7
Introduzione
Nel presente studio si intende ricostruire e analizzare le caratteristiche principali
dell’interlingua di un profilo d’apprendente di origine ucraina, all’interno del contesto
linguistico, più precisamente scolastico, italiano. In particolare, si pone l’attenzione sulle
diverse produzioni scritte che sono state svolte nel corso di quest’anno scolastico, cercando,
dunque, di individuare e tracciare diversi spunti di riflessione metalinguistica e
metaculturale, soprattutto in relazione al concetto di “errore”.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire tale tema hanno una duplice natura: se
da un lato, infatti, l’interesse nei confronti di tale profilo è stato influenzato e sicuramente
incentivato da alcune esperienze vissute durante il mio tirocinio universitario,
permettendomi di entrare in contatto con una realtà linguistica differente, mossa altresì dalla
curiosità nel costruire una ricerca su una lingua a me sconosciuta; dall’altro lato, ritengo che
sia fondamentale cercare di concentrare e approfondire diversi aspetti linguistico-culturali
nei confronti di questi nuovi profili e delle loro origini, sia rispetto a quanto sia accaduto e
stia ancora accadendo negli ultimi due anni, sia per la carenza di studi italiani incentrati sulla
lingua ucraina in generale. Dopo essermi documentata sugli studi condotti al riguardo,
l’analisi da me svolta si fonda sugli studi linguistici condotti nel campo
dell’apprendimento/insegnamento di una lingua seconda, con particolare attenzione al
sistema linguistico italiano, punto di partenza per esplorare, successivamente, non solo i
fattori e le caratteristiche linguistiche principali che connotano, nella maggior parte dei casi,
il profilo d’apprendente ucraino, ma anche la sua integrazione all’interno di un contesto
socio-culturale, per certi aspetti, molto distante da quello italiano e, soprattutto, per
addentrarmi all’interno dello stesso sistema linguistico ucraino.
L’obiettivo del presente lavoro è quello di fornire un’analisi linguistica accurata dei dati
raccolti, mettendone in evidenza le peculiarità fonetiche, morfo-sintattiche e lessicali dei due
diversi sistemi linguistici, rispettivamente italiano ed ucraino, presi in esame. La ricerca
tenta, dunque, di delineare delle nuove chiavi di lettura del fenomeno, considerato che una
lingua come quella ucraina risulta, nella maggior parte dei casi, sconosciuta nel contesto
scolastico italiano. In particolare, l’analisi condotta verte sull’indagare due diverse tipologie
di apprendenti di origina ucraina: il primo corrisponde ad una ragazza adolescente,
precisamente dell’età di 13 anni, inseritasi per la prima volta nel contesto scolastico italiano
nell’anno 2022/2023. Per analizzare questo profilo, ci si è avvalsi di diverse produzioni
scritte relative a diversi tipi di attività, svolte all’interno del contesto scolastico, con
8
l’obiettivo precipuo di scardinare quello che potrebbe essere definito un “pregiudizio” buono
che docenti e studenti possono sviluppare nei confronti di una ragazza neo-arrivata, sia in
relazione al livello linguistico sia in relazione all’interazione e all’integrazione socio-
culturale; il secondo, invece, è volto a indagare le caratteristiche, i bisogni e le motivazioni
di due profili di apprendenti adulti di origine ucraina, in un contesto d’apprendimento
spontaneo.
La tesi è articolata in quattro capitoli, in particolare: nel primo capitolo vengono illustrate le
principali teorie di apprendimento di una lingua seconda, partendo dalla definizione di alcuni
concetti preliminari fondamentali al fine di costruire le fondamenta e i pilastri su cui poggia
l’intera ricerca da un punto di vista strettamente teorico, focalizzando l’attenzione sulle
diverse svolte che si sono registrate in campo linguistico e glottodidattico, soprattutto per
quel che riguarda l’evoluzione del concetto di errore.
Il secondo capitolo è suddiviso in due parti: nella prima ci si occupa di illustrare le principali
ricerche svolte nel campo dell’interlingua, approfondendo la sua variabilità; nella seconda,
si approfondiscono le caratteristiche dell’italiano come lingua seconda e come lingua
straniera, evidenziando le principali differenze funzionali tra le due tipologie, per
focalizzare, infine, l’attenzione sull’italiano come lingua per lo studio.
