2
ma che “oggettivamente” risultano finalizzate alla
produzione di beni e servizi.
Per quanto riguarda le forme di gestione dei
servizi pubblici, è doveroso sottolineare come,
dall’emanazione della Legge 142/1990, sino al recente
D.Lgs. 267/2000 (T.U.E.L.) molteplici sono stati gli
interventi legislativi in materia, interventi che sono
proseguiti anche dopo l’introduzione del citato “Testo
unico in materia di Enti Locali” e che sembrano esser
terminati solo pochi mesi fa con l’approvazione
definitiva dell’articolo 4, comma 234 , Legge 350/2003
(Legge Finanziaria 2004).
Il processo di cambiamento passa, in primis,
attraverso l’art. 35, Legge 448/2001(Legge Finanziaria
per il 2002).
E’ opportuno, dunque, spiegare il perché della
scelta fatta dal legislatore di ridisciplinare un delicato
settore, quale quello dei servizi pubblici locali,
attraverso un solo articolo, il n. 35, della Legge
Finanziaria in questione.
La prima motivazione riguarda l’assicurazione di
una maggiore probabilità di successo della riforma, con
il suo inserimento all’interno della Finanziaria del
2002, in quanto ogni singola nota contenuta nella
suddetta viene funzionalizzata al perseguimento di
3
finalità di ordine generale, le quali giustificano e
favoriscono un’ approvazione rapida.
In secondo luogo, proprio l’inserimento della
materia nella legge finanziaria sembra tradire l’
intenzione di dar luogo non ad una vera riforma, ma ad
un nuovo assetto, non definitivo, bensì provvisorio e
destinato ad essere modificato entro un periodo di
tempo breve.
Infine, è palese la sussistenza di ragioni di
urgenza, le quali non potevano, certo, dar luogo ad un
intervento di decretazione d’urgenza, da ricollegare, fra
l’altro, all’incessante “normazione di supplenza” posta
in essere dalla giurisprudenza.
Dunque, ci si trova davanti ad un intervento
normativo, destinato ad essere nuovamente rivisitato, il
quale contiene, però, indubbie novità.
Infatti, l'articolo 35 della Legge 28 dicembre
2001, n. 448 ha introdotto nuove norme in materia di
servizi pubblici locali, ponendo in essere una incisiva
riforma dalla previgente disciplina di cui agli artt. 113
e seguenti del T.U. sull'ordinamento degli enti locali,
contenuta nel D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (ove erano
state riprese le disposizioni contenute negli artt. 22 e
seguenti della legge 8 giugno 1990, n. 142 e successive
modifiche ed integrazioni).
4
Oggi, infatti, le disposizioni originariamente
contenute nel predetto art. 35 della legge n. 448 del
2001 sono state già in più punti modificate, anche per
superare le critiche di vario segno che avevano
accompagnato tale riforma.
Un primo intervento in materia, lo si ha,
appunto, con l’art. 14 del D.L. 269/2003 (convertito
nella Legge 326/2003), dove il legislatore ha inteso
adeguare la normativa interna sui servizi pubblici
locali alle norme dettate dal Trattato della UE in
materia di servizi di interesse generale.
Tutto ciò è stato inteso allo scopo di evitare che
la Commissione europea desse seguito, nei confronti
dell’Italia, al procedimento di infrazione comunitaria,
preannunciato nella formale messa in mora del 26
giugno 2002, a causa della non compatibilità di alcune
norme di cui all’art. 35 della Legge 448/2001 con il
diritto comunitario.
E’, peraltro, da considerare che,
indipendentemente dallo scopo immediato che il
legislatore ha inteso raggiungere con l’art. 14 del d.l.
269/03, le disposizioni dettate dal Trattato della UE in
materia di servizi di interesse generale sono applicabili
negli ordinamenti dei singoli Stati membri, anche se
non espressamente recepite, in base al principio del
5
c.d. “primato” e a quello dei c.d. “effetti diretti” del
diritto comunitario.
