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Ginevra del 1923 e 1927 ed approda poi a risultati di ben maggiore
rilievo con la Convenzione di New York del 10 giugno 1958 sul
Riconoscimento e l’Esecuzione di lodi Arbitrali Stranieri (New York
Convention on the Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral
Awards).
Scopo di questo lavoro di ricerca è proprio l’analisi delle ultime
vicissitudini applicative della sopraccitata Convenzione, con specifico
riferimento ad un nuovo, e per certi tratti, rivoluzionario indirizzo
giurisprudenziale inaugurato dalla Cour de Cassation francese e dalla
Supreme Court statunitense in tempi relativamente recenti (il primo caso
data 1994): si tratta del fenomeno che nel prosIeguo dell’opera verrà
definito con l’espressione “recognition notwithstanding annulment” e che
più estesamente può definirsi come “riconoscimento del lodo straniero
nonostante il pregresso annullamento subito dal medesimo laddove è
stato reso (i.e.: “Paese sede”, o “Paese di celebrazione dell’arbitrato”, o
“Paese d’origine”).
Ai fini dell’indagine saranno analizzate in particolare due norme della
New York Convention, ovvero gli artt. V (comma 1, lettera e) e VII.
Le problematiche giuridiche, e non, coinvolte dal suddetto fenomeno
giurisprudenziale sono numerose e complesse, e per buona parte
sembrerebbero condurre, almeno a primo acchito, a dover formulare su di
esso un giudizio decisamente negativo: dal dubbio sull’efficacia dell’
‘International Commercial Arbitration’ quale reale, utile strumento di
tutela alternativa alla giustizia ordinaria, al rischio di un involuzione nella
sua crescita e diffusione nei Paesi che ad oggi ancora non hanno aderito
alla Convenzione di New York, alla presunta violazione del principio
della sovranità statuale e alla compromissione dei rapporti di
“international comity” tra Stati.
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Non mancano, tuttavia, pur se meno evidenti, anche gli aspetti positivi,
quali, primi tra tutti, l’occasione di ottenere una maggiore effettività delle
decisioni arbitrali internazionali e l’opportunità di creare, di fatto, un
“meccanismo di barriera” contro l’efficacia ultra limina di quelle
sentenze di annullamento degli “international awards” dettate dalla
ottusa applicazione di norme che rappresentano la chiara estrinsecazione
del “particolarismo giuridico” del Paese di celebrazione dell’arbitrato
(atteggiamento assolutamente poco consono alla natura e alla ratio che
sottintende all’arbitrato commerciale internazionale) o anche, talvolta, da
faziosità o corruzione, segnatamente, ma non solo, nel caso di lodi
arbitrali emessi nei Paesi in via di sviluppo.
L’architettura dell’opera si articola nel seguente modo:
nella Prima Parte vengono analizzate le due principali dottrine che si
dividono il campo in riferimento alla disputa sulla natura giurisdizionale
o contrattuale dell’arbitrato (presupposto cardine per poter valutare nel
merito tutte le considerazioni che seguiranno);
si passano poi in rassegna le più interessanti normative in materia
d’arbitrato internazionale di alcuni Stati europei e, in ragione della sua
estrema singolarità, quella della Malaysia, prestando particolare
attenzione alla possibilità che viene offerta da alcune norme degli
ordinamenti giuridici dei suddetti Paesi di ottenere la “delocalizzazione
de facto” dell’arbitrato celebrato entro i confini del proprio territorio.
Nella seconda parte, invece, si fa l’analisi della Convenzione di New
York e delle sue norme (artt. V e VII) che più da vicino interessano la
prassi del “recognition notwithstanding annulment”
11
e si analizzano in profondità le fattispecie Hilmarton (Francia e Stati
Uniti) e Chromalloy (Stati Uniti), origine e causa del suddetto, nuovo,
rivoluzionario indirizzo giurisprudenziale
per concludere quindi con l’analisi critica di quest’ultimo, in riferimento
alla legittimità ed opportunità di un suo ulteriore sviluppo e
consolidamento a livello internazionale.
Manuel Tropea
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1 Parte Prima.
LA DELOCALIZZAZIONE DEL
PROCEDIMENTO ARBITRALE
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1.1 CAPITOLO I.