Il terzo capitolo si concentra sull’analisi delle caratteristiche del sistema linguistico ucraino,
di cui viene inizialmente illustrato un breve excursus legato alla storia linguistica
dell’Ucraina contemporanea, soffermandosi sui principali livelli linguistici (fonetico,
morfologico, sintattico e lessicale) e, in particolare, sul sistema verbale della lingua. Alla
fine del capitolo, è proposto un confronto tra il sistema linguistico italiano e il sistema
linguistico ucraino. A supporto dell’intero capitolo sono stati utilizzati gli studi e le ricerche
condotte da uno dei principali studiosi della lingua ucraina e delle sue caratteristiche geo-
socio-linguistiche, ovvero Salvatore Del Gaudio, docente di filologia slava e lingua russa
presso l’Università degli studi di Salerno.
Infine, nel quarto capitolo viene proposta l’analisi del caso studio oggetto del presente
lavoro, a partire dalla presentazione delle principali caratteristiche e dei principali fattori che
connotano questo tipo di profilo, focalizzando l’attenzione non solo sulle principali difficoltà
di apprendimento che connotano, nella maggior parte casi, apprendenti di origine ucraina,
come nel caso specifico, ma cercando di individuare determinate differenze anche in
relazione alla diversa organizzazione del sistema scolastico in Ucraina e in Italia. L’analisi
è stata condotta raccogliendo alcune produzioni scritte sviluppate dall’apprendente
sottoforma di due tipi di attività principali, in particolare, la verifica di produzione nella
9
lingua scritta e due attività generiche svolte, invece, in momenti di didattica canonici. Tutte
le attività riportate sono volte all’esplorazione dell’evoluzione dell’interlingua i cui risultati
saranno approfonditi nella conclusione del presente lavoro. Il motivo per cui si è scelto di
analizzare produzioni nella lingua scritta rimanda al principio per cui gli apprendenti
imparano una nuova lingua producendo output, sia orali che scritti, che gli consentono di
sviluppare una consapevolezza intorno ai fenomeni linguistici utilizzati, attivando quel
processo di riflessione linguistica sulle diverse ipotesi elaborate fondamentale per sviluppare
un apprendimento duraturo. Nella parte finale del capitolo, si riportano, per contrasto, due
profili di apprendenti d’età adulta, sempre di origine ucraina, per i quali si è scelto di
somministrare un questionario, tramite l’utilizzo della piattaforma Google Forms, le cui
domande vertono soprattutto su tre aree ritenute fondamentali per delineare ed analizzare il
background degli apprendenti, rispetto alle loro esperienze educative e professionali, sia nel
loro paese d’origine che in Italia, il loro rapporto con la lingua italiana e i loro progetti futuri,
con l’obiettivo precipuo di ricostruire e analizzare le caratteristiche generali, la motivazione
e i principali bisogni comunicativi. Anche in questo caso, i risultati dell’analisi verranno
illustrati nelle conclusioni.
11
CAPITOLO 1: L’APPRENDIMENTO DI UNA LINGUA SECONDA
1.1 Linguistica acquisizionale, glottodidattica e didattica acquisizionale
Gli studi sull'acquisizione di lingue seconde aprono nuove e interessanti prospettive sul
modo in cui la capacità linguistica umana costruisce un sistema linguistico, permettendo di
individuare meccanismi fondamentali e principi organizzativi che gli apprendenti di una
qualsiasi lingua seguono quando cercano di produrre enunciati in una lingua che ancora non
conoscono o non controllano adeguatamente.
La linguistica acquisizionale studia il processo di formazione della competenza in una lingua
non materna acquisita in età successiva alla prima (L1) e i modelli di acquisizione in un
contesto prevalentemente spontaneo, favorendo l'interazione con i parlanti nativi di
quella lingua. Questa disciplina intrattiene rapporti con molteplici discipline di area
linguistica, psicologica e sociale, con le quali ha instaurato uno scambio di teorie,
metodologie e dati, da cui si sono sviluppati e si sviluppano tuttora metodi e modelli che
hanno contribuito in modo significativo all’autonomia della suddetta disciplina, ponendo
sempre di più al centro delle varie ricerche, i meccanismi e i principi che stanno alla base
dell’apprendimento e che hanno luogo in qualsiasi individuo, nel tentativo di costruire una
teoria sull’apprendimento della lingua seconda completa ed esaustiva. Principalmente per
questo motivo, la linguistica acquisizionale viene spesso messa in relazione con un'altra
disciplina, ovvero, la didattica delle lingue seconde, in quanto, nonostante l'esatta natura
della relazione che le lega sia ancora dibattuta, si può affermare che le due discipline abbiano
dei punti in comune anche se puntano a raggiungere finalità diverse. Il campo d’indagine
prediletto dalla linguistica acquisizionale è, dunque, individuabile nei processi di
apprendimento di una L2 da parte di apprendenti connotati da diversi fattori che influnezano
il loro percorso. Proprio dinanzi alle produzioni degli apprendenti, la linguistica
acquisizionale fornisce un orientamento utile in relazione soprattutto all’individuazione
della competenza in ingresso e nel valutare gli output che ne seguono, attraverso alcune
sequenze acquisizionali, riscontrate per diversi ambiti (si veda CAP. 2, par. 2.3.2).