In forza del primo (principio della supremazia o
del primato) fondato sull’esplicita premessa della
ricerca dell’“integrazione” dell’ordinamento giuridico
comunitario di ciascuno dei singoli Stati membri (tesi
c.d. “monista”), ogni norma di diritto comunitario,
ritenuta sovraordinata a quelle interne degli Stati
membri, deve prevalere su qualsiasi norma di diritto
interno, d’ogni ordine e grado, anteriore o successiva
alla prima, collidente con quest’ultima.
In virtù del secondo (principio degli effetti diretti
o della efficacia diretta) - fondato sulla esplicita
premessa che il diritto comunitario,
indipendentemente dalle norme emanate dagli Stati
membri, nello stesso modo in cui attribuisce al singoli
degli obblighi, attribuisce loro dei diritti soggettivi -, le
norme giuridiche discendenti da fonti primarie (Trattati
e loro modificazioni) o derivate (direttive e decisioni) del
diritto comunitario ad eccezione di quelle incluse nei
regolamenti, a cui l’articolo 249, ex articolo 189,
comma 2, del Trattato suddetto attribuisce già,
espressamente, il carattere della “diretta applicabilità”
in ciascuno degli Stati membri purché siano connotate
da determinate caratteristiche di contenuto, debbono
essere giuridicamente trattate, dagli Stati membri
6
“come diritto nazionale”: vale a dire, come norme
immediatamente costitutive di situazioni giuridiche
soggettive tutelabili dinanzi al giudice nazionale, al pari
di quelle costituite, appunto, sulla base delle norme di
diritto nazionale.
L’applicazione coordinata e congiunta di
entrambi tali principi determina la regola essenziale,
secondo cui il diritto comunitario, idoneo a spiegare
“efficacia diretta”, deve essere giuridicamente trattato,
nell’ordinamento giuridico dei singoli Stati membri,
come “diritto nazionale prevalente” su quello “interno”
d’ogni ordine e grado, anteriore o successivo con esso
collidente; con la conseguenza che, in tal caso, la
norma interna incompatibile con quella comunitaria
deve essere, comunque, disapplicata dal giudice
nazionale.
A distanza di breve tempo dall’approvazione della
Legge n. 326/2003, si è nuovamente, quindi,
intervenuti sull’articolo 113 del D.Lgs. n. 267/2000
(TUEL), con l’approvazione della legge Finanziaria 2004
(art. 4 comma 234 Legge n. 350/2003), la quale ha
ulteriormente modificato la disciplina dei servizi
pubblici locali, con riguardo, in particolare, alla
problematica dei c.d. “affidamenti in house”.
7
Concludendo, appare del tutto singolare come
nel giro di poco tempo (dall’emanazione del D.L. n.
269/03 alla Legge Finanziaria 2004 non è trascorso
neanche un mese), il nostro legislatore, vuoi per
adeguarsi alla disciplina comunitaria, vuoi perchè
spinto da esigenze interne, abbia radicalmente
modificato la disciplina dei c.d. affidamenti in house.
Il legislatore ha, infatti, previsto l’utilizzazione di
tale figura giuridica nell’ipotesi di appalto di servizi, per
la gestione delle reti, l’erogazione del servizio,
l’affidamento della gestione di servizi a rilevanza non
economica; escludendola, invece, nell’ipotesi di appalto
di lavori, dove risulta ancora necessario ricorrere alle
procedure di evidenza pubblica.
Il nostro legislatore ha, dunque, invertito la rotta:
in quanto ciò che poco prima era consentito ora non lo
è più, e viceversa.
8
CAPITOLO I
I SERVIZI PUBBLICI IN GENERALE
I.1- Nozione di servizio pubblico locale
Nel nostro ordinamento non è semplice
individuare una ratio di fondo che consenta di stabilire
se un servizio sia pubblico o meno, né soccorre una
tassonomia esaustiva relativa alle varie tipologie di
servizio pubblico.
Da un punto di vista economico, si potrebbe
affermare che laddove vi sia una domanda che rimane
insoddisfatta a causa di investimenti massicci e
“ritorni” lenti, in caso di “fallimenti di mercato”, i
pubblici poteri si fanno carico dell’erogazione dei
servizi che i privati spontaneamente non offrirebbero.
La qualificazione di servizio pubblico si basa su
due teorie contrapposte: la teoria soggettiva, che pone
la sua attenzione sulla natura del soggetto
gestore/erogatore del servizio, e la teoria oggettiva
tendenzialmente concentrata sulla natura dell’attività e
del servizio prestato.
