1. IL COSTRUTTO DELL’ALESSITIMIA
1.1 Definizione e caratteristiche del costrutto
dell’alessitimia
Il termine alessitimia deriva dal greco: alfa = privativo, lexis = parola,
thymos = emozione, quindi letteralmente può essere tradotto come
“mancanza di parole per le emozioni”.
Il costrutto dell’alessitimia è stato formulato da Nemiah, Freyberger e
Sifneos all’inizio degli anni ’70, in seguito a dei colloqui effettuati con
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20 soggetti affetti ciascuno da due malattie psicosomatiche classiche. In
16 di questi soggetti fu riscontrato:
Difficoltà ad esprimere verbalmente le emozioni e ad esserne
consapevoli
Scarsità di fantasia
Stile comunicativo incolore
Dopo la prima enunciazione del costrutto, una serie di ricerche ha
evidenziato molteplici altre caratteristiche dei soggetti alessitimici ed
attualmente vengono riconosciuti come fondamentali i seguenti aspetti:
Difficoltà a discriminare, identificare e descrivere le emozioni: i
soggetti alessitimici manifestano una marcata difficoltà a verbalizzare
i propri stati emotivi e, ad un’indagine più approfondita, sembrano
non averne affatto consapevolezza. Possono anche mostrare scoppi
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Ulcera peptica, asma bronchiale, ipertensione, tireotossicosi, colite ulcerosa, artrite reumatoide,
neurodermatite
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improvvisi di emozioni intense, ma non riescono a collegare la
manifestazione emozionale con ricordi, fantasie o specifiche
situazioni. E’ così possibile che un paziente alessitimico descriva
tutto ciò che è successo, ad esempio in una lite con il coniuge, dalle
situazioni che l’hanno scatenata alle parole dette e poi si meravigli se
l’osservatore gli dice che, probabilmente, ha provato rabbia
Difficoltà di distinguere fra stati emotivi soggettivi e le componenti
somatiche dell’attivazione emotiva: i soggetti alessitimici esprimono
le proprie emozioni attraverso la componente fisiologica, mentre sono
incapaci di elaborare l’aspetto soggettivo vissuto. Per cui, un soggetto
alessitimico può riferire le modificazioni somatiche avvertite senza
comprendere che l’esperienza emotiva vissuta comprende in sé tutte
le sensazioni corporee riferite. Può anche accadere che i soggetti
risalgano all’emozione dallo stato somatico che percepiscono
(sostenendo, inconsapevolmente, la teoria di James-Lange)
Presenza di processi immaginativi coartati, con scarsezza di vita
fantasmatica (come notato da Marty e collaboratori): la povertà di
immaginazione e di tutte le funzioni ad essa connesse sono facilmente
osservabili nell’attività onirica dei soggetti alessitimici. Essi sognano
raramente e i loro sogni sono comunque caratterizzati dal fatto di
riprodurre momenti di vita reale, avvenimenti diurni, o eventi
stressanti. Allo stesso modo, i sogni ad occhi aperti sono
quantitativamente molto scarsi e qualitativamente poveri poiché
anch’essi si riferiscono ad eventi accaduti o a preoccupazioni per il
futuro. Il colloquio con i soggetti alessitimici è pertanto duro, noioso,
frammentario, rigidamente circoscritto a sintomi, esami medici o
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eventi accaduti. Fisicamente appaiono rigidi nella postura e nella
mimica facciale
Presenza di uno stile cognitivo legato allo stimolo, orientato
all’esterno: i soggetti alessitimici sono selettivamente concentrati su
tutto ciò che è esterno alla vita psichica. Sul piano cognitivo, ciò si
manifesta attraverso un pensiero razionale che tende a illustrare
azioni ed esperienze senza riferimento ad investimenti affettivi, come
se il soggetto fosse spettatore più che attore della propria vita.
L’attenzione è concentrata sui dettagli della realtà fattuale, descritta
minuziosamente, ma senza dare mai la sensazione che sia presente
una partecipazione emotiva
Conformismo sociale: i soggetti alessitimici mostrano una stretta
aderenza alle regole sociali, per cui sembrano definiti dall’esterno in
termini di identità di ruolo. Tuttavia, mancano delle qualità soggettive
di interpretazione della propria identità ed evidenziano scarsa
capacità di sintonizzazione con le emozioni altrui, mostrando marcate
difficoltà a formare e mantenere nel tempo relazioni interpersonali
intime.
