4
risultato migliore. Le differenze sono notevoli, ma una cosa è certa: proprio per il ruolo
che esse rivestono, per il loro essere “pubbliche amministrazioni”, il cambiamento e il
rinnovamento sono ancora più difficili. Ogni passo compiuto in avanti è sempre degno di
importanza e considerazione. Di questo bisogna essere consapevoli, come anche delle
difficoltà, per rendere più semplice il percorso da seguire, per migliorare le scelte future,
correggere le scelte sbagliate, in vista dell’obiettivo da raggiungere. Le pubbliche
amministrazioni si misurano con se stesse, ma anche tra loro e non hanno bisogno di
trasformarsi in aziende private, ma solo trarne i giusti spunti. Soprattutto è necessario
uscire da quella profonda crisi di sfiducia e di inefficienza che è poi la ragione del loro
malfunzionamento e che le pone, agli occhi dei cittadini e degli utenti esterni, in una
posizione di patologica negatività.
In questo processo di riforma alla parola amministrazione si è affiancato il termine di
risultato. Sta formandosi una vera cultura della programmazione, del risultato e della
misurazione.
Nella prima parte del presente lavoro si tratterà, appunto, del nuovo modello di
amministrazione di risultato, del significato elaborato in proposito dai numerosi Autori
che hanno dedicato al risultato e all’amministrazione di risultato parte del loro lavoro
(Lucio Iannotta, Guido Corso, Marco Cammelli, solo per citarne alcuni). Si tenterà di dare
una definizione a tale formula che può essere considerata rivoluzionaria di gran parte del
pensiero riguardante l’amministrazione pubblica intesa sia in riferimento alla sua
organizzazione, ma, soprattutto, alla sua funzione, ai suoi obiettivi e all’attività che essa
svolge e a come la svolge. Sembrava quasi utopistico parlare di obiettivi e risultati nella
pubblica amministrazione, ma non è stato affatto così.
All’amministrazione di risultato si arriverà attraverso una discussione sulla nozione di
efficienza che affonda le sue radici nel principio costituzionale di buon andamento della
pubblica amministrazione sancito nell’art. 97 della Costituzione. E’ a quest’ultimo
principio che verrà dedicata la parte iniziale del presente lavoro, nel ricordo dei lavori
avviati per la redazione della Carta costituzionale che posero tale principio in una
posizione marginale, quasi un opzione dell’attività della pubblica amministrazione, a
dispetto della situazione attuale. In sintesi, si parlerà di quel filo che lega i principi di buon
andamento ed efficienza sul quale cammina come un equilibrista l’amministrazione di
risultato.
Nella seconda parte è rappresentato l’esempio di un’amministrazione pubblica sotto il
profilo dell’efficienza e del risultato: l’amministrazione universitaria. Scelta motivata
dall’esperienza personale e dal duplice ruolo di chi scrive: utente e operatore, da dieci
anni, nell’Università degli Studi di Cagliari, il cui contesto e la storia hanno ispirato parte
dell’ultimo capitolo del presente lavoro.
Si parlerà dell’organizzazione, degli strumenti adottati e dei progetti realizzati, o in
corso di realizzazione per il raggiungimento dell’efficienza, del nuovo sistema dei
controlli e della valutazione. Attraverso tale percorso si cercherà di riflettere su come
l’università può essere valutata, di quali risultati si può parlare quando si discute di
un’istituzione che, forse più di tante altre, può essere considerata lontana da “principi
aziendalistici”.
5
CAPITOLO 1.
L’EFFICIENZA NELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE: UNA NECESSITÀ O UN
OBBLIGO?
1.1. Il principio del buon andamento e la sua interpretazione in rapporto all’efficienza - 1.2. L’idea di
efficienza nella pubblica amministrazione - 1.3. Gli indicatori - 1.3.1. Misurazione dell’efficienza - 1.3.2. La
cultura della misurazione dell’efficienza - 1.3.3. L’esperienza dell’Università (rinvio) - 1.4. Norme di
riferimento nel processo di innovazione della pubblica amministrazione nell’ottica dell’efficienza - 1.5.
Efficienza e legalità - 1.6. La disciplina dei controlli a sostegno dell’efficienza. Caratteri generali - 1.6.1.
Aspetti positivi e problematiche dei controlli.
1.1. Il principio del buon andamento e la sua interpretazione in rapporto
all’efficienza.
Quando si parla di efficienza nelle pubbliche amministrazioni non si può non fare
riferimento al principio di buon andamento della pubblica amministrazione sancito
dall’art. 97 della Costituzione.TP
2
PT Proprio partendo dallo stretto rapporto tra efficienza e
buon andamento si può arrivare a discutere della prima nella sua complessità,
intendendola in senso non solo economico, con riguardo, cioè, alla spesa della pubblica
amministrazione e dello Stato che la sovvenziona, ma, anche, di efficienza amministrativa
(riferita ai modi di amministrare e di gestire tutti i processi in cui il soggetto primo è la
pubblica amministrazione che deve conseguire un risultato predefinito rispondendo anche
al principio di efficacia, oltre che di economicità).