Nonostante ciò, tante sono le riflessioni e le annotazioni che si sono sviluppate a partire dal
XX secolo in relazione al rapporto tra linguistica acquisizionale e quella che, d’ora in avanti,
verrà denominata glottodidattica
1
. Prima di introdurre e analizzare gli elementi comuni alle
due discipline, occorre specificare che esiste una ben definita distinzione tra le due, connessa
1
P. E. Balboni, “Linguistica acquisizionale e glottodidattica”, in R. Grassi, R. Costa Bozzone, C. Ghezzi (a cura
di), Dagli studi sulle sequenze di acquisizione alla classe di italiano L2, Perugia, Guerra, 2008, pp. 23-24
12
a sua volta ad una più ampia distinzione fondata sulla contrapposizione tra le scienze
teoriche, che mirano a conoscere e le scienze pratiche, che mirano a risolvere un problema.
Seguendo proprio quest’ultima distinzione convenzionale, è possibile ricondurre la
linguistica acquisizionale alle scienze teoriche, in quanto punta a conoscere la natura e il
funzionamento della lingua e la glottodidattica alle scienze pratiche, in quanto risponde alla
necessità sia di perfezionare la lingua prima sia di acquisire lingue diverse dalla prima,
concentrandosi maggiormente sul campo dell’insegnamento. Per quanto riguarda la
glottodidattica, considerato l’ampio spettro di discipline con cui quest’ultima si lega per dar
vita a nuove teorie di riferimento, sarebbe maggiormente opportuno e significativo riferirsi
ad essa come scienza teorico-pratica che trae e costruisce le sue conoscenze proprio
attraverso la collaborazione con discipline autonome ed esterne ad essa. Risulta altresì
significativo evidenziare che, dal punto di vista pratico, nel momento in cui si presenta un
problema da risolvere, considerata la complessità della realtà in cui determinate difficoltà
possono manifestarsi, discipline puramente teoriche come la linguistica acquisizionale, non
sono sufficienti e, proprio per questo motivo, le scienze pratiche come la glottodidattica,
essendo interdisciplinari, sono le uniche che riescono a formulare implicazioni utili alla
risoluzione di tali problemi.
Uno tra i principali elementi comuni, fondamentale per comprendere i risvolti pratici di
questo legame, è rappresentato dalla natura interdisciplinare della linguistica acquisizionale,
infatti, come la glottodidattica, anch’essa opera in due campi teorici esterni, quello
linguistico e quello neuro-psicologico. A questo si aggiunge il punto di contatto più
importante, rappresentato dall’oggetto di ricerca, corrispondente al formarsi della
competenza, interessandosi, dunque, al processo più che al prodotto. A tal proposito
risultano chiarificatrici le parole del linguista Massimo Vedovelli, il quale definiva la
linguistica acquisizionale come “puramente descrittiva e interpretativa” e la glottodidattica
come “regolativa”
2
. Inoltre, entrambe operano sull’interlingua, quindi su un oggetto in
continua evoluzione, fluido, che, per usare una metafora del linguista Paolo E. Balboni, può
essere definito come una vera e propria “laguna linguistica”
3
, in cui gli output linguistici
prodotti dagli apprendenti dipendono dalla tipologia cui appartiene la lingua d’origine. Tutto
ciò ha dato la spinta per lo sviluppo di una nuova disciplina, la didattica acquisizionale,
2
A. R. Giacalone (a cura di), Verso l’italiano. Percorsi e strategie d’acquisizione, Roma, Carocci Editore, 2003
3
P. E. Balboni, “Linguistica acquisizionale e glottodidattica”, in GRASSI R., BOZZONE COSTA R., GHEZZI C. (a
cura di), Dagli studi sulle sequenze di acquisizione alla classe di italiano L2, Perugia, Guerra, 2008, pp. 23-34.
