Il Documento della Commissione Europea
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, direzione generale, Occupazione,
Relazioni Industriali e Affari Sociali, ha sentenziato che i motivi principali
della disoccupazione sono dati dall’impossibilità di affrontare impatti
macroeconomici e dalla difficoltà di affrontare le trasformazioni del mercato del
lavoro. Il compito della Strategia Europea per l’Occupazione è quello di
sostenere gli Stati membri e le parti sociali nello sforzo dell’ammodernamento.
Tali problematiche legate al progetto suscitano e influenzano i temi del Lavoro e
dei Diritti Sociali.
Saranno poi analizzate le tre sezioni secondo cui si organizza il Progetto di
Costituzione Europea, un progetto estremamente significativo per quanto riguarda
il tema delle Politiche Comunitarie sull’Occupazione.
Ci si soffermerà successivamente sul tema de “La strategia Europea per
l’Occupazione” una strategia concepita come strumento finalizzato a spostare le
risorse, dalle tradizionali politiche di assistenza ai disoccupati verso interventi
concreti di promozione all’accesso o al rientro nel mondo del lavoro.
Uno degli avvenimenti decisivi in materia di occupazione è stato lo svolgimento
del Consiglio Europeo di Lisbona. Questo ha fornito un nuovo impulso al
processo di coordinamento aperto delle politiche per l’occupazione integrandone
gli orientamenti e sollecitando procedure più efficaci per il coinvolgimento delle
parti sociali, con misure tese a migliorare l’occupabilità e a colmare le lacune in
materia di qualificazioni e con l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita quale
elemento base del modello sociale europeo. Tutto ciò attraverso la promozione di
accordi tra le parti sociali che integrino esigenze di innovazione delle imprese e di
formazione continua del loro personale con una gestione flessibile degli orari.
Da quanto brevemente descritto si constata che le azioni degli Stati membri
intendono promuovere l’abilità d’impiego; di conseguenza, a livello
comunitario, si esortano i partners sociali, nei loro vari livelli di responsabilità
e d’azione, a concludere, il prima possibile, accordi. Accordi in grado di
aumentare le opportunità di formazione professionale e di favorire altre misure
idonee a promuovere l’abilità all’impiego. Per ampliare la scelta occupazionale si
1 Documento della Commissione Europea, direzione generale, Occupazione, Relazioni Industriali e Affari Sociali.
Strategia per l’occupazione e Fondo Sociale Europeo- Sviluppo politico e coordinamento. Politica dell’occupazione e
del mercato del lavoro. Bruxelles, 17.7.2003, COM (2003) 416 definitivo.
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punterà a migliorare la qualità dei sistemi scolastici per ridurre il più possibile il
fenomeno dell’abbandono scolastico nonché ad offrire ai giovani strumenti per
adattarsi ai cambiamenti tecnologici ed economici.
Quanto esposto costituisce la dovuta premessa alla seconda parte della presente
trattazione, ove si descriverà e si analizzerà il contratto di apprendistato così come
disciplinato in Italia.
La disciplina del suddetto contratto, introdotto per la prima volta in Italia dall’art.
2 della legge 19 gennaio, è stata radicalmente riformata dal D.Lgs 276/2003, n.
25, che ha tenuto conto delle menzionate politiche comunitarie in materia di
occupazione.
Di seguito, si esaminerà questo fondamentale istituto sin dalle origini valutando
anche in modo critico, la sua evoluzione storica, ponendo particolare attenzione
sulle fonti normative che lo hanno regolato nel corso degli anni.
Seguirà una prima analisi della riforma richiesta dal Parlamento con l’art. 2 della
L. 14 febbraio 2003, n. 30 ed attuata dal Governo con il decreto legislativo del 10
settembre 2003, n. 276. Ci si soffermerà sugli obbiettivi della legge delega e su
quanti non siano stati comunque realizzati dal legislatore delegato.
Risulterà anche utile far notare che in questo contratto la parte formativa, che
dovrebbe costituire un elemento essenziale del contratto, ha ormai perso la sua
rilevanza, al punto da non fare più parte della causa del contratto, è infatti
divenuta un’ obbligazione accessoria a carico del datore, visto che viene ormai
dato maggior spazio alle finalità occupazionali.