Sulla definizione di efficienza, a sostegno di quanto scritto sopra, si tornerà
successivamente. Ora è utile fare alcune riflessioni sul principio di buon andamento.
All’evidenziazione dell’indiscutibile rapporto tra efficienza e buon andamento si è
giunti di recente attraverso elaborazioni, della dottrinaTP
3
PT e della giurisprudenza TP
4
PT.
Da sottolineare che “nei primi anni di vita della Costituzione alla clausola di buon
andamento fu negato ogni valore giuridico. Si ritenne che i padri fondatori avessero voluto
esprimere un augurio o un auspicio ma non un principio giuridicamente vincolante”.TP
5
PT
Infatti, anche dopo la Costituzione “per un non breve periodo la bandiera del buon
andamento continua ad essere raccolta soprattutto dagli studi di scienza
TP
2
PT E’ interessante, a tal proposito, la lettura di D’ALESSIO G., Il buon andamento dei pubblici uffici,
Ancona, 1993. L’A. compie un articolato e dettagliato studio sul principio di buon andamento, con
particolare attenzione verso una sua interpretazione in senso efficientistico, “individuando alcuni filoni
interpretativi rappresentativi delle principali tendenze espresse dalla giurisprudenza in ordine alla
precisazione delle regole particolari che possono dedursi dal principio di buon andamento, dei precetti
specifici che si possono costruire sulle sue articolazioni, e delle sue possibili attuazioni ed applicazioni
nelle diverse realtà in cui esso è destinato ad operare” (Cfr. p. 27 dell’introduzione). Si leggano anche
GIANNINI M.S., Corso di diritto amministrativo, L’attività amministrativa, Milano, 1967, p. 28 dove
l’A. scrive che “il principio di efficienza è enunciato dalla Costituzione come principio di buon
andamento […] Nel diritto positivo è un principio direttivo dell’attività organizzativa, ma secondo
alcuni si applicherebbe anche all’attività operativa”, NIGRO M., Studi sulla funzione organizzatrice
della pubblica amministrazione, Milano 1966, p. 67 ss. e MORTATI C., Istituzioni di diritto pubblico,
Padova, 1991 (decima edizione a cura di MODUGNO F. BALDASSARRE A., MEZZANOTTE C.), p.
617 ss., che hanno interpretato, anch’essi, il significato del buon andamento in termini di efficienza.
TP
3
PT Si rimanda alle note 24, 33, 49.
TP
4
PT Si rimanda alla nota 50.
TP
5
PT CORSO G., Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2003, p. 35 ss.
6
dell’organizzazione, oscillando tra l’efficacia (idoneità a raggiungere l’obiettivo) e
l’efficienza (capacità di farlo con la migliore combinazione di mezzi possibile)”.TP
6
PT
Anche durante i lavori della Costituente non fu attribuito grande interesse ai principi di
buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione; anzi, molti dei partecipanti non
volevano nemmeno la menzione di tali principi, dunque non ci fu un dibattito
costituzionale articolato ed esplicito in merito alla solennità del 1° comma dell’allora art.
91, come, invece, si potrebbe pensare.TP
7
PT E’, comunque, da ricordare, la relazione Ruini
(Presidente della Commissione al progetto di Costituzione della Repubblica italiana),
presentata alla Presidenza dell’Assemblea Costituente il 6 febbraio 1947,TP
8
PT in cui si
affermava “brevi sono gli accenni, per la pubblica amministrazione, al buon andamento e
all’imparzialità. Un testo di costituzione non poteva dire di più: ma si avverte da tutti il
bisogno che il Paese sia bene amministrato, che lo Stato non sia solo un essere politico,
ma anche un buon amministratore secondo convenienza e secondo giustizia”.TP
9
PT
Come rileva Allegretti, i lavori della Costituente furono, senz’altro, influenzati dalla
precedente tradizione dei dibattiti politico-giuridici. Infatti “il concetto di buon andamento
era acquisito sotto il nome di buona amministrazione, ma relegato nel merito
amministrativo; la buona amministrazione comparve solo nei limiti in cui la sua
inosservanza costituiva sintomo di eccesso di potere; per il resto essa era oggetto del
merito amministrativo, cioè di «norme non giuridiche», «sussidiarie di quelle
giuridiche»” TP
10
PT.
In questo contesto il buon andamento era considerato principio privo di ogni contenuto
giuridico e da riferirsi esclusivamente all’organizzazione dei pubblici ufficiTP
11
PT, intesi come
il complesso di uomini e mezzi di cui si avvalgono gli organi dello Stato, e non all’attività
amministrativa. TP
12
PT Era, dunque, un concetto, si può dire, fortemente limitato, incompleto
perché sono gli stessi uffici della pubblica amministrazione che svolgono l’attività
amministrativa e sarebbe stato quasi naturale ricomprendere nel principio di buon
andamento l’organizzazione degli uffici sì, ma anche tutta l’attività amministrativa da essi
svolta.
