e il potere nella Roma repubblicana e imperiale 
Le origini: l’astrologia mesopotamica 
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CAPITOLO 1 - LE ORIGINI: L’ASTROLOGIA MESOPOTAMICA 
 
1. Gli oggetti della divinazione mesopotamica 
 La Mesopotamia è indicata concordemente dalle fonti antiche come la patria 
dell’astrologia. Ma prima di esaminare la documentazione indiretta partiamo da un dato 
certo: in Mesopotamia nacque la scrittura ed è dalla Mesopotamia che ci sono le prime 
testimonianze del politeismo. Ora, in un mondo concepito per mezzo di dèi, la 
divinazione era un mezzo di comunicazione privilegiato con la divinità. A partire dal 
primo periodo babilonese, presagi di ogni genere furono messi sistematicamente per 
iscritto e raccolti in “libri” che oggi rappresentano, per il solo numero di testi, la più 
ampia categoria di letteratura accadica giunta fino a noi. 
 Coloro che praticavano la divinazione erano uomini influenti e tenuti in alta 
considerazione nella stessa società in cui vivevano, al punto che venivano consultati in 
ogni occasione importante. L’esercito era sempre accompagnato da un divinatore che 
nel primo periodo babilonese sembra abbia avuto anche le funzioni di comandante
4
. 
 In Mesopotamia fu utilizzata una grande varietà di tecniche divinatorie, quali 
l’osservazione delle viscere degli animali, dell’olio galleggiante sull’acqua, del fumo 
dell’incenso, del comportamento degli uccelli e degli altri animali, oltre che dei 
fenomeni celesti o naturali di qualche altro tipo. Ma tra tutte le forme di divinazione, 
quella per cui la Mesopotamia fu più famosa nell’antichità è senza dubbio l’astrologia
5
. 
L’importanza data agli astri dai Sumeri e in seguito dagli Assiri e dai Babilonesi è 
testimoniata dal fatto che il carattere grafico con cui nella scrittura cuneiforme si 
                                                          
4
Per esempio, un certo Aqbahammu, indovino del piccolo stato di Karana, dapprima sposò la figlia del re, 
ma poi cacciò il cognato dal trono (Dalley - Walker - Hawkins, The Old Babylonian Tablets from Tell al 
Rimah, Londra, 1976,  p. 33). 
5
Come si vedrà in seguito, gli astrologi a Roma furono etichettati spesso con il termine “Chaldaei”. 
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Le origini: l’astrologia mesopotamica 
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rappresentava la parola “Dio” era lo stesso usato per “stella”, “astro” e “costellazione”. 
La sede degli dèi era il cielo
6
: era lì che bisognava ricercare i loro messaggi. 
 
2. I primi testi astrologici 
 “Da molto tempo i Caldei hanno condotto osservazioni sulle stelle e, primi tra 
tutti gli uomini, hanno indagato nella maniera più accurata i movimenti e la forza delle 
singole stelle; per questo essi possono predire molto il futuro degli uomini”. Diodoro 
Siculo inizia così
7
 la descrizione delle conoscenze astronomiche dei Babilonesi. A 
Diodoro fanno eco Cicerone, Plinio e molti altri scrittori classici
8
, tutti concordi 
nell’attribuire agli abitanti della Mesopotamia tale primato. Per Diodoro i Caldei 
sostenevano di dedicarsi allo studio delle stelle da oltre 473.000 anni, per Cicerone da 
470.000; Plinio riferisce l’opinione di Epigene  di Bisanzio (720.000 anni), di Beroso e 
Critodemo (490.000 anni). Sono dati inverosimili, che infatti gli autori appena citati 
accolgono con scetticismo, ma che legano concordemente l’astrologia al mondo 
mesopotamico. 