Di particolare interesse risulterà poi analizzare il modo in cui la riforma dei
contratti con finalità formative incide sul generale sistema delle fonti e,
indirettamente sul sistema di relazioni sindacali. Quindi si andrà ad analizzare il
modo in cui si affronta l’intrico delle competenze Stato-Regioni e il ruolo della
contrattazione collettiva.
Seguirà l’analisi dettagliata della principale novità di questa riforma, ovvero
l’analisi delle tre tipologie di apprendistato che sono andate a sostituire la singola
preesistente, soffermandoci sulle problematiche ad esse collegate.
L’analisi si conclude con un esame su cosa realmente è cambiato con questa
riforma e su come ci si dovrà comportare in questa fase.
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CAPITOLO 1: IL PROGETTO DI COSTITUZIONE
EUROPEA
Il processo che dovrebbe condurre alla proclamazione di una Costituzione
Europea sta vivendo momenti di difficoltà e, allo stato, non è dato sapere
se, e quando esso potrà arrivare al traguardo. La firma del Trattato
Costituzionale è avvenuta il 29 ottobre 2004, la sua entrata in vigore era prevista,
dopo la ratifica da parte di tutti gli Stati membri, il 1° novembre 2006, ma dopo il
no francese e olandese, il vertice di Bruxelles (17-18 giugno 2005), ha
sostanzialmente “congelato” la ratifica della Costituzione a data da
destinarsi, presumibilmente se 2007.
Il progetto di una Costituzione per la Ue nasce con il “Progetto di trattato che
istituisce una Costituzione per l’Europa”, presentato dalla “Convenzione per
il futuro dell’Europa” che ha concluso i suoi lavori il 10 luglio 2003. Il dibattito
è risultato polarizzato intorno alle questioni di carattere generale
2
. Sopratutto
si è intensamente discusso, circa l’esistenza stessa di una unità materiale e
spirituale su cui possa poggiare durevolmente un edificio costituzionale comune.
Anche sul piano del metodo, si sono a lungo contrapposte, e continuano a
fronteggiarsi, due diverse prospettive in ordine al modello di sviluppo del
processo di integrazione europea: da un lato, una prospettiva “funzionalista”,
secondo la quale la Costituzione sarebbe necessaria essenzialmente per rendere
più efficienti i procedimenti decisionali dell’Unione Europea e per individuare un
nuovo bilanciamento dei poteri degli organi comunitari rispetto ai poteri
degli Stati membri; dall’altro lato, una prospettiva propriamente
“costituente”, che mira a fondare le basi dell’Europa “in uno spirito
europeo che abbraccia le sue popolazioni e consente di superare la logica della
mera combinazione di interessi particolari.”
2 Vedi G. ZAGREBELSKY, Introduzione, in G.ZAGREBELSKY (a cura di), Diritti e
Costituzione nell’Unione Europea, 2003, VII.
8
1.1 La parte prima della Costituzione UE
La parte I della Costituzione, ridefinendo gli obiettivi dell’Unione,
conferma che questi non attengono più in modo esclusivo alla dimensione
economica, ma tendono a contemperare le esigenze del mercato con quelle della
giustizia sociale. Nel delineare gli “obiettivi” dell’Unione, infatti, si prevede che
essa “si adopera per un’Europa dello sviluppo sostenibile” centrato su
“un’economia sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena
occupazione e al progresso sociale”, combattendo, in particolare,
“l’esclusione sociale e le discriminazioni” e, nel contempo, promuovendo “la
giustizia e la protezione sociale”, nonché “la parità tra donne e uomini, la
solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti dei minori” (art.I-1.3). Dal
che discende un titolo di legittimazione degli interventi dell’Unione
europea in materia sociale, posto che, ferme le competenze trasferite dagli
Stati membri (cfr. in particolare, la parte III della Costituzione), la norma
generale di “apertura” della Costituzione prevede che “L’Unione coordina le
politiche” degli Stati stessi “dirette al conseguimento” degli “obiettivi
comuni” (art.I-1.2).