TP
6
PT CALANDRA P., Efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione, in Enciclopedia
giuridica Treccani, Roma, 1989, p. 1.
TP
7
PT ALLEGRETTI U., Amministrazione pubblica e Costituzione, Padova, 1996, p. 80 ss.
TP
8
PT La relazione RUINI è consultabile sul sito internet http://www.camera.it.
TP
9
PT ALLEGRETTI U., op. cit., p. 81; si veda anche PINELLI C., Il buon andamento e l’imparzialità
dell’amministrazione, in Commentario alla Costituzione (a cura di Branca G., Pizzorusso A.),
Bologna-Roma, 1994, p. 37.
TP
10
PT ALLEGRETTI U., op. cit., p. 85.
TP
11
PT Si leggano BALLADORE PALLIERI G., La nuova costituzione italiana, Milano, 1948, p. 164;
BOZZI A., I profili costituzionali della riforma della pubblica amministrazione in Rivista
amministrativa, 1950, p. 529; CANTUCCI M., La pubblica amministrazione, in CALAMANDREI P.,
LEVI A. (a cura di), Commentario sistematico della Costituzione italiana, II, Firenze, 1950, p. 158 ss.
che afferma che il buon andamento “è criterio che attiene prevalentemente all’elemento oggettivo
dell’ufficio e si ispira a principi razionali di economia e di tecnica amministrativa […]”. Anche se,
molto più recente, si legga anche SATTA F., Introduzione ad un corso di diritto amministrativo,
Padova, 1980, p. 35 ss., che afferma “è impossibile dire con precisione che cosa significhino buon
andamento ed imparzialità o, se si vuole, quale significato giuridico possano avere […] La sola ipotesi
ragionevole è che il costituente abbia voluto deliberatamente inserire nella Costituzione una norma
meramente programmatica, direttiva, finale, addirittura una «formula in bianco», il cui contenuto
sarebbe stato compito della scienza dell’amministrazione determinare […] Buon andamento potrebbe
farsi coincidere con efficienza o con economicità […] è stato così formulato più per doveroso omaggio
a quel che la pubblica amministrazione dovrebbe essere […]”.
TP
12
PT MERCATI L., Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, Torino, 2002, p. 2.
7
Dopo la promulgazione della Costituzione seguì, come sostiene lo stesso Allegretti,
«una complessiva inerzia riformatrice del legislatore»TP
13
PT.
Un’inerzia che è durata a lungo tanto che “solo agli inizi degli anni sessanta, la Corte
costituzionale si è sforzata, quantomeno, di ricercare un contenuto più concreto del
principio di buon andamento, individuando nella razionalità dei criteri a monte delle scelte
operate dal legislatore un utile strumento d’indagine al fine di verificare la funzionalità
dell’apparato pubblico”.TP
14
PT Calandra afferma che “solo la giurisprudenza della Corte
costituzionale ne fa canone di legittimità pieno mentre quella amministrativa non si
mostra in grado di raccogliere le indicazioni che via via la dottrina va aggiornando, e la
Corte dei Conti cerca di farne applicazione nel controllo sull’attività […]”.TP
15
PT In particolare
“è la Corte costituzionale il primo giudice a superare la visione del primo comma dell’art.
97 come norma meramente direttivaTP
16
PT e ad accogliere dinamicamente che il principio non
si riferisce solo alla fase organizzativa iniziale ma al funzionamento
dell’amministrazioneTP
17
PT”TP
18
PT.
Pertanto, “la conquista dei significati più pregnanti del principio di buon andamento si
fece strada lungo gli anni sessanta col lento evolvere della cultura costituzionale ed
amministrativa e dell’atteggiamento politico”TP
19
PT.
Negli anni settanta, invece, sempre secondo Allegretti, l’uso del principio di buon
andamento da parte della Corte costituzionale, ma anche da parte dei giudici ordinari ed
amministrativi, come parametro di incostituzionalità, non fu “né particolarmente frequente
né particolarmente incisivo”TP
20
PT e il giudice amministrativo “è quello che, a causa del tipo di
giurisdizione che è chiamato ad esercitare, meno è riuscito ad utilizzare il criterio del buon
andamento come principio autonomo”. TP
21
PT
Se i propositi dell’Assemblea Costituente, prima, e del legislatore e della
giurisprudenza, dopo, erano questi, immaginiamo quanto lontano potesse essere
addirittura una connessione tra buon andamento e principi di efficienza ed efficacia.
Ma, a partire dalla fine degli anni settanta, il principio di buon andamento acquista una
rilevanza maggiore in particolare con il «Rapporto sui principali problemi
dell’amministrazione dello Stato»TP
22
PT del 1979 redatto da M.S. Giannini in qualità di
Ministro per la funzione pubblica (nel quale viene evidenziata con forza l’esigenza di
riforma della pubblica amministrazione e nel quale non viene tralasciato nemmeno il tema
dell’efficienza).
TP
13
PT ALLEGRETTI U., op. cit., p. 86.