13
attraverso cui vengono posti in evidenza gli elementi che favoriscono l’apprendimento di
una seconda lingua in modo naturale.
In ultimo, si può affermare che la svolta apportata dalla linguistica acquisizionale,
unitamente al suo stretto rapporto con la glottodidattica, è riferibile soprattutto alla sua
capacità di porre sempre di più al centro delle riflessioni linguistiche la figura
dell’apprendente, individuando e analizzando quella che è la fase più significativa e
interessante del processo di apprendimento, ovvero l’interlingua, traslando i presupposti
teorici anche alla pratica dell’insegnamento, costruendo in questo modo, le cosiddette
sequenze acquizionali, il cui ordine non è fisso o prestabilito, che rispecchiano la successione
temporale e le modalità con cui determinati elementi della lingua seconda entrano a far parte
della competenza dell'apprendente.
1.2 Concetti preliminari e presupposti teorici
Nel momento in cui ci si approccia allo studio e all’analisi psico-socio-linguistica di un
determinato profilo d’appendente, è necessario tenere in considerazione che diversi sono i
momenti e i processi che intervengono nella fase di acquisizione e di apprendimento di una
L2. Proprio per questo, si forniranno, in primis, alcune precisazioni terminologico-
concettuali in relazione alla classificazione delle lingue, ponendo particolare attenzione alla
distinzione tra lingua materna (o L1), lingua seconda (o L2) e lingua straniera (o LS); in
secundis, si propone un excursus sulle diverse teorie di apprendimento di una lingua seconda,
con particolare attenzione alla distinzione tra acquisizione e apprendimento linguistico (si
veda par. 1.3).
1.2.1 Lingua materna o L1
La lingua materna (o L1) corrisponde alla lingua naturale dell’individuo appresa
incoscientemente durante l’infanzia.
In particolare, il linguista Paolo E. Balboni definisce quest’ultima come:
«una nozione intuitivamente chiarissima, in realtà assai complessa; qui intendiamo quella
dell’ambiente familiare in cui il bambino cresce, quella in cui pensa, quella in cui impreca
per un dolore improvviso, quella in cui fa delle rapide addizioni mentali mentre gioca a
carte…»
4
.
4
P. E. Balboni, Fare educazione linguistica. Insegnare italiano, lingue straniere e lingue classiche, Torino,
UTET UNIVERSITA’, 2018, p. 10
14
Ogni bambino che si trova immerso in una società umana, infatti, acquisisce in modo
naturale e spontaneo almeno una lingua, nella quale giungerà ad avere piena padronanza e
che utilizzerà come mezzo privilegiato per la comunicazione. I bambini iniziano ad acquisire
la lingua materna fin dai primi mesi di vita attraverso gli stimoli linguistici che ricevono
continuamente dall’ambiente che li circonda, coinvolgendo così quattro aree a loro interne,
ovvero cerebrale, motoria, emotiva e affettiva-relazionale. Una delle aree che, come si vedrà
più avanti, sembra avere una grande influenza è quella affettiva-relazionale, infatti, da questo
punto di vista, la lingua materna può essere intesa come quella lingua attraverso cui un
individuo è in grado di esprimersi fluentemente e accuratamente nelle diverse situazioni
comunicative in cui si ritrova coinvolto, divenendo in questo modo sia la lingua con cui si
pensa sia la lingua che si lega direttamente all’infanzia e alla famiglia, altrimenti denominata
“lingua degli affetti”.
Come si vedrà al par. 1.3, diverse sono le teorie che si sono sviluppate nel corso del XX
secolo in relazione all’attivazione del processo di acquisizione e apprendimento della lingua
materna e di una L2 ed è interessante notare come si sia via via posta sempre più attenzione
alla necessità che il bambino/l’individuo aveva di comunicare e alla stretta relazione tra la
maturazione e l’evoluzione cognitiva e sociale insieme alla sfera linguistica. Proprio alla
base di questa necessità comunicativa, vi sono tutta una serie di impulsi, come ad esempio
il bisogno di comprendere ed essere compreso, il desiderio di scoprire ed integrarsi nella
realtà circostante, che collaborano al fine di costruire l’identità individuale e sociale del
bambino stesso. In questo senso, dunque, la lingua madre corrisponde ad un abito che
l’individuo “indossa” fin dai primi giorni della sua vita, che si adatta al suo corpo e
accompagna ogni gesto, ogni pensiero, ogni azione della sua esistenza.