TERRITORIALISTI ED INTERNAZIONALISTI:
DOTTRINE A CONFRONTO, CONTRASTI E
MEDIAZIONE
1.1.1 PREMESSA
Nell’ambito della discussione relativa all’istituto dell’arbitrato commerciale
internazionale, alla sua funzione, alla sua utilità, alla sua natura, ai suoi pregi
e difetti, si dividono il campo due principali correnti dottrinali. Una, la più
tradizionale e conservatrice, fa capo alla cosiddetta teoria “territorialistica”
o “giurisdizionale”, l’altra, decisamente innovatrice e “progressista”, alla
teoria “internaziolistica” o “contrattualistica”.
La materia oggetto precipuo d’indagine di entrambe è costituita
essenzialmente dallo studio della natura giuridica dell’arbitrato
internazionale e più precisamente dall’analisi delle fonti da cui lo stesso
sembrerebbe trarre la propria legittimità ed efficacia.
Si analizzano dunque, nei successivi paragrafi, gli aspetti peculiari che
contraddistinguono l’una corrente dall’altra, riferendo in particolare
l’attenzione a quegli argomenti che dimostrano maggiore attinenza e
rilevanza in relazione all’oggetto d’indagine condotto in questa prima parte
dell’opera: ovvero la prassi della delocalizzazione dell’arbitrato
internazionale, la sua legittimità, la misura della sua effettività.
14
1.1.2 LA DOTTRINA TERRITORIALISTA
1.1.2.1 LA NATURA GIURISDIZIONALE DELL’ARBITRATO
Salvo rari casi, ogni attività esercitata nell’ambito del territorio di uno
Stato è potenzialmente soggetta alla giurisdizione dello stesso: questo il
presupposto cardine della teoria territorialista da cui si pretende fare
derivare la necessaria dipendenza di ogni arbitrato, nazionale o
internazionale che sia, dall’ordinamento giuridico del Paese scelto quale
sede di celebrazione del medesimo.
Nello Stato di diritto l’esercizio dell’attività giurisdizionale è compito
attribuito ad un potere indipendente dello stesso, quello giudiziario
esercitato dalla magistratura; il privato che si ritiene leso nella propria
sfera giuridica potrà rivolgersi unicamente a questa per chiedere la tutela
dei propri diritti o interessi, l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni
essendo punito con l’irrogazione di sanzioni penali.
La previsione di strumenti alternativi per la risoluzione di controversie è
rimessa in via esclusiva alla volontà e alle valutazioni politiche del
legislatore. La possibilità di ricorrere all’arbitrato per dirimere una lite
esiste pertanto sole se l’ordinamento lo contempla tra i propri istituti
processuali, predisponendo ogni necessaria misura relativa al suo operare.
E’ chiaro, del resto, come nessuno Stato potrebbe mai permettere che una
delle funzioni principali che lo caratterizza, l’amministrazione della
giustizia, venisse esercitata nell’ambito del proprio territorio in forme e
modi non consentiti e regolamentati dal proprio ordinamento.
Il fatto che ogni procedimento arbitrale, a parte i casi di arbitrato
obbligatorio, tragga origine dalla volontà delle parti, formalizzata nei
modi opportuni in un clausola arbitrale o in un compromesso, evidenzia
in modo indiscutibile la natura contrattuale dell’istituto e nondimeno
15
nulla toglie alla funzione essenzialmente giurisdizionale dello stesso. Il
fine ultimo perseguito dalle parti che vi si sottopongono volontariamente
è di ottenere una statuizione nel merito la quale, mediante una pronuncia
vincolante e suscettibile di essere eseguita coattivamente, definisca la
lite tra di loro insorta. Un simile effetto, in particolare l’esecuzione
coattiva del lodo, può essere prodotto unicamente in conformità alle
regole e agli strumenti che ogni ordinamento predispone a tal fine.
“L’imperium”, ovvero la disponibilità della forza pubblica per la
coazione all’adempimento degli obblighi cui un soggetto risulta tenuto in
virtù di accertamento giurisdizionale, è prerogativa assoluta dell’autorità
giudiziaria e non certo degli arbitri.
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Volendo considerare la questione da un altro punto di vista, si potrebbe
anche dire che ogni diritto o potere di cui un privato dispone è
inesorabilmente conferito, o comunque deriva, da un sistema giuridico
nazionale, il quale viene tradizionalmente denominato lex fori
1
.