TP
14
PT AA.VV. (a cura di), Diritto amministrativo, Bologna, 2001, p. 419 ss.
TP
15
PT CALANDRA P., op. cit., p. 1.
TP
16
PT Sentenza della Corte Cost. n. 14 del 7 marzo 1962 consultabile sul sito web
http://www.cortecostituzionale.it/.
TP
17
PT Sentenza della Corte Cost. n. 22 del 3 marzo 1966, consultabile sul sito web
http://www.cortecostituzionale.it/.
TP
18
PT CALANDRA P., op. cit., p. 4. Altre sentenze della Corte Cost. utili, in proposito, sono la n. 8 del 4
febbraio 1967 e le sentenze nn. 123 e 124 del 9 dicembre 1968, consultabili sul sito internet
http://www.cortecostituzionale.it/.
TP
19
PT ALLEGRETTI U., op. cit., p. 87.
TP
20
PT IDEM, op. cit., p. 91
TP
21
PT CALANDRA P., op. cit., p. 5.
TP
22
PT Il «Rapporto Giannini» è stato pubblicato nella Rivista trimestrale di diritto pubblico del 1982, n. 3, p.
722 ss. Si legga anche MELIS G., Storia dell’amministrazione italiana 1861-1993, Bologna, 1996, p.
501 ss.
8
Dobbiamo arrivare agli anni novanta per affermare la vera rivoluzione della pubblica
amministrazione quale esaltazione dei principi in questione.TP
23
PT
Circa il buon andamento, alla domanda se sia o no nozione giuridica “opinione
prevalente è che esso significhi efficienza, secondo la nozione di scienza
dell’amministrazione a cui sarebbe stato attribuito valore anche giuridico”.TP
24
PT
Oggi la dottrina prevalente è decisamente diversa da quella di quasi sessant’anni fa.TP
25
PT
Una definizione di buon andamento può essere “l’efficienza della azione
dell’amministrazione, ossia la sua rispondenza all’interesse pubblico affidato alle cure
dell’amministrazione stessa”.TP
26
PT
L’amministrazione pubblica ha, infatti, il compito di curare concretamente gli interessi
della collettività ed ecco che il principio di buon andamento si realizza con un fine e una
funzione ben precisi, si riferisce cioè ai rapporti con i cittadiniTP
27
PT. La pubblica
amministrazione non esercita più un potere e basta, ma esercita un potere funzionalizzato
al pubblico interesse assicurando il rispetto del principio del buon andamento dell’azione
amministrativa; “missione dell’amministrazione è il servizio ai diritti dei cittadini”TP
28
PT.
Quest’ultima espressione riassume un concetto fondamentale che sta alla base di tutta la
pubblica amministrazione considerata nel suo complesso: la funzione che essa riveste di
servizio ai diritti dei cittadini, al soddisfacimento e alla realizzazione dell’interesse
pubblico, un interesse che non riguarda solo il singolo cittadino, ma l’interesse di una
TP
23
PT ALLEGRETTI U., op. cit., p. 94 ss. Si veda anche MERCATI L., op. cit., p. 15 ss.
TP
24
PT GIANNINI M.S., Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2000, p. 263 ss.. L’A. afferma anche
“che buon andamento non possa significare che efficienza è un’idea ripetutamente esposta in scienza
dell’amministrazione che i giuristi hanno finito con l’accettare”. Per uno studio del principio di
efficienza in Scienza dell’amministrazione si vedano CATALDI G. Lineamenti generali di scienza
dell’amministrazione pubblica, Milano, II, 1970, p. 419 ss. in cui l’A. afferma anche che “efficienza
coincide con buon andamento”; SEPE O., L’efficienza nell’azione amministrativa, Milano, 1975;
FREDDI G., Scienza dell’amministrazione e politiche pubbliche, Roma, 1998. Si veda anche
ALLEGRETTI U., op. cit., p. 98 e p. 248-249, che sostiene addirittura una riformulazione del buon
andamento come efficienza. Sulla valenza giuridica del buon andamento si leggano SEPE O., LEPORE
G., Prospettive della scienza dell’amministrazione e rilevanza giuridica del principio di efficienza,
Milano, 1970, p. 6 e p. 35 ss., ANDREANI A., Il principio costituzionale di buon andamento della
pubblica amministrazione, Padova, 1979, p. 19 ss. e p. 149 e NIGRO M., L’azione dei pubblici poteri.
Lineamenti generali, in AMATO G., BARBERA A, Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1986, p.
725.
TP
25
PT Si legga CORSO G., op. cit., p. 35.
TP
26
PT IDEM, op. cit., p. 35.
TP
27
PT Si legga AA.VV., Manuale di diritto pubblico, Milano, 2001, p. 307 ss. Si legga anche D’ALESSIO
G., op. cit., p. 210 dove l’A. afferma che “risponderebbe al buon andamento tutto ciò che consente, o
meglio ancora favorisce il pieno ed “indisturbato” dispiegarsi dell’attività di cura degli interessi
pubblici, e sarebbe, invece, in contraddizione con esso tutto ciò che può ostacolare od essere
d’impaccio all’azione amministrativa”.