Le lingue madri, oggi più di ieri, sono una componente che deve necessariamente essere
tenuta in considerazione nell'istruzione e nell'educazione di un individuo sia perché ne
garantisce la qualità sia perché favorisce tutta una serie di fattori che costruiscono
competenza, consapevolezza e integrazione.
Adottando, inoltre, una prospettiva storico-sociale-culturale, la lingua madre rappresenta,
non solo l’identità del singolo individuo ma anche l’identità di un itero popolo ed è proprio
per questo che si deve in ogni modo evitare la repressione o addirittura la cancellazione delle
lingue materne nei nuovi e diversi contesti di apprendimento di una lingua seconda.
In un libro prezioso di Hannah Arendt, intitolato proprio “La lingua materna: la condizione
umana e il pensiero plurale”
5
, viene riportata un'intervista rilasciata alla televisione tedesca
5
H. Arendt, A. Dal Lago (a cura di), La lingua materna: la condizione umana e il pensiero plurale, Sesto San
Giovanni (MI), Mimesis Piccola Biblioteca, 2019
15
con protagonista H. Arendt stessa, risalente agli anni ‘60, nella quale la filosofa parla di sé
stessa come rifugiata, come emigrata. Da questo punto di vista, è importante, infatti,
collegare il discorso della lingua madre con tutta una serie di situazioni e condizioni che
influenzano il processo di apprendimento di una nuova lingua, fra cui spicca la migrazione.
Sebbene qui non ci si concentrerà su questo ampio fenomeno, si ritiene importante riportare
un’affermazione elaborata da H. Arendt in risposta alla domanda relativa alla nostalgia della
sua lingua materna che, in questo senso, acquista un valore ancor più emblematico ed
esemplare: «ho sempre rinunciato consapevolmente di perdere la lingua materna ma ho
sempre mantenuto un certo distacco da altre lingue […] a un certo momento non ho mai
voluto dimenticare che faceva parte di me stessa. Esiste una differenza riducibile tra la
lingua materna e un'altra lingua, posso esprimerlo semplicemente dicendo che […] la lingua
madre, in un certo senso, ha avuto origine sempre nel fondo della mia mente […]. Io posso
dire nella mia lingua materna delle cose che non posso esprimere in altre lingue, è ciò che
mi è rimasto come identità e sono stata consapevole di conservarlo in ogni caso […] Sì, c'è
il rischio di dimenticarla, io però parlo ancora la mia lingua, penso di poterla tenere cara
perché la creatività linguistica viene amputata quando si dimentica la propria lingua»
6
.
Questa riflessione è molto significativa in quanto fa implicitamente riferimento alla
creatività, cioè al pensiero, alla possibilità di proporre nuove dimensioni per il reale. La
creatività è uno strumento archetipo fondamentale che si possiede fin dall'inizio della
comunicazione umana, è un patrimonio che si possiede per tutta la vita. Per questo motivo,
la lingua madre può essere definita anche “lingua del cuore”. Rileggendo le parole di H.
Arendt ci si rende conto che c'è un rapporto affettivo strettissimo tra l’individuo e la sua
lingua materna: si tratta, infatti, della lingua attraverso la quale si esprimono i propri
sentimenti.
La lingua materna, oltre ad essere lingua del cuore, è una lingua diretta attraverso cui è
possibile esprimere e capire sia i propri sentimenti che quelli degli altri meglio che in
qualsiasi altra lingua; è anche lingua della cultura, cioè del comportamento concreto, con cui
si esprimono i bisogni primari, le prime relazioni. In questo senso, dunque, la lingua madre
è un tesoro sia a livello affettivo che a livello socioculturale.
Si può, dunque, affermare che la lingua materna è quella tramite la quale gli individui
costruiscono la propria identità e creano il proprio mondo attribuendo un nome e un
significato alle cose che lo costituiscono, divenendo patrimonio personale che, nel contesto
6
H. Arendt, A. Dal Lago (a cura di), La lingua materna: la condizione umana e il pensiero plurale, Sesto San
Giovanni (MI), Mimesis Piccola Biblioteca, 2019
16
migratorio e non solo, può dare voce alla storia personale in ogni tempo e spazio. Di
conseguenza, la perdita della lingua materna, dal momento che è responsabile della crescita
e della formazione di ogni essere umano sia nella prima infanzia che nel corso della sua
intera esistenza, non può che essere vissuta come tra i più grandi dolori interiori,
contribuendo a riaprire la voragine e gli interrogativi irrisolti relativi alla propria identità.