Inoltre, i soggetti alessitimici possono presentare una serie di
caratteristiche accessione non facenti parte del nucleo centrale del
costrutto:
Lamentano in genere sintomi somatici (più che problemi psicologici
o relazionali)
Possono avere esplosioni di collera o di pianto ma senza sapere il
perché. Scoprire il motivo delle loro reazioni può essere più
complesso rispetto ad un soggetto senza problematiche legate
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all’alessitimia in quanto non si tratta di rimozione, ma di una vera e
propria mancanza di conoscenza
Possono esprimere l’emozione tramite l’azione
I sogni sono raramente presenti ed oscillano tra incubi arcaici e
pensiero razionale (Apfel, Sifneos, 1979)
Possono presentare amimia (Nemiah, 1978)
Possono oscillare tra un comportamento dipendente ed evitante
(Apfel, Sifneos, 1979)
Mostrano ridotta capacità empatica (Krystal, 1979) in quanto non
riescono ad utilizzare come segnali le proprie emozioni e non
possono utilizzare e cogliere quelle degli altri.
Nell’insieme i soggetti alessitimici tendono a mostrare uno stato
affettivo negativo indifferenziato, che spesso induce nell’interlocutore
una sensazione di noia. Le caratteristiche dell’alessitimia sono simili a
quelle riscontrate in più patologie psicologiche (disturbi depressivi,
disturbo ossessivo-compulsivo, personalità dipendente), ma se ne
differenziano per la peculiarità di un disturbo cognitivo della
componente psicologica degli affetti a fronte di espressività della
componente fisiologica.
Nell’affrontare il concetto di alessitimia è fondamentale, quindi,
discostarsi da un modello di inibizione poiché la persona non reprime, né
inibisce o nega le emozioni, ma non le sa esprimere, non ha parole,
dimostrando, così, di situarsi più nell’area del deficit che in quella del
conflitto.
Inoltre, va ricordato che l’alessitimia non è un fenomeno del tipo tutto
o nulla e che la ricerca più recente si è focalizzata sulla presenza di “aree
mentali” alessitimiche, cioè relative a contenuti specifici, a situazioni e
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contesti specifici, al tipo di emozione. L’alessitimia viene oggi concepita
come una dimensione di personalità che rappresenta un fattore
predisponente ai disturbi della regolazione affettiva, intesi come quelle
condizioni cliniche in cui l’individuo non è in grado di utilizzare gli
affetti come sistemi motivazionali e di informazione in relazione ai
propri stati emotivi ed al proprio rapporto con gli altri.
1.2 Storia ed evoluzione del costrutto di alessitimia
Negli anni precedenti agli studi di Sifneos e collaboratori, tuttavia,
possiamo rintracciare dei precursori del costrutto dell’alessitimia.
Sul finire degli anni ’40, in ambito neurobiologico, MacLean (1949)
ipotizzò che nei pazienti psicosomatici le emozioni non riuscissero a
giungere dai centri nervosi inferiori alla corteccia (e quindi non
potessero essere verbalizzate). Sul piano psicologico, Jorgen Ruesch
(1948) aveva osservato che molti pazienti con patologie mediche
croniche, o con le “classiche” malattie psicosomatiche, manifestavano
marcate difficoltà di espressione verbale e simbolica degli affetti, con
caratteristiche del tutto diverse da quelle presentate dai pazienti
nevrotici. Egli attribuì tali caratteristiche ad un arresto nello sviluppo
della personalità, considerando tale deficit evolutivo come il problema
centrale della personalità psicosomatica. Introdusse, a tal proposito, il
concetto di “personalità infantile” le cui caratteristiche percorrono sia il
concetto di alessitimia, sia altri concetti attuali nel campo della
psicosomatica e della regolazione affettiva. Tali caratteristiche possono
essere così schematizzate:
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Difficoltà di apprendimento sociale
Espressione dell’emozione attraverso azione fisica diretta o canali
corporei
Aspirazioni elevate ed irrealistiche (probabilmente dovute a
mancanza di contatto con il mondo interno ed esterno)
Simboli verbali e gestuali non connessi con affetti e sentimenti
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Incapacità di separarsi emotivamente dalla madre
Negli anni ’60, inoltre, Krystal constatò una mancanza di
differenziazione degli affetti negli stati di astinenza dalle droghe
(Krystal, 1962) e descrisse gli identici problemi caratteristici negli stati
post-traumatici gravi (Krystal, 1968). Nello stesso periodo gli
psicanalisti francesi Pierre Marty e Michelde M’Uzan (1963)
pubblicarono osservazioni cliniche su pazienti ricoverati in ospedale per
disturbi somatici di origine indeterminata. Dalle interviste fatte a questi
pazienti, si notò che essi manifestavano una struttura cognitivo-affettiva,
denominata dagli autori “pensiero operatorio”, caratterizzata da uno
stile di pensiero letterale ed utilitaristico accompagnato da un marcato
impoverimento affettivo.