 Ma senza scomodare ulteriormente gli autori classici, che sono pur sempre una 
fonte indiretta, è preferibile rintracciare le testimonianze dirette forniteci dalla cultura 
mesopotamica: ad essa appartengono i più antichi testi di carattere astronomico e 
astrologico. Il primo compendio babilonese di astronomia, una serie di 3 tavolette 
denominata “mul-apin” (“stella dell’aratro”), elenca 18 costellazioni situate su tre 
“sentieri” paralleli (la “strada di Enlil, la strada di Anu e la strada di Ea”, ovvero il cielo 
                                                          
6
Questa affermazione trova un riscontro nell’ideologia degli ziqqurat. Lo ziqqurat, modello in miniatura 
della montagna cosmica, era il luogo privilegiato del rapporto tra l’uomo e la divinità, in quanto era più 
prossimo al cielo. In fondo gli Ebrei accusavano i Babilonesi di superbia perché volevano ridurre, con la 
torre di Babele, la distanza tra l’uomo e la divinità. Inoltre molti testi babilonesi affermano che gli dèi 
hanno una casa in cielo, di cui il tempio è solo un pallido riflesso in terra. 
7
Diodoro, Biblioteca Storica, II, 29. 
8
Cicerone, De divinatione, I, 19 e II, 46; Plinio, Naturalis Historiae, VII, 57; ecc. 
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Le origini: l’astrologia mesopotamica 
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settentrionale, la fascia equatoriale e il cielo meridionale) e descrive i moti della Luna e 
dei pianeti. Queste tavolette risalivano ad un periodo imprecisato anteriore al 1000 a.C. 
ed erano conservate nella biblioteca di Assurbanipal. 
 Una grande serie lessicale chiamata “ur5-ra = hubullu”, che risale all’incirca al 
1800 a.C., registra solo 20 nomi di stelle, rispetto alle 4.000 del periodo neo-babilonese, 
e sembra quindi attestare che i Sumeri avessero dedicato poca attenzione all’astronomia. 
 Ma l’astrologia era probabilmente già praticata attorno al 2200 a.C., all’epoca di 
Gudea di Lagash. Gudea riceve in sogno l’ordine di costruire un nuovo tempio per il dio 
poliade Ningirsu, l’Eninnu ma, non sapendo come fare, chiede lumi alla dea Nanshe, 
l’interprete degli dèi, raccontandole il sogno. Il primo personaggio descritto da Gudea è 
Ningirsu, ma poi ci sono altre due figure che potrebbero avere una funzione 
astrologica
9
. “Poi un sole spuntò per me all’orizzonte, una figura femminile, che in una 
mano teneva uno stilo d’argento e sulle ginocchia una tavoletta con le stelle del cielo. 
Un secondo personaggio con il braccio piegato teneva una tavoletta di lapislazzuli su 
cui disegnava la pianta del tempio”
10
. La dea Nanshe spiega a Gudea che la figura 
femminile è la dea Nisaba, mentre il secondo personaggio è Nindub, il dio architetto. In 
seguito, lo stesso Ningirsu promette a Gudea: “Gudea, ti darò il segno per la costruzione 
della mia casa, le pure stelle del cielo per i miei riti chiamerò a raccolta”
11
. La menzione 
della tavoletta con le stelle del cielo implicherebbe una divinazione su base astrologica e 
le “pure” stelle del cielo comporterebbero un buon presagio. L’intervento di Ningirsu 
ma anche l’appellativo della dea Nisaba, che nel pantheon sumerico presiede alla 
scrittura e all’agricoltura (ha in mano la “canna mensoria” e lo stilo per incidere le 
                                                          
9
Landsberger, Einige unerkannt gebliebene oder verkannte Nomina des Akkadischen, “Welt des Orients”, 
3, 1953, p. 73 e Falkenstein, Wahrsagung in der sumerischen Überlieferung, in “La divination en 
Mésopotamie ancienne”, XIV Rencontre Assyriologique Internationale, Strasburgo, 1966, pp. 65 ss. 
10
Gudea, Cil. A IV 22 - V 4. 
11
Ibid., IX, 9-10. 