9
In base alla prima impostazione, sarebbe servizio
pubblico quel servizio imputabile, per titolarità e/o
gestione all’organizzazione pubblica.
Seguendo l’impostazione “oggettiva”,
assumerebbe, invece, rilievo il fatto che il servizio
pubblico – chiunque ne sia il titolare, l’erogatore, il
gestore - debba essere assoggettato ad una disciplina
di settore diretta al conseguimento di fini sociali.
Dunque, la teoria oggettiva imporrebbe che
l’attività relativa al pubblico servizio risultasse
sottoposta a controllo, a vigilanza e a direzione da
parte dei poteri pubblici e che tale attività fosse
espletata nel rispetto del principio di imparzialità.
L’individuazione di particolari obblighi, (quali:
standard di erogazione del servizio, tariffe, continuità
dell’attività ed altri) in capo al gestore consente di
considerare un determinato servizio come “pubblico” e
contribuisce a differenziarlo rispetto all’attività
imprenditoriale ordinaria.
Per quanto concerne la teoria soggettiva del
servizio pubblico, le attuali tendenze evolutive relative
ai processi di privatizzazione di attività, un tempo
espletate da enti pubblici, contribuiscono a far
emergere gli aspetti critici di tale impostazione.
Infatti, sia per le modalità di azione della
pubblica amministrazione, orientata ad operare
10
mediante autorità indipendenti con compiti di
controllo, indirizzo e vigilanza e con attribuzione della
gestione (e a volte anche della titolarità dell’attività) a
soggetti privati, sia per i processi di privatizzazione che
interessano le ex municipalizzate e le aziende speciali,
contribuiscono a far propendere per l’accoglimento
dell’impostazione oggettiva.
Ciò che, però, ancora manca è una vera
definizione di “servizio pubblico”.
Seguendo il legislatore comunitario, anche
nell’interpretazione delle norme nazionali, la
definizione di servizio pubblico (la cui gestione può
essere rimessa dall’ente pubblico a società per azioni
con partecipazione di capitale pubblico maggioritario,
totalitario o minoritario) non può prescindere dalla
congruente, non coincidente, nozione di “servizio”
discendente dalla normativa e dalla giurisprudenza
comunitaria.
Gli artt. 16 parte seconda e 86 parte seconda del
Trattato
1
si occupano, sia solo pure per determinati e
particolari aspetti, dei “servizi di interesse generale”.
I servizi, presi in considerazione dai citati articoli
16 e 86 del Trattato, devono:
ξ essere di “ interesse generale”
ξ avere “carattere economico”
1
Vedi Trattato CE del 1957, artt. 16 e 86 per la definizione di “servizi di
interesse generale”
11
La nozione di “servizi di interesse generale” non è
fornita dal Trattato; dalla giurisprudenza della Corte di
Giustizia si ricava, tuttavia, che deve trattarsi di servizi
che riguardano la collettività, che sono cioè volti a
soddisfare bisogni generali dei cittadini o, comunque,
degli utenti o dei consumatori finali (D’altronde, come
di recente affermato dalla Commissione Europea nel
documento sui servizi di interesse generale
2
, il termine
2
Vedi Libro Verde, redatto dalla Commissione della Comunità Europea,
Bruxelles, 21/05/2003 e vedi Libro Bianco redatto dalla Commissione della
Comunità Europea, Bruxelles, 12/05/2004, Allegato 1, dove si ha le
definizione di Servizi di interesse generale :” L’espressione “servizi di
interesse generale” non è presente nel trattato, ma è derivata nella prassi
comunitaria dall’espressione “servizi di interesse economico generale” che
invece è utilizzata nel trattato. E’ un’espressione più ampia di “servizi di
interesse economico generale” e riguarda sia i servizi di mercato che quelli
non di mercato che le autorità pubbliche considerano di interesse generale e
assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico”; di Servizi di interesse
economico generale :”L’espressione “servizi di interesse economico
generale” è utilizzata negli articoli 16 e 86, paragrafo 2 del trattato. Non è