TP
28
PT ALLEGRETTI U., op. cit., p. 18, si legga anche p. 105 ss. Si vedano, in proposito, anche
SORRENTINO G., Diritti e partecipazione nell’amministrazione di risultato, Napoli, 2003, p. 36 ss.
che descrive il passaggio dal potere (dell’amministrazione) alla funzionalizzazione dell’attività
amministrativa ai diritti delle persone e D’ALESSIO G., op. cit., p. 209 ss. dove l’A. parla di “buon
andamento come diritto del cittadino e dovere dell’amministrazione” e “funzionalizzazione dell’azione
amministrativa alla soddisfazione delle esigenze della collettività”.
9
collettività che può essere differenziata (interesse collettivo)TP
29
PT o indifferenziata (interesse
diffuso) TP
30
PT.
Dunque il buon andamento si può riferire al migliore rapporto che intercorre tra le
risorse utilizzate per raggiungere certi risultati stabiliti in base agli obiettivi da conseguire
e il risultato effettivamente conseguito, ed ecco in evidenza, ancora una volta, il suo
collegamento all’efficienza.TP
31
PT
Il rapporto fra buon andamento, efficienza, riferita all’utilizzo delle risorse, ed
efficacia in riferimento all’effettivo raggiungimento dell’obiettivo stabilito, è, comunque,
assai complesso. Il soddisfacimento del buon andamento, se attuato, determina la
realizzazione di una buona amministrazione.TP
32
PT Secondo Sandulli è certo che “il principio
di buona amministrazione (o di buon andamento dell’amministrazione) esige che l’azione
amministrativa sia necessariamente esplicata in vista della realizzazione di una
amministrazione efficiente ed appropriata (congrua)”TP
33
PT ma, rispetto a ciò, Casetta afferma
che “buon andamento non è la stessa cosa di buona amministrazione intesa quale dovere
funzionale. Il buon andamento, infatti viene riferito all’azione amministrativa nel suo
complesso e, più specificatamente, al complesso degli atti in cui essa si concreta: cioè
all’ente e mai al funzionario”TP
34
PT.
Una pubblica amministrazione può essere efficiente, ma non efficace, o viceversa,
perché si possono spendere poche risorse, ma non “centrare” l’obiettivo o “centrarlo” ma
con un dispendio elevato di risorse e, dunque, si può parlare di cattiva amministrazione o
anche di “cattivo andamento” TP
35
PT.
Ed ecco che, per limitare il rischio di una cattiva amministrazione e facilitare la
realizzazione piena del principio di buon andamento, la legislazione, ad opera del d.lgs. n.
29/1993, ha sentenziato la divisione tra potere politico e potere amministrativo e, cioè, tra
gli organi di potere che hanno il compito di stabilire gli obiettivi e gli indirizzi da seguire e
che assegnano le risorse da utilizzare e ne controllano l’uso e gli organi di potere che
TP
29
PT Gli interessi collettivi “sono quegli interessi pertinenti ad una pluralità di soggetti, i quali costituiscono
una categoria o un gruppo omogeneo, congiunto ed organizzato al fine di realizzare i fini della
categoria o del gruppo di cui trattasi”. Cfr. GALATERIA L., STIPO M., Manuale di diritto
amministrativo, Torino, 1993, p. 93 ss.
TP
30
PT Gli interessi diffusi si riferiscono all’intera collettività o a larga parte di essa. Si pensi all’interesse alla
tutela dell’ambiente. Per garantire la relativa tutela la legge ha riconosciuto la rappresentanza di tali
interessi a determinate categorie (per es. associazioni ambientaliste o associazioni dei consumatori).
Cfr. VIRGA P., Diritto amministrativo 2, Atti e ricorsi, Milano, 2001, pp. 176-177. Si legga anche
GALATERIA L., STIPO M., op. cit., p. 96 ss.
TP
31
PT Si legga CORSO G., op. ult. cit., p. 180.
TP
32
PT Di buona amministrazione parla SANDULLI A., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, p.
584 ss. Si veda anche SEPE O., op. cit., p. 34 in cui l’A. afferma che “l’efficienza è il risultato della
buona amministrazione”.
TP
33
PT SANDULLI A., op. ult. cit., p. 584. Si veda anche SORACE D., Diritto delle amministrazioni
pubbliche, Bologna, 2005, p. 60 ss. che afferma “il principio di buon andamento esprime l’esigenza di
un’amministrazione efficace, efficiente ed economica”.
TP
34
PT CASETTA E., Attività amministrativa, voce in Dig. Disc. Pubbl., I, Torino, 1987, p. 528. Si leggano
anche VIPIANA P.M., L’autolimite della pubblica amministrazione, Milano, 1990, p. 168, dove
afferma che “il precetto di buon andamento si articola in tre elementi in sovrapposizione tra loro: un
dovere di buona amministrazione quale regola di condotta dei funzionari agenti, un profilo
organizzatorio e un aspetto valutativo funzionale” e BERTI G., La pubblica amministrazione come
organizzazione, Padova, 1968, p. 82, dove l’A. afferma che “il buon andamento non è solo la buona
amministrazione […] è alcunché di più ampio, di più comprensivo […]”.