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Le origini: l’astrologia mesopotamica 
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tavolette), come “colei che tiene sulle ginocchia la tavoletta con le pure stelle del cielo”, 
si prestano ad una interpretazione astrologica. 
 I più antichi riferimenti alle costellazioni zodiacali si possono rintracciare già nel 
poema di Gilgamesh
12
 che, nella forma conservata, è composto da 12 canti: lo Zodiaco 
in esso menzionato allude alle costellazioni del Toro
13
, dei Gemelli, del Leone, alle 
“Chele” (ossia l’odierna Bilancia), allo Scorpione, ai Pesci, alla stella più luminosa della 
Vergine (Spiga), al “Pesce-Cinghiale” (il Capricorno dei Greci), e infine ad un segno 
chiamato “Il Mercenario” (forse l’Ariete). 
 L’“Enuma Elish”, il poema della creazione che veniva recitato a Babilonia in 
occasione della festa di capodanno
14
, racconta come Marduk abbia raggiunto il ruolo di 
suprema divinità del pantheon babilonese, sconfiggendo Tiamat (il caos primordiale) e 
rendendo innocuo l’esercito di formidabili mostri che lo accompagnavano 
(trasformandoli in costellazioni). Con la sconfitta di Tiamat hanno inizio lo spazio, il 
tempo e comincia la costruzione di Babilonia, ad opera degli dèi. 
 In questo mito cosmogonico non mancano i riferimenti al cielo stellato. Per 
mettere alla prova i poteri di cui hanno investito Marduk in vista dello scontro finale, gli 
dèi creano una costellazione e chiedono a Marduk di farla scomparire e riapparire. 
Marduk riesce nell’impresa (origine del giorno e della notte) e riceve le insegne regali, 
con cui va a sconfiggere Tiamat. Marduk divide Tiamat in due parti, una delle quali 
diventa la volta celeste, l’altra la terra. In seguito, Marduk fa pascolare tutti gli dèi e il 
bestiame minuto, fissa e suddivide l’anno, introduce i 12 mesi e le “stelle Lumashi” 
                                                          
12
È l’opera più lunga della letteratura babilonese e racconta le avventure di Gilgamesh, leggendario re di 
Uruk alla ricerca dell’immortalità. 
13
Il Toro era allora il primo segno zodiacale. A causa della precessione degli equinozi, 2400 anni fa il 
punto Gamma, che segnava l’inizio della primavera, si trovava nel Toro. Si vedrà in seguito (nel capitolo 
sul mitraismo) l’importanza di questo fenomeno. 
14
La forma in cui ci è pervenuto l’Enuma Elish  non è anteriore all’età cassita (XVI-XII secolo a.C.). 
L’astrologia e il potere nella Roma repubblicana e imperiale 
Le origini: l’astrologia mesopotamica 
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(ossia le stelle che rappresentano i pianeti), fissa gli 11 alleati del mostro Tiamat 
(l’Uomo-Scorpione, l’Uomo-Pesce sono segni zodiacali, mentre altri 2-3 asterismi sono 
esterni allo zodiaco). La terra e il cielo sono immobili, mentre gli astri si muovono 
secondo tracciati prestabiliti, la maggior parte dei quali è sorvegliata da Marduk (situato 
al polo) o da Ea (che troneggia a sud, sul mare). Gli astri rimanenti sono sorvegliati da 
Anu. Marduk crea “Shamash” (il Sole), “Sin” (la Luna) e i pianeti: Giove (sotto la tutela 
dello stesso Marduk), Venere (affidata a Ishtar), Saturno (affidato a Ninib), Marte 
(l’astro di Nergal) e Mercurio (l’astro di Nabu)
15
. Per dimostrare la loro gratitudine, gli 
altri dèi iniziano la costruzione di Babilonia e dell’Esagila. Il poema termina con 
l’enumerazione dei 50 titoli onorifici di Marduk. 