definita nel trattato o nella normativa derivata. Tuttavia, nella prassi
comunitaria vi è ampio accordo sul fatto che l’espressione si riferisce a
servizi di natura economica che, in virtù di un criterio di interesse generale,
gli Stati membri o la Comunità assoggettano a specifici obblighi di servizio
pubblico. Il concetto di servizi di interesse economico generale riguarda in
particolare alcuni servizi forniti dalle grandi industrie di rete quali i
trasporti, i servizi postali, l’energia e la comunicazione. Tuttavia, il termine
si estende anche a qualsiasi altra attività economica soggetta ad obblighi di
servizio pubblico.Come il Libro verde, il Libro bianco è dedicato
principalmente, ma non esclusivamente, ai temi relativi ai “servizi di
interesse economico generale”, così come il trattato tratta principalmente
attività economiche. L’espressione “servizi di interesse generale” è utilizzata
nel Libro bianco soltanto nei casi in cui il testo si riferisca anche a servizi
non economici o quando non sia necessario specificare la natura economica
o non economica dei servizi in oggetto.”; e di Servizio pubblico :”Le
espressioni “servizio di interesse generale” e “servizio di interesse
economico generale” non devono essere confuse con il termine “servizio
pubblico”. Quest’ultimo ha contorni meno netti: può avere significati diversi,
ingenerando quindi confusione. In alcuni casi, si riferisce al fatto che un
servizio è offerto alla collettività, in altri che ad un servizio è stato attribuito
un ruolo specifico nell’interesse pubblico e in altri ancora si riferisce alla
12
“servizio pubblico”, nell’ottica comunitaria, assume
contorni poco netti, in quanto “in alcuni casi si riferisce
al fatto che un servizio è offerto alla collettività, in altri
casi che ad un servizio è stato attribuito il ruolo specifico
nell’interesse pubblico e, in altri ancora, si riferisce alla
proprietà o allo status dell’ente che presta il servizio”).
Tali principi sono, tra l’altro, ribaditi anche dalla
nostra giurisprudenza; infatti, il Consiglio di Stato, sez.
V, 3/4/1990, con sentenza n. 319, viene in soccorso
precisando che: “La nozione di servizio pubblico indica
un servizio rispondente ad esigenze di utilità generale o
ad essa destinato in quanto preordinato a soddisfare
interessi collettivi, non riservato per forza in origine
all’amministrazione e gestibile anche da privati ... In
conclusione deve ritenersi che per qualificare pubblico
un servizio, sia sufficiente l’elemento teleologico della
sua capacità di rispondere ad una utilità generale e
collettiva...”.
Sempre il Consiglio di Stato, Adunanza generale,
22/2/1996, par. n. 33, ha specificato il concetto di
servizio pubblico individuandolo nei “servizi resi ad
una utenza collettiva in relazione ai quali gli esercenti
provvedono all’applicazione di tariffe”.
proprietà o allo status dell’ente che presta il servizio ). Pertanto, questo
termine non è utilizzato nel Libro bianco.”
13
Più di recente per il Consiglio di Stato, sez. IV,
29/11/2000, sentenza n. 6325, “…il pubblico servizio
può essere definito, in aderenza alla concezione
oggettiva recepita dal legislatore con il D.Lgs 80/98,
come attività economica imprenditoriale esercitata per
erogare prestazioni indispensabili a soddisfare bisogni
collettivi incomprimibili in un determinato contesto
sociale e storico, e collocata in un ordinamento di
settore, al cui vertice è posta una autorità pubblica, che
ne vigila, controlla e indirizza l’espletamento”.
Ad avviso della Corte di Cassazione
3
“ …il
servizio si qualifica come pubblico allorquando l’attività,
in cui esso consiste, sia indirizzata istituzionalmente al
pubblico, mirando a soddisfare direttamente esigenze
della collettività, in coerenza con i compiti propri
dell’amministrazione pubblica…”, concetti questi ripresi
anche dalla recentissima sentenza del TAR Lazio, sez.
III, n.473 del 20/01/2004.