TP
35
PT Di cattivo andamento ne parla CORSO G., op. ult. cit., p. 204 ss.
10
esercitano la gestione e l’impiego delle risorse stesse, in poche parole divisione tra vertici
politici e dirigenti amministrativi.TP
36
PT
Una separazione fra funzione di indirizzo e funzione di gestione amministrativa che ha
alleggerito l’esercizio della prima da parte degli organi politici e che ha posto i dirigenti
amministrativi in una posizione di maggiore autonomia e responsabilità.TP
37
PT Il d.lgs.
80/1998 ha reso ancora più netta la distinzione tra compiti e responsabilità dell’autorità
politica e compiti e responsabilità della dirigenza amministrativa ed ha organizzato gli
strumenti e le strutture necessari a rendere effettivo l’esercizio degli uni e degli altri in uno
spirito di collaborazione reciproca.TP
38
PT In questa distinzione si è voluto, da un lato, cercare
di evitare le interferenze della politica nell’amministrazione, affinché la prima dettasse
solo le linee di indirizzo e le politiche da seguire in base a quanto emerso dalla collettività
a seguito delle elezioni politiche dei relativi organi che la rappresentano; dall’altro lato,
rendere più autonomi e responsabili i dirigenti amministrativi che attuano le linee di
indirizzo trasformandole in amministrazione, cercando allo stesso tempo di non rendere
questa autonomia sinonimo di totale e insindacabile indipendenza. TP
39
PT
Sulla concreta realizzazione di tale separazione si è discusso non poco. Anche se
questa non è la sede adatta per un approfondimento è, comunque, opportuno per una
riflessione riportare quanto affermato da Cassese “la separazione tra politica ed
amministrazione è rimasta enigmatica […], all’amministrazione sono scaricate solo
responsabilità, senza mezzi e autentici poteri di decisione”.TP
40
PT Si concorda, infatti, sul fatto
che la separazione tra politica ed amministrazione dovrebbe, sempre, apparire chiara e ben
delineata e, che, dovrebbe risultare inequivocabile un’attività di indirizzo politico che
TP
36
PT Si veda in proposito BOLOGNINO D., Gli obiettivi di efficienza, di efficacia e di economicità nel
pubblico impiego, Milano, 2004, p. 48 ss. L’A. segnala l’ordinanza della Consulta n. 11/2002 (su
http://www.cortecostituzionale.it/) in cui si sottolinea che la separazione tra politica e amministrazione
assicura il perseguimento del buon andamento e dell’efficienza dell’amministrazione pubblica; si
vedano anche AZZONE G., DENTE B. (a cura di), Valutare per governare: il nuovo sistema dei
controlli nelle pubbliche amministrazioni, Milano, 1999, p. 2 ss., BOSCATI A., Verifica dei risultati.
Responsabilità dirigenziali, in CARINCI F., D’ANTONA M. (a cura di), Il lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche, Milano, 2000, I, p. 789 ss. e ANGIELLO L., La valutazione dei
dirigenti pubblici, Milano, 2001, p. 49 ss.
TP
37
PT Sulla responsabilità dei dirigenti si vedano TORCHIA L., La responsabilità dirigenziale, Padova,
2000, MERCATI L., op. cit., p. 54 ss., VIADANI T., Riflessioni in tema di responsabilità dirigenziale
per il conseguimento dei risultati, in L’amministrazione italiana, Rivista mensile, 2002, p. 177 ss. e
BOSCATI A., op. cit., p. 787 ss.
TP
38
PT Sulla separazione tra politica e amministrazione si legga, oltre i riferimenti di cui alla nota 36, anche
LADU G. (a cura di), Indicatori di performance e controllo di gestione, Il nuovo processo decisionale
nell’amministrazione statale, in LUPO’ AVAGLIANO M.V. (a cura di), L’efficienza della pubblica
amministrazione. Misure e parametri, Milano, 2001, p. 130 ss. dove si afferma che è stato il d.lgs. n.
80/1998 a rafforzare la distinzione tra responsabilità politica e responsabilità gestionale in quanto il
d.lgs. n. 29/1993 aveva conservato significativi poteri di ingerenza dell’organo politico nell’attività
amministrativa e si era reso necessario un nuovo intervento legislativo.
TP
39
PT Si legga ANGIELLO L., op. cit., p. 44 ss.
TP
40
PT CASSESE S., Dieci anni di riforme amministrative: un bilancio, in Giornale di diritto amministrativo,
n. 5/2003, p. 541; dello stesso A. si legga anche TIl rapporto fra politica ed amministrazione e problemi
di costituzionalità dei nuovi assetti, intervento T al convegno sulla dirigenza tenutosi a Roma il 31
gennaio 2003, resoconto a cura di BOLOGNINO D. su http://www.aministrazioneincammino.luiss.it e
Dirigenti pubblici: imparzialità o fedeltà politica? in L’amministrazione italiana, n. 4/2003, p. 599 ss.