 
3. L’Enuma Anu Enlil 
 Ma il vero progresso dell’astrologia babilonese si ebbe nel corso del primo 
millennio. Evidenza di questo aspetto dell’attività scribale è reperibile soprattutto in un 
gran numero di testi conservati nella biblioteca che Assurbanipal (668-627 a.C.) aveva 
creato a Ninive. 
 Tutti i documenti astrologici reperiti nella biblioteca di Assurbanipal risalgono 
ad un’unica opera di almeno 70 tavole, chiamata convenzionalmente “Enuma Anu 
Enlil” (“Quando Anu ed Enlil”), dalle prime parole che vi si leggono. L’età ed il titolo 
sono ignoti, ma molte delle tavolette sono indicate espressamente come copie
16
, e 
poiché nei frammenti sopravvissuti si possono distinguere almeno 2 recensioni, si 
                                                          
15
È interessante confrontare questo elenco con la lista completa dei pianeti caldei riportata da Aristotele 
(Metaph., XI, 8, 7). 
16
Una tavoletta, che porta la firma di un certo Ishtar-Nadin-Habal, “capo degli astrologi di Arbela... che 
restituì conformemente ai termini di una tavoletta che non esiste più”, menziona esplicitamente una 
versione più antica. 
L’astrologia e il potere nella Roma repubblicana e imperiale 
Le origini: l’astrologia mesopotamica 
 10
ritiene generalmente che essa sia stata rimaneggiata e abbia una datazione certamente 
anteriore al VII secolo a.C. 
 I testi, scritti con uno stile molto semplice e asciutto, sono in lingua assira, 
riproducono una scrittura assira o babilonese
17
 e giungono anche alle 150 righe e 
occupano 2 colonne per ogni lato della tavoletta. L’inizio di ogni presagio è redatto allo 
stesso modo degli articoli del codice civile, in modo che ogni presagio astrologico, il 
quale di regola inizia una nuova riga, sia composto di una proposizione al condizionale 
alla protasi (“se...”) e del risultato della profezia all’apodosi (“allora...”); spesso è 
aggiunta l’osservazione della condizione (p. es.: “in realtà la luna è stata osservata così 
al primo giorno”). 
 Il contenuto era ordinato in modo sistematico: le prime 22 tavole riportavano 
osservazioni della Luna, seguite da osservazioni del Sole (tav. 23 ss.), presagi per giorni 
foschi (tav. 37) e notti buie (tav. 38), presagi tratti dai venti e dalle condizioni 
meteorologiche (tav. 45-50), osservazioni di Marte (tav. 56), Venere (tav. 58-61), Giove 
(tav. 65), Saturno (tav. 69 ss.)
18
. 
                                                          
17
Le copie ancora esistenti dell’enuma Anu Enlil in realtà vennero scritte a Babilonia, a Borsippa, a 
Dilbat, a Ninive, ad Assur e a Kalhu (la moderna Nimrud). Il Boll, dalla presenza di certi costrutti 
grammaticali e dalla posizione di alcune parole, (Boll-Bezold-Gundel, Storia dell’astrologia, 1933) 
dedusse che l’Enuma Anu Enlil fosse una traduzione in assiro-babilonese di testi sumerici risalenti al III 
millennio a.C. Secondo J. Oates (Babilonia. Ascesa e decadenza di un impero, 1984), l’Enuma Anu Enlil 
avrebbe invece acquistato la sua forma definitiva soltanto in epoca cassita (XVI-XII sec. a.C.). 
18
I pianeti ebbero un ruolo anche al di fuori del campo strettamente astrologico: sulla sommità dei 
“kudurru”, le stele confinarie babilonesi attestate a partire almeno dal XIV sec. a.C. e indicanti speciali 
concessioni sovrane, era frequentemente raffigurata la triade Luna-Sole-Venere (sotto forma di una 
mezzaluna con due dischi con 4 o 6 raggi) con gli altri 4 astri erranti (Giove, Saturno, Marte e Mercurio). 