Il TAR, chiamato a pronunciarsi sulla nozione di
servizio pubblico, al fine di stabilire la sussistenza
della giurisdizione del giudice amministrativo, ha
richiamato tale principio, sostenendo che la
competenza del giudice amministrativo , in materia di
servizi pubblici sia è limitata alle sole controversie
concernenti il fatto in sé dell’erogazione del servizio,
3
Vedi Corte di Cassazione, sent. nn. 71 e 72 del 30/03/2000; sent. n. 532 del
04/08/2000 e sent. n. 1241 del 01/12/2000.
14
come direttamente reso dal soggetto a ciò deputato,
senza dunque comprendere, nel predetto ambito, tutte
quelle prestazioni che siano meramente strumentali
alla possibilità per il gestore di organizzare e far
funzionare il servizio pubblico
4
.
Sulla giurisdizione del giudice amministrativo,
relativamente alle controversie aventi ad oggetto servizi
pubblici, ad oggi non sussistono più dubbi da parte
della nostra giurisprudenza
5
.
I giudici, interpellati sulla questione,
richiamando l’articolo 33
6
, D.Lgs. 80/1998, hanno più
4
cfr. Corte di Cassazione, SS.UU. Civili, n.10726 del 22/07/2002.
5
V., Tar Liguria, Sez. II, sent. N. 756 del 13/05/2004; Tar Calabria,
Catanzaro, Sez. II, sent. 1061 del 11/5/2004; Tar Lazio, Sez. III, sent. 473 del
20/1/2004; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. II, sent. 628 del 12/3/2004;
Consiglio di Stato, sez. V, sent. 7236 del 12/11/2003; Tar Veneto, sez. I, sent.
5439 del 3/11/2003.
6
La Corte Costituzionale, recentemente, con sentenza n.204 del 06 Luglio
2004, si è pronunciata sull'illegittimità costituzionale degli artt. 33, co. 1 e 2,
e 34, co. 1 del d.lgs. 80/98, come sostituiti dall'art. 7, co. 1, lett. a) e b) , l. n.
205/00, per violazione degli artt. 100, 102 e 103 Cost..
Secondo la Cosulta :”La materia dei pubblici servizi può essere oggetto di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica
amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa
la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in
sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale,
tuttavia, presuppone l'esistenza del potere autoritativo: art. 11 della legge n.
241 del 1990); sicché va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 33,
comma 1, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo "tutte le controversie in materia di
pubblici servizi" anziché le controversie in materia di pubblici servizi
relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti
indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti
adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio
in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241 del 7
agosto 1990, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio,
ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore.
Va altresì dichiarata l'illegittimità costituzionale del comma 2 della norma in
esame.
Analoghi rilievi investono la nuova formulazione dell'art. 34 del d.lgs. n. 80
15
volte sentenziato
7
che: “…è agevole osservare:
- che l'articolo 33, primo comma, devolve alla
giurisdizione del giudice amministrativo tutte le
controversie in materia di servizi pubblici, comprensive -
come si evince anche dalla sentenza della Corte
Costituzionale 11-17 luglio 2000 n. 292, cui il legislatore
si è adeguato modificando l'originario testo dell'articolo
in questione di quelle aventi ad oggetto tutti i diritti
patrimoniali consequenziali;
- l'esemplificazione di cui alla lett. b) dell’ articolo
secondo comma, secondo la quale sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie “tra le amministrazioni pubbliche e i gestori
comunque denominati di pubblici servizi”, non lascia
dubbi sulla giurisdizione, nè assume, in proposito, alcun
rilievo la questione se il gestore sia (o non)
concessionario di un pubblico servizio, poichè nessun
riferimento si rinviene, in seno alla previsione normativa,
al rapporto di concessione.
del 1998, quale recata dall'art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 205 del
2000, formulazione che si pone in contrasto con la Costituzione nella parte
in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva - oltre "gli atti e i
provvedimenti" attraverso i quali le pubbliche amministrazioni (direttamente
ovvero attraverso "soggetti alle stesse equiparati") svolgono le loro funzioni
pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia - anche "i comportamenti",
la estende a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non
esercita - nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di
adottare strumenti intrinsecamente privatistici - alcun pubblico potere.”
7
Al riguardo vedi Tar Calabria, sez. II, sent. n. 628 del 12/03/2004; Tar
Campania, Napoli, sez. I, sent. n. 2359 del 03/03/2004.