(articolo pubblicato ne Il Sole-24 Ore del 16 febbraio 2003) in cui l’A. riferisce che “evocare la fiducia
nei rapporti Governo-alta dirigenza ha solo il significato di invocare il principio della fedeltà personale,
privatistica ed ecco un altro modo di erodere la funzione pubblica”; si vedano anche REBORA G., Un
decennio di riforme, Milano, 1999, p. 72 ss. che segnala un’altra polemica dello stesso Cassese
riportata nell’articolo L’ombra dei politici sui manager di Stato, La Repubblica, 11 febbraio 1998 e
PENSABENE LIONTI S., L’amministrazione di risultati nella giurisprudenza amministrativa, in Il
foro amministrativo: TAR, A. 3, n. 3, (marzo 2004), p. 908 ss.
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rispetti la sfera di autonomia del dirigente senza strumentalizzazioni a scopo
esclusivamente politico e inopportune ingerenze.
Per capire lo stretto rapporto tra buon andamento ed efficienza si può pensare al
processo di riorganizzazione strutturale della pubblica amministrazione, proprio nel senso
dell’efficienza, avviato negli anni recenti per snellire la macchina burocratica
amministrativa e realizzare un contenimento della spesa pubblica. Ci si riferisce, in
particolare, alla riorganizzazione dei MinisteriTP
41
PT e conseguente riduzione di numero, ma
anche alla contrattualizzazione del pubblico impiegoTP
42
PT.
Forse la prima fra tutte è la legge n. 241/1990, modificata dalla legge n. 15/2005, che
regola il procedimento amministrativo e che ha restituito piena centralità al principio del
buon andamento.TP
43
PT Essa richiama espressamente i principi fondamentali dell’azione
amministrativa quali quello di efficacia, economicità, pubblicità e trasparenza che si
traducono nell’obbligo di non aggravamento del procedimento e di concluderlo entro un
determinato termine di tempo, l’obbligo di comunicare i motivi ostativi all’accoglimento
dell’istanza ecc. Questi obblighi, implicitamente ed esplicitamente, sono espressione e
sostanza del principio di buon andamento.
In seguito sono stati numerosi gli interventi legislativi che hanno affermato a pieno
titolo la rilevanza dei principi di buon andamento e di efficienza, ma bisogna essere
consapevoli del fatto che, talvolta, si è arrivati ad un eccesso di normazione
sull’amministrazione. Questa è la ragione per cui Sorace ha affermato che “in materia di
organizzazione e funzionamento dell’amministrazione gli interventi legislativi vanno fatti
con grande cautela e parsimonia se si hanno di mira efficienza ed efficacia
amministrative”.TP
44
PT
Oltre agli interventi legislativi non sono mancate le pronunce della giurisprudenza
costituzionale. Bonelli ricorda che “nel 1995 con una decisione che può essere considerata
la pietra angolare sulla via della reinterpretazione dell’art. 97 Cost.,TP
45
PT il giudice delle leggi
ha collegato il principio di buon andamento dell’azione amministrativa ai criteri
manageriali di efficacia, efficienza ed economicità pronunciandosi nel giudizio che aveva
oggetto la legittimità delle norme della legge n. 20/1994, che hanno introdotto il controllo
di gestione quale forma generale di valutazione dei risultati dell’attività amministrativa di
tutte le amministrazioni pubbliche”TP
46
PT.
TP
41
PT Si leggano, in proposito, l’articolo di VERBARO F., Le riforme, le misure di razionalizzazione e i
processi di riorganizzazione delle amministrazioni dello Stato su http://www.formez.it, 2004 e
AA.VV., La riforma dell’amministrazione dello Stato in CARBONE L., CARINGELLA F.,
ROMANO F., Il nuovo volto della pubblica amministrazione tra federalismo e semplificazione,
Napoli, 2001, p. 187 ss.
TP
42
PT Si veda AA.VV., La riforma dell’impiego alle dipendenze di pubbliche amministrazioni in CARBONE
L., CARINGELLA F., ROMANO F., op. ult. cit., p. 439 ss.
TP
43
PT SORACE D., La riscoperta del principio costituzionale del “buon andamento” e l’avvio delle riforme
per l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’amministrazione, in AA.VV., I costi dell’inefficienza,
Atti del IV Convegno Cogest, Roma, 28-29 maggio 1997, Roma-Milano, 1998, p. 29 ss.
TP
44
PT IDEM, op. cit., p. 37; si legga anche l’intervento di SERAO F., ivi, p. 146 ss., che ricorda che gli
italiani sono soggetti al rispetto di oltre 150.000 leggi contro le 7.300 della Francia e le 5.000 della
Germania (dati riportati in Il Sole-24 Ore del 12 maggio 1996).
TP
45
PT Sentenza della Corte Cost. n. 29 del 27 gennaio 1995 consultabile sul sito internet
http://www.cortecostituzionale.it/.