Viene soprattutto confermata la competenza dell’Unione “per promuovere” non
soltanto le “politiche economiche”, ma anche quelle dell’ “occupazione”
(art.I-11.3), nonché una competenza “concorrente” nei settori della “politica
sociale” (limitatamente agli “aspetti definiti” nella parte III della Costituzione)
(art.I-13.2). Il che implica il potere di adottare “misure intese ad assicurare il
coordinamento” delle politiche sociali nazionali (art.I-14.3 e I-14.4) e quello
di attuare “azioni di sostegno, di coordinamento o di complemento” nei settori
della “tutela e miglioramento della salute umana” e della “formazione
professionale”(art.I-16.2)
3
Viene dunque costituzionalizzata quella tecnica di intervento comunitario in
materia sociale che, prendendo le distanze dal modello basato sulla
necessaria "armonizzazione” delle diverse legislazioni nazionali e
sull’utilizzo della hard law, privilegia le tecniche più “leggere” e duttili del
3
Sulla necessità di un “disegno politico costituzionale” che affidi ad un governo comune
quegli elementi fondamentali del futuro europeo che sono le politiche del lavoro e del
welfare, vedi T.TREU, L’Europa sociale: problemi e prospettive, in Dir.rel.ind., 2001, 3,
332.
9
“metodo aperto di coordinamento”, promosso dal Consiglio europeo di
Lisbona del 23-24 marzo 2000, evento di cui si parlerà accuratamente nel
proseguimento della trattazione.
Adottando la clausola cosiddetta di “flessibilità”, la Costituzione prevede che,
anche nel caso in cui la Costituzione non stabilisca specifici “poteri
d’azione”, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della
Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, può adottare “le
disposizioni appropriate” ogni volta che “un’azione dell’Unione appare
necessaria,nel quadro delle politiche definite nella parte III”, “per
realizzare uno degli obiettivi stabiliti” dalla Costituzione (art.17.1), fermo
restando che tali disposizioni “non possono comportare un’armonizzazione
delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui la
Costituzione esclude una tale armonizzazione”. Infine, nel titolo VI della
parte I, che ha ad oggetto la “vita democratica dell’Unione”, viene
riconosciuto e promosso “il ruolo delle parti sociali” nell’ambito
comunitario, pur “tenendo conto delle diversità dei sistemi nazionali” (art.I-
47). L’Unione, quindi, intende “facilitare” il “dialogo tra le parti, nel
rispetto della loro autonomia”, così riconoscendo nell’autotutela collettiva
un efficiente ed adeguato strumento di equilibrata composizione dei conflitti
economico-professionali
4
.
4
Cfr. S. SCIARRA, la Costituzione dell’Europa sociale, diritti fondamentali e
procedure di soft law, in Quad.Cost., 2004, 2, 32. Tutto ciò deve indurre a ritenere che la scelta
operata dalla Costituzione, volta a riconoscere, nell’opera di costruzione di un comune edificio
costituzionale, il “ruolo centrale della persona umana” (come esplicitamente dichiarato
nel “preambolo”, comporta anche il pieno riconoscimento della importanza dei valori
sociali. Ne deriva che la dimensione dei rapporti sociali acquista una sua autonoma rilevanza
e non può essere considerata soltanto un segmento della più ampia dimensione dei rapporti
economici sul quale l’Unione avrebbe competenze esclusivamente nei limiti di quanto fosse
necessario per garantire il corretto funzionamento del mercato unico.
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1.2 La parte seconda della Costituzione UE
La gradualità del processo di recepimento delle istanze sociali è
testimoniata, nella Costituzione europea, dal fatto che nella sua II parte,
incorpora, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea approvata a
Nizza (dicembre 2000), sotto forma di dichiarazione solenne
5
. Il
riconoscimento riguardante “i diritti, le libertà e i principi” sanciti da tale Carta
individua e fissa gli elementi che costituiscono il fondamento di quella
identità europea, che dovrebbe essere alla base di una unità costituzionale
materiale.
Viene trattato approfonditamente il problema dell’efficacia e a tal proposito è
stata avanzata la preoccupazione che la Carta dei diritti fondamentali della U.E.
avrebbe, di fatto, comportato un’estensione indiretta e non meditata delle
competenze comunitarie, in quanto i diritti sociali, perché siano
effettivi, presuppongono necessariamente l’adozione di concrete misure di
messa in atto.