Sono giunti fino a noi più di 80 kudurru, dal XIV al VII secolo a.C., soprattutto da Sippar e Babilonia. I 
kudurru, che indicavano una speciale concessione sovrana, costituivano dei veri e propri documenti 
ufficiali emessi dal re, o occasionalmente da alti dignitari, per proclamare pubblicamente la concessione 
ad una particolare persona di un certo pezzo di terra. Il kudurru veniva collocato nella proprietà in 
questione, mentre copie su tavolette d’argilla erano depositate nei templi per assicurare la conservazione 
del documento. Su queste pietre, oltre alle divinità planetarie, era scolpita a bassorilievo una gran quantità 
di altri simboli: il sovrano assieme al beneficiario della concessione, formule di maledizione per chi 
avesse rimosso o demolito il kudurru, ecc. I pianeti raffigurati sui kudurru potrebbero avere avuto la 
funzione di testimoniare e garantire (a livello per così dire “cosmico”) l’inviolabilità dei confini stabiliti 
dal sovrano: lo spostamento di un cippo di confine, oltre ad essere un delitto contro la proprietà, era anche 
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Le origini: l’astrologia mesopotamica 
 11
 Il Sole, uno dei due “luminari” (come dicevano i babilonesi) era l’astro diurno 
dispensatore di luce e vita, ma era anche un corpo igneo che bruciava e inaridiva
19
. Del 
Sole si osservavano il moto apparente lungo la l’eclittica, le variazioni del punto in cui 
lo si vedeva sorgere nel corso dell’anno, la sua luce (il colore al sorgere, gli oscuramenti 
a mezzodì), la presenza di banchi di nuvole e di aloni, le eclissi (era importante 
registrare la stagione, il giorno in cui avveniva, la vicinanza di Venere e Giove al Sole 
in occasione di esse, gli eventuali offuscamenti atmosferici, ecc.). Un elemento 
ricorrente nell’astrologia babilonese e prassi in quella greca era il cosiddetto “principio 
di rappresentanza”: in determinate circostanze un corpo celeste poteva sostituirne un 
altro. Questa regola era valida sia per i pianeti che per le stelle fisse. Ad esempio, dopo 
il tramonto del Sole le sue funzioni erano svolte da Saturno: così le opposizioni tra la 
Luna e Saturno potevano essere considerate equivalenti a quelle tra la Luna e il Sole. 
 L’altro “luminare” era la Luna, la figura della notte per antonomasia, 
protagonista di continue metamorfosi e principale regolatore del calendario babilonese. 
Si traevano presagi dall’aspetto dei corni della falce lunare, dalla sua luminosità, dalle 
asimmetrie della sua mutevole forma, dalla sua altezza in cielo, dal colore della sua 
luce, dalla presenza di aloni (semplici o doppi, luoghi in cui apparivano, mese, ora, 
presenza di nuvole, di pianeti o stelle negli aloni: un’apertura apparente nell’alone 
lunare era chiamata “porta”), dalle eclissi (alle quali erano accomunati anche semplici 
oscuramenti da parte di nubi
20
). Queste ultime annunciavano generalmente eventi 
                                                                                                                                                                          
un delitto contro l’ordinamento del paese. Per il concetto di microcosmo, si legga anche il paragrafo sui 
templi e il cielo. 
19
Gli effetti delle radiazioni solari si facevano particolarmente sentire nel clima secco dell’Iraq. 