1
In riferimento a questa impostazione si veda primo fra tutti: F. A. Mann, Lex Facit
Arbitrum, 2 Arbitration International 244 (1986), secondo cui: “Although, where
international aspects of some kind arise, it is not uncommon and, on the whole,
harmless to speak, somewhat colloquially, of international arbitration, the phrase is a
misnomer. In the legal sense no international commercial arbitration exists. Just as,
notwithstanding its notoriously misleading name, every system of private international
law is a system of national law, every arbitration is a national arbitration, that is to say,
subject to a specific system of national law. It may well be that in some countries
arbitrations displaying an international character of some sort are governed by special
rules, though they may be common to those in other States. Thus, the Geneva
Convention on International Commercia] Arbitration of 1961 applies to 1itiges nés ou
à nalitre d'opérations de commerce international entre personnes physiques ou morales,
ayant au moment de la conclusion de la convention, leur résidence habituelIe ou leur
siège dans des Etats contractants différents'. Yet even such an arbitration is a national
arbitration. The Geneva Convention of 1961 applies only by reason of the fact that the
State controlling the arbitration has become a Party to it. In other words, the fact that
the Convention applies and that in the limited sense of its Art. I(I) (a) the arbitration is
an international one, does not by any means deprive the arbitration as a whole of its
strictly and necessarily national character, or prejudice the supremacy of the municipal
law applicable to it.
Numerous attempts have been made in recent years to define an 'international
commercial] arbitration'. They have failed to produce any clear formula, nor is it
certain whether an effective formula, if it were to be found, would constitute a useful
contribution rather than a sterile exercise. Monsieur Fouchard, for example, starts by
giving the impression that he intends to make the extravagant suggestion that an
intentional commercial arbitration would be 'un arbitration détaché de tous les cadres
étatiques, soumìs à tous égards à des normes et à des autorités véritablement
internationales', but he then seems to resile from it. Similarly, Professor Goldman less
it obscure whether he really wishes to maintain his no less fanciful initial intimation
that an international commercial arbitration 'serait ainsi ceIui dont la procedure
echappe – ou peut echapper, si la convention des parties est suffisamment - à
l'application d'une loi étatique'. However this may be, all these attempts, let it bc
repeated, are profitless. No one has ever or anywhere been able to point to any
provision or legal principle which would permit individuals to act outside the confines
of a system of municipal law; even the idea of the autonomy of the parties exists only
by virtue of a given cistern of municipal law and in different systems may have
different characteristics and effects. Similarly, every arbitration is necessarily subject
17
L’arbitrato riceve legittimità ed efficacia in virtù del riconoscimento
formale che del suo utilizzo viene fatto da parte dell’ordinamento
giuridico dello Stato in cui viene celebrato il procedimento. Uno Stato
può non contemplarlo affatto tra i propri istituti processuali ed in tal caso
nessun diritto potrà essere riconosciuto alle parti in merito alla scelta di
ricorrervi in via alternativa alla giustizia ordinaria. Se, ad esempio, non
esistesse l'articolo 806 nel nostro codice di procedura civile non
esisterebbe neppure l'arbitrato rituale e sarebbe eventualmente possibile
“celebrare” solo arbitrati liberi o irrituali.
Chiarito il concetto dell’inevitabile incardinamento e della necessaria
dipendenza di ogni arbitrato che si celebra sul territorio di uno Stato
dall’ordinamento giuridico del medesimo, resta da chiarire se e quanto
spazio d’autonomia eventualmente residui nella libera disponibilità delle
parti in relazione all’organizzazione del procedimento.
Come noto, nessuno Stato di diritto permette la violazione della sfera
proprietaria di un soggetto, dell’assetto dei suoi diritti e dei suoi interessi,
se non in conseguenza d’una approfondita verifica delle situazione
fattuale e giuridica che sottostà all’eventuale pretesa in tal senso avanzata
da un altro soggetto. Nella tradizione giuridica di civil law i gradi di
giurisdizione sono generalmente due. La ratio di questa scelta è
rappresentata dal desiderio di ottenere “una giustizia il più possibile
to the law of a given State. No private person has the right or the power to act on any
level other than that Of municipal law. Every right or power a private person enjoys is
inexorably conferred by or derived from a system of municipal law which may
conveniently and in accordance with tradition be called the lex fori , though it would be
more exact (but also less familiar) to speak of the lex arbitri or, in French, la loi de
l’arbitrage”.
Si vedano inoltre: O. Sandrock, How Much Freedom Should an International
Arbitrator? - The Desire for Freedom from Law v. The Promotion of International
Arbitration, 3 The American Review of International Arbitration (1992). H. Smit, A-
National Arbitration, 63 Tulane Law Review, 631 (1989). W. L. Craig, Uses and
Abuses of Appeal from Awards, 4 Arbitration International 180 (1998).