Quali risvolti ha questo su un piano strettamente linguistico? Per tentare di rispondere a
questo quesito, è bene specificare che il danno causato dalla perdita della propria lingua e
della propria cultura, non è soltanto affettivo e culturale, ma è, prima di tutto, linguistico,
infatti, le competenze acquisite in L1 sono, nella maggior parte dei casi, trasferite alla L2.
Lo scambio dinamico e continuo tra la lingua materna e quella di accoglienza è uno scambio
che sviluppa l'abilità di “abitare le lingue” senza però aggiungere una cultura o una lingua
ad un'altra e senza sottrarre o perdere l'una a favore dell'altra. È, infine, attraverso la
mediazione e la comunione tra la cultura individuale e le altre culture che è possibile
costruire uno spazio concreto in cui quest’ultime si intrecciano tra loro istituendo un dialogo
e un confronto costante tra le molteplici etnie coinvolte.
1.2.2 Lingua seconda o L2
L’espressione lingua seconda (o L2), in linguistica e in glottodidattica viene generalmente
utilizzata per indicare una lingua appresa in un secondo momento rispetto alla lingua materna
(o L1)
7
. Se da una parte, secondo questa prima accezione, le sigle L2 e L1
corrisponderebbero, come sottolinea la studiosa P. Diadori
8
, rispettivamente lingua seconda
e lingua materna, dall’altra altri studiosi intendono la sigla L2 come lingua seconda o lingua
straniera. Il dibattito intorno all’uso e alla conseguente differenza tra queste due sigle
continua tuttora a permanere. In ogni caso, si può affermare che una lingua si definisce
“seconda” nel momento in cui, dal punto di vista del contesto, è presente a scuola e in
numerose situazioni quotidiane, e, dal punto di vista dell’apprendente, non corrisponde alla
lingua materna poiché viene appresa in un momento successivo.
A differenza della lingua materna (L1), l’apprendimento di una L2 può avvenire in
molteplici e varie situazioni, che influiscono enormemente sullo stesso processo di
apprendimento. Il trasferimento in un paese straniero di cui si intende imparare la lingua, la
durata transitoria o permanente del soggiorno in esso, le aspettative e le motivazioni ad esso
7
B. H. M. M. M. Telesphore, “L’insegnamento dell’italiano LS o L2 in Camerun; problematica di terminologia
e rischi di confusione metodologica” in Bollettino Itals, no. 61, 2015, pp. 26-36
https://www.itals.it/sites/default/files/pdf-bollettino/camerun.pdf
8
P. Diadori, D. Troncarelli, M. Palermo, Insegnare l’italiano come seconda lingua, Roma, Carocci Editore,
2009
17
legate insieme all’età di chi apprende, la quantità e la qualità dell’esposizione alla L2, la
natura dei contenuti appresi e così via sono tutti fattori determinanti nell’apprendimento.
In questo campo, un punto di riferimento fondamentale è rappresentato dal lavoro svolto dal
linguista Wolfgang Klein
9
, che esamina e riassume la molteplicità di fattori che intervengono
nel processo di apprendimento, dal punto di vista del soggetto che impara.
In particolare, lo studioso W. Klein individua:
• lo scopo e le ragioni che spingono ad apprendere una lingua straniera, in cui sono
coinvolti aspetti sociolinguistici che richiamano il concetto di bisogno comunicativo;
• le capacità linguistiche possedute dall’apprendente, con particolare riferimento alla
predisposizione naturale all’apprendimento di una nuova lingua e alle conoscenze
linguistiche pregresse;
• il tipo di accesso alla L2, relativo al tipo di input con cui il discente viene in contatto,
quantitativamente e qualitativamente variabile, così come le occasioni (formali o
informali) di comunicazione che gli sono offerte.
Tutti questi elementi influenzano lo sviluppo del processo di apprendimento e la sua
struttura, il tempo richiesto da tale processo e i risultati ottenuti. Per questo motivo, cercare
di individuare i suddetti fattori permette di stabilire quali possono essere modificati, stimolati
o corretti attraverso l’elaborazione di interventi didattici specifici, e quali non sarebbero,
invece, influenzabili e, dunque, modificabili. Nella prima categoria rientrano la quantità e la
qualità dell’input linguistico e la selezione delle occasioni di comunicazione; invece, nel
secondo ambito rientrano le motivazioni, le capacità individuali, le conoscenze pregresse e
l’attitudine all’apprendimento. Risulta, quindi, indispensabile specificare che, in relazione
ad un contesto come quello scolastico, ricordare le differenze linguistiche e culturali degli
studenti e ribadire la concezione tale per cui la lingua è un abito che cresce con noi, è
necessario sia da un punto di vista strettamente didattico sia da un punto di vista emotivo.