Tuttavia, il lavoro di questi autori non ha dato grandi frutti in quanto
era ancorato teoricamente ad un modello rigorosamente pulsionale che,
ormai, era poco condiviso nell’ambito della ricerca empirica. Inoltre, non
furono sviluppati strumenti di misura standardizzabili e la metodologia
seguita aveva sottovalutato l’effetto aspecifico dovuto all’essere
ricoverati in ospedale. La ricerca che ha utilizzato il costrutto
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Fonagy e la Theory of Mind, la difficoltà a rendersi conto del punto di vista dell’altro
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In diversi autori un rapporto di tipo simbiotico viene visto come possibile antecedente
dell’alessitimia
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dell’alessitimia ha però raccolto dati compatibili con il pensiero di questi
ricercatori francesi.
Nel 1976 la XI European Conference on Psychosomatic Research
(ECPR) (Brautigam-von Rad, 1977) venne interamente dedicata al
costrutto di alessitimia permettendo ai ricercatori, per la prima volta, di
incontrarsi e discutere su tale costrutto sancendone l’ufficialità nella
comunità scientifica e promuovendone lo sviluppo futuro.
A metà degli anni ’80 il costrutto subì una svolta cruciale grazie alla
pubblicazione della prima scala empiricamente validata per l’assessment
dell’alessitimia. La scala, denominata “Toronto Alexithymia Scale”
(TAS-26), venne realizzata da un gruppo di studiosi di Toronto costituito
da Graeme Taylor, Mike Bagby, Jim Parker e fu pubblicata nel 1985
nella versione a 26 item (Taylor et al., 1985). Nel 1994, dopo progressivi
adattamenti, si giunse alla standardizzazione definitiva della scala
costituita da 20 item (TAS-20) (Bagby et al, 1994a). Prima della TAS-26
e della TAS-20 i risultati delle ricerche erano stati ottenuti con strumenti
poco solidi dal punto di vista psicometrico e, proprio la scarsa validità e
affidabilità delle prime scale di valutazione dell’alessitimia, portò ad una
scarsa considerazione da parte della comunità scientifica verso tale
costrutto. Lo sviluppo della TAS-26 e della TAS-20, dunque, ha
permesso un grande progresso nelle ricerche riguardanti il settore
dell’alessitimia.
Nel 1997 il gruppo di Toronto pubblicò la monografia “Disorders of
Affect Regulation” (Taylor et al, 1997), costituendo una nuova
importante svolta per il costrutto dell’alessitimia che passò
definitivamente dalla medicina psicosomatica in senso stretto
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all’universo più ampio dei disturbi multi-determinati sia fisici che
psicopatologici caratterizzati dalla disregolazione affettiva.
Sempre il gruppo di Toronto illustrò, alla XXV ECPR tenutasi a
Berlino nel 2004, i primi risultati relativi alla “Toronto Structured
Interview for Alexithymia”. Si tratta di un’intervista strutturata a 24
items, parzialmente finanziata dal Ministero della Salute canadese, nata
per rispondere a due critiche fondamentali rivolte alla TAS-20: primo, la
TAS-20 è uno strumento self-report e appare in aperta contraddizione
con il costrutto misurato poiché per definizione gli alessitimici hanno
scarso accesso introspettivo all’autovalutazione (Lumley, 2000), per cui
è necessaria una valutazione clinica delle caratteristiche del paziente da
parte di un osservatore; secondo, la TAS-20 non valuta adeguatamente
aspetti clinici importanti del costrutto, come il conformismo sociale e la
ridotta capacità di fantasticare, in quanto gli items relativi a questi aspetti
risultano psicometricamente deboli.
In sintesi, nei suoi 30 anni di storia, il costrutto di alessitimia ha subito
notevoli e sostanziali cambiamenti in almeno 3 aree (Porcelli, 2004):
1. Dalla comunicazione all’elaborazione delle emozioni: agli inizi si
pensava che la struttura concettuale del costrutto fosse costituita da una
difficoltà di comunicazione delle emozioni, mentre oggi si ritiene che
l’aspetto teorico fondamentale consista in un deficit di elaborazione
cognitiva delle emozioni dovuto ad un arresto nello sviluppo delle
funzioni di mentalizzazione. La cornice teorica di riferimento è
rintracciabile, dunque, nelle moderne teorie delle emozioni.
2. Dalla specificità psicosomatica alla vulnerabilità aspecifica: agli
inizi si riteneva che l’alessitimia fosse maggiormente prevalente nelle
patologie psicosomatiche, tanto che si ritenne che ne costituisse un
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aspetto di specificità. Oggi si ritiene, al contrario, che l’alessitimia sia
una predisposizione specifica verso vari disturbi nevrotici (fobici,
ossessivo-compulsivi, e sessuali), psicosomatici classici
(cardiovascolari, binge eating, artrite reumatoide, colite ulcerosa e
neurodermatiti), psichiatrici (depressione maggiore, tentativi di
suicidio, abuso sessuale, PTSD, disturbi del comportamento
alimentare, disturbi dissociativi e di panico), somatici (cancro della
cervice uterina, dolore cronico, ipertensione, utilizzatori frequenti di
servizi medici, disturbi funzionali gastrointestinali), caratterizzati dalla
comune matrice della disregolazione degli affetti.