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giusta”, partendo dal presupposto che comunque mai si raggiungerà
l’ideale d’una giustizia assoluta e perfetta. Dare la possibilità alla parte
soccombente in un procedimento di primo grado di avere le proprie
ragioni nuovamente analizzate e valutate in un procedimento d’appello,
dovrebbe garantire maggiore approfondimento e conoscenza della
fattispecie concreta e per conseguenza un maggior grado di attendibilità
della pronuncia definitiva.
Ora è noto come una delle caratteristiche peculiari dell’arbitrato,
presupposto cardine della sua stessa ragione d’esistere, sia costituito dalla
celerità del procedimento; in sostanza chi ricorre ad esso si attende di
ottenere una pronuncia risolutiva della controversia in tempi
ragionevolmente più veloci rispetto a quelli che di norma riserva la
giustizia statale. Ciò nondimeno, la maggior parte degli ordinamenti non
consentono di sacrificare alle ragioni della sveltezza e definitività della
pronuncia il rispetto di alcuni fondamentali principi di buona
amministrazione della giustizia. Pertanto, se pur in maniera ridotta e
secondo modalità specifiche, anche i lodi arbitrali necessitano d’una
verifica di legalità in relazione agli esiti prodotti oltre che certamente ai
modi attraverso cui si è arrivati a produrli. In riferimento a questa
esigenza di controllo vengono poi a trovarsi in una particolare
condizione di favore gli arbitrati cosiddetti internazionali, ovvero arbitrati
che, pur celebrati nell’ambito territoriale di uno Stato tra soggetti di
diritto privato, risultano caratterizzati da elementi di estraneità. Questi,
infatti, in virtù della localizzazione per lo più oltre confine degli effetti
che vengono a produrre, godono di uno statuto di maggiore indipendenza
nei confronti dell’ordinamento di quanto non accada per gli arbitrati a
rilevanza prettamente interna. Ciò si spiega in base alla semplice
considerazione che è evidente che uno Stato abbia maggiore interesse a
controllare ciò che da vicino riguarda i propri consociati e la propria
19
realtà nazionale rispetto a fattispecie che dagli uni e dall’altra si rivelano
completamente avulsi.
Lo statuto di maggiore libertà di cui godono tali particolari procedimenti
deriva dunque non tanto dalla natura dell’arbitrato internazionale in
quanto tale, quanto piuttosto dalla comprensione che della medesima e
delle sue peculiari esigenze viene ad avere il legislatore di ogni singolo
Stato: sempre però, tengono a precisare i territorialisti, di arbitrati
nazionale si tratta e pertanto sempre soggetti al controllo di legittimità da
parte delle corti nazionali devono ritenersi.
La decisione di creare uno statuto giuridico a parte per l’arbitrato
internazionale è scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore di ogni
singolo Stato. L’Italia ha provveduto in questo senso, seguendo con
ritardo l’esempio di numerosi altri Paesi europei, con la legge n.
24/1994
2
.
2
Satta S., Punzi C., Diritto Processuale Civile, Padova, Cedam, 1996, p. 1102
e ss.: “La nuova normativa sull'arbitrato, introdotta dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25,
aggiunge nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile un capo VI dedicato
all'arbitrato “internazionale” ed un capo VII dedicato alla disciplina dei “lodi stranieri”.
Occorre domandarsi, pertanto, quali siano i criteri di qualificazione adottati dal
legislatore per regolamentare le varie tipologie arbitrali e, dunque, determinare gli
elementi di discrimine tra lodi nazionali e lodi stranieri, nonché l’area di applicazione
propria dell’arbitrato internazionale nel più ampio genus dell’arbitrato rituale
nazionale.
In termini sistematici, l’arbitrato nazionale, intendendosi per tale quello direttamente
disciplinato dall’ordinamento italiano, sia esso interno o internazionale, si contrappone
all’arbitrato estero, il cui procedimento si svolge al di fuori della disciplina normativa
introdotta dalla riforma; quanto all'arbitrato internazionale, il legislatore ha finalmente
preso atto delle diverse esigenze connesse ai rapporti commerciali internazionali,
esigenze che la normativa applicabile all'arbitrato interno era soltanto in misura
limitata in grado di soddisfare; ne è risultato l’inserimento nel codice di procedura
civile di alcune norme che, in deroga alla normativa dettata per l’arbitrato interno,
trovano applicazione allorquando la fattispecie arbitrale presenti determinati elementi
di collegamento con ordinamenti diversi da quello italiano. II codice di rito pertanto
disciplina e regolamenta il procedimento arbitrale, c la decisione degli arbitri che da
esso scaturisce, nelle due forme dell’arbitrato interno dell’arbitrato internazionale [...]”.