20
Nell’astronomia babilonese non erano rari errori di calcolo. In alcune tavolette si legge di ritardi della 
Luna rispetto ai tempi calcolati per particolari passaggi, o di eclissi previste ma non avvenute. Il 
verificarsi di molte eclissi predette e registrate sulle tavolette babilonesi è stato smentito anche dai calcoli 
fatti dai moderni astronomi. In realtà, poiché le tavolette registravano, assieme alle eclissi, anche gli 
annuvolamenti notturni del cielo, generarono confusione in chi le consultò. Fatto sta che i Greci e i 
Romani si mostrarono scettici riguardo agli elenchi caldei delle eclissi, soprattutto per quanto riguarda le 
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Le origini: l’astrologia mesopotamica 
 12
infausti come pestilenze, carestie, guerre o terremoti. Un presagio particolarmente 
fausto per il re e il paese si aveva quando la Luna Piena cadeva alla metà esatta del mese 
lunare (il giorno 14); il suo verificarsi in una data diversa era interpretato come un 
segnale di pericolo, a cui era necessario rimediare con riti espiatori
21
. La Luna poteva 
avere “corone” (“d’argento, d’oro, di rame, di bronzo o di ferro, di vento cattivo o di 
vento del nord, dell’ira, della fortuna, della battaglia”, ecc.): queste espressioni 
alludevano alla presenza di determinate stelle nelle sue vicinanze. Il nostro satellite 
riceveva diversi epiteti a seconda dei giorni di lunazione e del suo aspetto variabile: dal 
primo al quinto giorno era semplicemente una “falce”, dal sesto al decimo giorno era 
considerata il “rene del dio Ea”, mentre dall’undicesimo al quindicesimo era la “corona 
di maestà”. 
 Giove era il pianeta di Marduk, il creatore del mondo, benefico sulla vita quando 
ciò non era impedito dalla presenza di stelle infauste nelle vicinanze. Questo pianeta 
occupò nell’astrologia babilonese un posto a sé (come si addice al pianeta del dio 
supremo, Marduk): esso era menzionato tra le stelle fisse a nord dell’equatore, mentre 
gli altri pianeti erano menzionati tra le stelle equatoriali. Di Giove si osservavano la 
levata nei vari mesi, e in particolare nel primo giorno del mese e l’ultimo dell’anno; la 
posizione rispetto all’equatore e all’eclittica; la scomparsa in cielo occidentale e la 
ricomparsa in quello orientale; l’invisibilità di circa un mese in occasione della 
congiunzione con il Sole; la luminosità ed il colore (bianco o giallo); la sua posizione 
rispetto ad altri corpi celesti (Giove poteva essere “circondato da una corte di stelle”); il 
                                                                                                                                                                          
testimonianze più antiche. Per esempio Tolomeo, sebbene avesse a propria disposizione le liste caldee 
quasi complete delle eclissi fino al regno di Nabonassar (747 a.C.), notava che le osservazioni celesti dei 
Babilonesi nel loro insieme non erano degne di fede. 
21
S. Parpola, Letters from Assyrian Scholars to the Kings Esarhaddon and Assurbanipal (Alter Orient und 
Altes Testament, 5), vol. II, Neukirchen-Vluyn, 1983, p. 83. Un riflesso di questa concezione si può 
trovare anche nell’orientamento delle due celle del tempio di Sin e Shamash di Assur nella sua versione 
primitiva (fine XVI sec. a.C.), orientamento di cui si parlerà in seguito. 
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 13
suo ingresso in un alone lunare e la costellazioni dove i due corpi celesti si trovavano 
(quando si osservava Giove all’interno di un alone lunare, gli astrologi babilonesi 
ritenevano che sarebbero nati dei maschi); le sue congiunzioni con Venere. Giove era 
chiamato diversamente a seconda che il suo moto fosse diretto o retrogrado o 
stazionario. Era importante la posizione reciproca delle “2 grandi stelle” Giove e 
Saturno in rapporto con altre “2 stelle”, cioè Marte e Mercurio: questi pianeti 
rappresentavano il Sole, Regolo, lo Scorpione, Orione, ecc. Che significava tutto 
questo? I colori dei pianeti erano distinguibili in 4 sfumature, dal rosso al bianco, ed 
erano comparati a quelli delle più luminose stelle fisse, che, a parità di condizioni, erano 
considerate, dal punto di vista astrologico, equivalenti ai primi, e quindi ritenute loro 
“rappresentanti”. Alla luce di queste considerazioni, si comprende finalmente la 
funzione degli elenchi di corpi celesti babilonesi prima indecifrabili: si tratta di liste di 
stelle il cui colore è equivalente a quello di un unico pianeta. 