Inoltre appare chiaro che gli interventi comunitari idonei ad assicurare l’effettiva
garanzia di quei diritti potranno svolgersi soltanto entro i limiti previsti dalla
parte I e dalla parte III della Costituzione europea. Così dovrebbe
essere interpretato l’art.II-52.5 nella parte in cui prevede che le disposizioni della
Carta, le quali contengono “principi”, “possono”, e non già devono, “essere
attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni e organi dell’Unione e
da atti di Stati membri”. Il riconoscimento di tali diritti e principi, come risulta
dalla previsione dell’art.II-51.1, vincola tanto le “istituzioni”, gli “organi”
e le “agenzie dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà”, quanto
gli stessi Stati membri, sia pure, questi ultimi, “esclusivamente nell’attuazione
del diritto dell’Unione”. Tale vincolo consiste, nell’obbligo da parte di tali
soggetti, nell’ambito delle rispettive competenze, di “rispettare i diritti” e
“osservare i principi” di cui trattasi (art.II-51.1), determinando così un argine
contro il pericolo di involuzioni e regressi da parte sia dell’Unione che degli Stati
membri. In secondo luogo, le disposizioni che prevedono i diritti e i principi de
5
GUCE C364-1, 18 dicembre 2000.
11
quibus “possono essere invocate dinanzi ad un giudice” non soltanto “ai fini del
controllo della legalità” degli atti che su di essi possono incidere, ma anche ai
fini dell’ interpretazione degli atti stessi (cfr. la seconda parte dell’art.II-52.5).
Ed infatti, se la Corte di Giustizia ha già più volte ritenuto giustificate le
deroghe operate dagli ordinamenti nazionali quando siano determinate da
esigenze di salvaguardia dei diritti dei lavoratori, è da ritenere che tale
giurisprudenza potrà avere nuovo impulso e vigore nel momento in cui i
“diritti sociali” troveranno formale riconoscimento nella Costituzione.
1.3 Terza ed ultima parte
La costituzionalizzazione dell’Europa sociale, avviene secondo una logica che
non può essere definita di rottura, bensì di stretta continuità con
l’evoluzione sin qui seguita, caratterizzata da un approccio graduale e
prudente. Nella parte III della Costituzione, tra le politiche dell’Unione in settori
specifici, vengono dettate disposizioni in materia di “occupazione” (art.III-97 e
segg.) e di “politica sociale” (art.III-103 e segg.), che riprendono, nella
sostanza, le disposizioni dei vigenti titoli VIII (Occupazione) e XI
(Politica sociale, istruzione, formazione professionale e gioventù) del Trattato
della Comunità europea. In particolare, nonostante le sollecitazioni provenienti
da larga parte della dottrina, resta ferma l’esclusione della competenza
delle politiche dell’Unione per quanto riguarda le “retribuzioni”, “il
diritto di associazione”, il “diritto di sciopero” e il “diritto di serrata”
(art.III-104.6 della Costituzione e art.137.5 del Trattato), nonostante,
queste ultime tre materie compaiano tra i “diritti fondamentali” previsti dalla
parte II della Costituzione stessa.
È evidente che la “costituzionalizzazione” di tale esclusione avrebbe l’effetto
di irrigidire e “stabilizzare” il limite che questa ultima determina nei riguardi
degli interventi comunitari in materia sociale.
Non è prevista l’estensione delle materie nelle quali è consentita la
decisione a maggioranza qualificata. Restano quindi, assoggettate alla regola
dell’unanimità le decisioni in materia di “sicurezza sociale e protezione
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sociale dei lavoratori”, di “protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del
contratto di lavoro”, di “rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei
lavoratori e dei datori di lavoro, compresa la
cogestione” e di “condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che
soggiornano legalmente nel territorio dell’Unione” (cfr., rispettivamente, lett.
c), d), f) e g) dell’art.III-104.1), fermo restando che - secondo il
procedimento speciale introdotto dal Trattato di Nizza -anche in tali materie
(con l’eccezione della “sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori”)
il Consiglio dei Ministri può, all’unanimità, decidere di deliberare a
maggioranza qualificata, senza che sia necessario provvedere preventivamente ad
una modifica del Trattato (art.III-104.3)
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