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Questa maggiore libertà di cui s’è detto, si manifesta essenzialmente nella
facoltà attribuita alle parti e, in via sussidiaria, agli arbitri, di scegliere, da
una parte, le norme sostanziali da applicarsi al merito della controversia
e, dall’altra, quelle procedurali da applicarsi alla conduzione del
procedimento.
Un arbitrato con sede a Parigi ben potrà essere celebrato secondo le
norme procedurali tedesche o italiane o anche secondo un regolamento
anazionale, ad esempio il regolamento Uncitral; parimenti il merito della
controversia potrà nel contempo essere deciso in conformità alle norme
sostanziali del diritto civile svizzero o secondo equità. Simili soluzioni
non vengono affatto contestate dai territorialisti, ché infatti, negare tali
libertà alle parti significherebbe sostanzialmente ridurre in modo
importante l’utilità stessa dell’arbitrato internazionale quale strumento
alternativo di risoluzione di controversie e in definitiva vanificarne la sua
stessa ragione d’esistere. Solo questi tengono a precisare da dove tali
facoltà necessariamente traggano origine; ovvero dall’ordinamento
giuridico dello Stato sede.
Condizioni necessarie per costruire un arbitrato nel modo più congeniale
alle esigenze del caso concreto sono dunque, oltre ovviamente alla
volontà delle parti manifestatasi in tal senso, esplicitamente o
implicitamente che sia, il riconoscimento e la tutela che l’ordinamento del
Paese di celebrazione decide di riservare a tale volontà. Se l’art. 834
c.p.c. non stabilisse ciò che stabilisce, non sarebbe di certo possibile, per
le parti ad un arbitrato internazionale celebrato in Italia, prevedere la
risoluzione del merito della controversia secondo norme sostanziali
diverse da quelle che risulterebbero applicabili in base alle regole di
diritto internazionale privato italiane. Tutto in definitiva è o non è
permesso in base a quanto stabilisce l’ordinamento giuridico del Paese
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che ospita la sede dell’arbitrato e la volontà delle parti assume rilevanza
entro i limiti stabiliti da questo.
La legge procedurale del Paese sede regola necessariamente tutto quanto
concerne il lavoro e la vita stessa del tribunale arbitrale. La lex arbitri è la
fonte dei diritti e dei doveri del tribunale arbitrale; da essa origina il
carattere vincolante del lodo.
Una volta scelto un dato Paese quale sede dell’arbitrato, il procedimento
dovrà necessariamente essere condotto in conformità alle disposizioni
della legge arbitrale di questo. In definitiva dunque, l’unico momento nel
quale la volontà delle parti si manifesta libera da qualsiasi limite
restrittivo (che non sia di natura contrattuale, economico, finanziaria) è
quello della scelta del luogo di celebrazione.
Non esiste alcuna diversità tra l’attività svolta dai giudici e quella svolta
dagli arbitri nella definizione di controversie, essendo gli uni e gli altri
soggetti alla sovranità dello Stato ove amministrano le loro funzioni e
derivando il loro potere dallo Stato medesimo.
In sostanza, secondo l’ottica territorialistica, l’elezione di un determinato
Paese quale sede del procedimento arbitrale si risolve in una sorta di
elezione del foro straniero.
Inoltre i territorialisti tengono a far rilevare come l’uso dell’espressione
«arbitrato commerciale internazionale» non implichi affatto l’esistenza
d’un arbitrato che possa ritenersi slegato dai vincoli di qualsiasi
ordinamento giuridico, in particolare da quello dello Stato eletto come
sede del procedimento, regolato da uno statuto giuridico a matrice
internazionalista, una sorta di diritto internazionale pubblico processuale:
ogni arbitrato è un arbitrato necessariamente nazionale. L’esistenza di
convenzioni internazionali che si occupano specificamente del
riconoscimento di lodi stranieri, come le Convenzioni di Ginevra, quella
di New York e quella europea del 1961, parimenti non significa che ai
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procedimenti arbitrali internazionali possa essere attribuito un carattere di
transnazionalità, una validità giuridica sui generis, un fondamento di
validità ed efficacia giuridica indipendente da qualsiasi ordinamento
statuale, tutt’altro; lo scopo di questa normativa internazionale è solo
quello di rendere maggiormente agevoli e veloci le procedure di
riconoscimento di un lodo arbitrale reso in un Paese in un altro Paese;
lodo che presenta la sostanza e la forma di un atto di natura
giurisdizionale e che pertanto non può non essere sottoposto
all’ordinamento del Paese d’origine, derivando la propria efficacia e
validità proprio da quest’ultimo.