Per questo è importante pensare ed elaborare percorsi specifici che garantiscano l'inclusione,
tenendo conto delle differenze e sforzandosi anche di dare spazio alle diverse voci, in modo
che la lingua nuova del paese di arrivo si affianchi alla precedente senza cancellarla,
garantendo così un'inclusione autentica.
9
W. Klein, Second Language Acquisition, Cambridge, Cambridge University Press, 1988
18
1.2.3 Lingua straniera
La lingua straniera (o LS) è definibile come «una lingua non materna appresa in un paese
in cui normalmente non è parlata»
10
, non è usata come lingua principale nell’interazione
quotidiana. Come si evince dalla definizione sopra riportata, dunque, la lingua straniera, a
differenza di una lingua seconda, è appresa in un contesto artificiale e guidato. In questo
senso, l’ambiente gioca un ruolo fondamentale, in quanto, in riferimento all’acquisizione di
una L2, esso fornisce un'elevata quantità di input linguistici spontanei, non controllati e non
controllabili, provenienti direttamente dall'esterno, dando vita a un apprendimento
spontaneo poiché legato a necessità comunicative reali; invece, in relazione all'acquisizione
di una LS, gli input linguistici che ricevono i soggetti apprendenti sono circoscritti e
controllati e, inoltre, i modi e i tempi di accesso a determinate strutture linguistiche sono
regolati solo ed esclusivamente dall'insegnante. A questo proposito il linguista Paolo E.
Balboni afferma che: «l’aggettivo “straniero” indica una lingua che viene studiata in una
zona in cui essa non è presente se non nella scuola, a differenza, della lingua “seconda”
che invece è presente nell'ambiente extrascolastico. […] a differenza di quanto avviene nella
lingua seconda, l'input della lingua straniera è fornito dall'insegnante che quindi sa che
cosa è stato presentato agli studenti e a quale livello di profondità»
11
.
Risulta altresì significativo precisare che l’apprendimento di una lingua straniera non
consiste nel sommare insieme due o più lingue, in quanto si tratta di un processo che implica
una risignificazione della rete associativa di significati su cui si fonda l’intero sistema
linguistico. In questo senso, dunque, una nuova parola non è soltanto un’acquisizione
intellettuale, ma è un elemento che agisce e modifica l’intero contesto dei rapporti che
l’individuo istaura con gli oggetti, perché diverso è l’investimento che fa sulla parola
nell’una o nell’altra lingua.
In ultimo, si può affermare che un ruolo centrale nell’apprendimento di una lingua straniera
è assunto dall’esperienza, in quanto è fondamentale sia il tempo di esposizione ad una lingua
sia il tempo di utilizzo della lingua stessa.
1.2.4 Principali differenze tra L1 ed L2
Nel panorama linguistico odierno, vengono evidenziate sempre di più alcune differenze
qualitative/quantitative relative all'acquisizione e all'apprendimento della lingua prima (L1)
10
M. Chini, Che cos’è la linguistica acquisizionale, Roma, Carocci Editore, 2005, p. 12
11
P. E. Balboni, Le sfide di babele: insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, UTET Libreria, 2002,
pp. 58-59
19
e della lingua seconda (L2). Una delle principali differenze, come afferma la linguista
Marina Chini nel suo manuale intitolato “Fondamenti di glottodidattica. Apprendere e
insegnare le lingue oggi”
12
, è rappresentata dalla coincidenza dell'acquisizione della L1 con
alcune esperienze fondamentali che connotano l’intera esistenza di ogni individuo, come la
prima socializzazione, lo sviluppo cognitivo e la progressiva conoscenza del mondo
circostante; al contrario, per l’acquisizione della L2 non vi è alcuna coincidenza, infatti,
l’apprendente di una lingua seconda, conta solitamente su una conoscenza più ampia del
mondo e, dunque, su uno sviluppo cognitivo più avanzato che gli consente di utilizzare
numerose e articolate risorse cognitive e metacognitive. Inoltre, l'acquisizione di una L2
coinvolge soggetti che conoscono e padroneggiano almeno un'altra lingua, di conseguenza,
possiedono già categorie e nozioni linguistiche per poter interpretare le forme della nuova
lingua. Risultano altresì significative alcune altre differenze o punti di forza che possono
spiegare il successo maggiore dell'apprendimento della L1 rispetto alla L2: prima fra tutte
emerge quella legata al rapporto tra lingua e identità, infatti, se la L1 costruisce
spontaneamente un legame di questo tipo sia a livello personale che di gruppo, al contrario,
la L2 viene considerata dal soggetto apprendente estranea e come una potenziale minaccia,
almeno inizialmente, per la propria identità; per quanto riguarda l’input, questo risulta essere
più ricco ma soprattutto controllato per la L1 rispetto che per la L2, infatti, l’apprendente di
una L2 può possedere input abbondanti o limitati, ma soprattutto incontrollati, a seconda del
contesto in cui si trova e, dunque, a seconda delle possibilità che ha di interagire con la
cultura e i soggetti nativi di quella seconda lingua. Inoltre, in merito a ciò, va considerato
anche che gli input degli apprendenti di una L2 non possiedono caratteristiche sistematiche
che favoriscono e supportano gli interventi dei discenti, a differenza, degli input cui sono
esposti gli apprendenti della L1; infine, se nella L1 gioca un ruolo fondamentale
l’apprendimento implicito, cioè inconsapevole, chiaramente nella L2 ha, invece, maggior
peso l’apprendimento esplicito, cioè consapevole.