3. Da strumenti deboli a strumenti validi di misurazione: agli inizi la
misurazione del costrutto è stata effettuata con strumenti che avevano
solo elevata face validity, ma sviluppati con scarsa attenzione di
validità e affidabilità. L’introduzione delle scale di Toronto ha
consentito un progresso sostanziale nella misurazione del costrutto
poiché è stato seguito un processo empirico e non solo concettuale
nello sviluppo della scala.
Il cambiamento di questi tre aspetti del costrutto non ha comportato,
però, il cambiamento dei suoi aspetti fondamentali, per cui l’alessitimia
ha conservato inalterate le sue caratteristiche messe in luce da Sifneos et
al. 30 anni fa.
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1.3 Genesi dell’alessitimia
1.3.1 Le teorie psicodinamiche
In diverse teorizzazioni psicanalitiche il rapporto con le figure di
accudimento viene considerato centrale per la regolazione degli stati
affettivi.
Bion (1962 a, b) sostiene che l’esperienza acquisita attraverso la
sensorialità dia origine agli elementi beta (che possono essere considerati
come protoemozioni); questi, attraverso il contenimento e la funzione
alfa della madre, vengono trasformati in elementi alfa, che sono la base
delle rappresentazioni mentali, del pensiero cosciente, dell’emozione
cosciente, dei sogni. La funzione alfa della madre viene gradualmente
interiorizzata dal bambino che, così, diviene capace di effettuare da solo
le stesse operazioni. Fino a quando non vengono sottoposti all’azione
della funzione alfa, gli elementi beta non elaborati non sono pensabili,
ma vengono sentiti come cose che possono soltanto essere eliminate in
due modi: nell’azione, o nel corpo.
E’ evidente il parallelo con il costrutto dell’alessitimia, in quanto i
soggetti alessitimici hanno difficoltà a percepire e ad esprimere
all’esterno le emozioni, mentre presentano disturbi somatici e agiti di
vario genere. L’alessitimia, secondo il modello bioniano, può essere
inquadrata come dovuta ad una carenza di contenimento materno o ad
una insufficiente interiorizzazione di questo.
Un ulteriore aspetto dell’opera di Bion (1965) affiancabile al costrutto
di alessitimia, sta nella distinzione tra la capacità di soffrire il dolore
piuttosto che soltanto sentirlo, differenze sempre collegabili ad un
maggiore o minore sviluppo della funzione alfa. Il sentire il dolore si
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verifica quando l’evento doloroso non può essere tollerato ed elaborato
all’interno dei confini dell’Io, così che ne colpisce i confini, provocando
dolore. Questo tipo di dolore diviene una minaccia per l’integrità dell’Io,
quindi, deve essere allontanato e rimane in forma di memoria corporea
(Melanie Klein, 1957).
La genesi di una situazione di disregolazione affettiva può essere
valutata lungo diversi altri modelli dinamici che evidenziano tutti un
rapporto tra difficoltà nella elaborazione-costruzione di emozioni
“regolate” ed organizzate in tutte le loro componenti e difficoltà nelle
relazioni di accudimento primarie.
Troviamo, infatti, in Winnicott il concetto di holding, parallelo a
quello di contenimento di Bion, fino a giungere a quello di oggetto
transizionale come fase intermedia dell’interiorizzazione della
regolazione. In Kohut ritroviamo il concetto di regolazione che si
effettua nel rapporto con l’oggetto-sé e la possibilità di acquistare questa
regolazione mediante l’interiorizzazione trasmutante, pur rimanendo
necessario il rapporto con gli oggetti sé maturi.
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Più recentemente, Fonagy (1991, pag. 642) ha considerato la
regolazione affettiva come fondamentale nello sviluppo della “teoria
della mente”, cioè del modo in cui ciascuno si rappresenta il
funzionamento mentale proprio e degli altri, e ha considerato la capacità
di rappresentare mentalmente un’emozione come fondamentale per
evitare che l’emozione stessa diventi dilagante, annientante (elementi
beta in Bion, simmetria in Matte Blanco). Queste capacità possono
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“The development of the capacity for mental representation of the mental world of the other is
closely related to the regulation and control of effect. The ability to represent the idea of an affect is
crucial in the achievement of control over overwhelming affect […]. The absence of the capacity to
represent affect mentally has also been noted by authors concerned with psychosomatic disorders”
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