 Fra i pianeti, spiccano per ricchezza e varietà le osservazioni di Venere a fine 
astrologico. Venere-Ishtar era l’astro dell’amore, della procreazione e delle guarigioni. 
Era bisessuale: l’astro del mattino era immaginato di sesso maschile, quello della sera di 
sesso femminile. Figlia di Anu, era considerata propizia alle vedove, ma pericolosa per i 
lattanti. Di Venere, che assumeva ogni mese un nome diverso, avevano un particolare 
significato astrologico la levata al primo e al quindicesimo giorno del mese, il variare 
della declinazione, la sua ascesa fin quasi allo zenit, la congiunzione inferiore con il 
Sole e la sua invisibilità per circa uno-due mesi, il “rinnovo” (ossia la sua riapparizione 
nel cielo), la luminosità e il colore, la sua visibilità di giorno (che era spesso registrata), 
la presenza di nubi, di vento o di aloni lunari, la sua posizione in rapporto agli altri 
pianeti (poiché Venere è il pianeta più luminoso, si diceva che “prendeva con sé” o 
L’astrologia e il potere nella Roma repubblicana e imperiale 
Le origini: l’astrologia mesopotamica 
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“dominava” gli altri pianeti, in particolare Giove, Marte e Saturno), la “rappresentanza” 
(cioè quando Venere svolgeva a fini astrologici le funzioni di stelle bianche come Spica 
nella Vergine o anche di intere costellazioni come la Corona Boreale o la Lira: ciò era 
però possibile solo in determinati mesi e quando Venere era presente nel cielo 
occidentale o in quello orientale). Anche Venere, come la Luna, poteva assumere 
diverse “corone” (gialla se vicino aveva Marte, rossa se aveva Mercurio, bianca con 
Giove, nera con Saturno; poteva anche avere 2 corone, se era prossima a due pianeti 
vicini); la stessa Venere poteva essere anche “barbuta” (pare che gli scolii in questo 
caso alludano ai rapporti del pianeta con la Luna e le stelle). 
 Saturno regolava la vita pubblica e familiare, ma era anche l’astro delle guerre e 
della caccia. Aveva particolare importanza la sua opposizione alla Luna. Come abbiamo 
già visto, Saturno poteva svolgere la funzione del Sole nel corso della notte; inoltre era 
sostituibile con parecchie stelle e costellazioni, come la Bilancia, Cassiopea, Orione, il 
Corvo. 
 Nell’“Enuma Anu Enlil” mancano riferimenti a Mercurio, ma da altri testi di 
carattere astrologico si apprende che esso era un astro ambiguo (e conservò tale 
attributo anche nell’astrologia greca), in virtù delle sue scomparse e ricomparse 
improvvise. Fu associato a Nabu, il dio degli scrivani e della sapienza “che brandisce lo 
stilo della tavola del destino sulla quale sono elencate le opere buone e cattive degli 
uomini e ne è irrevocabilmente decisa la sorte”. Di Mercurio erano registrati la 
scomparsa e la riapparizione mese per mese e le congiunzioni con Venere e Saturno; 
poteva inoltre rappresentare o essere rappresentato da costellazioni quali i Pesci, 
Pegaso, il Centauro, il Cane Maggiore. 
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 Marte era il pianeta di Nergal, il dio degli inferi e delle pestilenze. Era il pianeta 
nefasto per eccellenza e perciò era particolarmente tenuto d’occhio: si riteneva che 
danneggiasse i raccolti di grano e di datteri, che impedisse la crescita del bestiame e dei 
pesci, che arrecasse guerra al paese e morte al re. Di Marte si osservavano le levate e i 
tramonti, le scomparse e le ricomparse dopo 7, 14 o 21 giorni, l’altezza sull’orizzonte, la 
luminosità, i rapporti geometrici con Venere, Giove e Mercurio. Marte poteva 
rappresentare o essere rappresentato dalle costellazioni del Toro, del Triangolo, da 
Perseo, dalle Pleiadi. Marte aveva 7 epiteti, tra i quali sono sintomatici “malvagio, 
ostile, volpe, elamita”. 