TP
46
PT BONELLI E., Efficienza e sistema dei controlli tra Unione europea e ordinamento interno, Torino,
2003, p. 59 ss.; si vedano anche LADU G., Gli indicatori di efficienza, in Rassegna di diritto
parlamentare, 1997, p. 900 e 913, IANNOTTA L., Principio di legalità e amministrazione di risultato
in PINELLI C. (a cura di), Amministrazione e legalità, Milano, 2000, p. 39 ss. e PAOLANTONIO N.,
12
Il ricorso ai criteri di efficienza, efficacia ed economicità e del buon andamento si
incontrano frequentemente anche nelle deliberazioni adottate dalla Corte dei Conti.TP
47
PT
Infatti, in base a quanto riportato da Pensabene Lionti, “secondo la giurisprudenza
contabile, la violazione dei principi di buon andamento integra sempre un fatto illecito….
Il perseguimento di fini non conformi all’interesse pubblico concreto, imputato
dall’ordinamento all’ente, si traduce sempre in una lesione di interessi (danno) alla
comunità (Stato-comunità), in una lesione cioè di interessi pubblici o collettivi
giuridicamente protetti)”.TP
48
PT
Si può affermare che dottrinaTP
49
PT e giurisprudenzaTP
50
PT sono unanimi nel considerare che
buon andamento significa efficienza ed efficacia e che esse implicano la non
discriminazione dei diritti e libertà. Il principio di buon andamento assume, dunque, una
concezione giuridica secondo la quale la pubblica amministrazione deve agire e svolgere
la propria attività in modo da garantire la massima tutela dei diritti e delle libertà. Questi
ultimi possono, comunque, essere assoggettati a limiti da parte dell’ordinamento, ma
questi limiti devono essere fondati esclusivamente sulla legge e su un prevalente interesse
pubblico.
Le pubbliche amministrazioni devono realizzare un giusto equilibrio tra benefici dei
soggetti coinvolti, interesse pubblico e legge.
Maggiore sarà l’equilibrio fra tali elementi, maggiormente efficiente ed efficace sarà
l’attività amministrativa posta in essere; “l’obiettivo del buon andamento
dell’amministrazione può essere, tuttavia, perseguito e realizzato con modalità e strumenti
diversi, egualmente efficaci, la cui scelta è rimessa, nei limiti della ragionevolezza, alla
discrezionalità della pubblica amministrazione”TP
51
PT.
Si è verificata, così, una profonda rivisitazione e reinterpretazione dell’art. 97 Cost. che
ha segnato alcuni dei tratti fondamentali della metamorfosi di cui sono state oggetto le
pubbliche amministrazioni.
Controllo di gestione e amministrazione di risultati, in IMMORDINO M, POLICE A. (a cura di),
Principio di legalità e amministrazione di risultati, Torino, 2004, p. 387.
TP
47
PT Tale riferimento è, soprattutto, alle deliberazioni in sede di controllo di legittimità e alle sentenze
emesse dalle sezioni giurisdizionali nei giudizi di responsabilità amministrativa. Si vedano, in
proposito, la sent. sez. giur. Reg. Umbria, 11 marzo 1996 n. 152/R/96, sent. 4 dicembre 1997 n.
1/E.L./98, sent. 29 gennaio 1998 n. 252/R/98, sent. 14 maggio 1998 n. 501/E.L./98, sent. 9 aprile 1998
n. 831/R/98, sent. 19 ottobre 1999 n. 582/E.L./99, sent. 11 gennaio 2000 n. 27/E.L./2000, sent. 7
giugno 2000 n. 424/R/2000. Cfr. PENSABENE LIONTI S., op. cit., p. 924, nt. 39.
TP
48
PT PENSABENE LIONTI S., op. cit., p. 924 ed anche in IMMORDINO M., POLICE A. (a cura di), op.
cit., p. 431.
TP
49
PT Si legga CORSO G., op. ult. cit., p. 35 ss. e i riferimenti di cui alle note 24, 26 e 33.
TP
50
PT Significative, in questo senso, oltre la già citata sentenza della Corte Cost. n. 29 del 1995, anche le
sentenze n. 188 del 1974 e n. 68 del 1980 segnalate da VIPIANA P. M., op. cit., p. 168, nota 83, le
sentenze n. 313 del 1996 e n. 309 del 1997 segnalate da BOSCATI A., op. cit., p. 795, consultabili sul
sito web http://www.cortecostituzionale.it/. Si veda anche PINELLI C., op. cit., p. 51 ss.
TP
51
PT PENSABENE LIONTI S., op. cit., p. 915. Sulla ragionevolezza e sulla discrezionalità si legga
SORACE D., Diritto delle amministrazioni pubbliche cit., p. 63 ss. e p. 257 ss. e SANDULLI A., Il
procedimento, in CASSESE S. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, II, Milano, 2000, p. 960
ss. dove l’A. sostiene che “è principio consolidato che l’azione amministrativa debba risultare
ragionevole e proporzionata”.
TP