Infine, è bene specificare che le differenze tra la L1 e la L2 dipendono anche da fattori
psicologici e neurobiologici che influenzano l’acquisizione dell’una o dell’altra. In
particolare, uno degli studi più significativi in questo campo, proposto dal linguista Eric
Heinz Lenneberg
13
, è fondato sulla scoperta del cosiddetto periodo critico, cioè un periodo
limite che, se rispettato, favorisce l’acquisizione delle lingue. Durante questo periodo,
corrispondente ai primi cinque anni di vita, il cervello elabora in modo automatico una lingua
12
M. Chini, Fondamenti di glottodidattica. Apprendere e insegnare le lingue oggi, Roma, Carocci Editore, p.
51
13
E. H. Lenneberg, I fondamenti biologici del linguaggio, Torino, Boringhieri, 1971
20
attraverso la ricezione di diversi input. Con l’avanzare dell’età e con il progredire della
lateralizzazione del linguaggio nell’emisfero sinistro, l’apprendimento di una L2 risulta,
invece, meno automatico e influenzato da diversi fattori, intra ed extra-linguistici (cfr. par.
2.2.1). Successivamente è stato dimostrato che, in realtà, per l’apprendimento di una L2 non
è possibile individuare un unico periodo critico, poiché diversi sono i periodi individuabili
in base alla sensibilità delle diverse aree della lingua. Proprio per questo motivo, risulta
maggiormente corretto parlare di periodo sensibile.
1.3 Excursus sulle diverse teorie di apprendimento di una L2
L’analisi illustrata nel paragrafo precedente mette in evidenza il forte legame tra il processo
di acquisizione di una L2 e i diversi campi del sapere che influiscono sullo stesso. Per questo
motivo, si illustreranno brevemente le caratteristiche e soprattutto i risultati cui sono
pervenute le diverse teorie legate a questo processo, nate principalmente in campo
psicologico.
Tra le principali teorie dell’apprendimento che assumono particolare rilievo è possibile
individuare:
1 le teorie comportamentiste
2 l’ipotesi innatista
3 le teorie cognitiviste
4 le teorie costruttiviste
5 le teorie ambientaliste
6 le teorie interazioniste
Il comportamentismo iniziò a svilupparsi intorno agli anni ‘50 del Novecento e può essere
definito come quell’orientamento della psicologia moderna che circoscrive il campo della
ricerca all'osservazione del comportamento animale e umano, rifiutando ogni forma di
introspezione sfuggente alla verifica oggettiva. Il postulato fondamentale su cui si fonda il
comportamentismo, infatti, è quello tale per cui la psicologia studia il comportamento e non
la mente. In tal senso, l'apprendimento è inteso come il processo attraverso cui il
comportamento viene modificato dall'esperienza e dall'ambiente. Alla base di questa teoria,
acquisì un ruolo sempre più centrale il binomio stimolo-risposta, il quale diede vita ad una
nuova teoria, quella del condizionamento. Il condizionamento è definibile come un aspetto
dell’apprendimento, umano o animale, che si basa sulla formazione di associazione di eventi
fra di loro dipendenti. Esistono due tipi di condizionamento: classico e operante.