 Infine, nei testi babilonesi ne sono nominate circa 230 tra costellazioni e stelle 
fisse. È sintomatico che fossero accomunate sotto un unico nome e così elencate nelle 
tavolette cuneiformi. La loro posizione reciproca, a differenza di quella dei pianeti, è 
irreversibile, per cui si prestavano molto meno dei pianeti a indagini astrologiche. Una 
particolare attenzione era dedicata all’ingresso di stelle nell’alone lunare. Delle stelle, 
per le quali era particolarmente valido il principio di rappresentanza, si osservavano il 
colore e la luminosità apparentemente variabile. Secondo gli astrologi babilonesi, i 
“Cattivi Sette” (le Pleiadi) influivano sulle case, sugli ovili, sulle condizioni fisiche e 
psicologiche umane. Boote fu assimilato ad Enlil, l’Orsa Maggiore a Ninlil, il Drago ad 
Anu, Vega a Bau, Sirio a Ninurtu, il Centauro a Ningirsu, Antares a Nabu e così via. 
 Anche presagi tratti da comete, meteore, venti, terremoti, nuvole, fulmini e tuoni 
furono raccolti dagli astrologi babilonesi nell’Enuma Anu Enlil. 
 
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Dalla Mesopotamia ci giungono anche le prime testimonianze della geografia 
astrologica, un riflesso della quale si ha anche nella Bibbia
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. Già in epoca paleo-
babilonese il sud era assimilato ad Akkad, il nord-est al Subartu ed al paese dei Gutei 
(in realtà era compresa tutta la zona ad est e a nord-est di Babilonia, compresi l’Assiria 
e il Mar Caspio), l’est all’Elam, l’ovest al paese di Amurru (comprese Siria e Palestina). 
Il vento, le nuvole, i temporali e i tuoni, a seconda della zona del cielo di provenienza, 
stavano a significare determinate conseguenze per i paesi associati ai diversi punti 
cardinali; le eclissi avevano un significato rovesciato: per esempio, se cominciavano da 
sud portavano conseguenze all’Elam, da est le portavano nei paesi di Subartu e dei 
Gutei, da ovest (ed è l’unica corrispondenza) le portavano al paese di Amurru. 
 Giove era talvolta detto “stella di Akkad”, Marte “stella di Amurru”, le Pleiadi 
“stelle dell’Elam”; se Pegaso era in congiunzione con Giove lo si associava ad Akkad, 
se era in congiunzione con Venere invece lo si associava a “tutti i paesi”. 
 Gli astrologi facevano elenchi di 12 stelle e costellazioni per ognuno dei “4 
paesi” (per esempio ad Akkad erano associati Orione, l’Orsa Maggiore, Boote, la 
Bilancia, la Lira, l’Aquila, ecc; all’Elam erano invece associati lo Scorpione e 
l’Acquario; al paese di Amurru erano collegati Pegaso, Perseo, l’Idra, Sirio, i Gemelli, 
Regolo, il Cancro, il Capricorno, ecc.). Esistevano anche degli orientamenti più minuti, 
che associavano costellazioni a città (p. es. Ariete-Erech) o ad altre entità geografiche 
come i fiumi (p. es. stelle anteriori del Cancro-Tigri, stelle posteriori-Eufrate). 
 C’era infine una divisione temporale degli influssi benefici o malefici degli astri. 
Ad esempio, quando il novilunio avveniva i giorni 1, 28 o 29 del mese esso era da 
considerarsi positivo per Akkad, mentre quando avveniva il giorno 27 era un infausto 
presagio per l’Elam, il giorno 28 per il paese dei Gutei, il 30 per Akkad. 
                                                          
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Bibbia, Deuter. IV, 19.